SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea
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incursioni a bassa quota, da parte anglo-americana, erano stati così intensi, che la nostra aviazione, dal 3 all’8 luglio, aveva abbattuto 53 aerei. Improvvisamente, alle 18.01, le sirene ululano lugubremente a Caltanissetta, Catania, Siracusa, Palazzolo Acreide e, pochi minuti più tardi, ondate di bombardieri si avventano contro le città sganciando per oltre un’ora su installazioni militari, strade, ponti, case, fabbriche. Un’ora dopo, alle 19, il Comando delle Forze Armate Sicilia è informato che alcuni ricognitori hanno avvistato in mare sei convogli carichi di truppe con rotta verso l’isola. Una brevissima consultazione con Roma e alle 19.20 – ottenuta ulteriore conferma alla notizia – viene lanciato l’allarme con una frase convenzionale: «Prima partenza». Passano le ore, lentissime, e la calma sembra tornare ovunque. Le ultime luci del tramonto si sono appena spente in cielo quando (sono le 22.10) le truppe sulla costa sud-orientale dell’isola odono un intenso rombo di motori di aerei che provengono dal mare e sembrano a bassa quota. Le batterie contraeree aprono il fuoco a casaccio perché la debole luce dell’ultimo quarto di luna non lascia scorgere i velivoli avversari che si allontanano senza avere sganciato. L’attacco alla Sicilia, l’operazione «Husky» – basata sulle operazioni di sbarco nell’isola da parte del 15° Gruppo di armate di Alexander, con l’8ª Armata britannica e la 7ª americana – comincia così con un grave insuccesso alleato. All’imbrunire del 9, infatti, erano decollati dagli aeroporti tunisini 144 aerei che trainavano alianti carichi di uomini e armi della Brigata Alianti inglese; poco dopo ne erano partiti altri 222 con un reggimento della 82ª Divisione paracadutisti americana: la scarsa luce lunare, l’inesperienza di parecchi piloti e il vento avevano causato la dispersione delle formazioni. Così, 54 alianti prendono terra un po’ dovunque (e soltanto 12 nella zona prevista) mentre 61 cadono nel Mediterraneo. Operazione «Husky»: uno sbarco in grande stile Il caso vuole che un aliante scenda presso il Ponte Grande sull’Anapo, a sud di Siracusa, principale obiettivo degli inglesi. L’equipaggio, rinforzato da altri reparti, conquista il ponte sul quale, qualche ora dopo, potranno transitare i carri armati della 5ª Divisione britannica. All’alba dalle spiagge si assiste ad uno spettacolo grandioso: da centinaia di navi ferme al largo si staccano sciami di mezzi da sbarco che puntano verso terra; le batterie costiere aprono il fuoco ma le vampe rivelano le loro posizioni che sono immediatamente annientate dal cannoneggiamento delle artiglierie navali. Nella prima giornata di scontri il maggiore successo è conseguito dalla 5ª Divisione britannica che a sera arriva con una colonna a Siracusa. I «Rangers» americani che, anziché sbarcare su spiaggia aperta, attaccano direttamente il porto di Gela, sono validamente ostacolati da un battaglione costiero italiano e debbono combattere a lungo per prendere terra e poi conquistare la città casa per casa. La mossa italiana, disposta dal generale Guzzoni, è quella di ordinare il contrattacco: il Gruppo «Ems» nella zona di Canicattì; il Gruppo «Schmalz» e la Divisione «Napoli» verso Siracusa; le Divisioni «Livorno» e «Göring» su Gela; il Gruppo «Fullriede» e altre truppe italiane su Licata. Ma è un fronte molto ampio (oltre 210 chilometri) e le forze italo-tedesche impegnate nella controffensiva tengono a stento testa alla 5ª britannica e alla 1ª e 3ª americana mentre grossi contingenti alleati (50ª e 51ª britanniche, 1ª canadese e 45ª americana) premono senza trovare contrasto al centro di questo lungo fronte, fra Vittoria e Avola. C’è poi, a favore degli anglo-americani, il dominio del cielo. La Luftwaffe e la Regia Aeronautica attaccano le navi al largo della costa, ma vere e proprie flotte di cacciabombardieri anglo-americani fanno terra bruciata, mitragliando e spezzonando le
