Le figure della colpa e Ricordi di donne del Novecento - Liceo Imperia

Progetto Pari Opportunità - L'elogio della diversità
Unità didattiche di Storia
Le figure della colpa
Ricordi di donne del
Docente: prof.ssa Melina Caiazzo
Classe: V B
Novecento
Che noi siamo ancora vivi,
questa è la nostra colpa.
K. Jaspers

Sommario
Unità didattica di Storia
LE FIGURE DELLA COLPA ....................................................................................... 3
Prospetto lavoro ............................................................................................................ 3
Prospetto sintetico delle lezioni .................................................................................... 5
RICORDI DI DONNE DEL NOVENCENTO ............................................................. 8
Elaborati delle alunne ................................................................................................... 8
Il suffragio femminile di Federica Amerio ................................................................ 9
Maria Montessori: una vita per i bambini ... e non solo di Sara Giusta ................ 16
Edda Ciano: il rapporto con il padre e la nave ospedale Po di Eliana Demuru ... 23
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Tema
Strutture di
interpretazione
Strutture di azione
LE FIGURE DELLA COLPA
Prospetto lavoro
Unità didattica di Storia
Le figure della colpa
Riflessione sul concetto di colpa in Karl Jaspers, La
questione della colpa. Sulla responsabilità politica della
Germania 1 . Colpa e totalitarismo nel Novecento: il
problema del male e la responsabilità dell’uomo in H.
Arendt.
• Abilità (configurare casi paradossali. Ideare
“esperimenti mentali”).
• Capacità (confrontare le tesi per obiezioni e contro -
obiezioni)
Proposte di lavoro volte a far emergere:
• capacità critiche a partire dall'analisi di casi “tipo”, in
riferimento a:
• contesto personale episodi della propria vita in cui ci si
è sentiti in colpa, come si vive la colpa, ecc.
• ambito giuridico : colpa e responsabilità; intenzione del
soggetto agente; limitazioni della sfera penale (vedi
incapacità d'intendere e di volere); il ruolo del gruppo:
le azioni del branco.
• ambito morale: la sfera della coscienza; etica
dell'intenzione e della responsabilità. Il conflitto fra
nomos e legge morale: quale colpa? (Cfr. Antigone di
Sofocle).
• ambito storico: le leggi razziali (1935 Germania, 1938
1 Il saggio raccoglie una serie di lezioni tenute all'Università di Heidelberg nel semestre estivo
del 1946. Jasper era stato precedentemente costretto ad abbandonare l'università, riparando in Svizzera, a
seguito dell'ingiunzione del governo nazista che obbligava i professori con moglie ebrea a lasciare
l'incarico. scrive Jaspers nella premessa, .
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Strutture di
autoregolazione
Finalità
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Le figure della colpa
Italia) e i crimini contro l'umanità. Il caso Eichmann nel
processo a Gerusalemme.
• ambito psicologico: il complesso di colpa (Freud).
• ambito politico: la colpa degli stati e il ruolo dei
cittadini nelle moderne società di massa (Cfr. Arendt e
Jaspers)
• le competenze (applicare le nozioni acquisite nell'
interpretazione di se stessi, di un caso altrui, di una
vicenda narrata)
Possibilità di operare un confronto continuo con i
compagni e con il docente “facilitatore” al fine di mettere
in atto un modello di sapere in “costruzione”. I processi di
autovalutazione delle proprie competenze sono parte
integrante del “modus operandi”.
• Far comprendere il nesso che lega il Progetto Pari
Opportunità al tema preso in oggetto
• Analizzare il dramma della Shoa attraverso le categorie
interpretative della de-responsabilizzazione del
soggetto nella società di massa del Novecento (Cfr.
Hanna Arendt, La banalità del male (1963), Le origini
del totalitarismo (1951) e Colpa organizzata e
responsabilità universale (1945).
• Educare al pensiero critico
• Promuovere l’attitudine al dialogo costruttivo,
attraverso l'ascolto degli altri e di sé.
• Sensibilizzare all’apertura di uno spazio di
interiorizzazione e riflessione delle problematiche prese
in esame.
• Educare alla tolleranza: attraverso la riflessione
jasperiana del concetto di “colpa metafisica”,
promuovere l'imperativo etico della solidarietà umana.
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Riflessione sul concetto di colpa
1) Definisci il concetto di colpa
Prospetto sintetico delle lezioni
2) Cita un episodio della tua vita in cui ti sei sentito in colpa.
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Le figure della colpa
3) Prova a pensare ad un episodio in cui ritieni che gli altri si siano sentiti in colpa
nei tuoi riguardi
4) A cosa rimanda il senso di colpa? (risposte alunni : sfera morale, psicologica e
giuridica)
Riflessioni: differenza fra l'ambito psicologico e quello morale. Si possono infrangere
le regole morali nei confronti di sé? La sfera psicologica ha a che fare con giudizi di
valore? Qual è il ruolo dell'inconscio (vedi il complesso di colpa in ambito
psicanalitico)
Riflessioni - Sollecitazioni:
– quanti e quali ambiti di applicazione del concetto di colpa abbiamo rilevato?
– dal punto di vista del soggetto agente: I) che ruolo gioca l'intenzione o la
consapevolezza nell'azione? II) la colpa è soggettiva o collettiva?
Sollecitazione: quando mi sono sentito meno in colpa nel compiere un'azione che
ritenevo sbagliata?
Risposte alunni:
e
1) azioni a fin di bene
2) azioni compiute insieme ad altri
Rilfessioni sul punto 2: Esempi di violenze “del branco”: i casi di bullismo
(collegamento all'attualità).
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Le figure della colpa
Esempi di colpa collettiva: la de-responsabilizzazione del Soggetto nella società di
Massa del Novecento (collegamento con la Storia).
Parallelo fra i vari tipi di responsabilità (da respondeo: rispondere di, essere chiamti a
rispondere delle proprie azioni) e di colpa (morale, giuridica, politica)
In che misura la responsabilità morale e giuridica (e coseguentemente la colpa morale e
giuridica) possono essere in conflitto? Esempi storici: i crimini commessi dai nazisti.
Vedi leggi di Norimberga (1935) e processo per crimini “contro l'umanità”. Quali le
risposte dei nazisti: (Cfr. H. Arendt, La banalità del male)
Quale è il confine della responsabilità nelle mie azioni?
Successiva analisi del concetto di colpa in Jaspers.
Classificazione delle colpe in :
Colpa criminale, politica, morale e
metafisica.
Citazioni da K. Jaspers, La questione della
colpa. Sulla responsabilità politica della
Germania, Cortina ed. Milano 1996, pp. 21-
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Le figure della colpa
una parte di responsabilità riguardo al modo come viene governato. L'istanza è la forza
di volontà del vincitore nella politica interna come nella politica estera>>

