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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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come direbbero i marinai. Cinque divisioni rapide, al comando di Hoth, muovono verso<br />

nord: sono le corazzate 48ª e 57ª e le SS «Leibstandarte», «Das Reich» e «Tötenkopf».<br />

La situazione si capovolge. Come riconosce lo storico sovietico Platonov, la Stavka ha<br />

commesso un errore grossolano: aveva creduto che i germanici avrebbero ripassato il<br />

Dnepr e che la vittoria dell’Armata Rossa fosse ormai arrivata alla fase dello<br />

sfondamento.<br />

La controffensiva tedesca è sferrata di sorpresa e con estrema violenza. Forse per<br />

l’ultima volta sul fronte russo i generali della Wehrmacht danno prova di tutta la loro<br />

maestria nel coordinare i movimenti. Il 1° marzo viene allontanata ogni minaccia verso<br />

il Dnepr, 23.000 cadaveri russi vengono contati sul campo di battaglia, 615 carri e 354<br />

cannoni catturati. C’è tuttavia, per i tedeschi, una nota preoccupante: fanno soltanto<br />

seimila prigionieri; i russi muoiono, se necessario, ma non si arrendono più. Ora è la<br />

volta di Kharkov. Su ordine perentorio di Hitler (Manstein avrebbe preferito fermarsi)<br />

Hoth accerchia la città e la riconquista con la divisione «Grossdeutschland», che<br />

macchia la sua vittoria scatenando nella città espugnata un brutale massacro di civili<br />

con spaventose vendette. Il fronte tedesco è riportato sul Donetz fino ai sobborghi di<br />

Vorošilovgrad e sul Mius fino a Taganrog. Soltanto la tregua del fango separa i<br />

combattenti e arresta la lotta.<br />

Questa la situazione agli inizi del 1943 sul fronte orientale. Dall’operazione difensiva e<br />

controffensiva di Kharkov il feldmaresciallo Manstein trae una conclusione: se non c’è<br />

un gelo eccessivo e se i rifornimenti affluiscono dalle retrovie con il ritmo necessario, la<br />

Wehrmacht è ancora imbattibile anche dal colosso sovietico grazie alla superiorità che il<br />

vecchio Stato Maggiore prussiano, e i giovani ufficiali inferiori delle nuove leve,<br />

conservano in fatto di manovra, di movimento, di comunicazioni, di addestramento. I<br />

tedeschi, pensa ancora Manstein, hanno anche un inestimabile vantaggio, quello di<br />

combattere sul suolo nemico. Per questa ragione le città perdute, le terre abbandonate<br />

non hanno alcuna importanza. Forse un’offensiva totale su tutto il fronte, come quella<br />

tedesca del 1941 con la marcia su Leningrado e poi su Mosca, o anche quella del 1942<br />

con la puntata sul Caucaso, non è più alla portata delle forze germaniche. Ma ciò,<br />

argomenta sempre Manstein, non vuol dire avere perso la guerra.<br />

Hitler si illude ancora<br />

Se è vero che la difensiva statica, su un fronte impossibile a guarnire con forze<br />

sufficienti, condannerebbe i tedeschi a subire la superiorità materiale del nemico, per di<br />

più rafforzato continuamente dagli aiuti anglo-americani, è anche vero che la sola<br />

strategia decisamente risolutiva a favore dei tedeschi è la difensiva-controffensiva,<br />

fondata sulla replica, sulle manovre fulminee e sul gioco delle riserve. Si impone<br />

comunque, a questo scopo, un raccorciamento spericolato del fronte, il ripiegamento<br />

sulla linea della Duma e del Dnepr. È un prezzo assai elevato, che implica l’abbandono<br />

della parte industriale e mineraria dell’Ucraina, l’evacuazione di tutta la Russia centrale<br />

e degli avamposti di Leningrado: lasciare cioè il nichel, il molibdeno, il grano, il<br />

bestiame, il ferro e accantonare per sempre ogni speranza di ritornare in vicinanza dei<br />

campi petroliferi del Caucaso.<br />

È questo il grande dilemma che si pone al dittatore nazista: ritirarsi nella Russia<br />

sovietica di quel tanto che possa essere necessario per costituire un fronte così stabile<br />

da poterlo difendere con forze relativamente ridotte (e questa è la soluzione invocata<br />

non solo da Mussolini, che nei suoi messaggi a Hitler insiste quasi pateticamente su

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