colonne in marcia, causando perdite e distruzioni gravissime. Nella zona di Licata e di Siracusa si impegnano combattimenti e dall’alba dell’11 luglio la «Livorno» e la «Göring» avanzano affiancate verso la spiaggia di Gela, mettendo a dura prova le fanterie della 1ª Divisione americana; poi intervengono le artiglierie navali e bloccano sanguinosamente le forze dell’Asse (i contatti fra fanterie alleate a terra e artiglierie in mare sono perfetti anche se accadono tremendi errori: nella serata dell’11 luglio 144 Dakota che volano in formazione a 250 metri di quota per lanciare duemila paracadutisti su Gela, sono colpiti per sbaglio dai cannoni delle navi amiche che ne abbattono 23 e disperdono gli altri sicché soltanto 400 paracadutisti possono essere lanciati). La battaglia nella piana di Catania Guzzoni, dopo 48 ore di battaglia, si rende conto che le truppe a sua disposizione sono troppo poche per mantenere un fronte così ampio sicché decide di raggrupparle – d’accordo con Kesselring – sulla linea Santo Stefano di Camastra-Nicosia-Leonforte- Piana di Catania: la riuscita di questa operazione, che gli stessi americani definiranno «magistrale» e che consentirà la resistenza in Sicilia fino alla metà di agosto, è però avversata da Hitler il quale ordina alle proprie truppe di non cedere di un passo se non costrette dal nemico. Guzzoni e Kesselring ritengono che sia essenziale impedire a Montgomery di giungere rapidamente a Messina, mentre gli Alleati intendono annientare, prima di ogni altra cosa, la resistenza incontrata nella Piana di Catania da parte delle Divisioni «Göring», «Livorno», «Napoli» e di reparti costieri italiani della «Difesa porto Catania». È qui che la battaglia divampa e si fa più dura che altrove. Nella serata del 13 luglio un reggimento della 1ª Divisione paracadutisti tedesca è aviolanciato nella piana contesa ma subito dopo giungono nella stessa zona i paracadutisti inglesi della 1ª Brigata partiti dalla Libia. Parecchi aerei perdono però l’orientamento e ritornano alla base, altri atterrano a Malta; quelli che giungono sulla Sicilia lanciano i paracadutisti a casaccio. Ben pochi si trovano vicino al ponte di Primosole, loro obiettivo, e il comandante della brigata, generale Lathbury, si viene a trovare col solo suo attendente a cinque chilometri di distanza dall’obiettivo prestabilito. Nella stessa notte un «commando» inglese riesce a sbarcare sulla costa presso Agnone, accolto dall’intenso fuoco di un reparto costiero e soltanto a prezzo di ingenti perdite riesce ad infiltrarsi nelle linee e a penetrare in profondità nell’entroterra. Al ponte di Primosole si impegna una lotta pesantissima che durerà parecchi giorni e alla quale partecipano forze tedesche, il 372° Battaglione costiero e il 2° Battaglione arditi italiani. Dal 17 luglio, superata la resistenza ad Agrigento, le divisioni corazzate americane 3ª, 82ª e 2ª avanzano a ventaglio nella Sicilia occidentale che il comando ha rinunciato a difendere per trasferire le Divisioni «Assietta» e «Aosta» sulla linea Santo Stefano-Nicosia. Gli americani possono così giungere con facilita a Palermo (22 luglio), stringendo in un cerchio inespugnabile le forze costiere italiane. È colpa dell’ordine di Hitler se la manovra ideata da Guzzoni non riesce completamente. La ritirata della 15ª Divisione tedesca, infatti, è lentissima fra la costa settentrionale e Leonforte. Poiché, inaspettatamente, gli inglesi sospendono i loro attacchi nella piana di Catania il Comando delle Forze Armate Sicilia ritiene di poter realizzare tempestivamente la linea di difesa a oltranza tracciata da Guzzoni. Ora anche i tedeschi sembrano d’accordo, tanto che un reggimento della 29ª Divisione corazzata giunge dalla Calabria e avanza sulla strada costiera occidentale. Ancora il 25 luglio il generale Hube, comandante delle truppe tedesche in Sicilia, dà a Guzzoni ampie assicurazioni che le sue truppe difenderanno, con quelle italiane, la prevista linea di resistenza.
