SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

isale la costa orientale rischiando di tagliare fuori i difensori dalla maggior parte dell’isola. Il comando italo-tedesco decide così di stabilire una linea di resistenza nel corno nord-est della Sicilia, tra Catania e Santo Stefano. È una linea che ha il vantaggio di essere molto breve e arroccata all’interno su posizioni difendibili. A questo punto, nelle due parti degli schieramenti, si manifestano malumori e polemiche. Dalla parte alleata, la decisione di fare dell’8ª Armata di Montgomery la punta di diamante dell’avanzata verso Messina, lasciando a Patton un ruolo di appoggio sul fianco sinistro (e di occupazione senza troppi problemi della Sicilia occidentale) rende gli americani particolarmente amareggiati. Dalla parte dell’Asse, i tedeschi sono ormai convinti che la campagna sia conclusa e pensano di ritirare le loro truppe sul continente, lasciando agli italiani di Guzzoni il compito di ritardare la marcia degli angloamericani, sacrificandosi. È il vecchio schema che gli italiani ben conoscono, perché l’hanno sperimentato in Russia e in Africa Settentrionale. D’altronde, la tesi di Kesselring, dal punto di vista strettamente militare, è ineccepibile. In quel momento, e in previsione di una dura campagna sulla penisola, bisogna salvare, sottraendolo alla cattura in Sicilia, il massimo di uomini e mezzi. Ma è sleale da parte tedesca accusare gli italiani di scarsa combattività, tenendo conto poi delle condizioni d’equipaggiamento e d’armamento delle truppe di Guzzoni, neppure lontanamente paragonabili per qualità e quantità a quelle della macchina da guerra anglo-americana. Davanti a Catania e sui contrafforti etnei, comunque, la resistenza italo-tedesca è per qualche giorno fortissima. Gli accaniti combattimenti sono ricordati da Eisenhower con espressioni di apprezzamento per gli avversari: «I reparti corazzati e i paracadutisti che trovammo in quella zona furono i migliori che incontrammo in guerra». Tra il 14 e il 24 luglio avviene il ripiegamento italo-tedesco ancora con forti azioni di contrasto. La strada per Messina, esaurita la resistenza delle truppe vere e proprie, è resa ardua per gli Alleati da estesi campi di mine che rallentano l’avanzata. Nel frattempo i tedeschi trasferiscono sulle coste calabresi 75.000 uomini, accompagnati da migliaia di feriti, di armi e materiali di vario genere: centinaia di cannoni, una cinquantina di carri armati, poco meno di diecimila automezzi. Verso il 25 luglio In Italia sono momenti cruciali per il regime fascista. Il 19 luglio, nel pieno della battaglia per la Sicilia, Mussolini e Hitler si sono incontrati a Feltre. Da parte del duce c’è, a quanto diranno poi i testimoni più attendibili, l’intenzione di chiedere al Führer lo sganciamento in qualche modo dell’Italia dal conflitto. Il ragionamento dello Stato Maggiore italiano, che Mussolini a quanto pare condivide almeno in parte, è il seguente: molto meglio per la Germania l’attestamento sulla forte linea difensiva delle Alpi che il rischio d’una dissanguante campagna in Italia, con un alleato ormai ridotto così male. Ma al momento di esporre queste tesi al dittatore tedesco, Mussolini, come quasi sempre gli è successo in altre occasioni, non trova il modo di entrare in argomento; subisce invece i lunghi monologhi hitleriani. Ai tedeschi è noto che in Sicilia, se c’è stato spirito combattivo da parte di alcune unità italiane, l’atteggiamento della popolazione civile è stato invece di aperto favore per gli Alleati. Paesi e città occupate hanno accolto gli anglo-americani come «liberatori». Questo è un punto di forza nelle argomentazioni di Hitler per rinfacciare a Mussolini la sua debolezza di fronte alle «trame» della monarchia, dell’Esercito e della grande borghesia contro la guerra.

