SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

Il «Piano Girasole» Qui era venuto, in ottobre, un generale tedesco, Wilhelm von Thoma, a vedere se valesse la pena di offrire delle truppe agli italiani per aiutarli a cacciare gli inglesi dall’Egitto. Dopo essersi incontrato con Graziani e avere studiato la situazione, l’inviato di Hitler stende il suo rapporto. «Sottolineai», spiegherà dopo la guerra, «che il problema decisivo era quello dei rifornimenti, non solo per le difficoltà del deserto, ma perché la flotta britannica aveva il dominio del Mediterraneo. […] La mia conclusione era che, se proprio bisognava inviarle, le truppe dovevano essere corazzate. Per assicurare la vittoria ci sarebbero volute non meno di quattro divisioni corazzate; e questo, calcolavo, era anche il massimo contingente che si potesse effettivamente rifornire durante un’avanzata attraverso il deserto fino alla valle del Nilo». Von Thoma chiede di più. Lui vorrebbe addirittura sostituire le truppe italiane con truppe tedesche, perché ha visto l’alleato combattere in Spagna e non ha troppa fiducia nelle sue doti militari. Se si fossero seguiti i suoi suggerimenti, noterà dopo la guerra lo storico militare Basil Liddell Hart, forse i tedeschi sarebbero dilagati in Egitto come l’olio su una lastra di marmo, perché le forze dell’avversario erano in quel momento nettamente inferiori, in quel settore, alle forze richieste da von Thoma. Ma Badoglio e Graziani si oppongono; Hitler, tutto preso dai preparativi dell’Operazione Barbarossa, si mostra indifferente all’idea di cacciare gli inglesi dall’Egitto; e il suo stato maggiore, Brauchitsch e Halder soprattutto, non nasconde di essere contrario. Per mettere tutti d’accordo, si arriva come sempre ad un compromesso. «Quando feci il mio rapporto», ricorda ancora von Thoma, «Hitler disse che poteva privarsi al massimo di una divisione corazzata. Gli spiegai che in tal caso sarebbe stato meglio rinunciare del tutto all’idea di mandare delle truppe. La mia osservazione lo fece andare in collera. La sua intenzione di proporre l’invio di truppe tedesche in Africa era puramente politica. Egli temeva che Mussolini potesse passare dall’altra parte se la Germania non lo avesse aiutato a irrigidire la resistenza. Però voleva impegnarsi il meno possibile». Il rifiuto opposto da Mussolini alla diplomatica offerta di Hitler accontenta entrambi gli alleati. Se è vero che il secondo non ha nessuna voglia di dirottare verso la Libia nemmeno una piccola parte delle forze che si sta preparando a rovesciare sull’Unione Sovietica, è altrettanto vero che Mussolini da solo ha cominciato e da solo vorrebbe finire. «Se li lascio entrare in casa», dice a Badoglio alludendo agli alleati, «quelli non se ne andranno mai più». Purtroppo il «leone di Neghelli» non ha davvero il cuore della belva alla quale lo hanno paragonato, e passa i giorni e le settimane rintanato nella tomba di Cirene che ha scelto come sede del comando. Mussolini tempesta e si arrabbia, ma Graziani non si muove. E quando gli inglesi contrattaccano, per l’Esercito Italiano è la disfatta. La ritirata dei nostri connazionali verso la Tripolitania, ordinata il 3 febbraio 1941 da un Graziani affranto e disperato, costringe Hitler a cambiare i suoi piani. Ora c’è il pericolo che tutta l’Africa Settentrionale cada in mano agli inglesi e che questi, dalle sue coste, possano portare all’Italia una minaccia così seria da obbligarla a ritirarsi dal conflitto. «Militarmente parlando», spiega il Führer ai capi della Wehrmacht, «questa defezione sarebbe anche accettabile. Ma l’effetto sul morale sarebbe disastroso. La posizione strategica dell’Italia è importante, e noi stessi abbiamo un fianco piuttosto debole nella Francia del sud. È dunque necessario che l’Italia venga sostenuta». Il Piano Girasole, cioè il piano d’intervento tedesco nell’Africa del Nord, diventa un fatto compiuto il 4 febbraio durante un incontro di Hitler con Göring, Keitel, Jodl e Brauchitsch. La fuga degli italiani davanti alle truppe di Wavell ha fatto sorgere il

