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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Il crimine della foresta di Katyn<br />

Umberto Oddone<br />

La storia dell’eccidio di Katyn comincia nel settembre 1939 con la cattura di gran parte<br />

delle armate polacche ad opera delle forze armate sovietiche; mentre la Germania ha<br />

occupato in pochi giorni la Polonia occidentale, i russi, col pretesto di curare gli interessi<br />

delle minoranze ucraine e della Russia Bianca, hanno invaso quella orientale.<br />

Alla fine di quell’anno il governo polacco, in esilio a Londra, chiede all’Unione Sovietica il<br />

rilascio dei prigionieri di guerra. I russi acconsentono; nei mesi seguenti migliaia di<br />

soldati polacchi ritornano alle loro case ma, a conti fatti, ne risultano mancanti circa<br />

diecimila, quasi tutti ufficiali; tra gli assenti vi è l’intero Stato Maggiore dell’armata del<br />

generale Ladislav Anders. Il 21 giugno 1941 la Germania attacca l’Unione Sovietica e a<br />

luglio, fra Russia e Polonia libera, si stabilisce un’alleanza; Stalin concede l’amnistia a<br />

tutti i cittadini polacchi che si trovavano in Russia e una commissione del governo della<br />

Polonia libera, diretta da Joseph Czapki, può recarsi nell’Unione Sovietica a reclutare, fra<br />

i propri connazionali ex prigionieri, i volontari per costituire un corpo di spedizione che<br />

combattano contro i tedeschi.<br />

Risulta così che circa diecimila ufficiali polacchi catturati nell’autunno 1939 (12 generali,<br />

130 colonnelli e 9227 ufficiali subalterni) internati dai russi nei campi di Kolzielsk,<br />

Starobelsk e Ostaškov sono stati trasferiti nell’aprile 1940 «verso una destinazione<br />

sconosciuta» e che essi hanno cessato improvvisamente di scrivere alle famiglie all’inizio<br />

del maggio di quell’anno. Qual è stato i loro destino?<br />

Colloqui Kot-Višinskij e Kot-Stalin<br />

Sulla base di questo rapporto il 6 ottobre 1941 l’ambasciatore polacco, professor Jan<br />

Kot, chiede un colloquio al ministro degli Affari Esteri sovietico, Andrej Višinskij, per<br />

discutere la scomparsa del gruppo di ufficiali polacchi. Jan Kot ha conservato il seguente<br />

resoconto del suo incontro con Višinskij:<br />

Kot: «Signor ministro, le sottopongo alcune cifre. Il numero degli ufficiali polacchi fatti<br />

prigionieri dall’Armata Rossa e deportati in diverse parti della Russia è, almeno, di 9500.<br />

Fino ad oggi noi non ne abbiamo ritrovati che duecento. Che ne è stato degli altri? Noi<br />

sappiamo che più di quattromila ufficiali vennero internati a Starobelsk e a Kolzielsk e,<br />

di là, trasferiti a campi sconosciuti. Ci aiuti a ritrovarli».<br />

Višinskij: «Bisogna che lei tenga conto delle circostanze, signor ambasciatore. Dal 1939<br />

ad oggi sono avvenuti enormi cambiamenti, nell’Unione Sovietica. Intere popolazioni<br />

hanno lasciato le loro regioni per trasferirsi altrove; figuriamoci i singoli individui… Noi<br />

abbiamo liberato un gran numero di vostri soldati; taluni hanno trovato lavoro in Unione<br />

Sovietica, altri sono rientrati direttamente in Polonia… ».<br />

Kot: «Se uno soltanto degli ufficiali cui ho accennato fosse stato veramente messo in<br />

libertà si sarebbe messo subito in contatto con noi. Non si tratta di bimbi, o di criminali<br />

obbligati a nascondersi. Non è possibile non immaginare che essi si trovino ancora in<br />

Russia».<br />

Jan Kot, congedato da Višinskij, non si arrende. Un mese più tardi, nel novembre 1941,<br />

ottiene un incontro con Stalin. Anche di questo colloquio Kot redige un verbale:<br />

Kot: «Signor presidente, lei ha accordato l’amnistia a tutti i cittadini polacchi abitanti<br />

nell’Unione Sovietica. Vuole insistere con i dirigenti del governo russo affinché il suo<br />

nobile gesto sia realmente e interamente applicato?».<br />

Stalin: «Lei intende dire che, qui da noi, ci sono ancora dei polacchi prigionieri?».

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