In realtà quelle trame esistono, sono diventate sempre più consistenti (seppure così poco efficaci e coordinate come mostrerà più tardi la vergogna dello sbandamento generale dopo l’8 settembre), ma nulla hanno da spartire con l’accoglienza riservata dalle popolazioni siciliane alle truppe alleate. Per i centri grandi e piccoli dell’isola l’arrivo degli Alleati significa soprattutto la fine dei continui bombardamenti aerei, spesso indiscriminati. La gente esulta perché considera finito il conflitto, non già perché sia pervasa da particolari furori antifascisti; di fronte alla suprema disgrazia della guerra combattuta casa per casa, come avrebbe potuto essere, la soluzione rapida con il ripiegamento degli italo-tedeschi e l’arrivo degli anglo-americani è accolta come una benedizione, come il primo grosso sollievo dopo anni di incubo. A Feltre Mussolini è accompagnato dal Capo di Stato Maggiore generale Ambrosio e dal sottosegretario Bastianini. Ambedue, prima dei colloqui con Hitler, hanno fatto pressioni, il primo con maggior vigore, perché ai tedeschi si dica che la continuazione della guerra da parte italiana è impossibile. Ambedue tornano a Roma delusi per il silenzio di Mussolini. Rimane una sola incognita: se durante il viaggio a due tra Feltre e il campo d’aviazione di Treviso, in assenza di testimoni, il duce abbia affrontato con Hitler il delicato argomento. Nessuno lo saprà mai, ma è un fatto che, tornato a Roma, Mussolini non ne fa cenno nel suo rapporto al re, anche se più tardi Badoglio sosterrà (ma è poco chiaro se fosse davvero un’intenzione o piuttosto una vaga promessa per calmare le apprensioni di Vittorio Emanuele III) che Mussolini parlò a Villa Savoia del 15 settembre come data possibile per lo «sganciamento» dell’Italia dal conflitto. Roma bombardata A suffragare la tesi che Mussolini non abbia accennato a Hitler del problema dell’uscita dell’Italia dalla guerra resta il fatto che il dittatore tedesco dispone l’invio di un’altra divisione corazzata in Sicilia (contro la richiesta di due da parte del duce). Forse un contentino per rianimare l’alleato così scosso dall’invasione, ma pure il rischio calcolato di buttare nuove forze nella battaglia per rallentare l’avanzata alleata e preparare la resistenza ritardatrice nell’Italia continentale. Il fronte interno italiano intanto subisce un’altra dura prova proprio il 19 luglio, durante il convegno di Feltre. Una formazione di aerei alleati bombarda il quartiere popolare di San Lorenzo a Roma. Sulle macerie, in mezzo alla disperazione dei superstiti che assistono all’opera di soccorso e di recupero delle vittime, compare Pio XII. La gente si accalca prima muta intorno al papa, poi molti gridano la loro protesta contro la guerra; Pio XII dà la benedizione alla folla, per la prima volta nel suo pontificato in mezzo e allo stesso livello della gente, senza cerimoniale. Per quell’epoca è un segno nuovo, agli occhi dei romani è pur sempre il pontefice che si associa personalmente alla protesta contro la guerra, dopo le generiche condanne precedenti e la tacita acquiescenza per tanti anni nei confronti di un regime che pure papa Pacelli sicuramente disapprovava per una infinità di ragioni. D’altronde lo stesso papa non ha aspettato il bombardamento di Roma per prendere le distanze dal regime fascista cui la Chiesa ha comunque riservato fino all’inizio degli anni Quaranta una certa benevolenza per avere posto fine con il Concordato alla «lacerazione» del 1870. Il 13 giugno del 1943, ricevendo un folto gruppo di operai in Vaticano, Pio XII ha rivendicato alla Chiesa il ruolo di «custode e maestra della verità nell’asserire e propugnare coraggiosamente i diritti del popolo lavoratore». È una distinzione e una

isale la costa orientale rischiando di tagliare fuori i difensori dalla maggior parte<br />

dell’isola. Il comando italo-tedesco decide così di stabilire una linea di resistenza nel<br />

corno nord-est della Sicilia, tra Catania e Santo Stefano. È una linea che ha il vantaggio<br />

