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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Sicilia contro la flotta anglo-americana che, oltre alle forze impiegate per proteggere gli<br />

sbarchi, disponeva di sei navi da battaglia, due portaerei, sei incrociatori, ventiquattro<br />

caccia. Anche se tutte e tre le corazzate fossero state efficienti, la flotta italiana avrebbe<br />

potuto intervenire ottenendo risultati solo se avesse operato nelle acque del Tirreno e<br />

cioè nel raggio d’azione delle forze aeree.<br />

La Marina, quindi, partecipò alla lotta intorno alla Sicilia con i sommergibili (quattro<br />

andarono perduti nei primi tre giorni della campagna) e con motosiluranti che<br />

sostennero combattimenti con unità leggere, nei tentativi di avvicinarsi alle navi<br />

mercantili avversarie che erano ben protette. Due incursioni di incrociatori non<br />

conseguirono risultati perché le navi, avvistate anzitempo, dovettero rinunciare a<br />

portare a termine la missione. La Marina provvide, durante la battaglia, al<br />

funzionamento dei trasporti marittimi, superando enormi difficoltà e soprattutto si<br />

prodigò nelle operazioni di sgombero dell’isola, nelle quali si distinse il colonnello<br />

Salamano, del Comando della 6ª Armata.<br />

La Regia Aeronautica, al momento dello sbarco, disponeva di 864 aerei di cui 420<br />

efficienti alla data del 1° luglio: il 17 agosto erano ridotti a 343, di cui 162 efficienti: la<br />

caccia si prodigò dal 4 all’8 luglio contro gli squadroni di bombardieri e le scorte; i<br />

reiterati attacchi di navi alla fonda causarono la perdita quasi totale dei reparti di<br />

aerosiluranti.<br />

Questo impegno quasi disperato della Marina e dell’Aeronautica costrinse gli angloamericani<br />

a segnare più volte il passo. La durata della lotta suscitò recriminazioni in<br />

Gran Bretagna e negli Stati Uniti e questo fa ritenere che nel complesso la Sicilia sia<br />

stata difesa come era possibile difenderla, data l’enorme disparità delle forze. Da<br />

quanto si può dedurre dai documenti disponibili i soldati tedeschi in Sicilia erano poco<br />

più di 60.000 e quelli italiani 195.000 (Alexander valutava invece che essi<br />

ammontassero rispettivamente a 90.000 e 315.000). Dei soldati tedeschi, 5500 furono<br />

fatti prigionieri mentre 13.500, rimasti feriti, erano stati evacuati sul continente prima<br />

della ritirata. Il numero dei tedeschi uccisi non poté superare i cinquemila (nei cimiteri<br />

della Sicilia sono sepolte 4325 salme di soldati tedeschi e 4278 di italiani); gli inglesi,<br />

invece, li facevano ammontare ad oltre 23.000. Le perdite britanniche furono 12.843<br />

(2741 morti, 2183 dispersi, 7939 feriti) e quelle americane 9968 (2811 morti, 686<br />

dispersi, 6471 feriti). Complessivamente le perdite alleate ammontarono a circa 22.800<br />

soldati (secondo i tedeschi gli invasori ebbero 5187 morti, 9018 feriti, 3348 dispersi).<br />

Non si trattò comunque di un prezzo molto elevato in rapporto ai grandi risultati politici<br />

e strategici della campagna: il regime fascista crollava e il «debole pancino dell’Europa»<br />

era stato fatalmente e mortalmente colpito.<br />

Giuseppe Mayda<br />

Le forze del Regio Esercito nel 1943<br />

Nella primavera del 1943 l’Esercito italiano disponeva di 63 divisioni in linea e di un<br />

certo numero di divisioni costiere, male armate, diluite su un fronte interminabile e in<br />

grado, tutt’al più, di segnalare un attacco nemico e di ostacolare fino ad un certo punto<br />

uno sbarco in forze.<br />

Tuttavia anche la cifra di 63 divisioni di linea deve essere esaminata, per avere un<br />

quadro preciso della situazione, perché oltre la metà di queste grandi unità era dislocata<br />

all’estero. Quindi la forza effettiva era in sostanza molto ridotta e a conti fatti lo Stato<br />

Maggiore dell’Esercito, per la difesa del territorio nazionale e per inviare rinforzi ai<br />

presidi delle isole, disponeva soltanto di sette divisioni di fanteria.

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