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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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mezza dozzina di futuri ministri”. E lo provava il fatto che Buozzi e Roveda erano stati<br />

chiamati a Roma”.<br />

C’era una gran confusione. Io avevo il numero 6706. Un secondino mi chiese: “06, è vero<br />

che il principino è con voi?”. Io risposi sicuro: “Sì”. “In questo stanzone ci saranno dei<br />

commissari del popolo?”. “Ma certo”. “06, sapete che cosa vi dico?”. Si fermò un<br />

momento: “Se cambia, cambio anch’io”. […]<br />

A casa, trovai mio fratello Gaspare, il più piccolo, che aveva diciassette anni. Mi chiese: “E<br />

adesso che cosa accade?”. “Diranno che è finita, ma fino al Po ci saranno i tedeschi e al<br />

Sud gli anglo-americani. Noi andremo dal maresciallo dei carabinieri che ti ha arrestato, e<br />

gli diremo che ci dia le armi e che venga con noi per le vigne a combattere”. Era agosto, e<br />

morì a febbraio.<br />

Tutto quello che avveniva, noi lo avevamo studiato per anni interi, noi eravamo i più<br />

concreti, i più informati. Gli altri brancolavano. L’impressione più immediata era di una<br />

grande tristezza. Nel vagone che mi portò verso Pescara. c’era un sottotenente che<br />

fuggiva, il suo reparto era sbandato, stava chino su un fascicolo della Settimana<br />

Enigmistica, si rifugiava in quei giochi, rifiutava i fatti, li respingeva. Su una piazza vidi dei<br />

ragazzi che si rincorrevano, e uno diceva: “Compagno si dice adesso, non più camerata”.<br />

Noi comunisti, per la prima volta, ci contammo: quindicimila. Ma eravamo il partito più<br />

moderno, più aperto: rimproveravamo a Benedetto Croce di negare la vitalità degli italiani,<br />

non intendevamo dare l’assalto, come si aspettavano, al Palazzo d’Inverno, capivamo che<br />

tra quei fascisti che ci stavano di fronte, c’erano gli antifascisti di domani, perché la<br />

guerra, ripetevamo, comincia adesso.<br />

Dimenticavo: avevo forse trovato un lavoro. Leggendo la mia biografia, si pubblicavano<br />

brevi storie di quelli che ritornavano dalla prigionia, ad uno venne in mente che avrei<br />

potuto impiegarmi alla Stampa, e me lo fece sapere: mi avrebbero affidato la parte<br />

sindacale. Stetti con mia madre in tutto una settimana. Ci siamo voluti bene, ma sempre<br />

da lontano. Può capitare».<br />

Enzo Biagi<br />

La nascita dei Comitati antifascisti<br />

È stato detto che solo la morte del tiranno o una guerra perduta possono abbattere una<br />

dittatura. Gli italiani hanno constatato sulla loro pelle quanto ciò sia vero. Eppure fermenti<br />

e attività antifasciste vi furono, durante tutto il ventennio; ma non ebbero mai conclusione<br />

pratica perché il regime si era costruito una polizia su misura, davvero efficiente. Sicché<br />

quando l’attività restava sul piano dottrinario, il fascismo poteva concedersi il lusso di<br />

ignorarla; e quando passava al piano pratico, I’OVRA era li pronta a stroncarla. Dal 1924 al<br />

1939, perciò, si assiste ad eroici quanto vani tentativi di lotta contro Mussolini. Questi<br />

episodi portano i nomi di Piero Gobetti, di Riccardo Bauer, di Mario Vinciguerra e Lauro De<br />

Bosis, della fiorentina «Giovane Italia», di «Giustizia e Libertà». «Questa agitazione»,<br />

scrive Paolo Monelli, «era forzatamente limitata a pochi gruppi che avevano scarsi o<br />

nessun contatto fra loro; la polizia era abile e bene informata, spesso arrestava prima<br />

ancora che un progetto di associazione prendesse forma. Solo i comunisti e i cattolici, per<br />

la natura delle loro formazioni, riuscirono a dare una certa continuità alla loro azione<br />

segreta, pur sempre scarsa di numero».<br />

Sarebbe però ingiusto giudicare totalmente inutile l’attività degli antifascisti in Italia in<br />

quell’arco di quattordici anni; a parte ogni considerazione, che non può essere che<br />

altamente positiva, sul coraggio e la tenacia di quei pochi che non vollero ammainare la

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