pericolo che gli inglesi possano giungere addirittura a impadronirsi di Tripoli. Ciò non deve avvenire in nessun caso, afferma il Führer, perché sarebbe come permettere all’Inghilterra di «tenere una pistola puntata contro la testa dell’Italia». Il Piano Girasole stabilisce in primo luogo che l’aviazione tedesca mandi subito in Africa il 10° Corpo aereo di base in Sicilia per bombardare navi, porti e strade costiere nei due bacini del Mediterraneo; e, secondariamente, che l’esercito tedesco formi un reggimento destinato a combattere la divisione corazzata britannica presente in Africa Settentrionale. Questa «unità di arresto», originariamente costituita da un reggimento anticarro, sarà il nucleo del futuro Afrikakorps. Così Hitler, all’inizio di febbraio, decide di accordare all’Italia quelle forze che gli erano state chieste, invano, appena qualche settimana prima, da un Mussolini rosso di vergogna. A certe condizioni, però: che gli italiani rinuncino alla guerra di posizione; che abbandonino l’idea (suggerita dal pavido Graziani) di barricarsi a Tripoli; che mandino in Africa l’Ariete, la loro divisione corazzata; che accettino, infine, di porre tutte le unità veloci sotto il comando unificato di un generale tedesco. Subordinato in linea di massima al comando italiano, questi, in caso di disaccordo, avrà il diritto di appellarsi all’OKW. Se il governo di Roma non accetta queste condizioni, la Germania preferisce astenersi dall’intervenire: meglio non fare nulla che mettere a repentaglio le sue truppe. Mussolini accetta. Che altro potrebbe fare? E per dimostrare la propria buona volontà annuncia che il maresciallo Graziani, richiamato dall’Africa, sarà sostituito dal generale Italo Gariboldi. Hitler, intanto, ha già fatto addestrare per l’Africa una Divisione leggera, la 5ª. La rinforza con un reggimento di carri e, per completare il Deutsche Afrikakorps, vi aggiunge una divisione corazzata di recente formazione, la 15ª. A chi assegnare il comando? Il 22 gennaio Tobruk si è arresa al nemico. Tre giorni dopo il generale Hans Ritter von Funck, l’aristocratico comandante della 5ª Divisione leggera scelta per aiutare gli italiani a difendere Tripoli, fa una puntata in Africa per valutare la situazione e ne torna con un rapporto preoccupante. Le forze tedesche di cui si è deciso l’invio sono troppo esigue, a suo parere, per potere salvare la Libia. La notizia scuote Hitler e lo fa uscire dai gangheri. «Il lato assurdo di tutto questo», protesta il Führer, non a torto, «è che da una parte gli italiani strillano come ossessi e descrivono nei toni più cupi la loro carenza di armi e di equipaggiamento. e dall’altra sono così infantilmente permalosi da trovare insopportabile l’idea di servirsi di soldati e di materiali tedeschi. A Mussolini andrebbe a genio che le truppe tedesche combattessero in divisa italiana!». Forse è proprio questo ciò che vorrebbe Mussolini, ma il momento è troppo difficile perché il duce possa fare lo schizzinoso. Accettando a malincuore le conclusioni del rapporto Funck, Hitler decide d’inviare nell’Africa del Nord un più forte contingente di truppe. «Gli inglesi», spiega il 3 febbraio ai feldmarescialli Keitel e Brauchitsch, «devono essere agli sgoccioli in fatto di uomini e materiali dopo la lunga avanzata e, se si scontrassero con forze tedesche fresche e ben equipaggiate, sarebbe tutto un altro paio di maniche». Alla testa di queste forze, però, bisogna mettere un ottimista, un entusiasta, un comandante capace d’infiammare e trascinare i propri uomini, e non certo una faccia da funerale come Ritter von Funck. Così, scartato Erich von Manstein, l’ideatore dello sfondamento nelle Ardenne, la scelta di Hitler cade su un generale che, dopo avere comandato la sua scorta personale, si è particolarmente distinto proprio in quella campagna: Erwin Rommel. L’uomo che il 12 febbraio 1941 scende dall’aereo che lo ha portato a Tripoli è un generale sulla cinquantina che appartiene alla schiera dei fedelissimi del Führer. Basso, tarchiato, di corporatura robusta, porta al collo una decorazione che pochi uomini possono sfoggiare. È la Pour le mérite: una croce di Malta d’oro coperta di smalto blu e

pericolo che gli inglesi possano giungere addirittura a impadronirsi di Tripoli. Ciò non<br />

deve avvenire in nessun caso, afferma il Führer, perché sarebbe come permettere<br />

all’Inghilterra di «tenere una pistola puntata contro la testa dell’Italia». Il Piano Girasole<br />

stabilisce in primo luogo che l’aviazione tedesca mandi subito in Africa il 10° Corpo<br />

aereo di base in Sicilia per bombardare navi, porti e strade costiere nei due bacini del<br />

