SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

Ricevute le istruzioni di Auphan, cominciano le trattative tra Marquis e il rappresentante tedesco della commissione di armistizio presente a Tolone. La Wehrmacht, che durante la notte ha superato la linea di demarcazione, è ancora lontana dalla costa mediterranea, che raggiungerà soltanto la mattina dopo. Marquis promette che la flotta non lascerà il porto. In cambio chiede ai tedeschi due cose: che non tentino di impadronirsi delle navi e non mettano piede nel campo trincerato di Tolone. Quella sera arriva la risposta di Hitler: la piazzaforte non sarà occupata se il comandante della flotta s’impegnerà, sulla sua parola d’onore, a non intraprendere alcuna azione contro le forze dell’Asse e a difendere Tolone dagli anglo-americani e dai francesi ostili al governo di Vichy. Impennata d’orgoglio a Tolone Il 15 novembre sembra che tutto vada a gonfie vele. Quel giorno l’ammiraglio de Laborde dirama un comunicato improntato all’ottimismo: «Nonostante le voci assurde diffuse da agenti stranieri, la piazzaforte di Tolone non è stata occupata e resta così, insieme alla flotta d’alto mare, interamente sotto il controllo della marina francese. Questa situazione è dovuta unicamente al senso di ammirazione ispirato alle supreme autorità dell’Asse dalla condotta dei nostri marinai». Cosa trovino i tedeschi di ammirevole nella condotta dei marinai francesi veramente non è molto chiaro. E il 17 novembre, appena due giorni dopo il tronfio proclama di de Laborde e in concomitanza con l’arrivo di Raeder a Tolone, giunge notizia di un ordine sospetto: i tedeschi hanno proibito a tutti gli aerei francesi di sorvolare la zona. Quali movimenti di truppe si vogliono nascondere? La febbrile agitazione che si è impadronita degli stati maggiori tedeschi dura più di una settimana. Il 26 novembre, senza spiegazioni, gli ufficiali di collegamento tedeschi a Tolone spariscono dalla circolazione. Lo stesso giorno viene segnalato un massiccio concentramento di truppe tedesche sul lato ovest del campo trincerato. Giunge anche notizia che un campo d’aviazione nella zona francese è stato occupato dai tedeschi. Diamo ora la parola all’ammiraglio de Laborde: «La sera del 26 mi trovavo a bordo della Strasbourg. Avevamo stabilito con Marquis, nel pomeriggio, poiché la situazione pareva essersi stabilizzata, che un certo numero di uomini sposati avrebbe potuto andare a dormire a terra. Dormivo io stesso tranquillamente quando fui svegliato alle cinque meno dieci dal mio Capo di Stato Maggiore, ammiraglio Guérin. Egli mi annunciò che l’ammiraglio Dornon, il cui comando si trovava all’interno dell’arsenale, era stato appena avvertito da Robin, Capo di Stato Maggiore dell’ammiraglio Marquis, che la fortezza di Lamalgue, dove si trovava il comando di Marquis, era stata appena occupata, senza combattere, dai carri armati tedeschi e che l’ammiraglio era prigioniero». De Laborde mette in stato di allerta l’equipaggio, fa accendere le luci di posizione, ordina d’interrompere le comunicazioni tra la nave e la terraferma e di ritirare lo scalandrone. Poi, usando un telefono segreto, chiama Robin. Appena cominciato, il colloquio si tronca bruscamente. «Parla l’ammiraglio Robin. […] Appendete, non telefonate più. Stanno entrando nel mio ufficio». Sono arrivati i tedeschi. De Laborde fa un altro tentativo. Chiama Dornon, che in caso di bisogno dovrebbe sostituire Marquis. «Che intenzioni avete?», gli chiede Dornon, «volete affondare la flotta?» «Io sto impartendo le disposizioni necessarie», risponde de Laborde, «e vi consiglio di fare altrettanto. Vi terrò al corrente». De Laborde prega Dornon di informarlo sull’avanzata

