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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Hitler lo delude<br />

Sul suo fianco sinistro, intanto, si delinea la catastrofe di Stalingrado. L’intera 6ª Armata<br />

di Paulus è circondata con più di 200.000 uomini. Hitler vieta qualsiasi ritirata, Paulus<br />

deve asserragliarsi nella sacca e resistere finché verrà «liberato», senza abbandonare le<br />

sponde del Volga. Il compito di liberarlo è affidato a Hoth, sotto la supervisione del<br />

comandante superiore del fronte sud che è von Manstein. È la famosa Operazione<br />

«Tempesta d’inverno». A tutta prima l’offensiva ha successo, la 4ª Armata corazzata<br />

avanza per 120 chilometri a nord-est di Kotelnikovski verso Stalingrado, ad ambo i lati<br />

della linea ferroviaria che unisce le due città. Il 19 dicembre è a 65 chilometri dalla<br />

periferia di Stalingrado, il 21 è a 42 chilometri. Attraverso le steppe nevose le truppe<br />

assediate della 6ª Armata possono vedere, di notte, i segnali luminosi dei loro<br />

soccorritori.<br />

Ma è l’ultimo tentativo. Paulus chiede l’autorizzazione di fare una sortita, Hitler la rifiuta.<br />

La resistenza russa si fa più rigida. Hoth non riesce a superare i pochi chilometri che lo<br />

separano dalla città che reca il nome di Stalin. Non solo, ma in quegli stessi giorni,<br />

senza che Hoth lo sappia, l’Armata Rossa ha attaccato più a nord. La notte del 22<br />

dicembre reca con sé la fine d’ogni speranza. Hoth riceve da Manstein l’ordine di<br />

sospendere l’avanzata verso Stalingrado, di avviare una delle sue tre divisioni (e<br />

precisamente quella di Rauss) verso il Don e di difendersi come può con le rimanenti<br />

forze.<br />

A questo punto Hoth ha ormai perso ogni fiducia in Hitler ma è un soldato e continua a<br />

ubbidire. L’unità di Hoth viene respinta dalla 51ª Armata e dalla 2ª Armata della<br />

Guardia sovietiche. Il 4 marzo passa di nuovo all’attacco contro la 3ª Armata blindata<br />

russa del fronte sud-ovest e riprende Kharkov il 14. Poi, per più di tre mesi, il fronte si<br />

fa silenzioso, le armi tacciono, è la stagione della «rasputiza», il fango implacabile che<br />

separa gli avversari.<br />

Hoth ritorna a combattere nell’ambito dell’Operazione Cittadella, della quale è uno dei<br />

protagonisti (pur senza essersi mai espresso, e questo è significativo, né a favore né<br />

contro). Il Generaloberst, ormai quasi sessantenne, è a capo della 4ª Armata panzer «la<br />

più forte unità che sia mai stata affidata ad un unico comandante nell’esercito tedesco».<br />

La lotta è atroce; otto giorni di un «inimmaginabile carosello» fra centinaia e centinaia<br />

di carri armati. Il giorno 12 luglio i blindati della Guardia di Rotmistrov passano al<br />

contrattacco. Hoth è fermato. Non c’è più nulla da fare: è la fine, per «Cittadella» e per<br />

ogni rimanente speranza tedesca di potere un giorno riprendere l’iniziativa.<br />

Gli ultimi mesi dell’attività bellica di Hoth sono amari. Rimproverato da Hitler per «non<br />

avere tenuto duro a sufficienza», deve ancora subire una seconda controffensiva<br />

sovietica che il 23 agosto libera Kharkov. Siamo ormai alla battaglia del Dnepr, se il<br />

nemico riesce a varcarlo minaccia di far crollare l’intero schieramento tedesco. Il 30<br />

novembre, prendendo occasione da un ripiegamento di pochi chilometri da parte di<br />

un’unità subordinata, Hitler destituisce Hoth, senza alcun riconoscimento per l’attività<br />

svolta, e lo sostituisce col generale Rauss. Hoth mantiene a stento il diritto di indossare<br />

la divisa. La sua carriera è finita, il suo nome sparisce.<br />

Morirà quasi trent’anni più tardi, nel 1971, a Gosslar nella sua bassa Sassonia. A<br />

differenza di quasi tutti gli altri generali tedeschi, non ha lasciato interviste, memoriali,<br />

testimonianze. Ha preferito, fedele a se stesso sino in fondo, mantenere il silenzio.

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