SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

20.05.2013 Views

aerotrasportate. I carri armati alleati sono 600, 14.000 i veicoli, 1800 i cannoni. Il tutto mobilita per il trasporto e l’appoggio dal mare 2275 navi da carico e 1800 mezzi da sbarco, oltre a 280 navi da guerra. La copertura aerea, di ogni genere, è assicurata da quasi quattromila aerei. È la più grande operazione anfibia della Seconda Guerra Mondiale. Alle sei di sera del 9 luglio il generale Guzzoni, comandante delle truppe in Sicilia, apprende che una grande flotta si sta avvicinando alle coste meridionali dell’isola. Poi apprende che le flotte sono più di una, sono numerosi convogli con navi d’ogni tipo. Scatta l’allarme generale, che fin dai primi di luglio era dato per imminente. Quando cade la notte un uragano di fuoco piomba su Catania, Siracusa, Augusta e Trapani. Le condizioni meteorologiche non sono molto favorevoli per lo sbarco, ma Eisenhower ormai non può fermare l’Operazione «Husky», che prosegue con i bombardamenti e con l’attacco dei primi reparti paracadutisti e aviotrasportati. Questa fase dell’operazione sarà pagata a caro prezzo dagli Alleati. Dei 115 alianti da trasporto truppe impiegati dagli inglesi soltanto 54 atterrano sull’isola e dodici sugli obiettivi assegnati. Gli altri finiscono in mare. Un pugno di questi commando, 73 in tutto, tra cui otto ufficiali, riusciranno comunque ad occupare e a tenere una posizione strategica, un ponte, fino all’arrivo delle truppe da sbarco. Anche i gruppi di paracadutisti americani si sparpagliano in prossimità degli obiettivi, tra la costa e l’interno senza riuscire a raggiungere gli obiettivi prefissati, che sono soprattutto gli aeroporti, preziosi per il proseguimento dell’operazione. Dalle 3 del mattino del 10 luglio ha inizio l’operazione anfibia. Gli americani della 7ª Armata, agli ordini del generale Patton, sbarcano tra Gela e Licata, la loro testa di ponte si allarga a sud-est di Gela, fino oltre Scoglitti, mentre l’obiettivo dell’8ª Armata britannica comandata da Montgomery è il tratto di costa tra Pozzallo, Pachino e Avola, a cavallo di Capo Passero. Il comandante italiano Guzzoni, giudicando sufficienti le forze italiane nel settore inglese, punta lo sforzo difensivo ad occidente, nel settore americano. È una decisione che apre la via di Siracusa alle forze di Montgomery lo stesso 10 luglio. È vero che nel settore britannico ci sono la Divisione «Napoli» e il gruppo tedesco «Schmalz», ma il coordinamento tra le due unità è talmente scarso da rendere quasi del tutto inefficace la loro azione. È comunque significativo che truppe appena sbarcate e ancora nel momento critico in cui la testa di ponte deve essere rafforzata, riescano dopo poche ore a compiere una puntata offensiva con successo verso una piazzaforte avversaria (Siracusa). Già la sera del 10 Montgomery è in grado di fare affluire grossi rinforzi alla sua testa di ponte, utilizzando anche un porto, preziosissimo, dal momento che l’operazione anfibia «Husky» deve ancora considerarsi sperimentale, con una serie di inconvenienti e di intoppi dovuti alla scarsa o nulla sperimentazione che gli Alleati hanno potuto fare con i mezzi da sbarco. Montgomery occupa Siracusa Per gli americani il compito appare subito più difficile. A parte le maggiori difficoltà dei mezzi da sbarco per le caratteristiche degli approdi, le truppe di Patton devono far fronte alla maggiore resistenza delle forze italiane (Guzzoni ha deciso, come abbiamo visto, di compiere il maggiore sforzo difensivo ad ovest, per tagliare la strada verso Trapani e Palermo).

