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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Capitolo cinquantaduesimo<br />

La battaglia per Kursk<br />

Quattro luglio 1943: sul fronte centro meridionale russo, nella sterminata pianura<br />

appena ondulata tra Dnepr e Don, tutta a campi di segala e fiori di girasole a perdita<br />

d’occhio, in quella ristretta zona che passerà alla storia come «saliente di Kursk» quasi<br />

esattamente a metà strada tra Mosca e Rostov sul Don a poche miglia dal mare d’Azov,<br />

ha inizio con un fragore di tuono la più grande battaglia di mezzi corazzati che il mondo<br />

abbia mai visto, uno scontro frontale tra i due eserciti – la Wehrmacht e l’Armata Rossa<br />

– che si contendono in ultima analisi il dominio del pianeta Terra. È una lotta spietata e<br />

implacabile che vede – dopo il tragico inverno del 1941-42 alle porte di Leningrado e di<br />

Mosca, e l’altrettanto drammatico inverno del 1942-43 con i disastri tedeschi di<br />

Stalingrado e del Caucaso – l’estremo sussulto della macchina bellica nazista.<br />

Rispetto agli anni precedenti c’è una grossa differenza: questa volta non c’è il fango<br />

autunnale a impantanare i carri germanici, non c’è il freddo siberiano a gelare i<br />

lubrificanti e a bloccare le mitragliatrici. Questa volta è piena estate, la superiorità<br />

tecnica e di addestramento dei tedeschi è ancora indiscutibile, la volontà di Hitler<br />

imperiosa, l’armamento rinnovato e potenziato dal nuovo ministro della Produzione<br />

Bellica Albert Speer, promosso da architetto di corte a supremo artificiere del Terzo<br />

Reich, in una misura che stupirà gli studiosi del dopoguerra.<br />

Nella sola prima ondata offensiva Manstein e Kluge lanciano contro i due lati del saliente<br />

almeno duemila carri e i bombardieri dalla grande croce nera colpiscono a tappeto la<br />

prima linea nemica. Eppure tutto è inutile, i sovietici si aspettano l’attacco, anche grazie<br />

alle informazioni ottenute dal loro servizio spionistico tramite l’agente «Lucy» in Svizzera<br />

e hanno preparato le loro contromisure; si aggrappano al terreno (al massimo, sotto i<br />

più violenti colpi di maglio degli assalitori, si ritirano per venticinque-trenta chilometri) e<br />

dopo meno di due settimane sono in condizioni di passare essi stessi all’offensiva. Tutto<br />

ciò mentre, a duemila chilometri di distanza e su tutt’altro fronte, gli anglo-americani<br />

invadono la Sicilia e Mussolini viene rovesciato dai suoi stessi seguaci. Per il solitario di<br />

Berchtesgaden, perduto in allucinati sogni di dominio mondiale, è la grande svolta,<br />

l’inizio della fine. La guerra durerà ancora quasi due anni, ma ormai è il riflusso, la belva<br />

nazista è condannata a morire.<br />

Torniamo indietro di qualche mese con il nostro racconto e cerchiamo di fare il punto<br />

sulla situazione del fronte orientale alla fine della campagna invernale 1942-43, quando<br />

Paulus si è appena arreso con i novantamila superstiti della 6ª Armata (ne torneranno in<br />

Germania dalla prigionia non più di cinquemila) e quando le forze di List, e poi di Kleist,<br />

hanno ormai dovuto abbandonare le lontane pendici del Caucaso con i preziosi pozzi<br />

petroliferi.<br />

In quelle prime settimane del 1943 il fronte appare decisamente stabilizzato per oltre<br />

metà della sua lunghezza. Dall’estremo nord dell’Artico al Baltico dove i tedeschi<br />

seguono con i loro telemetri le linee del perimetro d’assedio a Leningrado, via via verso<br />

il lago Ilmen e le foreste di pini da Ržhev fino a Orel, il fronte tedesco non ha subito<br />

mutamenti di rilievo in dodici mesi: i soldati sono accasermati in baracche di legno che<br />

riescono a scaldare a sufficienza con semplici stufe, i cannoni sono sistemati su<br />

postazioni di cemento, con i campi di tiro ben delimitati, la posta arriva regolarmente. A<br />

parte le costanti insidie dei partigiani il fronte è tutto sommato abbastanza tranquillo. I

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