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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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due avversari si limitano a sorvegliarsi, i tedeschi avviano in questa zona le divisioni<br />

logorate per riequipaggiamento e riposo, i russi se ne servono come campi di<br />

addestramento per le nuove unità e per i rincalzi che arrivano dall’Asia centrale e dalla<br />

Siberia.<br />

Ma a Sud la situazione è ben diversa. Da Orel a Kursk a Harka a Stalino a Rostov sul<br />

Don, nella pingue Ucraina dalla bella terra nera, dove i fiumi si succedono da ovest a<br />

est come altrettanti bastioni mobili, là si è combattuto per tutto l’autunno e si combatte<br />

ora d’inverno. I generali tedeschi, almeno quelli superstiti, nelle loro dichiarazioni del<br />

dopoguerra attribuiscono volentieri a Hitler tutte le responsabilità e parlano di<br />

Stalingrado come di un disastro che si sarebbe potuto evitare. In parte è così, senza<br />

dubbio, ma è anche certo che l’ordine di Hitler di restare ad ogni costo nella cittàsimbolo<br />

di Stalin, di tenere ad ogni costo la linea del Volga, ha contribuito a logorare<br />

tante unità sovietiche da renderle incapaci di conseguire il loro più grande scopo:<br />

chiudere la breccia di Rostov, eliminare tutte le forze tedesche del Caucaso.<br />

Ai primi del febbraio 1943 Hitler intraprende una vasta opera di riorganizzazione delle<br />

sue armate. Per prima cosa ha luogo una lunga conversazione con Manstein, mandato a<br />

prendere direttamente al suo comando di campo con il quadrimotore personale<br />

«Condor» del Führer: questi è cortese, non muove alcun rimprovero (a proposito di<br />

questa insolita gentilezza di Hitler, Jodl disse che «quando il Führer voleva, era in grado<br />

di tubare come una colomba») anzi si rammarica di non avere potuto affidare al suo<br />

feldmaresciallo le divisioni supplementari che questi richiede. Poi passa alle cose serie,<br />

gli ordina di non ritirarsi dal bacino orientale del Donetz tranne qualche lievissimo<br />

eventuale movimento di rettifica (e Manstein approfitterà ampiamente di questo<br />

«tranne») e gli spiega le sue intenzioni non soltanto dal punto di vista strettamente<br />

militare, ma anche economico e politico. Manstein, forse il più dotato dei condottieri<br />

tedeschi della Seconda Guerra Mondiale, è conquistato. Tenta allora, durante una<br />

colazione consumata a quattr’occhi, di esporre una sua vecchia idea, quella di far<br />

nominare un unico comandante supremo per l’intero fronte orientale, un comandante di<br />

cui Hitler possa fidarsi pienamente, e pone, con tutta evidenza, la propria candidatura.<br />

Ma il dittatore nazista da questo lato non ci sente. Spiega (e l’episodio si ripeterà un<br />

anno più tardi, sempre a proposito d’un comandante in capo sul fronte russo, con un<br />

altro generale, Heinz Guderian) che ha designato Göring come suo successore e che<br />

quindi non può anteporgli un altro, e del resto nessun maresciallo saprebbe farsi<br />

ubbidire come lui stesso, il Führer. Comunque Manstein stia certo, gode la piena fiducia<br />

del Führer, vedrà che in futuro le cose andranno meglio.<br />

Ritorna Guderian<br />

Rinsaldato così un pochino il vacillante morale del suo feldmaresciallo numero uno,<br />

Hitler passa ora ad un compito più arduo, quello di mettere ordine nella questione dei<br />

carri armati. La situazione, dinanzi alle crescenti esigenze di un fronte sterminato,<br />

appare assai pesante. Per quanto riguarda l’equipaggiamento in mezzi corazzati, i<br />

tedeschi possono ancora contare soltanto sui Pz.Kw. III e Pz.Kw. IV che sono, il primo<br />

in linea assoluta e il secondo sotto molti aspetti, inferiori al russo T-34. Ora vengono<br />

approntati due nuovi tipi di carri, il Tiger da sessanta tonnellate, e un più piccolo carro<br />

armato «tuttofare», designato come Panther, da 45 tonnellate. I piani per un altro carro<br />

leggero da ricognizione, detto Leopard, non supereranno mai lo stadio del prototipo.<br />

Così pure non si realizzeranno più di novanta esemplari dei colossali carri Ferdinand, o

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