Inoltre la copertura aerea alleata, pur essendo imponente, non si rivela così efficace come previsto. E d’altronde anche la Luftwaffe e quello che rimane dell’aviazione italiana cercano di contrastare le operazioni alleate. Un aereo tedesco riesce persino ad attaccare e affondare un cacciatorpediniere americano al largo di Gela. È un fatto comunque che la sera del 10, mentre Montgomery corona il successo della sua azione con il consolidamento della testa di ponte e l’occupazione di Siracusa, Patton non riesce ad operare la congiunzione tra le due estremità della sua zona, le teste di ponte di Licata e di Gela. In più, gli americani non possono utilizzare il porto di Gela perché i genieri italiani l’hanno fatto saltare all’approssimarsi della bufera sulla Sicilia. Ma soprattutto si fa sentire, proprio nella zona di Gela, il contrattacco di forze italotedesche dotate di mezzi corazzati. Patton è in difficoltà, per alcune ore considera anche l’ipotesi del reimbarco delle truppe. Poi decide, nella notte tra l’11 e il 12 luglio, di lanciare duemila paracadutisti per alleggerire la pressione dei contrattacchi dell’Asse. Nella piana di Gela però saranno le artiglierie della U.S. Navy a gettare lo scompiglio tra i carri italo-tedeschi e ad arrestare il loro movimento minaccioso verso la testa di ponte americana. A questo punto le due teste di ponte, quella americana e quella britannica, diventano tutt’una, ma continua a rimanere per qualche giorno lo squilibrio tra est e ovest. All’estremità orientale la situazione per le forze britanniche è più che brillante, mentre a quella occidentale gli americani continuano ad essere duramente impegnati. La Luftwaffe, malgrado la schiacciante superiorità avversaria, continua a svolgere un’azione efficacissima di contrasto. I serventi alle batterie contraeree americane hanno i nervi a fior di pelle per le continue incursioni a bassa quota, spesso aprono il fuoco contro i loro stessi aerei e in più d’una occasione abbattono velivoli che stanno rafforzando con il lancio di mezzi e uomini paracadutati la fragile testa di ponte di Patton. Le perdite degli americani nei primissimi giorni sono pesanti, anche per questi «incidenti» dovuti ad una resistenza avversaria imprevista in quella misura. Ma è soltanto una crisi temporanea, poi anche la 7ª Armata americana si riorganizza e si irrobustisce, continuamente rifornita dal mare di uomini e mezzi. Gli inglesi intanto proseguono la puntata offensiva oltre Siracusa e il 12 investono la base strategica di Augusta. Occuparla è un’impresa senza difficoltà perché il comandante della piazza, tra le più munite dell’isola, l’ha abbandonata facendo prima saltare tutte le installazioni militari. Augusta sarà un’altra fonte di amare polemiche sul presunto «lassismo» degli italiani. La città poteva essere difesa? Certo, se si pensa alla sua potenza sulla carta un tentativo poteva essere fatto; ma probabilmente sarebbero bastati pochi giorni, con una forte concentrazione di attacchi dall’aria e dal mare, per mettere fuori causa la piazzaforte, e con durissime conseguenze per la popolazione civile. In realtà la campagna di Sicilia, data l’estrema vulnerabilità dello schieramento difensivo all’azione aeronavale, stava dimostrando che la difesa passiva non aveva alcuna reale possibilità di influire sull’andamento generale delle operazioni. L’unica azione efficace poteva venire (come aveva dimostrato il contrattacco italo-tedesco a Gela) da forze mobili che fossero intervenute al momento opportuno. Ma, come abbiamo visto, Guzzoni aveva concentrato lo sforzo ad occidente, lasciando di fatto sguarnito, cioè affidato alle sole esigue e inefficaci difese passive, il compito di contrastare l’avanzata britannica. Ormai Montgomery punta su Catania. A questo punto tra Guzzoni e Kesselring si tirano le conclusioni per il proseguimento della battaglia: i due comandanti si rendono conto che sarebbe assurdo continuare a sperare in una difesa a oltranza nel settore occidentale mentre il saliente britannico