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nostra aviazione, dal 3 all’8 luglio, aveva abbattuto 53 aerei.<br />
Improvvisamente, alle 18.01, le sirene ululano lugubremente a Caltanissetta, Catania,<br />
Siracusa, Palazzolo Acreide e, pochi minuti più tardi, ondate di bombardieri si avventano<br />
contro le città sganciando per oltre un’ora su installazioni militari, strade, ponti, case,<br />
fabbriche. Un’ora dopo, alle 19, il Comando delle Forze Armate Sicilia è informato che<br />
alcuni ricognitori hanno avvistato in mare sei convogli carichi di truppe con rotta verso<br />
l’isola. Una brevissima consultazione con Roma e alle 19.20 – ottenuta ulteriore<br />
conferma alla notizia – viene lanciato l’allarme con una frase convenzionale: «Prima<br />
partenza».<br />
Passano le ore, lentissime, e la calma sembra tornare ovunque. Le ultime luci del<br />
tramonto si sono appena spente in cielo quando (sono le 22.10) le truppe sulla costa<br />
sud-orientale dell’isola odono un intenso rombo di motori di aerei che provengono dal<br />
mare e sembrano a bassa quota. Le batterie contraeree aprono il fuoco a casaccio<br />
perché la debole luce dell’ultimo quarto di luna non lascia scorgere i velivoli avversari<br />
che si allontanano senza avere sganciato.<br />
L’attacco alla Sicilia, l’operazione «Husky» – basata sulle operazioni di sbarco nell’isola<br />
da parte del 15° Gruppo di armate di Alexander, con l’8ª Armata britannica e la 7ª<br />
americana – comincia così con un grave insuccesso alleato. All’imbrunire del 9, infatti,<br />
erano decollati dagli aeroporti tunisini 144 aerei che trainavano alianti carichi di uomini<br />
e armi della Brigata Alianti inglese; poco dopo ne erano partiti altri 222 con un<br />
reggimento della 82ª Divisione paracadutisti americana: la scarsa luce lunare,<br />
l’inesperienza di parecchi piloti e il vento avevano causato la dispersione delle<br />
formazioni. Così, 54 alianti prendono terra un po’ dovunque (e soltanto 12 nella zona<br />
prevista) mentre 61 cadono nel Mediterraneo.<br />
Operazione «Husky»: uno sbarco in grande stile<br />
Il caso vuole che un aliante scenda presso il Ponte Grande sull’Anapo, a sud di Siracusa,<br />
principale obiettivo degli inglesi. L’equipaggio, rinforzato da altri reparti, conquista il<br />
ponte sul quale, qualche ora dopo, potranno transitare i carri armati della 5ª Divisione<br />
britannica. All’alba dalle spiagge si assiste ad uno spettacolo grandioso: da centinaia di<br />
navi ferme al largo si staccano sciami di mezzi da sbarco che puntano verso terra; le<br />
batterie costiere aprono il fuoco ma le vampe rivelano le loro posizioni che sono<br />
immediatamente annientate dal cannoneggiamento delle artiglierie navali. Nella prima<br />
giornata di scontri il maggiore successo è conseguito dalla 5ª Divisione britannica che a<br />
sera arriva con una colonna a Siracusa. I «Rangers» americani che, anziché sbarcare su<br />
spiaggia aperta, attaccano direttamente il porto di Gela, sono validamente ostacolati da<br />
un battaglione costiero italiano e debbono combattere a lungo per prendere terra e poi<br />
conquistare la città casa per casa.<br />
La mossa italiana, disposta dal generale Guzzoni, è quella di ordinare il contrattacco: il<br />
Gruppo «Ems» nella zona di Canicattì; il Gruppo «Schmalz» e la Divisione «Napoli»<br />
verso Siracusa; le Divisioni «Livorno» e «Göring» su Gela; il Gruppo «Fullriede» e altre<br />
truppe italiane su Licata. Ma è un fronte molto ampio (oltre 210 chilometri) e le forze<br />
italo-tedesche impegnate nella controffensiva tengono a stento testa alla 5ª britannica e<br />
alla 1ª e 3ª americana mentre grossi contingenti alleati (50ª e 51ª britanniche, 1ª<br />
canadese e 45ª americana) premono senza trovare contrasto al centro di questo lungo<br />
fronte, fra Vittoria e Avola.<br />
C’è poi, a favore degli anglo-americani, il dominio del cielo. La Luftwaffe e la Regia<br />
Aeronautica attaccano le navi al largo della costa, ma vere e proprie flotte di<br />
cacciabombardieri anglo-americani fanno terra bruciata, mitragliando e spezzonando le