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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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la tenevano tenacemente nonostante i disperati tentativi dei giapponesi per riprenderne<br />

possesso. Eravamo preoccupati per la sorte di queste unità che si riteneva avessero<br />

quasi completamente esaurite le munizioni e i rifornimenti di viveri.<br />

Dalle stipate e afose stive della nave emersero i fanti da sbarco, coperti di sudore, felici<br />

di essere alfine alla vigilia dell’azione. Servendoci delle grandi reti che pendevano dai<br />

fianchi della nave scendemmo nelle beccheggianti chiatte da sbarco che ci<br />

trasportarono a gruppi ordinati fino alla bianca spiaggia lontana.<br />

Con l’acqua fino alle anche scendemmo a terra, aprendoci un varco tra gli intricati<br />

sbarramenti di filo spinato.<br />

Sembrava un incubo. La piantagione di noci di cocco, un tempo bellissima, che<br />

adornava la graziosa insenatura dove giaceva la spiaggia, era stata lacerata e dilaniata.<br />

Profonde trincee serpeggianti intersecavano il terreno e sull’orlo della giungla si<br />

potevano scorgere a malapena piazzamenti di cannoni mimetizzati, e ricoveri rinforzati<br />

con stuoie giapponesi e sacchetti di sabbia. Sparsi nella piantagione sconvolta,<br />

s’intravedevano i relitti anneriti di velivoli Zero che erano precipitati ed erano stati<br />

divorati dalle fiamme assieme ai loro piloti. La spiaggia era seminata di chiatte da<br />

sbarco e di autocarri nipponici semidistrutti.<br />

Popolavano questa scena di morte fanti da sbarco con le barbe lunghe, e il volto solcato<br />

dalle privazioni, che ci accolsero senza tradire la loro emozione.<br />

Quando scese la notte ci rannicchiammo in buche assai addentro nella piantagione.<br />

Eravamo stanchi e spossati. Era stata comunicata la parola d’ordine e le sentinelle<br />

erano ai loro posti. […]<br />

Poco dopo mezzanotte udimmo l’inquietante ronzio di alcuni aerei nemici e fissammo la<br />

nostra attenzione sulle impalpabili onde sonore che ci giungevano dal cielo. Poi vi fu<br />

silenzio. I piloti avevano spento i motori e gli aerei stavano piombando su di noi.<br />

Improvvisamente sganciarono il loro carico; non bombe ma razzi illuminanti. E<br />

istantaneamente la piantagione fu illuminata da una fantastica luce verde.<br />

Tuttavia l’attacco non ci giunse dal cielo come avevamo previsto, ma dal mare. Lì al<br />

largo, dove le nostre navi, nella mattinata illuminata dal sole, avevano gettato l’ancora<br />

senza cercare di nascondersi, cacciatorpediniere giapponesi stavano ora navigando<br />

silenziosi nella notte. Ancora prima che i loro razzi avessero toccato il suolo, i<br />

giapponesi aprirono il fuoco e le loro artiglierie ruggirono e lacerarono la notte con<br />

lampi ed esplosioni.<br />

Tutto attorno a noi sibilavano i proiettili, esplodendo tra gli alberi e crivellando di<br />

spezzoni il terreno e le buche in cui giacevamo rannicchiati. Le coperte e i ponchos in<br />

cui si erano avvolti gli uomini che tentavano di dormire vennero strappati. Alcuni<br />

proiettili perforanti fischiarono sopra le nostre teste e andarono a cadere sulla pista di<br />

decollo del campo Henderson. Alcuni caddero pericolosamente vicini ai depositi di<br />

munizioni situati a qualche centinaio di metri di distanza. Gli alberi venivano tagliati a<br />

mezzo e potevamo udire le grida degli uomini colpiti dalla micidiale pioggia d’acciaio.<br />

Nella notte risuonava ferma la voce del nostro comandante di battaglione, il tenente<br />

colonnello Puller, che nel rombo del bombardamento ordinava ai suoi uomini di<br />

rimanere quieti e distesi al suolo.<br />

Finalmente tornò la calma. I giapponesi avevano sparato il loro ultimo proiettile e ci<br />

lasciarono attendere ai nostri morti. Nel chiarore lunare il dottor Shuster ed io ci<br />

levammo e ci aggirammo tra gli uomini storditi, cercando di dare aiuto ai feriti.<br />

Ne visitammo e aiutammo quanti più possibile, e, servendoci delle baionette come di<br />

stecche, immobilizzammo braccia e gambe rotte e cercammo di metterli nella più<br />

comoda posizione possibile. L’indomani, alla luce del giorno, sarebbero stati trasportati<br />

all’ospedaletto da campo e nei ricoveri, dove al riparo avrebbero ricevuto delle iniezioni

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