Inoltre la copertura aerea alleata, pur essendo imponente, non si rivela così efficace<br />

come previsto. E d’altronde anche la Luftwaffe e quello che rimane dell’aviazione<br />

italiana cercano di contrastare le operazioni alleate. Un aereo tedesco riesce persino ad<br />

attaccare e affondare un cacciatorpediniere americano al largo di Gela.<br />

È un fatto comunque che la sera del 10, mentre Montgomery corona il successo della<br />

sua azione con il consolidamento della testa di ponte e l’occupazione di Siracusa, Patton<br />

non riesce ad operare la congiunzione tra le due estremità della sua zona, le teste di<br />

ponte di Licata e di Gela. In più, gli americani non possono utilizzare il porto di Gela<br />

perché i genieri italiani l’hanno fatto saltare all’approssimarsi della bufera sulla Sicilia.<br />

Ma soprattutto si fa sentire, proprio nella zona di Gela, il contrattacco di forze italotedesche<br />

dotate di mezzi corazzati. Patton è in difficoltà, per alcune ore considera anche<br />

l’ipotesi del reimbarco delle truppe. Poi decide, nella notte tra l’11 e il 12 luglio, di<br />

lanciare duemila paracadutisti per alleggerire la pressione dei contrattacchi dell’Asse.<br />

Nella piana di Gela però saranno le artiglierie della U.S. Navy a gettare lo scompiglio tra<br />

i carri italo-tedeschi e ad arrestare il loro movimento minaccioso verso la testa di ponte<br />

americana. A questo punto le due teste di ponte, quella americana e quella britannica,<br />

diventano tutt’una, ma continua a rimanere per qualche giorno lo squilibrio tra est e<br />

ovest.<br />

All’estremità orientale la situazione per le forze britanniche è più che brillante, mentre a<br />

quella occidentale gli americani continuano ad essere duramente impegnati.<br />

La Luftwaffe, malgrado la schiacciante superiorità avversaria, continua a svolgere<br />

un’azione efficacissima di contrasto. I serventi alle batterie contraeree americane hanno<br />

i nervi a fior di pelle per le continue incursioni a bassa quota, spesso aprono il fuoco<br />

contro i loro stessi aerei e in più d’una occasione abbattono velivoli che stanno<br />

rafforzando con il lancio di mezzi e uomini paracadutati la fragile testa di ponte di<br />

Patton.<br />

Le perdite degli americani nei primissimi giorni sono pesanti, anche per questi<br />

«incidenti» dovuti ad una resistenza avversaria imprevista in quella misura. Ma è<br />

soltanto una crisi temporanea, poi anche la 7ª Armata americana si riorganizza e si<br />

irrobustisce, continuamente rifornita dal mare di uomini e mezzi.<br />

Gli inglesi intanto proseguono la puntata offensiva oltre Siracusa e il 12 investono la<br />

base strategica di Augusta. Occuparla è un’impresa senza difficoltà perché il<br />

comandante della piazza, tra le più munite dell’isola, l’ha abbandonata facendo prima<br />

saltare tutte le installazioni militari. Augusta sarà un’altra fonte di amare polemiche sul<br />

presunto «lassismo» degli italiani. La città poteva essere difesa? Certo, se si pensa alla<br />

sua potenza sulla carta un tentativo poteva essere fatto; ma probabilmente sarebbero<br />

bastati pochi giorni, con una forte concentrazione di attacchi dall’aria e dal mare, per<br />

mettere fuori causa la piazzaforte, e con durissime conseguenze per la popolazione<br />

civile.<br />

In realtà la campagna di Sicilia, data l’estrema vulnerabilità dello schieramento difensivo<br />

all’azione aeronavale, stava dimostrando che la difesa passiva non aveva alcuna reale<br />

possibilità di influire sull’andamento generale delle operazioni. L’unica azione efficace<br />

poteva venire (come aveva dimostrato il contrattacco italo-tedesco a Gela) da forze<br />

mobili che fossero intervenute al momento opportuno. Ma, come abbiamo visto,<br />

Guzzoni aveva concentrato lo sforzo ad occidente, lasciando di fatto sguarnito, cioè<br />

affidato alle sole esigue e inefficaci difese passive, il compito di contrastare l’avanzata<br />

britannica. Ormai Montgomery punta su Catania.<br />

A questo punto tra Guzzoni e Kesselring si tirano le conclusioni per il proseguimento<br />

della battaglia: i due comandanti si rendono conto che sarebbe assurdo continuare a<br />

sperare in una difesa a oltranza nel settore occidentale mentre il saliente britannico

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!