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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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già fatto togliere il ritratto del duce. Gli spiegai che da quel momento era il comitato che<br />

comandava, e lui doveva collaborare con noi, e come primo gesto, come prima prova di<br />

conversione, era opportuno che impartisse l’ordine alla Milizia di smetterla di tenerci dietro,<br />

e quei giovanotti avrebbero fatto anche bene a togliersi la camicia nera e i distintivi e le<br />

cimici, come le chiamavamo. Il dottor Guida poteva, saggiamente, per evitare<br />

inconvenienti, incorporarli nell’Esercito. Gli chiedemmo di far presente, con forte urgenza,<br />

al ministero dell’Interno, che c’era una logica conseguenza dei fatti: dovevamo essere tutti<br />

liberati e senza troppe formalità. […]<br />

Il tempo, nell’attesa, passava lentamente, continuava ad arrivare il battello che partiva da<br />

Gaeta e trasportava i rifornimenti, la posta, i giornali: quando doveva sbarcare bestiame<br />

non c’era l’attracco, lo buttavano in acqua, con forti urla lo spingevano alla riva.<br />

Vedemmo arrivare anche una corvetta, che gettò l’ancora in una insenatura. A bordo c’era<br />

Mussolini. Scesero dei funzionari della Sicurezza, e avevano già deciso: lo avrebbero<br />

scaricato lì, ma ad un tratto si imbatterono in un ufficiale tedesco. Chiesero a Guida cosa ci<br />

stava a fare e così seppero che sulla costa c’era una batteria antiaerea, con cento soldati.<br />

Allora pensarono di cambiare rotta. Non tenevano in alcun conto la nostra presenza e il<br />

rischio che comportava. Andammo subito dal direttore per fargli presente il pericolo: ci<br />

disse: “So perché siete venuti. ma state tranquilli. Lo hanno già portato a Ponza”.<br />

Lo misero nella casa dove lui aveva fatto alloggiare Ras Imerù, l’abissino che aveva<br />

guidato le truppe del Negus e che, dopo la sconfitta, rifiutò di sottomettersi. Era un uomo<br />

pieno di dignità, alto, severo, portava un lungo mantello nero.<br />

Mussolini io lo vidi dunque una sola volta: all’arcivescovado di Milano, nell’aprile del 1945.<br />

lui scendeva le scale, io le salivo. Era emaciato. la faccia livida, distrutto. […]<br />

Ed ecco il fausto momento: partì finalmente il primo veliero, ci furono molti abbracci, e<br />

quelli che se ne andavano stavano aggrappati alle sartie per salutarci, e noi eravamo lì sul<br />

molo, quelli sventolavano i fazzoletti, c’era un confinato che aveva portato con sé il<br />

bombardino, lo aveva salvato nelle trincee delle Asturie, nei campi di Vichy, attaccò l’inno<br />

di Mameli e noi ci mettemmo a cantare, con passione, con ira. “va fuori d’Italia”, e quelli<br />

della Wehrmacht, che capivano. ci fissavano cupi. […]<br />

Un giorno il direttore mi mandò a chiamare: “Ho una bella novità per voi. È arrivato un<br />

telegramma che dispone per la vostra liberazione”. “Grazie”, dissi, “Però non me ne vado<br />

finché qui resta uno solo di noi”.<br />

Ma Camilla Ravera, che diede sempre prova di una straordinaria forza morale, Terracini, e<br />

altri, mi convinsero che dovevo partire, per andare a perorare la causa dei detenuti, e così<br />

non diedi pace a Senise, Capo della Polizia, e a Ricci, che era agli Interni, li andavo a<br />

trovare ogni giorno con Bruno Buozzi. Erano restii, avevano nei confronti dei comunisti<br />

paura e odio. Minacciammo uno sciopero generale, e l’argomento lì convinse. Quando<br />

arrivò l’ultimo dì Ventotene, potei andare a trovare mia madre. Era molto vecchia e mi<br />

attendeva. Stava sempre seduta su un muretto che circondava la nostra casa. “Che cosa<br />

fa, signora?” le domandavano. “Aspetto Sandro”, rispondeva. Poi, rientrai nella capitale.<br />

Ero diventato, con Nenni, con Saragat, membro dell’esecutivo del partito, e con Giorgio<br />

Amendola e Bauer facevo parte della Giunta Militare.<br />

Venne l’8 settembre e fui a Porta San Paolo, c’erano anche Longo, Lussu e Vassalli, e gli<br />

ufficiali dei granatieri sparavano e piangevano: “Il re ci ha lasciati, il re ci ha traditi”.<br />

Vittorio Emanuele III e Badoglio fuggivano verso Pescara, i tedeschi si preparavano a<br />

liberare Mussolini, cominciava un’altra triste e lunga storia».<br />

Giancarlo Pajetta

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