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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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paraurti contro paraurti. Formavano due o tre file lungo la strada; sugli automezzi i fanti<br />

stavano sdraiati sul loro equipaggiamento e avevano fatto un mucchio dei fucili, come<br />

se la guerra fosse già finita». Mancano, ormai, pochi chilometri a Tunisi.<br />

«Al chilometro nove», racconta Alan Moorehead, «Tunisi ci si spiegò finalmente davanti:<br />

l’ampia baia fiancheggiata dalle montagne, e la città, una delle più grandi dell’Africa,<br />

non molto danneggiata dalle bombe ma punteggiata in quel momento dal fumo di<br />

grossi incendi». L’arrivo degli Alleati è talmente improvviso che i tedeschi sono ancora<br />

per le vie della città, a passeggio con la ragazza o seduti ai tavolini dei caffè. Nessuno,<br />

nella confusione, li ha avvertiti che il nemico era alle porte. «Tunisi cadde quella notte,<br />

così. Qua e là un tedesco, con disperato coraggio, vuotò il caricatore del fucile per la<br />

strada o lanciò un paio di bombe a mano. Ma tutti i soldati di guarnigione a Tunisi<br />

furono colti completamente di sorpresa. Ed erano migliaia».<br />

Intanto, fuori città, il fronte italo-tedesco ha ceduto anche ad ovest e a nord della valle<br />

del Megerda. Gli americani stanno facendo migliaia di prigionieri. Da Tunisi la 7ª<br />

Divisione corazzata opera una conversione verso nord e si getta all’inseguimento del<br />

suo vecchio nemico, la 15ª Divisione Panzer, lungo la litoranea fino a Biserta. Fallito il<br />

tentativo di prendere il mare, i tedeschi si arrendono. A Pont du Fahs anche i francesi<br />

hanno sfondato il fronte. Solo l’8ª Armata, sulla costa, è ancora impegnata in furiosi<br />

combattimenti nella zona di Enfidaville.<br />

Il grosso delle forze di von Arnim rifluisce nella penisola di Capo Bon. Qui dovrebbe<br />

organizzarsi l’ultima resistenza, per consentire l’evacuazione dei superstiti. Proprio per<br />

impedire l’attuazione di tale progetto i comandanti delle forze alleate, con una mossa<br />

audace e tempestiva, decidono di tagliare in due l’Armata tedesca impossessandosi,<br />

prima di von Arnim, della linea collinare Hamman Lif-Hammamet, alla base della<br />

penisola di Capo Bon, lungo la quale, appunto, il nemico contava di attestarsi. In dieci<br />

ore la 6ª Divisione corazzata riesce nell’intento. «Passarono rombando», ricorda<br />

Moorehead, «accanto ad aeroporti tedeschi, officine, depositi di carburante e di<br />

munizioni, e piazzole di artiglieria. Non si fermarono a fare prigionieri: l’obiettivo era<br />

ben altro. Una cometa che avesse attraversato la strada a precipizio non avrebbe creato<br />

più scompiglio».<br />

L’obiettivo era evidente: fiaccare il nemico, togliergli bruscamente l’illusione di poter<br />

organizzare l’ultima resistenza. Fu raggiunto. Diviso in varie sacche, rimaste isolate e<br />

senza ordini, l’esercito tedesco si sfasciò. Il 10 maggio, spontaneamente, un’intera<br />

Armata deponeva le armi. Il giorno dopo c’era ancora un grosso nucleo di resistenza sui<br />

monti tra Zaghouan ed Enfidaville. Nel pomeriggio, però, giungeva a Tunisi una notizia<br />

sensazionale: von Arnim era stato catturato vicino all’aerodromo di Sainte Marie du Zit e<br />

aveva chiesto la resa. Gli italiani, presi tra due fuochi, erano rimasti soli a combattere.<br />

Messe rifiutò l’intimazione di resa fino a quando gli giunse dall’Italia, con la nomina a<br />

maresciallo, l’ordine di cessare il fuoco. «Così, con un ultimo sprazzo di valore militare»,<br />

commenta lo storico Roberto Battaglia, «ebbe definitivamente fine la presenza coloniale<br />

italiana in Africa».<br />

Alle otto meno otto del 12 maggio 1943 cessa in tutto il continente la resistenza delle<br />

forze dell’Asse. La sua avventura africana è conclusa. Circa 250.000 soldati, 100.000 dei<br />

quali italiani, s’incolonnano per dirigersi verso i campi di prigionia.

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