Mediterraneo; e, secondariamente, che l’esercito tedesco formi un reggimento destinato<br />

a combattere la divisione corazzata britannica presente in Africa Settentrionale. Questa<br />

«unità di arresto», originariamente costituita da un reggimento anticarro, sarà il nucleo<br />

del futuro Afrikakorps.<br />

Così Hitler, all’inizio di febbraio, decide di accordare all’Italia quelle forze che gli erano<br />

state chieste, invano, appena qualche settimana prima, da un Mussolini rosso di<br />

vergogna. A certe condizioni, però: che gli italiani rinuncino alla guerra di posizione; che<br />

abbandonino l’idea (suggerita dal pavido Graziani) di barricarsi a Tripoli; che mandino in<br />

Africa l’Ariete, la loro divisione corazzata; che accettino, infine, di porre tutte le unità<br />

veloci sotto il comando unificato di un generale tedesco. Subordinato in linea di<br />

massima al comando italiano, questi, in caso di disaccordo, avrà il diritto di appellarsi<br />

all’OKW. Se il governo di Roma non accetta queste condizioni, la Germania preferisce<br />

astenersi dall’intervenire: meglio non fare nulla che mettere a repentaglio le sue truppe.<br />

Mussolini accetta. Che altro potrebbe fare? E per dimostrare la propria buona volontà<br />

annuncia che il maresciallo Graziani, richiamato dall’Africa, sarà sostituito dal generale<br />

Italo Gariboldi.<br />

Hitler, intanto, ha già fatto addestrare per l’Africa una Divisione leggera, la 5ª. La<br />

rinforza con un reggimento di carri e, per completare il Deutsche Afrikakorps, vi<br />

aggiunge una divisione corazzata di recente formazione, la 15ª. A chi assegnare il<br />

comando? Il 22 gennaio Tobruk si è arresa al nemico. Tre giorni dopo il generale Hans<br />

Ritter von Funck, l’aristocratico comandante della 5ª Divisione leggera scelta per aiutare<br />

gli italiani a difendere Tripoli, fa una puntata in Africa per valutare la situazione e ne<br />

torna con un rapporto preoccupante. Le forze tedesche di cui si è deciso l’invio sono<br />

troppo esigue, a suo parere, per potere salvare la Libia. La notizia scuote Hitler e lo fa<br />

uscire dai gangheri. «Il lato assurdo di tutto questo», protesta il Führer, non a torto, «è<br />

che da una parte gli italiani strillano come ossessi e descrivono nei toni più cupi la loro<br />

carenza di armi e di equipaggiamento. e dall’altra sono così infantilmente permalosi da<br />

trovare insopportabile l’idea di servirsi di soldati e di materiali tedeschi. A Mussolini<br />

andrebbe a genio che le truppe tedesche combattessero in divisa italiana!».<br />

Forse è proprio questo ciò che vorrebbe Mussolini, ma il momento è troppo difficile<br />

perché il duce possa fare lo schizzinoso. Accettando a malincuore le conclusioni del<br />

rapporto Funck, Hitler decide d’inviare nell’Africa del Nord un più forte contingente di<br />

truppe. «Gli inglesi», spiega il 3 febbraio ai feldmarescialli Keitel e Brauchitsch, «devono<br />

essere agli sgoccioli in fatto di uomini e materiali dopo la lunga avanzata e, se si<br />

scontrassero con forze tedesche fresche e ben equipaggiate, sarebbe tutto un altro paio<br />

di maniche». Alla testa di queste forze, però, bisogna mettere un ottimista, un<br />

entusiasta, un comandante capace d’infiammare e trascinare i propri uomini, e non<br />

certo una faccia da funerale come Ritter von Funck. Così, scartato Erich von Manstein,<br />

l’ideatore dello sfondamento nelle Ardenne, la scelta di Hitler cade su un generale che,<br />

dopo avere comandato la sua scorta personale, si è particolarmente distinto proprio in<br />

quella campagna: Erwin Rommel.<br />

L’uomo che il 12 febbraio 1941 scende dall’aereo che lo ha portato a Tripoli è un<br />

generale sulla cinquantina che appartiene alla schiera dei fedelissimi del Führer. Basso,<br />

tarchiato, di corporatura robusta, porta al collo una decorazione che pochi uomini<br />

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