SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

Legato da amicizia alla sorella di Ciano, Maria, moglie del futuro ambasciatore Massimo Magistrati e morta giovanissima nell’ottobre 1939, Attolico non lesinerà mai gli appunti e le critiche alla politica che Mussolini conduce verso la Germania e all’atteggiamento che i nazisti, specie durante i primi momenti della guerra, mantengono con l’Italia. «Non si può fare a meno di constatare come anche questa volta i tedeschi abbiano seguito nei nostri confronti il solito sistema; agire, comunicandoci poi semplicemente il fatto compiuto», scrive Attolico a Ciano, il 10 aprile 1940, a commento del «blitz» di Hitler contro Danimarca e Norvegia. «È possibile che il Reich si sia deciso solo all’ultimo momento ma il colpo doveva essere senza dubbio meditato da lunga pezza. E non si è ritenuto necessario consultare l’alleato» Due settimane dopo, come Ciano confessa al proprio Diario, Mackensen chiede il richiamo di Attolico. «Naturale», annota il ministro fascista degli Esteri, «è un italiano e un galantuomo. Hitler pensa come successore a Farinacci o ad Alfieri. Scarto il primo e mi soffermo sul secondo». Solamente due anni più tardi, quando si realizzeranno le profezie di François Poncet a Galeazzo Ciano («I tedeschi sono padroni duri. Ve ne accorgerete anche voi»), la figura di Bernardo Attolico apparirà in tutta la sua importanza come quella di un diplomatico che ha tentato fino all’ultimo, sacrificandosi in prima persona, di avvertire il suo paese del baratro che gli stava dinanzi e della tragedia in cui lo avrebbe coinvolto la guerra. Giuseppe Mayda Contatti segreti per un armistizio con gli Alleati La decisione italiana di giungere ad un armistizio può essere collocata nella metà del 1942, quando l’Asse è ancora all’offensiva sull’insieme dei fronti, e gli Stati Uniti impegnati contro un Giappone al massimo della sua potenza. Il primo indizio è possibile identificarlo in una osservazione che Vittorio Emanuele III fa a Bottai già all’inizio del 1942; «Gli inglesi, forse», disse meditabondo il vecchio re, «pensano ad uno sbarco sulle coste calabre o siciliane. Noi laggiù abbiamo poche forze e pochi mezzi rapidi. Speriamo che gli eventi distraggano il nemico verso il Pacifico». Una frase alla quale deve essere subito connessa l’altra, che Vittorio Emanuele dice al suo primo aiutante di campo, generale Paolo Puntoni, il 19 maggio 1943, tre settimane prima dello sbarco alleato in Sicilia; «Temo», confidò il re, «che da un momento all’altro il governo inglese, o il re d’Inghilterra, si rivolgano a me direttamente per trattare una pace separata. La cosa mi metterebbe in grave imbarazzo. Se questo dovesse avvenire agirei senza sotterfugi, ne parlerei con il duce per essere d’accordo sulla linea da seguire». È, qui, in queste due osservazioni, la volontà della Casa regnante di giungere, prima o poi, ad un accordo con gli Alleati. Uno dei primi a muoversi in questa direzione è l’allora quarantaduenne Aimone di Savoia, già duca di Spoleto, fratello di quell’Amedeo d’Aosta, morto in prigionia nel Kenya l’anno precedente, e del quale aveva ereditato il titolo, di duca d’Aosta. Nelle due ultime settimane del novembre 1941 e all’inizio del dicembre 1942, servendosi del console generale a Ginevra Luigi Cortese, del console Marieri e dei giornalista Cicconardi, Aimone fa sapere ai colonnello inglese Victor Farrel, dei Secret Service, che sarebbe stato disposto a rovesciare Mussolini, a costituire d’accordo col principe di Piemonte un nuovo governo, a sganciarsi dall’alleanza con la Germania, e a trattare un armistizio con gli Alleati.

