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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Un piccolo cargo americano, il Walney, carico fino all’orlo di truppe e di bombe antisommergibili,<br />

puntò su Orano. Leo Disher, corrispondente della United Press era a<br />

bordo. Disher era stato imbarcato in Inghilterra e durante il viaggio era scivolato sul<br />

ponte, fratturandosi una caviglia. Gli ufficiali della nave inutilmente insistettero per<br />

sbarcarlo a Gibilterra, egli rifiutò. Quando il Walney entrò nelle acque di Orano, Disher<br />

attaccò un salvagente al suo gesso, nel caso che avesse dovuto gettarsi in acqua.<br />

L’avventura aveva moltissime probabilità di finire in catastrofe, perché la Walney aveva<br />

il compito di speronare lo sbarramento, una catena che i francesi obbedienti a Vichy<br />

avevano installato all’ingresso del porto di Orano per le incursioni di navi nemiche.<br />

A stento si riesce a capire come Disher sia sopravvissuto. Il suo reportage è considerato uno dei migliori racconti di «guerra vissuta». Per le ferite subite durante l’operazione<br />

venne decorato con il Purple Heart.<br />

Mi trascinai penosamente fino alla passerella… Le stampelle cominciavano a<br />

paralizzarmi le ascelle e la gamba destra, sempre più pesante, si trascinava in modo<br />

inquietante. Per sollevarla posai le stampelle contro la parete della passatoia e<br />

appoggiando gli avambracci sopra mi riposai un attimo, la schiena incollata alla paratia.<br />

Da quel punto vedevo, oltre la passerella, la massa imponente delle rocce, ora molto<br />

vicine. Avanzavamo parallelamente alla costa, con la prua a Occidente. Davanti a noi si<br />

vedevano delle luci. Era Orano.<br />

Sulla passerella silenzio. Salvo lo sciabordio regolare dell’acqua contro lo scafo. non un<br />

rumore.<br />

Poi un proiettore bucò l’oscurità… E subito arrivarono le raffiche. Le scie incandescenti<br />

dei proiettili traccianti morivano di fronte al battello. Si sentì il crepitio delle<br />

mitragliatrici. Poi forti detonazioni si levarono da terra e il Walney tremò. Un istante<br />

dopo tremò di nuovo. Eravamo il bersaglio dei cannoni. Il comandante Meyrick fece<br />

trasmettere agli uomini sul ponte il seguente ordine: «Ventre a terra! Attenzione<br />

all’urto, ci stiamo avvicinando allo sbarramento».<br />

Ognuno si sparpagliò e cercò di mettersi al riparo, in mezzo alla terrificante sinfonia<br />

delle raffiche di mitraglia e delle cannonate. Anche i nostri mitra cominciarono ad<br />

abbaiare.<br />

Proiettili d’artiglieria e pallottole piovevano intorno a noi; sempre scosso dai colpi il<br />

Walney fece saltare lo sbarramento. Eravamo passati. Niente di straordinario, dopo<br />

tutto…<br />

Il nostro capo di stato maggiore lasciò i calci delle sue rivoltelle, impugnò il microfono<br />

dell’altoparlante e cominciò ad arringare i francesi sulla costa, nella loro lingua, sia pure<br />

con accento americano. Urlò «Cessate il fuoco, siamo vostri amici, siamo americani;<br />

cessate il fuoco».<br />

A questo punto si scatenò l’inferno. Eravamo colpiti senza sosta. Il capo di stato<br />

maggiore era un uomo coraggioso, continuò a dominare con la sua voce il frastuono<br />

della battaglia fino al momento in cui si afflosciò sul microfono, senza aver potuto<br />

neppure estrarre le sue pistole dal fodero.<br />

Tutto succedeva nello stesso tempo. Nel sottoponte l’ufficiale responsabile cominciò a<br />

raccogliere le truppe d’assalto americane in mezzo alla nave, in modo che esse fossero<br />

relativamente protette al momento di lasciare il battello. Un proiettile colpì un serbatoio<br />

di carburante e il ponte si coprì di liquido incendiato. Di fronte a noi si delineò un<br />

cacciatorpediniere. Tentammo di speronarlo, ma senza successo e, quasi a bruciapelo, i<br />

suoi cannoni ci spararono una salva rabbiosa. I proiettori spazzavano senza sosta il<br />

ponte. A sua volta un incrociatore francese aprì il fuoco, imitato a babordo da un<br />

sommergibile.

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