dei tedeschi. E aggiunge: «Saremo costretti ad affondare le navi. Avvertitemi appena cercheranno di forzare le porte dell’arsenale». Cinque minuti dopo, alle 5.25 del mattino, squilla il telefono sulla Strasbourg. È Dornon. I tedeschi stanno forzando una delle porte principali dell’arsenale. «Do l’ordine di affondare le navi», risponde de Laborde, «voi fate altrettanto.» Gli equipaggi si mettono all’opera. In un lampo aprono le prese d’acqua di tutti i compartimenti stagni e mettono fuori uso gli strumenti indispensabili per il funzionamento delle navi. Bruciando sul tempo i tedeschi, che non avevano previsto l’uso delle linee telefoniche segrete, de Laborde e Dornon riescono così ad impedire che la potente flotta francese cada in mano all’invasore. Fra tutte le navi da guerra restano a galla solo due torpediniere, sorprese senza equipaggio dall’incalzare degli avvenimenti. I soldati tedeschi che alle sei meno un quarto si riversano sulla banchina non potranno far altro che assistere, due o tre ore dopo, allo spettacolo dell’affondamento della Strasbourg, che piano piano si adagia sul fondo, lasciando emergere gli alloggi degli ufficiali. Ignorando il comandante tedesco, che gli ordina di abbandonare la nave, de Laborde resta al suo posto. Se ne andrà soltanto verso sera, dopo avere parlato per telefono con Pétain. Quando l’ammiraglio de Laborde lascia la sua nave, la flotta francese è solo una distesa di relitti sparsi nella rada di Tolone. Lo stesso giorno, poco prima dell’alba, il console generale di Germania aveva svegliato il ministro degli Esteri francese per annunciargli l’arrivo di una lettera di Hitler da consegnare immediatamente a Laval. Alle 5.30, intorno ad un tavolo dell’Hôtel du Parc, Laval e alcuni dei suoi ministri prendono visione del dispaccio. Il cancelliere si pregia d’informarli che la Wehrmacht procederà all’immobilizzazione della flotta e al disarmo dell’esercito francese. Per la prima operazione, come abbiamo visto, è troppo tardi. Ma la seconda viene eseguita in un baleno. Consegnato nelle caserme da un paio di settimane, l’esercito francese ha praticamente rinunciato ad ogni velleità di resistenza. Non occorre molta fatica per gettare i soldati giù dalle brande e impossessarsi delle loro armi. Darlan è «l’espediente provvisorio» Il 28 novembre il Journal Officiel pubblica il decreto con cui Darlan e Giraud vengono privati della nazionalità francese. Alcuni giorni dopo il ministro delle Colonie si presenta al Capo dello Stato per rassegnare le sue dimissioni. «Signor maresciallo», dice, «visto che non abbiamo più l’impero il mio lavoro qui è terminato». Pétain lo guarda, riflette e risponde: «Se è per questo, non abbiamo più nemmeno la flotta. Mi stavo chiedendo se non valesse la pena di fare un solo ministero per l’Impero e per la Marina». Così, con due battute degne di Vaudeville, cala il sipario sulla tragedia di Vichy. «Paradossale risultato dello sbarco anglo-americano in Africa è […] la conservazione del regime di Vichy in colonia mentre esso viene abbattuto di fatto in patria dagli stessi tedeschi», ha scritto lo storico Roberto Battaglia. È un’osservazione molto acuta. Il caso ha voluto che Darlan si trovasse ad Algeri nei giorni destinati all’attuazione dell’«Operazione Torch». E Darlan è, a tutti gli effetti, uno dei leader della repubblica di Vichy. Il fatto che i «francesi liberi» siano tenuti completamente all’oscuro dell’operazione, che s’impedisca di proposito a de Gaulle (per le prevenzioni di Roosevelt nei suoi riguardi) di parteciparvi, che i capi militari delle colonie rifiutino di sottomettersi a Giraud e che gli americani assegnino il ruolo di alto commissario nel Nord Africa proprio a Darlan (il quale a sua volta dichiara di accettarlo «in nome del

dei tedeschi. E aggiunge: «Saremo costretti ad affondare le navi. Avvertitemi appena<br />

cercheranno di forzare le porte dell’arsenale».<br />

Cinque minuti dopo, alle 5.25 del mattino, squilla il telefono sulla Strasbourg. È Dornon.<br />

