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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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di plasma che avrebbero dato loro la forza di sopportare le lunghe ore di volo fino<br />

all’ospedale base. […]<br />

Da quella prima terribile notte fino a quando, tre mesi dopo, lasciai l’isola su di un aereo<br />

da trasporto assieme ad altri ammalati e feriti, fui testimone della durissima vita e delle<br />

sofferenze di quei ragazzi che stavano combattendo una guerra in regioni tropicali, in<br />

condizioni, credo, che la mente umana non può nemmeno immaginare. Combattevano,<br />

imprecavano, e morivano nella torrida, impenetrabile giungla piena di miasmi.<br />

Giacevano in luride paludi infestate nella notte da zanzare malariche, e nel calore del<br />

giorno da nubi di mosche da cui non si potevano liberare, che ricoprivano loro volti e<br />

cibo. Dentro i loro elmetti sporchi e impregnati di sudore mangiavano carne tritata e<br />

fagioli freddi e, servendosi di vecchie scatolette vuote, bevevano del caffè bollito, o<br />

quella brodaglia che aveva nome di caffè, senza nemmeno pensare di lagnarsi.<br />

Senz’acqua per lavarsi o radersi, a volte per varie settimane, e senza calze e biancheria,<br />

gettate via da tempo perché sdrucite o troppo luride per metterle, gli uomini<br />

svilupparono ulcere dolorose e infezioni della pelle che non guarivano, e che s’iniziavano<br />

con pruriti folli ed eczemi scottanti. Ma essi non si lagnavano e non chiedevano di<br />

essere inviati in seconda linea. […]<br />

A volte variavamo la nostra misera dieta con del riso e dei germogli di bambù tolti ai<br />

giapponesi. Con l’andar del tempo odiavamo il riso quasi altrettanto quanto le facce dei<br />

giapponesi da cui lo avevamo catturato. Ma serviva a farci patire meno la fame che non<br />

ci lasciava mai. […]<br />

Gli uomini dimagrirono di 15 o 20 Kg e s’indebolirono assai. Ma le sofferenze fisiche e<br />

morali sembravano solo farli combattere con più tenacia.<br />

Di solito i casi di malaria diagnosticati da noi nelle paludi della giungla venivano inviati<br />

per riposo e cura alle compagnie mediche, dove rimanevano per 48 ore o più se<br />

necessario. Poi ritornavano in linea con le tasche piene di chinino e di atabrina e il volto<br />

cadaverico, quasi avessero un piede nella tomba.<br />

Si rannicchiavano in un ricovero infestato di ratti mentre i loro compagni facevano il loro<br />

turno di guardia sotto il sole bruciante, e portavano loro dell’acqua tratta da recipienti<br />

che scottavano al tocco per aiutarli a mandare giù il chinino. Non si lamentavano mai.<br />

Alle sette di sera cinque o sei di noialtri che non avevano altro da fare si raccoglievano<br />

nella penombra del crepuscolo proprio a tergo della linea del fronte. Avevamo un<br />

apparecchio radio nel reggimento e lo usavamo con parsimonia per captare sulle onde<br />

corte delle radiotrasmissioni dagli Stati Uniti. Sentivamo i commenti dell’annunciatore<br />

circa gli ultimi sviluppi in Africa, il quale poi passava al fronte del Pacifico e con voce<br />

grave ci comunicava che eravamo in grave pericolo e che a Washington erano<br />

preoccupati per la sorte dei contingenti americani a Guadalcanal. Non era impossibile,<br />

aggiungeva l’annunciatore, che le posizioni dell’isola si dovessero abbandonare. Queste<br />

parole venivano accolte con grandi risate di scherno, e qualche fante da sbarco alzava<br />

la voce per dire: «Ma senti un po’! Mondo boia! Ma non sanno che ci siamo noi, qui?».<br />

Durante l’ottobre gli attacchi nipponici in terra, sul mare e dall’aria, aumentarono di<br />

violenza. Gli aerei nipponici che non si erano fatti vedere per alcune settimane<br />

cominciarono ad apparire a mezzogiorno con precisione cronometrica. Il 13 di ottobre ci<br />

rendemmo conto che miravano ad abbattere il nostro morale e a distruggere il campo di<br />

atterraggio e i nostri aerei, come preparazione ad un’operazione importante e forse ad<br />

un attacco decisivo. […]<br />

Verso le 10 ci giunsero le sconcertanti notizie di ciò che era accaduto durante la notte.<br />

Vicino a Capo Éspérance erano giunte 4 navi giapponesi per il trasporto di truppe<br />

circondate da chiatte da sbarco. I nostri aerei le avevano attaccate, le navi erano in

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