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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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a circa quota 1500, con le fusoliere prive di mimetizzazione e luccicanti al sole: gli<br />

«Zero», in formazione scalata, proteggono i due bombardieri in testa e in coda.<br />

L’inutile tentativo del pilota giapponese di sfuggire ai «P-38»<br />

Due «P-38» – quelli di Lanphier e del sottotenente Rex Barber, ventisettenne, da<br />

Culver, Oregon – partono immediatamente all’attacco cabrando a piena potenza,<br />

mentre Mitchell s’incarica di provvedere a neutralizzare gli «Zero». Per i primi istanti i<br />

giapponesi non si accorgono della presenza del nemico e proseguono nella rotta; poi, il<br />

luccicare dei serbatoi supplementari sganciati dagli americani per alleggerirsi e iniziare il<br />

combattimento, richiama l’attenzione degli «Zero» che rompono la formazione e si<br />

dispiegano avventandosi sull’avversario. All’allarme il bombardiere di Yamamoto compie<br />

una secca virata a sinistra e «picchia» verso terra, in direzione dell’aeroporto di Buin,<br />

sulla punta estrema di Bougainville: in pochissimi secondi perde oltre mille metri di<br />

quota. Lanphier, che s è messo in volo rovesciato per osservare la scena, lo nota<br />

sgattaiolare all’altezza delle cime degli alberi, lungo il filo della costa.<br />

Incurante di due «Zero» che gli stanno piombando addosso, Lanphier si mette in coda<br />

al bombardiere e apre il fuoco con le mitragliatrici di bordo: l’ala destra del «Betty»<br />

giapponese si stacca e precipita: il velivolo, in fiamme, sorvola lentamente la costa e si<br />

inabissa nella vegetazione, a venti chilometri da Buin. Anche l’altro bombardiere è<br />

colpito e si sfascia nell’oceano; tre «Zero» lo seguono nella stessa sorte mentre uno<br />

solo dei sedici «P-38», quello di Ray Hine, non rientrerà alla base di Guadalcanal.<br />

Per ragioni diverse, né i giapponesi né gli americani diedero notizia, il giorno dopo, della<br />

morte di Yamamoto. I giapponesi preferirono evitare un colpo al morale della nazione e<br />

soltanto un mese più tardi, il 21 maggio, un breve comunicato radio annunciò che<br />

l’ammiraglio aveva trovato «gloriosa morte a bordo di un aereo militare». Il 5 giugno<br />

Yamamoto ebbe funerali di stato e fu sepolto in un piccolo tempio buddhista alla<br />

periferia di Nagaoka: secondo le sue ultime volontà, la lapide fu di umile pietra e venne<br />

tagliata tre centimetri più corta di quella di suo padre, seppellito nello stesso luogo. Gli<br />

americani tacquero su Yamamoto sino alla fine della guerra: volevano custodire il<br />

prezioso segreto della «camera nera» e continuare a decifrare i codici nemici, cosa che<br />

avvenne.<br />

Giuseppe Mayda<br />

L’inferno di Guadalcanal<br />

A Guadalcanal i marines devono combattere, oltre che contro i giapponesi,<br />

anche per la loro sopravvivenza<br />

«Guadalcanal l’isola di febbre e di sangue». Con questo titolo comparve sull’’Harper’s<br />

Magazine, all’inizio del 1943, un articolo-testimonianza del tenente di vascello Edward<br />

Lincoln Smith, della marina degli Stati Uniti.<br />

A metà settembre del 1942 mi trovavo a bordo di una nave diretta a Guadalcanal.<br />

Nell’oscurità che precede l’alba ci stavamo addentrando silenziosamente nel Canale di<br />

Sealark. Al di là della stretta distesa di acque nerastre giaceva l’isola misteriosa. Stavo<br />

sulla tolda con altri ufficiali e fissavo ansiosamente l’ombra oscura che lentamente<br />

emergeva dalla notte fredda, e due velivoli solitari che ripetutamente sorvolavano la<br />

spiaggia sulla quale dovevamo sbarcare.<br />

Nostro obiettivo era Guadalcanal. Dovevamo scendere a terra per rinforzare i<br />

contingenti della marina da sbarco che avevano conquistato l’isola il mese prima, e che

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