I tedeschi stanno forzando una delle porte principali dell’arsenale. «Do l’ordine di<br />

affondare le navi», risponde de Laborde, «voi fate altrettanto.» Gli equipaggi si mettono<br />

all’opera. In un lampo aprono le prese d’acqua di tutti i compartimenti stagni e mettono<br />

fuori uso gli strumenti indispensabili per il funzionamento delle navi. Bruciando sul<br />

tempo i tedeschi, che non avevano previsto l’uso delle linee telefoniche segrete, de<br />

Laborde e Dornon riescono così ad impedire che la potente flotta francese cada in mano<br />

all’invasore. Fra tutte le navi da guerra restano a galla solo due torpediniere, sorprese<br />

senza equipaggio dall’incalzare degli avvenimenti.<br />

I soldati tedeschi che alle sei meno un quarto si riversano sulla banchina non potranno<br />

far altro che assistere, due o tre ore dopo, allo spettacolo dell’affondamento della<br />

Strasbourg, che piano piano si adagia sul fondo, lasciando emergere gli alloggi degli<br />

ufficiali. Ignorando il comandante tedesco, che gli ordina di abbandonare la nave, de<br />

Laborde resta al suo posto. Se ne andrà soltanto verso sera, dopo avere parlato per<br />

telefono con Pétain. Quando l’ammiraglio de Laborde lascia la sua nave, la flotta<br />

francese è solo una distesa di relitti sparsi nella rada di Tolone.<br />

Lo stesso giorno, poco prima dell’alba, il console generale di Germania aveva svegliato il<br />

ministro degli Esteri francese per annunciargli l’arrivo di una lettera di Hitler da<br />

consegnare immediatamente a Laval. Alle 5.30, intorno ad un tavolo dell’Hôtel du Parc,<br />

Laval e alcuni dei suoi ministri prendono visione del dispaccio. Il cancelliere si pregia<br />

d’informarli che la Wehrmacht procederà all’immobilizzazione della flotta e al disarmo<br />

dell’esercito francese. Per la prima operazione, come abbiamo visto, è troppo tardi. Ma<br />

la seconda viene eseguita in un baleno. Consegnato nelle caserme da un paio di<br />

settimane, l’esercito francese ha praticamente rinunciato ad ogni velleità di resistenza.<br />

Non occorre molta fatica per gettare i soldati giù dalle brande e impossessarsi delle loro<br />

armi.<br />

Darlan è «l’espediente provvisorio»<br />

Il 28 novembre il Journal Officiel pubblica il decreto con cui Darlan e Giraud vengono<br />

privati della nazionalità francese. Alcuni giorni dopo il ministro delle Colonie si presenta<br />

al Capo dello Stato per rassegnare le sue dimissioni. «Signor maresciallo», dice, «visto<br />

che non abbiamo più l’impero il mio lavoro qui è terminato». Pétain lo guarda, riflette e<br />

risponde: «Se è per questo, non abbiamo più nemmeno la flotta. Mi stavo chiedendo se<br />

non valesse la pena di fare un solo ministero per l’Impero e per la Marina». Così, con<br />

due battute degne di Vaudeville, cala il sipario sulla tragedia di Vichy.<br />

«Paradossale risultato dello sbarco anglo-americano in Africa è […] la conservazione del<br />

regime di Vichy in colonia mentre esso viene abbattuto di fatto in patria dagli stessi<br />

tedeschi», ha scritto lo storico Roberto Battaglia. È un’osservazione molto acuta. Il caso<br />

ha voluto che Darlan si trovasse ad Algeri nei giorni destinati all’attuazione<br />

dell’«Operazione Torch». E Darlan è, a tutti gli effetti, uno dei leader della repubblica di<br />

Vichy. Il fatto che i «francesi liberi» siano tenuti completamente all’oscuro<br />

dell’operazione, che s’impedisca di proposito a de Gaulle (per le prevenzioni di<br />

Roosevelt nei suoi riguardi) di parteciparvi, che i capi militari delle colonie rifiutino di<br />

sottomettersi a Giraud e che gli americani assegnino il ruolo di alto commissario nel<br />

Nord Africa proprio a Darlan (il quale a sua volta dichiara di accettarlo «in nome del

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