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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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premonitori, è stata presa tatticamente alla sprovvista su tutto il fronte». Non si<br />

preoccupa che ciò smentisca brutalmente l’affermazione di Hitler che l’Unione Sovietica<br />

si apprestava essa stessa ad aggredire la Germania, ma aggiunge candidamente che in<br />

gran parte della zona di frontiera i russi non si erano nemmeno schierati per un’azione e<br />

furono travolti prima di potere organizzare qualsiasi resistenza. Il 3 luglio successivo<br />

annota: «Non è esagerato dire che il Feldzug contro la Russia è stato vinto in<br />

quattordici giorni».<br />

È l’ultima notazione pienamente ottimistica del diario di Halder. Ancora qualche mese e<br />

Halder è ormai rassegnato al peggio. Poco prima dell’esonero confiderà alle sue pagine<br />

segrete tutta la diffidenza che ormai nutriva per il «genio strategico» del Führer.<br />

Siamo ormai allo Halder filosofo, estromesso dalle sue funzioni. Esonerato dalla carica di<br />

capo di Stato Maggiore e sostituito con Kurt Zeitzler, almeno inizialmente più docile,<br />

conserva il diritto di indossare la divisa e non verrà messo definitivamente in congedo<br />

che il 31 gennaio 1945. Nel frattempo ha avuto contatti con i congiurati del 20 luglio,<br />

ma sempre con estrema cautela. Passerà qualche mese in un campo di concentramento<br />

«per le persone importanti», insieme con Schacht, ma la Gestapo tutto sommato non<br />

dubita di lui e lo rispetta.<br />

Dopo la guerra, prigioniero degli americani, lavora per loro conto a riordinare i<br />

documenti del comando supremo tedesco catturati dall’armata USA, si diletta di algebra<br />

e di botanica, scrive infine un libro di ricordi (1949) intitolato Hitler, Signore della<br />

Guerra.<br />

Poco prima di morire (si spegnerà ad Aschau, nel 1972) Halder scrive ancora un<br />

libretto, quasi in forma di testamento spirituale, dal titolo Hitler soldato del diavolo. Ma<br />

anche lui, Halder, non è stato un soldato del diavolo?<br />

Umberto Oddone<br />

Vatutin, eroe dell’Unione Sovietica<br />

Il «momento di gloria» per il generale d’armata sovietico Nikolaj Fëdorovič Vatutin si ha<br />

nel momento culminante della guerra russo-tedesca, in quella Operazione «Cittadella»<br />

che diede origine alla più colossale e nello stesso tempo classica battaglia di mezzi<br />

corazzati di tutti i tempi: in un certo istante risultano impegnati, da una parte e<br />

dall’altra, un totale di forse 4500 carri armati, Pz.Kpfw. IV, Tiger e Panther e i mostruosi<br />

Ferdinand contro i T-34 e i KV-II. È il luglio del 1943, un’estate particolarmente torrida,<br />

il campo di combattimento è una ondulata pianura a grano e girasoli. Vatutin ha avuto<br />

informazioni precise sulla «risolutiva» offensiva che Kluge e Model si apprestano a<br />

scatenare nel cosiddetto «saliente di Kursk», che è come un coltello piantato nel fianco<br />

della Wehrmacht. Chiede e ottiene via libera, almeno fino ad un certo punto, dalla<br />

Stavka e da uno Stalin sempre diffidente.<br />

In questa occasione Vatutin rivela, a giudizio concorde dei critici militari di tutti i paesi,<br />

uno straordinario senso dell’opportunità tattica. Per primo escogita la manovra di far<br />

arretrare la prima linea difensiva poche ore prima dell’attacco avversario, così che le<br />

fanterie tedesche troveranno il vuoto davanti a sé; nello stesso tempo dà il via ad una<br />

tremenda contropreparazione d’artiglieria sul raggruppamento d’assalto germanico, un<br />

martellamento che non ha confronti nemmeno nella battaglia di Berlino dell’aprile 1945.<br />

Almeno tremila bocche da fuoco si trovano schierate l’una quasi accanto all’altra,<br />

soprattutto pezzi anticarro e le temibili Katiuscie. Quindi si scaglia al contrattacco con<br />

gruppi speciali da lui ideati di cui fanno parte artiglierie da campo, semoventi, ancora<br />

Katiuscie, autocarri colmi di truppe. È una lotta feroce, che si protrae quasi senza

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