Prima ipotesi d’accordo Su questa offerta e sulle sue clausole c’è la lettera dei ministro degli Esteri inglese, sir Anthony Eden, del 18 dicembre 1942, nella quale il genero di Churchill riferisce agli americani: «… Il duce è pronto, in cambio di certe garanzie da parte nostra, a capeggiare una rivolta armata contro Mussolini e il regime fascista. Le garanzie richieste sarebbero; a) appoggio della RAF per fronteggiare l’aviazione tedesca e italiana; b) uno sbarco concordato delle forze anglo-americane con l’intesa che debbano agire come truppe alleate per agevolare l’abolizione dei regime e non quali truppe di occupazione per conquistare l’Italia; c) non deve essere avanzata da parte nostra alcuna richiesta di consegna della flotta italiana; d) mantenimento della monarchia in Italia; e) queste garanzie debbono essere sottoscritte da tutte le potenze alleate. «Noi siamo dell’avviso che l’offerta è sincera», conclude Eden «ma non siamo persuasi sull’opportunità di accettarla. […] Il punto b) prevede inoltre uno strano concordato che, nella migliore delle ipotesi, presenta difficili problemi di coordinamento e potrebbe essere una trappola. I vantaggi sono tuttavia notevoli e tali, se si riuscisse ad affrettare il crollo italiano, che abbiamo deciso di mantenere i contatti con il duca Aimone d’Aosta il quale si è impegnato a discutere i suoi progetti con il principe di Piemonte ed informare il nostro intermediario» Va subito notato, essendo la lettera in data 18 dicembre 1942, ma con riferimento a contatti di almeno un mese anteriori, che le proposte di Aimone furono necessariamente formulate prima o al massimo contemporaneamente ai grandi sbarchi anglo-americani nell’Africa dei Nord. Pertanto, quel riferimento ad uno «sbarco concordato» alleato, alfine di «agevolare l’abolizione dei regime», sul quale Eden si sofferma, non può che riferirsi ad una operazione sulle coste italiane, antecedente alla defenestrazione di Mussolini, e anzi, suo necessario presupposto. Ed è singolare notare come l’insieme delle condizioni avanzate dal principe finirà per costituire la sostanziale base di trattativa, ma in condizioni peggiori, dall’agosto 1943; mantenimento della monarchia, nessuna resa della flotta, cobelligeranza implicita ad un armistizio. Si cerca il de Gaulle italiano Nel decidersi a mantenere aperto questo promettente canale, Eden ha le sue buone ragioni che tuttavia non rivela subito ai cugini americani. Da parecchi mesi, infatti, egli è in contatto diretto col maresciallo Badoglio, e ne ha ricevute positive assicurazioni. Non soltanto, quindi, egli può ormai contare su un concreto atteggiamento favorevole di Casa Savoia (compreso, evidentemente, Vittorio Emanuele III), ma anche su quello dello Stato Maggiore italiano, nella persona, indubbiamente prestigiosa di Badoglio. Il primo aggancio risale al luglio 1942, a Vulpera, nella Bassa Engadina, tra un vecchio e fidato ufficiale d’ordinanza dello stesso Badoglio, e il capo dei servizi segreti inglesi («Special Force») in Svizzera, John McCaffery. È costui un personaggio di notevolissimo rilievo, perfetto conoscitore della nostra lingua, e anzi professore (prima della guerra) all’Università di Genova; riparato in Svizzera, avrà una parte decisiva non solo in queste trattative, ma in tutte le vicende italiane fino alla Liberazione. In quel luglio 1942, McCaffery ascolta dal suo interlocutore, probabilmente senza sorpresa, che in Italia «alcune persone» stanno cominciando a pensare che è necessario prendere un’altra strada; ma che le stesse persone sono incerte sul come sarebbe stata accolta, presso gli Alleati, questa eventuale decisione. McCaffery promette che avrebbe riferito, e nel secondo colloquio, svoltosi a metà di agosto, ma questa volta sulla quarta panchina a sinistra dell’ingresso del Parco pubblico di

Legato da amicizia alla sorella di Ciano, Maria, moglie del futuro ambasciatore Massimo<br />