di essere molto breve e arroccata all’interno su posizioni difendibili.<br />

A questo punto, nelle due parti degli schieramenti, si manifestano malumori e<br />

polemiche. Dalla parte alleata, la decisione di fare dell’8ª Armata di Montgomery la<br />

punta di diamante dell’avanzata verso Messina, lasciando a Patton un ruolo di appoggio<br />

sul fianco sinistro (e di occupazione senza troppi problemi della Sicilia occidentale)<br />

rende gli americani particolarmente amareggiati. Dalla parte dell’Asse, i tedeschi sono<br />

ormai convinti che la campagna sia conclusa e pensano di ritirare le loro truppe sul<br />

continente, lasciando agli italiani di Guzzoni il compito di ritardare la marcia degli angloamericani,<br />

sacrificandosi. È il vecchio schema che gli italiani ben conoscono, perché<br />

l’hanno sperimentato in Russia e in Africa Settentrionale.<br />

D’altronde, la tesi di Kesselring, dal punto di vista strettamente militare, è ineccepibile.<br />

In quel momento, e in previsione di una dura campagna sulla penisola, bisogna salvare,<br />

sottraendolo alla cattura in Sicilia, il massimo di uomini e mezzi. Ma è sleale da parte<br />

tedesca accusare gli italiani di scarsa combattività, tenendo conto poi delle condizioni<br />

d’equipaggiamento e d’armamento delle truppe di Guzzoni, neppure lontanamente<br />

paragonabili per qualità e quantità a quelle della macchina da guerra anglo-americana.<br />

Davanti a Catania e sui contrafforti etnei, comunque, la resistenza italo-tedesca è per<br />

qualche giorno fortissima. Gli accaniti combattimenti sono ricordati da Eisenhower con<br />

espressioni di apprezzamento per gli avversari: «I reparti corazzati e i paracadutisti che<br />

trovammo in quella zona furono i migliori che incontrammo in guerra».<br />

Tra il 14 e il 24 luglio avviene il ripiegamento italo-tedesco ancora con forti azioni di<br />

contrasto. La strada per Messina, esaurita la resistenza delle truppe vere e proprie, è<br />

resa ardua per gli Alleati da estesi campi di mine che rallentano l’avanzata. Nel<br />

frattempo i tedeschi trasferiscono sulle coste calabresi 75.000 uomini, accompagnati da<br />

migliaia di feriti, di armi e materiali di vario genere: centinaia di cannoni, una<br />

cinquantina di carri armati, poco meno di diecimila automezzi.<br />

Verso il 25 luglio<br />

In Italia sono momenti cruciali per il regime fascista. Il 19 luglio, nel pieno della<br />

battaglia per la Sicilia, Mussolini e Hitler si sono incontrati a Feltre. Da parte del duce<br />

c’è, a quanto diranno poi i testimoni più attendibili, l’intenzione di chiedere al Führer lo<br />

sganciamento in qualche modo dell’Italia dal conflitto. Il ragionamento dello Stato<br />

Maggiore italiano, che Mussolini a quanto pare condivide almeno in parte, è il seguente:<br />

molto meglio per la Germania l’attestamento sulla forte linea difensiva delle Alpi che il<br />

rischio d’una dissanguante campagna in Italia, con un alleato ormai ridotto così male.<br />

Ma al momento di esporre queste tesi al dittatore tedesco, Mussolini, come quasi<br />

sempre gli è successo in altre occasioni, non trova il modo di entrare in argomento;<br />

subisce invece i lunghi monologhi hitleriani. Ai tedeschi è noto che in Sicilia, se c’è stato<br />

spirito combattivo da parte di alcune unità italiane, l’atteggiamento della popolazione<br />

civile è stato invece di aperto favore per gli Alleati. Paesi e città occupate hanno accolto<br />

gli anglo-americani come «liberatori». Questo è un punto di forza nelle argomentazioni<br />

di Hitler per rinfacciare a Mussolini la sua debolezza di fronte alle «trame» della<br />

monarchia, dell’Esercito e della grande borghesia contro la guerra.

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