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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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ifugiandosi nel mio, è l’affermazione nonostante il momento di una affermata fede, di<br />

una certa convinta fede.<br />

Il deserto era alle spalle, la pista incerta e dirotta s’era persa fra il vortice della polvere;<br />

la Balbia c’inghiaiava e sopportava penosamente sul suo candido dorso i pesanti veicoli<br />

carichi di corpi e di armi. Ecco la Balbia!<br />

Oh tu Balbia cara che ci vedesti la prima volta partire per le incerte piste della<br />

Marmarica, tu che ci vedesti passare cantando e sorridenti, ci salutasti, ci desti il tuo<br />

augurio. Allora ti abbandonammo e andammo là; dove un pozzo diroccato e secco,<br />

dove un pugno di sabbia e lentischio prendeva il nome di Bir el Gobi. Là molti restarono,<br />

intorno a quel pozzo molte croci sfidano il ghibli: il freddo e l’impeto del nemico.<br />

Ritornammo a te dopo la prima prova: e cosa ci dicesti?… Ci contavi, non eravamo più i<br />

duemila di qualche mese prima, eravamo in meno: ma ci vedesti passare cantando<br />

come allora.<br />

Un piccolo villaggio ci aprì le sue porte, là ci riorganizzammo, ci ripulimmo, e dopo<br />

ripartimmo ancora per quelle vie che mai più abbandonammo. Tu ci sorridesti, cara<br />

Balbia.<br />

Scorrevamo sulla tua lunga schiena ed eri felice, rivedevi i tuoi giovani, e quando<br />

inforcammo la solita polverosa pista della Marmarica ci salutasti. Ciao mia Balbia, ciao,<br />

Da allora fu un susseguirsi di piste, il Sahara, la Sirte sempre deserta, ovunque deserto.<br />

Ed eccoci infine sbucare quasi improvvisi sulla Balbia che mai dimenticammo. Non era<br />

più la stessa, essa era triste. Migliaia e migliaia di macchine scorrevano veloci sul suo<br />

dorso, ed essa buona e caritatevole sopportava il pesante fardello, non ci guardò e noi<br />

ce ne accorgemmo: anch’essa era triste quanto noi. Per l’ultima volta le nostre ruote<br />

solcavano le sue spalle, poi quelle del nemico.<br />

Era una mattina opaca: il sole si era nascosto dietro fitte nubi, quando dall’alto del<br />

camion, avvolto in una pesante coperta, mi apparve la bianca città di Tripoli. Chiusi gli<br />

occhi, e li riaprii quando già appariva incerta all’orizzonte. Ciao Balbia, Ciao Tripoli, a te<br />

torneremo, un giorno torneremo a scorrere sul tuo dorso, non è così? E la Balbia parve<br />

risponderci: Si! ed ora essa sopporta penosamente la prepotente presenza del nemico.<br />

Mi strinsi ancora più sotto la mia coperta poiché un brivido immenso m invase tutto il<br />

corpo. Tripoli sparì all’orizzonte.<br />

Torneremo a te. Altri morti ti daremo: altro sangue ti daremo. ma torneremo alle tue<br />

sabbie aride, ma sempre care e indimenticabili al nostro cuore.<br />

Cala il sipario sulla Tunisia<br />

La resa di von Sponeck a Freyberg suggella la fine dei combattimenti<br />

in Tunisia e in tutt o il Nord Africa<br />

L’inviato del londinese Daily Express, Alan Moorehead, così descriveva ai suoi lett ori, il<br />

14 maggio 1943, l’«atto ultimo, scena ultima» della campagna di Tunisia con la resa di<br />

von Sponeck.<br />

Mi ero aspettato di vedere finire la guerra in Africa con una strage gigantesca […].<br />

Invece, le scene pacifiche, sorridenti, con cui il dramma terminò, furono quasi l’opposto.<br />

Per la sola armata britannica, i medici avevano previsto seimila tra morti e feriti<br />

nell’ultimo attacco che doveva sfondare la linea nemica, Sorprendentemente, furono<br />

soltanto duemila.

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