SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea
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Capitolo cinquantesimo Le forze dell’Asse occupano Vichy Allo sbarco anglo-americano nel Nord Africa, coronato il 10 novembre 1942 dalla firma di un armistizio che permette al generale Juin di schierare immediatamente le sue truppe al fianco degli Alleati, le forze dell’Asse rispondono con l’occupazione della Francia di Vichy e l’invio di reparti italo-tedeschi in Tunisia. L’ultimatum alla Francia viene presentato verso la mezzanotte del 10 novembre. «I governi tedesco e italiano», dice il documento, «si trovano costretti a rivolgere al governo francese la formale richiesta di prendere tutte le misure atte a facilitare lo sbarco immediato di contingenti tedeschi e italiani a Tunisi e a Biserta allo scopo di ostacolare, da lì, l’occupazione americana dell’Africa del Nord, di liberare quei territori e di dare man forte alle forze armate francesi». Una nota trasmessa due ore dopo informa il governo di Vichy che truppe tedesche sono atterrate in Tunisia. Passano altre tre ore e arriva un nuovo dispaccio dalla Germania. È una lettera di Hitler a Pétain, con l’annuncio che la Wehrmacht sta procedendo all’occupazione della Francia meridionale. Fedele al solito copione il Führer assicura al maresciallo di avere sempre rispettato scrupolosamente le clausole dell’armistizio, di non avere mai approfittato «della debolezza della Francia per effettuare delle annessioni» e di essere costretto ad intervenire per bloccare l’invasione anglo-americana, ben sapendo che i suoi «prossimi obiettivi» saranno «la Corsica e la Francia del sud». Non sono ancora le 7 del mattino quando i posti di frontiera lungo la linea di demarcazione tra la Francia occupata e quella di Vichy segnalano i primi passaggi di reparti della Wehrmacht. Alle 8.30 il ministro della Guerra ordina ai comandanti militari di consegnare i soldati nelle caserme. Solo uno si rifiuta di obbedire. È il generale de Lattre de Tassigny, comandante della divisione di stanza a Montpellier, che viene arrestato e chiuso nel carcere militare di Tolosa mentre cerca di raggiungere con alcuni dei suoi uomini l’altopiano di Corbières. Il suo sarà l’unico esempio di resistenza opposta ai nazisti dall’esercito francese. Alle 8.20 un treno blindato tedesco raggiunge la stazione di Moulins e chiede di proseguire in direzione di Vichy. A bordo c’è von Rundstedt, che alle 10.30, in alta uniforme, si presenta all’Hôtel du Parc per informare ufficialmente Pétain dell’invasione della zona libera. Nella vecchia uniforme di Verdun, con una sola decorazione sul petto, il maresciallo ascolta le parole dell’alto ufficiale tedesco e dà a sua volta lettura di una nota di protesta. Le decisioni di Hitler, dichiara, sono «incompatibili con le clausole dell’armistizio». Congedatosi von Rundstedt, la nota è trasmessa più volte per radio. A mezzogiorno viene letto un nuovo proclama di Pétain: «Francesi! Credevo di avere vissuto i giorni più tetri della mia esistenza; la situazione odierna mi riporta alla mente i brutti ricordi del 1940. Saluto con dolore i militari, i marinai, gli aviatori e tutti quelli che cadono per l’onore dell’impero e la difesa della patria. Francesi della metropoli e dell’impero, abbiate fiducia nel vostro maresciallo che pensa solo alla Francia». La diffusione dei messaggi di protesta continua fino alle prime ore pomeridiane, quando i tedeschi occupano le stazioni radio e ingiungono agli annunciatori di tacere.
La politica francese del «doppio binario» Reduce da Monaco, poco dopo arriva Laval. Pétain vorrebbe ordinare il cessate il fuoco nel Nord Africa, ma Laval ha uno scatto d’ira. «Bisogna che si possa dire che ci siamo battuti fino al limite delle nostre forze», esclama. «Se cessiamo di combattere, i tedeschi si vendicheranno sul territorio metropolitano. Si può rifare un impero, ma non si rifà la Francia. Tra poche settimane i tedeschi avranno riconquistato l’Africa. Se non li aiutiamo, quelli se la tengono». Nel pomeriggio, durante la seduta del Consiglio dei ministri, Pétain cede alle insistenze di Laval, che così può impartire alle truppe nel Nord Africa un ordine di resistere ad ogni costo, reso vano dall’armistizio di Darlan. «L’11 novembre», ha scritto Robert Aron nella sua storia della Francia di Vichy, «segna veramente l’inizio dell’agonia di Vichy; è anche il giorno in cui comincia un dramma atroce in Tunisia, dramma di cui saranno vittime diverse migliaia di francesi che, non essendo riusciti a capire, tra gli ordini e i contrordini di Vichy, la politica di Pétain, faranno involontariamente il gioco dei tedeschi». Nelle prime ore del mattino il ministro della Guerra telegrafa in Tunisia che i tedeschi sono autorizzati allo sbarco. Meglio, comunque, evitare ogni contatto con loro. Le forze francesi, senza lasciare il Paese, dovranno raggrupparsi in aree appositamente predisposte. Alle 8, da Biserta, l’ammiraglio Derrien telefona ad Algeri per avere direttive più precise. Dalle vaghe risposte che gli danno l’ufficiale