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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Documenti e testimonianze<br />

«L’ordine del giorno Grandi è approvato… La seduta è tolta»<br />

L’aula era ampia, con volte altissime: dal soffitto affrescato pendeva un lampadario di ferro<br />

a forma di ruota; alle pareti, tappezzate in velluto azzurro, c’erano quadri dalle cornici<br />

dorate. Quest’aula, adiacente al Salone del Mappamondo dove Mussolini lavorava, era<br />

detta la sala del Pappagallo.<br />

Alle 17 la porta dello studio si aprì e apparve Mussolini seguito dal segretario del partito,<br />

Scorza. Il duce, in uniforme di comandante della Milizia, era pallido e teso: la vecchia<br />

ulcera aveva ripreso a tormentano. «Andiamo nella trappola?», mormorò<br />

all’accompagnatore e raggiunse la sua poltrona. In sahariana nera, i ventotto membri del<br />

Gran Consiglio – ddal presidente del Senato, Suardo, a quello della Camera, Grandi, dai<br />

quadrumviri De Bono e De Vecchi al ministro Biggini, da Ciano a Federzoni, da Acerbo a<br />

Farinacci, Alfieri, Tringali-Casanova, Bottai, Marinelli – scattarono in piedi sull’attenti.<br />

Scorza ordinò: «Saluto al duce!». «A noi!», risposero i gerarchi.<br />

Il coro compatto delle voci rimbombò attraverso il balcone spalancato e si spense su una<br />

piazza Venezia deserta per il caldo afoso (32°) e anche perché, da anni, vi era vietata<br />

qualsiasi circolazione, compresa quella delle biciclette.<br />

Mussolini era andato a quella riunione del Gran Consiglio senza immaginare quale<br />

disastroso risultato avrebbe avuto. Due giorni prima il Capo di Stato Maggiore, Ambrosio,<br />

aveva convocato l’aiutante di Badoglio, Valenzano, dicendogli: «Il 24 o il 25 vi sarà il Gran<br />

Consiglio. Credo che Mussolini verrà fatto fuori. Avverti il maresciallo. Digli che si tenga<br />

pronto. Digli che non si muova da Roma» (e Badoglio, informato, aveva scherzosamente<br />

dichiarato alla famiglia: «Siete tutti consegnati in casa», ordinando che portassero su dalla<br />

cantina una delle sue cinquemila bottiglie di «Veuve Cliquot» pronta da essere messa in<br />

ghiaccio).<br />

Il gioco della monarchia<br />

La sorte di Mussolini era decisa dal gennaio di quell’anno – come attestò Vittorio Emanuele<br />

III, nel dopoguerra, in una lettera all’ex ministro della sua Casa, Acquarone – tuttavia il<br />

voto del Gran Consiglio fu, più o meno, un suicidio politico collettivo. È vero che il duce<br />

contava, in quel massimo consesso, su un gruppo di fedeli e anche di fedelissimi (Galbiati,<br />

ad esempio, e, a modo suo, Farinacci) ma è altrettanto vero che tutti, di fronte al<br />

precipitare degli avvenimenti militari nei rapido giro di sette-otto mesi, volevano un fatto<br />

nuovo, capace se non altro di alleggerire le comuni responsabilità, anche politiche, della<br />

disfatta ormai imminente: il gioco della monarchia fu sfruttare questo atteggiamento per<br />

salvare se stessa dal baratro. Ecco il senso del 25 luglio 1943 e di tutto ciò che ne seguì.<br />

Oggi gli storici non possiedono un verbale, né una versione univoca e collimante, del<br />

dibattito al Gran Consiglio. Tuttavia le sue linee essenziali possono essere così tracciate:<br />

dopo una esposizione di Mussolini sulla situazione militare, con lo sbarco in Sicilia, e una<br />

serie di interventi più o meno massicci da parte di Ciano, Bottai, De Bono (il più<br />

drammatico fu quello di Grandi, «uomo del re»: «Fra le molte frasi vacue o ridicole che hai<br />

fatto scrivere sui muri di tutta Italia», disse puntando l’indice accusatore verso il duce, «ce<br />

n’è una che hai pronunciato dal balcone di Palazzo Chigi nel 1924: “Periscano le fazioni,<br />

perisca anche la nostra, purché viva la nazione”. È giunto il momento di far perire la

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