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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Il segretario del partito attacca violentemente l’ordine del giorno Grandi, parla a lungo del<br />

partito, della sua opera, esprime fede cieca nei giovani educati dal partito, cresciuti nel<br />

clima bruciante del partito e poi propone un proprio ordine del giorno (del resto<br />

concordato con Mussolini) che consta di due parti: 1) si proclama la resistenza a oltranza<br />

con appelli alla nazione, al re e al papa; 2) si auspicano immediate riforme degli organi<br />

costituzionali e dei comandi militari.<br />

Interviene De Stefani: «Questa», dice, «non è una guerra che si possa vincere mobilitando<br />

il partito. Bisogna cercare di salvare subito quello che c’è da salvare».<br />

Farinacci: «Morirò mussoliniano»<br />

Farinacci difende il proprio ordine del giorno, Frattari dice che voterà contro la mozione<br />

Grandi, Alfieri dichiara il proprio voto a favore: «La Germania», proclama, «vuol fare<br />

dell’Italia solo il suo bastione per ritardare l’occupazione del territorio tedesco. Solo<br />

questo». È già l’una e mezza di domenica 25 luglio 1943, festa di San Giacomo apostolo, e<br />

Mussolini, seduto di traverso sulla sua poltrona, una mano sugli occhi, l’altra premuta<br />

contro lo stomaco che lo tormenta con l’ulcera, sembra estraneo al tumulto delle voci.<br />

Poco distante da lui, Suardo in lacrime sostiene che ritirerà la firma all’ordine del giorno<br />

Grandi e supplica i suoi colleghi di trovare un accordo sul documento di Scorza. Cianetti<br />

esita (e questo, in seguito, gli salverà la vita) seppure Bottai lo investe, esortandolo ad<br />

«essere uomo». Polverelli dichiara che voterà contro l’ordine del giorno Grandi «perché io<br />

sono nato mussoliniano e morirò mussoliniano». Bottai, con la sua crudele logica, afferma<br />

che «bisogna francamente riconoscere come il tempo della dittatura è finito almeno nelle<br />

forme e con la mentalità che l’hanno guidata finora».<br />

Tutti hanno parlato, qualcuno anche due otre volte, e Mussolini – rompendo<br />

l’imbarazzante silenzio – dice: «Se nessuno chiede di aggiungere qualcosa, ritengo si<br />

possa dichiarare chiusa la discussione e passare alla votazione».<br />

Scorza: «Come procederemo? Con l’ordine del giorno del partito?».<br />

Mussolini: «Gli ordini del giorno saranno messi in votazione secondo l’ordine di<br />

presentazione. Apro perciò la votazione sul primo, l’ordine del giorno di Grandi».<br />

Dalla attigua Sala delle Armi, dove vi è il capo della polizia, Chierici, con una decina di<br />

agenti, giunge uno scricchiolio di stivali. «Iniziate, dunque», dice Mussolini rivolto a<br />

Scorza. La votazione è rapida. Il segretario del partito legge i risultati e Mussolini, con voce<br />

indifferente, annuncia: «L’ordine del giorno Grandi è approvato». Si alza terreo in volto. La<br />

riunione è durata dieci ore: «Sta bene. Mi pare che basti», aggiunge. «Possiamo andare.<br />

Voi avete provocato la crisi di regime. La seduta è tolta».<br />

Giuseppe Mayda<br />

I ventotto attori dell’ultimo Gran Consiglio<br />

I 28 membri del Gran Consiglio del fascismo (il ventinovesimo era il duce, presidente di<br />

diritto, ricevettero la convocazione, firmata dal segretario del PNF Scorza, la mattina di<br />

mercoledì 21 luglio. La seduta, fissata per le 17 di sabato 24 era la 187ª nella storia del<br />

supremo consesso de regime; il quale non si riuniva dal 7 dicembre 1939, quando era<br />

stata approvata la «non belligeranza». Serpeggiava lo scontento, per questo fatto, fra i<br />

gerarchi ed erano stati loro, alcun giorni prima, a sollecitare Mussolini perché convocasse il<br />

Gran Consiglio. Mussolini si era lasciato convincere, ma di malavoglia.<br />

Prima delle 17, erano tutti a Palazzo Venezia, i 28 personaggi seduti al grande tavolo a<br />

ferro di cavallo, attorno a Mussolini, erano questi:

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