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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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sbiaditi, delle pentole e delle padelle annerite e di tutti gli altri arnesi che si portavano<br />

dietro nei veicoli che erano la loro casa. Ben pochi avevano l’elmetto, e camminavano<br />

con un passo piuttosto strascicato e dondolante, al quale si erano abituati nei lunghi<br />

mesi di vita all’aperto, completamente diverso da quello delle truppe che avevano fino<br />

allora combattuto tra le colline, con indosso le loro pesanti uniformi da campo».<br />

L’attacco alla linea di Enfidaville comincia nella notte tra il 18 e il 19 aprile. Il villaggio<br />

costiero cade quasi subito. Più oltre, invece, tra le aspre colline dove si è trincerato il<br />

nemico in ritirata, gli attaccanti si trovano in difficoltà. Concentratesi nell’ultimo lembo<br />

della Tunisia, le residue forze dell’Asse hanno occupato tutti i passi montani. E le valli<br />

sono troppo strette per consentire ai carri armati di eseguire la loro consueta manovra<br />

di sfondamento.<br />

A sbarrare la strada per Tunisi sorge, nella valle del Megerda, un colle che, sulle carte<br />

geografiche alleate, è indicato col nome di Longstop. Nei suoi fianchi tedeschi e italiani<br />

hanno scavato profonde trincee, protette da vasti campi minati. Il 23 aprile 1943<br />

Alexander lancia la 78ª Divisione in un attacco frontale contro Longstop. La battaglia<br />

infuria per tre giorni. Sfiniti dalla fatica e dalla mancanza di sonno, gli uomini si reggono<br />

in piedi a malapena. Metro per metro, però, con l’appoggio dell’aviazione e di un intenso<br />

fuoco di artiglieria, raggiungono la cima. «Era inutile volerseli rappresentare», racconta<br />

Alan Moorehead, che passò insieme a loro quei giorni decisivi, «come giovani eroi<br />

immacolati e gloriosi, pieni di entusiasmo per la causa. Avevano visto troppa sporcizia e<br />

troppe atrocità. Odiavano la guerra. Combattevano perché facevano parte di un<br />

sistema. Non avevano un gran concetto della gloria. Molti che a casa parlavano con<br />

emozione dei “nostri ragazzi” sarebbero rimasti sbalorditi dal modo di pensare di quei<br />

“ragazzi”. Li avrebbero giudicati dei poco di buono. Questo perché la gente, in patria,<br />

non si rende conto del carattere degradante della guerra; solo chi ha passato mesi in<br />

trincea o è stato impegnato in combattimenti aerei o sul mare può capirlo».<br />

L’urto congiunto dell’8ª Armata di Montgomery e della 1ª Armata americana di<br />

Eisenhower sta diventando irresistibile. Su un fronte di circa duecento chilometri gli<br />

americani premono verso Mateur, gli inglesi lungo la valle del Megerda e a Enfidaville, i<br />

francesi a Pont du Fahs. Tra il 5 e il 6 maggio la situazione precipita. Preceduti da un<br />

intenso fuoco di artiglieria (cadeva, riferiranno i testimoni, una granata ogni cinque<br />

metri, a intervalli di pochi secondi) e protetti dall’aviazione, gli inglesi sfondano le linee<br />

tedesche aprendovi finalmente una breccia. Nel varco si gettano i carri della 6ª e 7ª<br />

Divisione corazzata. «Fu come aprire gli sbarramenti di una diga», scrive Moorehead.<br />

«Quell’enorme processione di lucertole d’acciaio avanzò a venti, cento per volta,<br />

rombando e sussultando, lungo la strada di Tunisi».<br />

Gli Alleati entrano a Tunisi<br />

La mattina del 7 maggio 1943 la valle del Megerda è un fiume ininterrotto di automezzi<br />

militari. Passano, in una nuvola di polvere che posandosi sulle colline soffoca il loro<br />

verde in un grigio uniforme, i carri armati con i cannoni a rimorchio, i camion carichi di<br />

munizioni e di carburante, i carri attrezzi e i veicoli delle officine mobili, le jeep e le auto<br />

dei comandi. «Il generale Alexander, a bordo di una jeep, ci superò velocemente nelle<br />

vicinanze di un ponticello», ricorda ancora Moorehead. «Viaggiava ad una velocità quasi<br />

folle, stringendo il volante con le mani, la faccia bianca di polvere come un garzone di<br />

fornaio». L’avanzata verso Tunisi si sta trasformando in una marcia trionfale. «Già molti<br />

chilometri prima di Furna», scrive il corrispondente di guerra, «i veicoli viaggiavano

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