ricava l’impressione che ci si debba mantenere neutrali. Passano le ore, nell’incertezza e nella confusione. Alle 17, da Algeri, Juin telefona a Derrien che «è cambiato tutto, bisogna battersi contro l’Asse». «Posso dirlo alle mie truppe?», chiede l’ammiraglio. «Certamente», risponde Juin. Derrien chiama un furiere e gli detta il seguente proclama: «Dopo due giorni di discussioni e di confusione mi è appena giunto l’ordine, formale e preciso, che designa il nemico contro il quale state per scontrarvi. I nostri nemici sono i tedeschi e gli italiani! Soldati, marinai, aviatori della difesa di Biserta, ora sapete ciò che dovete fare: gettatevi con tutto il vostro slancio contro gli avversari del 1940; dobbiamo prenderci una rivincita. Viva la Francia!». La lettura di questo messaggio suscita entusiasmo fra le truppe. Un entusiasmo di breve durata, perché un paio d’ore dopo l’ammiraglio Estéva, residente generale in Tunisia, costringerà Derrien ad annullare il proclama ordinandogli di mantenere una rigorosa neutralità. Non è l’ultimo colpo di scena di quel giorno così movimentato. Passa infatti un altro quarto d’ora ed ecco che arriva dalla Francia l’ordine di resistere agli Alleati approvato dal Consiglio dei ministri. Il nemico ha di nuovo cambiato faccia. Il 12 novembre, giovedì, cominciano a sbarcare le truppe dell’Asse. Approfittando della confusione provocata da quest’incredibile sequela di ordini e contrordini, i tedeschi occupano rapidamente Biserta, Tunisi e il litorale. Entro la fine del mese le forze dell’Asse in Tunisia ammonteranno a quindicimila soldati di prima linea, cento carri armati, sessanta pezzi di artiglieria da campagna e trenta cannoni anticarro. I bombardieri in picchiata, dislocati nei vari aeroporti, saranno un duro ostacolo per l’avanzata delle truppe alleate, che avranno bisogno di sei mesi per sloggiare tedeschi e italiani da questa piccola fetta d’Africa. Fu saggia la decisione di Hitler di creare la testa di ponte tunisina? Strategicamente parlando, forse no. «La Tunisia era una trappola», scrive il generale americano Marshall, «nella quale il comando tedesco continuò a rovesciare grandi quantità di uomini e materiali». Era però evidente che gli Alleati, cacciando l’Asse dall’Africa, avrebbero inferto alla Germania una botta niente male e all’Italia forse il colpo di grazia. «Da sud». scrive Guido Gigli, «s’aprono tre vie d’accesso all’Europa: le penisole iberica,
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L’ultimatum alla Francia viene presentato verso la mezzanotte del 10 novembre. «I<br />
governi tedesco e italiano», dice il documento, «si trovano costretti a rivolgere al<br />
governo francese la formale richiesta di prendere tutte le misure atte a facilitare lo<br />
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di dare man forte alle forze armate francesi». Una nota trasmessa due ore dopo informa<br />
il governo di Vichy che truppe tedesche sono atterrate in Tunisia. Passano altre tre ore<br />
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Fedele al solito copione il Führer assicura al maresciallo di avere sempre rispettato<br />
scrupolosamente le clausole dell’armistizio, di non avere mai approfittato «della<br />
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Non sono ancora le 7 del mattino quando i posti di frontiera lungo la linea di<br />
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di consegnare i soldati nelle caserme. Solo uno si rifiuta di obbedire. È il generale de<br />
Lattre de Tassigny, comandante della divisione di stanza a Montpellier, che viene<br />
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dei suoi uomini l’altopiano di Corbières. Il suo sarà l’unico esempio di resistenza opposta<br />
ai nazisti dall’esercito francese. Alle 8.20 un treno blindato tedesco raggiunge la<br />
stazione di Moulins e chiede di proseguire in direzione di Vichy. A bordo c’è von<br />
Rundstedt, che alle 10.30, in alta uniforme, si presenta all’Hôtel du Parc per informare<br />
ufficialmente Pétain dell’invasione della zona libera.<br />
Nella vecchia uniforme di Verdun, con una sola decorazione sul petto, il maresciallo<br />
ascolta le parole dell’alto ufficiale tedesco e dà a sua volta lettura di una nota di<br />
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dell’armistizio». Congedatosi von Rundstedt, la nota è trasmessa più volte per radio. A<br />
mezzogiorno viene letto un nuovo proclama di Pétain: «Francesi! Credevo di avere<br />
vissuto i giorni più tetri della mia esistenza; la situazione odierna mi riporta alla mente i<br />
brutti ricordi del 1940. Saluto con dolore i militari, i marinai, gli aviatori e tutti quelli che<br />
cadono per l’onore dell’impero e la difesa della patria. Francesi della metropoli e<br />
dell’impero, abbiate fiducia nel vostro maresciallo che pensa solo alla Francia». La<br />
diffusione dei messaggi di protesta continua fino alle prime ore pomeridiane, quando i<br />
tedeschi occupano le stazioni radio e ingiungono agli annunciatori di tacere.