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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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e attaccò col cannone, col siluro, con le mitragliere. Scoperto, fatto segno al fuoco delle<br />

artiglierie degli incrociatori, colpito due volte, aveva proseguito nell’azione. Giunse a<br />

distanza ravvicinatissima, mentre contro di lui si accanivano tutte le armi avversarie,<br />

lanciò gli ultimi siluri che aveva ancora a bordo […]. Vedemmo il Folgore in fiamme con<br />

incendi che avvampavano la poppa e la prora, ma lo vedemmo combattere ancora<br />

crivellato da proiettili di ogni genere […]. Affondò ma il suo ultimo cannone smise di<br />

sparare quando il mare si chiuse sul ponte di coperta dell’unità […]. Da Recco giunse in<br />

vista della mischia mentre l’azione raggiungeva il suo parossismo. Non volli aprire il<br />

fuoco subito per conseguire una posizione che mi consentisse di lanciare i siluri con la<br />

quasi sicurezza di colpire. Volevo essere sicuro che le armi non fallissero il bersaglio;<br />

volevo che il mio intervento non solo valesse ad alleggerire la pressione che s’esercitava<br />

su quel mio compagno che combatteva con tanto impegno ma volevo che fosse<br />

decisamente risolutivo. Non era soltanto un gesto che io volevo compiere: era un’azione<br />

che doveva portare a un risultato effettivo.<br />

Ero incollato al traguardo situato sul ponte di comando, quello per il lancio notturno, e<br />

mi accorsi che guadagnavamo verso la testa del nemico. I tubi di lancio erano<br />

brandeggiati. La distanza ormai scesa a circa duemila metri, ma il nemico non si era<br />

accorto del Da Recco tutto preso com’era a finire il Folgore. E qui la sorte si volse<br />

improvvisa contro di noi. L’imponderabile fu rappresentato da un po’ di nafta raccolta in<br />

un fumaiolo per una imperfetta tenuta di una valvola di intercettazione. Questa nafta<br />

prese d’un tratto improvvisamente fuoco. Dal fumaiolo eruppe un’alta colonna di<br />

fiamme.<br />

Eravamo a meno di duemila metri dal nemico e fummo immediatamente centrati.<br />

Accostai subito per disorientare il nemico e mettermi nello stesso tempo sull’angolo di<br />

mira e quindi lanciare tutti i siluri. Dopo pochi secondi dalla prima salva, caduta in mare,<br />

una ne giunge a bordo. Colpisce con due granate il complesso binato numero uno, con<br />

altre due il deposito di munizioni di prora che prende fuoco deflagrando<br />

spaventosamente. E questo è tutto.<br />

Sul ponte di comando s’avventa un’enorme lingua di fuoco che investe e ustiona tutti<br />

coloro che trova al suo passaggio, che sconquassa le trasmissioni di ordini, che recide i<br />

collegamenti acustici e telefonici col resto della nave.<br />

Gravemente ustionato, senza più coadiutori (coloro che mi erano vicini erano rimasti<br />

uccisi o feriti) non potei dare alcun ordine immediato […]. Il nemico non si curò più<br />

oltre di noi. Ci lasciò bruciare convinto che a finirei sarebbe stato l’incendio e s’allontanò<br />

velocemente.<br />

Grazie al sacrificio di Da Recco e Folgore altri tre convogli quella notte si salvarono; il<br />

convoglio “H” fu invece interamente colato a picco».<br />

Tunisia: ultimo atto<br />

Questa, dal novembre 1942 al maggio 1943, è la «rotta della morte» per i marinai<br />

italiani ma non meno tragica appare la situazione dell’Armata di Messe davanti a forze<br />

nemiche preponderanti, costretta a obbedire anche ad un Rommel in netto declino e<br />

agli ordini di due dittatori che stanno perdendo il senso del reale e del possibile (Hitler,<br />

incontrando Mussolini il 7 aprile 1943 a Salisburgo, gli dice: «Duce, ho appena riletto la<br />

storia della battaglia di Verdun; noi faremo di Tunisi la Verdun dell’Africa. Ne rispondo<br />

io». E l’altro, di rimando: «Führer, lo sbarco anglo-americano in Africa è per noi un

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