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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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«D’altronde questa offensiva non toglierà nulla, neppure una scatoletta di birra, allo<br />

sforzo bellico in Europa».<br />

Hopkins: «Un piano dannatamente buono»<br />

I colloqui si protraggono senza risultati perché si scontrano due tesi: secondo gli inglesi,<br />

in Estremo Oriente non si deve fare nulla che possa in qualche modo indebolire<br />

l’offensiva in Europa; a parere degli americani, dove e quando attaccare nel Pacifico è<br />

affare loro e non dei britannici. Naturalmente l’accordo finale è un compromesso dovuto<br />

anche alla mediazione di sir John Dill, rappresentante inglese a Washington degli Stati<br />

Maggiori combinati (che al testardo rifiuto di Alanbrooke, «Non cedo neppure una<br />

virgola», gli risponde argutamente strappandogli un sorriso: «Lo so benissimo. Ma tu<br />

sai che devi raggiungere un accordo, altrimenti bisogna rimettere tutto al primo<br />

ministro e al presidente. E sai altrettanto bene che pasticci combinerebbero quei due<br />

là»).<br />

La stessa sera, infatti, viene steso un documento in cui si delineano piani alleati per il<br />

1943: l’accordo afferma che «le operazioni nel Pacifico continueranno avendo l’obiettivo<br />

di mantenere la pressione sul Giappone» (e di ciò King è lietissimo) ma che «tali<br />

operazioni non dovranno sottrarre eccessive risorse al teatro dell’Europa» (il che<br />

soddisfa Alanbrooke anche se toccherà solo ai capi di Stato Maggiore americani stabilire<br />

se e quanto andrà sottratto). A sua volta Harry Hopkins definisce l’accordo «un piano<br />

dannatamente buono». Ma le divergenze, soltanto mascherate da questo<br />

compromesso, rimangono e sorgeranno di nuovo, più volte, come durante la corsa<br />

verso Berlino.<br />

Giuseppe Mayda<br />

«Uccidete Yamamoto»<br />

Il suo nome era Ysoroku e quando diceva di chiamarsi così qualunque giapponese<br />

rimaneva stupito. Suo padre, il cinquantaseienne Sadakichi Takano, rigido maestro di<br />

scuola di un povero villaggio del Nord, gli aveva infatti imposto un numero per nome<br />

(Ysoroku significa 56) perché voleva che venisse ricordata e tramandata la sua età al<br />

momento della nascita del figlio, il 4 aprile 1884. A 16 anni Ysoroku entra all’accademia<br />

navale, secondo di 300 concorrenti. È un giovane basso, robusto, piuttosto rotondo, che<br />

ama il cibo, le donne, lo sport, lo studio dell’inglese e tutti i giochi d’azzardo.<br />

Guardiamarina sull’incrociatore Nisshin durante la battaglia di Tsushima (1905), una<br />

granata russa gli amputa due dita della mano sinistra. In quell’epoca perde i genitori ed<br />

è adottato da una influente famiglia di Nagaoka, quella degli Yamamoto. Marito felice di<br />

una ragazza ricca e non bella, Reiko Mihasci, e padre di quattro figli, nel corso del<br />

secondo conflitto mondiale Ysoroku Yamamoto non diventa soltanto il capo delle flotte<br />

riunite del Mikado ma anche l’eroe nazionale che progetta e porta a compimento il colpo<br />

di mano contro Pearl Harbour: per questi motivi, sedici mesi dopo il proditorio attacco<br />

alle Hawaii e quando Yamamoto ha appena compiuto 59 anni, gli americani decidono di<br />

eliminarlo.<br />

L’annuncio di questa sentenza di morte viene dato il 13 aprile 1943, un martedì, alle<br />

17.55. A Wahiawa, non distante da Pearl Harbour, la marina degli Stati Uniti ha<br />

impiantato una stazione di ascolto. È un bunker sotto le rocce, vasto quasi quanto un<br />

campo di calcio, protetto da porte blindate e da sentinelle. Lì si raccolgono e si<br />

analizzano tutti i messaggi radio scambiati dai giapponesi nell’intera area del Pacifico e lì<br />

si decifrano, grazie a delle macchinette – simili alle telescriventi e basate sul principio

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