SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea
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Quello di Klessheim è anche l’ultimo colloquio tra i due dittatori con il territorio nazionale italiano ancora integro. Quando ci sarà l’incontro successivo, il 19 luglio, lo sbarco in Sicilia è già avvenuto e la situazione nell’isola già di fatto decisa a favore degli alleati. La mobilitazione «per la riscossa» continua per tutta la primavera del 1943. In giugno anche il filosofo Giovanni Gentile è richiamato dal dimenticatoio e tiene un discorso in Campidoglio, mentre lo stesso giorno (il 24) Mussolini parla in una seduta a porte chiuse al direttorio del partito. La «linea del bagnasciuga» Il testo del discorso di Mussolini è reso noto il 6 luglio. C’è una parte di rabbiosa denuncia dei «traditori», di apocalittica visione delle conseguenze che l’Italia dovrebbe sopportare in caso di vittoria nemica. «Chi crede o finge di credere», afferma Mussolini, «alle suggestioni del nemico è un criminale, un traditore, un bastardo». Secondo il duce l’Italia sarebbe ridotta ad una specie di colonia, demolita l’industria, vietata persino la coltivazione del grano, per favorire l’esportazione di quello americano. Insomma, sostiene Mussolini, il paese diventerebbe una specie di grande centro di coltivazione di ortaggi e sarebbe depredato di tutto il suo patrimonio artistico. Subito dopo Mussolini, sempre nel discorso al direttorio del PNF, ricomincia a vaneggiare nell’altra direzione, parla di possibile insurrezione dei negri e degli indiani negli Stati Uniti, della prossima fine dell’alleanza degli anglo-americani con Stalin. Poi torna alla realtà e parla della possibilità di una invasione del continente europeo da parte alleata. Non fa nomi, ma è chiaro che pensa all’Italia come primo obiettivo degli sbarchi. Qui la certezza (almeno quella espressa, perché nel suo intimo probabilmente Mussolini è scosso da timori profondi) che il nemico fallirà è come sempre «categorica». «Se questo tentativo [lo sbarco sul continente] fallirà, come è mia convinzione, il nemico non avrà più altra carta da giocare». A questo punto dà l’ultima, grottesca direttiva al paese, confondendo, trascinato dalla solita sicumera, la battigia con la linea di galleggiamento delle navi: «Bisogna che, non appena il nemico tenterà di sbarcare, sia congelato su quella linea che i marinai chiamano “del bagnasciuga”». Il discorso, per questa infelice battuta, diventerà e rimarrà il «discorso del bagnasciuga». Infelice, e questo non per colpa di Mussolini che certo non conosceva i piani alleati, anche il fatto di pubblicare il discorso proprio tre giorni prima dello sbarco alleato in Sicilia, che dimostrerà come sulla «linea del bagnasciuga» non sia possibile fermare un esercito moderno quando si è tanto inferiori per mezzi, preparazione e morale dei combattenti.
Documenti e testimonianze Attolico, l’ambasciatore «scomodo» Bernardo Attolico, ambasciatore italiano a Rio de Janeiro (1927), a Mosca (1930), a Berlino (1935) e, infine, in Vaticano (1940) è una delle vittime più illustri della politica d’espansione nazista; nel momento di maggior fulgore militare del Terzo Reich, Ribbentrop pretende dal ministro degli Esteri Ciano il richiamo dell’ambasciatore in Italia per vendicarsi, in qualche modo, degli sforzi che Attolico ha compiuto con l’intento di tenere il suo paese fuori dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Nato a Canneto di Bari il 17 gennaio 1880 – e morto nel febbraio 1942, a Roma, mentre rappresenta l’Italia nella Città del Vaticano – Attolico aveva esordito nella vita pubblica, all’inizio di questo secolo, come fondatore e primo presidente del Circolo giuridico universitario di Roma. Passato quindi al Commissariato dell’emigrazione (1901), a quell’epoca istituito sotto la direzione del senatore Bodio, vi era rimasto fino alla nomina a professore di economia e finanza, avvenuta nel 1903, per ritornarvi, trascorsi quattro anni, quale ispettore per gli Stati Uniti e il Canada. