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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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diventano la punta di lancia dell’esercito americano impegnato in Estremo Oriente.<br />

Nell’ottobre di quell’anno Archie si distingue ancora nella battaglia per il controllo<br />

dell’isola di Bougainville.<br />

All’inizio del 1944 Vandergrift raggiunge il massimo grado della sua brillante carriera,<br />

assumendo il comando generale di tutto il corpo dei Marines, che manterrà anche a<br />

guerra conclusa, fino al 1948. Quando si ritira Archie entra nel mito dell’America<br />

«invincibile» dei Marines che soltanto l’avventura del Vietnam ridimensionerà. Ma il<br />

volitivo comandante della 1ª Divisione non vedrà l’ultimo ammainabandiera nella<br />

penisola indocinese: muore a Sethesda, Maryland, nel 1973.<br />

Gianfranco Romanello<br />

I piani alleati per il Pacifico nel 1943<br />

«In tutte le conferenze interalleate alle quali ho partecipato, non c’è mai stato nulla che<br />

somigliasse a questo profondo ed accurato esame dell’intera scena della guerra<br />

mondiale in tutti i suoi aspetti, militare ed economico, e a quello riguardante la<br />

produzione degli armamenti». Queste parole di elogio, pronunciate da Churchill nel<br />

gennaio 1943 a conclusione della conferenza di Casablanca, sono dirette al lavoro<br />

compiuto dai capi degli Stati Maggiori combinati anglo-americani (Alanbrooke per la<br />

Gran Bretagna; King per gli USA) sullo scottante tema dell’Estremo Oriente.<br />

Le rispettive posizioni si possono condensare in due slogan: «Europa first» e «Pacific<br />

first». A parere degli inglesi il Giappone è ormai sulla difensiva e quindi nel Pacifico<br />

bisogna condurre una guerra limitata puntando invece tutte le forze contro Hitler: solo<br />

quando la Germania sarà in ginocchio gli Alleati si rivolgeranno all’Estremo Oriente. Gli<br />

americani, per contro, sono convinti che la Gran Bretagna sottovaluti la potenza del Sol<br />

Levante che, invece, occorre colpire – forte e subito – nel Pacifico e in Birmania. «Noi<br />

impegniamo contro il Giappone solo il 15% delle risorse alleate – sostiene l’ammiraglio<br />

King – e questo è troppo poco per impedire ai nipponici di consolidare le loro vittorie<br />

iniziali». «Mai come adesso», replica il maresciallo Alanbrooke, «la situazione militare in<br />

Occidente ci è stata così favorevole: in Europa si può riuscire a vincere entro il 1943 ma<br />

questo non avverrà se ingenti forze e grandi quantità di materiale vengono dirottati in<br />

luoghi come la Birmania».<br />

King vuole le Marianne<br />

L’obiezione di King è che se la campagna di Birmania non è accelerata si corre il rischio<br />

d vedere Chiang Kai-shek ritirarsi dal conflitto: «Forse», aggiunge l’ammiraglio, «si può<br />

per il momento rinunciare alle Filippine, però Truk e le Marianne debbono essere<br />

occupate immediatamente». Alanbrooke ribatte che le operazioni in Pacifico, nel 1943,<br />

debbono essere almeno ristrette alla conquista di Rabaul e della Birmania. Ma King non<br />

cede sulle Marianne: evidentemente, gli americani si infiammano di più a sentire parlare<br />

di Pearl Harbour, Bataan e Guadalcanal che di Parigi, Roma o Berlino.<br />

Marshall, durante la seconda giornata di colloqui, interviene nella discussione<br />

avvertendo gli inglesi, in tono gelido, che se al teatro dell’Estremo Oriente non si<br />

destina almeno il doppio delle attuali risorse alleate – e cioè il 30% anziché il 15% -<br />

verrà a crearsi «la necessità che gli Stati Uniti, purtroppo, debbano riconsiderare il<br />

proprio impegno nello scacchiere europeo». King interviene per spiegare che, nelle<br />

Marianne, gli anglo-americani hanno già sufficienti forze per far fronte ad una vera e<br />

propria campagna di riconquista e che sarebbe quindi uno spreco non impiegarle:

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