Magistrati e morta giovanissima nell’ottobre 1939, Attolico non lesinerà mai gli appunti e le<br />

critiche alla politica che Mussolini conduce verso la Germania e all’atteggiamento che i<br />

nazisti, specie durante i primi momenti della guerra, mantengono con l’Italia.<br />

«Non si può fare a meno di constatare come anche questa volta i tedeschi abbiano seguito<br />

nei nostri confronti il solito sistema; agire, comunicandoci poi semplicemente il fatto<br />

compiuto», scrive Attolico a Ciano, il 10 aprile 1940, a commento del «blitz» di Hitler<br />

contro Danimarca e Norvegia. «È possibile che il Reich si sia deciso solo all’ultimo<br />

momento ma il colpo doveva essere senza dubbio meditato da lunga pezza. E non si è<br />

ritenuto necessario consultare l’alleato»<br />

Due settimane dopo, come Ciano confessa al proprio Diario, Mackensen chiede il richiamo<br />

di Attolico. «Naturale», annota il ministro fascista degli Esteri, «è un italiano e un<br />

galantuomo. Hitler pensa come successore a Farinacci o ad Alfieri. Scarto il primo e mi<br />

soffermo sul secondo».<br />

Solamente due anni più tardi, quando si realizzeranno le profezie di François Poncet a<br />

Galeazzo Ciano («I tedeschi sono padroni duri. Ve ne accorgerete anche voi»), la figura di<br />

Bernardo Attolico apparirà in tutta la sua importanza come quella di un diplomatico che ha<br />

tentato fino all’ultimo, sacrificandosi in prima persona, di avvertire il suo paese del baratro<br />

che gli stava dinanzi e della tragedia in cui lo avrebbe coinvolto la guerra.<br />

Giuseppe Mayda<br />

Contatti segreti per un armistizio con gli Alleati<br />

La decisione italiana di giungere ad un armistizio può essere collocata nella metà del 1942,<br />

quando l’Asse è ancora all’offensiva sull’insieme dei fronti, e gli Stati Uniti impegnati contro<br />

un Giappone al massimo della sua potenza.<br />

Il primo indizio è possibile identificarlo in una osservazione che Vittorio Emanuele III fa a<br />

Bottai già all’inizio del 1942; «Gli inglesi, forse», disse meditabondo il vecchio re, «pensano<br />

ad uno sbarco sulle coste calabre o siciliane. Noi laggiù abbiamo poche forze e pochi mezzi<br />

rapidi. Speriamo che gli eventi distraggano il nemico verso il Pacifico». Una frase alla quale<br />

deve essere subito connessa l’altra, che Vittorio Emanuele dice al suo primo aiutante di<br />

campo, generale Paolo Puntoni, il 19 maggio 1943, tre settimane prima dello sbarco<br />

alleato in Sicilia; «Temo», confidò il re, «che da un momento all’altro il governo inglese, o<br />

il re d’Inghilterra, si rivolgano a me direttamente per trattare una pace separata. La cosa<br />

mi metterebbe in grave imbarazzo. Se questo dovesse avvenire agirei senza sotterfugi, ne<br />

parlerei con il duce per essere d’accordo sulla linea da seguire».<br />

È, qui, in queste due osservazioni, la volontà della Casa regnante di giungere, prima o poi,<br />

ad un accordo con gli Alleati. Uno dei primi a muoversi in questa direzione è l’allora<br />

quarantaduenne Aimone di Savoia, già duca di Spoleto, fratello di quell’Amedeo d’Aosta,<br />

morto in prigionia nel Kenya l’anno precedente, e del quale aveva ereditato il titolo, di<br />

duca d’Aosta.<br />

Nelle due ultime settimane del novembre 1941 e all’inizio del dicembre 1942, servendosi<br />

del console generale a Ginevra Luigi Cortese, del console Marieri e dei giornalista<br />

Cicconardi, Aimone fa sapere ai colonnello inglese Victor Farrel, dei Secret Service, che<br />

sarebbe stato disposto a rovesciare Mussolini, a costituire d’accordo col principe di<br />

Piemonte un nuovo governo, a sganciarsi dall’alleanza con la Germania, e a trattare un<br />

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