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Attolico viene inviato a Londra con le funzioni di addetto commerciale e rappresentante del nostro paese nella Commissione interalleata dei rifornimenti. La sua carriera, in questo campo, è tale e cosi rapida che, nel 1919, viene chiamato al Consiglio supremo economico di Parigi, partecipa alla Conferenza della Pace e, nello stesso anno, viene nominato ministro plenipotenziario alla Lega delle Nazioni (1920). Giunto a Berlino da Mosca, quale successore di Vittorio Cerruti, Attolico ha fama di uomo intelligente, di duro e – al tempo stesso – capace negoziatore che sa adattarsi agli ambienti presso i quali il suo lavoro deve svolgersi; non per nulla, nella pur difficile Mosca dell’inizio degli anni Trenta, è riuscito a far firmare a Litvinov l’accordo di amicizia italosovietico. Dotato di grandi capacità lavorative (e il lavoro lo stronca, appena sessantaduenne, mentre validamente regge l’ambasciata d’Italia in Vaticano), di temperamento vivacissimo e di una insolita sensibilità, Attolico arriva in Germania con la moglie Elena Pietromarchi nel 1935. In questo momento la politica di Hitler sta affrontando, all’indomani della «notte dei lunghi coltelli» (che aveva eliminato con la violenza i nazisti socialistoidi della «nuova rivoluzione» di Röhm) la svolta delle leggi di Norimberga e quella della occupazione della Renana smilitarizzata. La sua politica, quella che doveva costargli l’incarico a Berlino, è ispirata al fatto che egli scorge subito il parallelismo fra fascismo e nazismo che avrebbe finito per portare l’Italia verso forme di intesa con Berlino sempre più vicine e sempre più concrete, fino alla conclusione di una vera e propria alleanza militare. Attolico lavora quindi con impegno e serietà all’incarico che gli è stato affidato, cioè al riavvicinamento italo-tedesco soprattutto per evitare un totale isolamento del nostro paese, ma negli anni a seguire, risolta la crisi di Abissinia e conclusa la guerra di Spagna, si induce ad imprimere una forte elasticità ai rapporti con il Terzo Reich, tale comunque da impedire una definitiva corsa verso il baratro di un secondo conflitto mondiale. «È un italiano e un galantuomo».
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Quello di Klessheim è anche l’ultimo colloquio tra i due dittatori con il territorio nazionale<br />
italiano ancora integro. Quando ci sarà l’incontro successivo, il 19 luglio, lo sbarco in Sicilia<br />
è già avvenuto e la situazione nell’isola già di fatto decisa a favore degli alleati.<br />
La mobilitazione «per la riscossa» continua per tutta la primavera del 1943. In giugno<br />
anche il filosofo Giovanni Gentile è richiamato dal dimenticatoio e tiene un discorso in<br />
Campidoglio, mentre lo stesso giorno (il 24) Mussolini parla in una seduta a porte chiuse al<br />
direttorio del partito.<br />
La «linea del bagnasciuga»<br />
Il testo del discorso di Mussolini è reso noto il 6 luglio. C’è una parte di rabbiosa denuncia<br />
dei «traditori», di apocalittica visione delle conseguenze che l’Italia dovrebbe sopportare in<br />
caso di vittoria nemica. «Chi crede o finge di credere», afferma Mussolini, «alle suggestioni<br />
del nemico è un criminale, un traditore, un bastardo». Secondo il duce l’Italia sarebbe<br />
ridotta ad una specie di colonia, demolita l’industria, vietata persino la coltivazione del<br />
grano, per favorire l’esportazione di quello americano. Insomma, sostiene Mussolini, il<br />
paese diventerebbe una specie di grande centro di coltivazione di ortaggi e sarebbe<br />
depredato di tutto il suo patrimonio artistico.<br />
Subito dopo Mussolini, sempre nel discorso al direttorio del PNF, ricomincia a vaneggiare<br />
nell’altra direzione, parla di possibile insurrezione dei negri e degli indiani negli Stati Uniti,<br />
della prossima fine dell’alleanza degli anglo-americani con Stalin. Poi torna alla realtà e<br />
parla della possibilità di una invasione del continente europeo da parte alleata. Non fa<br />
nomi, ma è chiaro che pensa all’Italia come primo obiettivo degli sbarchi. Qui la certezza<br />
(almeno quella espressa, perché nel suo intimo probabilmente Mussolini è scosso da timori<br />
profondi) che il nemico fallirà è come sempre «categorica». «Se questo tentativo [lo<br />
sbarco sul continente] fallirà, come è mia convinzione, il nemico non avrà più altra carta<br />
da giocare».<br />
A questo punto dà l’ultima, grottesca direttiva al paese, confondendo, trascinato dalla<br />
solita sicumera, la battigia con la linea di galleggiamento delle navi: «Bisogna che, non<br />
appena il nemico tenterà di sbarcare, sia congelato su quella linea che i marinai chiamano<br />
“del bagnasciuga”». Il discorso, per questa infelice battuta, diventerà e rimarrà il «discorso<br />
del bagnasciuga». Infelice, e questo non per colpa di Mussolini che certo non conosceva i<br />
piani alleati, anche il fatto di pubblicare il discorso proprio tre giorni prima dello sbarco<br />
alleato in Sicilia, che dimostrerà come sulla «linea del bagnasciuga» non sia possibile<br />
fermare un esercito moderno quando si è tanto inferiori per mezzi, preparazione e morale<br />
dei combattenti.