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Ricordi di donne del Novecento
RICORDI DI DONNE DEL NOVENCENTO
Elaborati delle alunne
I seguenti elaborati sono stati liberamente realizzati da tre alunne, nel corso
dell’anno scolastico, sul tema della donna tra la fine dell’Ottocento e il Novecento. I
lavori sono stati presentati in aula e condivisi da tutti, con la modalità della lezione
laboratoriale (conferenza tenuta dalle singole alunne alla classe).
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Il suffragio femminile di Federica Amerio
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Ricordi di donne del Novecento
La conquista dei diritti politici non fu per le donne, come spesso è stato detto, il
frutto di una progressiva estensione dei princìpi liberali e democratici, ma fu invece
l'esito di una lunga e aspra battaglia nella quale quei princìpi erano stati allo stesso
tempo assunti e criticati. La
rivendicazione del diritto di accesso alla
sfera pubblica provocò una così tenace
resistenza per un motivo fondamentale:
l'esclusione delle donne dalla sfera
pubblica era legata intrinsecamente alla
loro soggezione nella sfera privata. Fin
dalla divisione antica fra pólis e óikos i
due aspetti erano sempre stati
strettamente intrecciati. In base alla
visione complementare delle relazioni tra
i sessi agli uomini spettava di occuparsi
della polis (attività pubblica e politica) e
alla donna dell’oikos (casa) e ciò quindi
conferiva maggiore valore sociale e
maggiori privilegi giuridici agli uomini.
Per questo il diritto di voto fu negato alle
donne per molto tempo.
Agli inizi del XIX secolo nessuno
aveva ancora sentito ventilare l’idea che
le donne potessero avere diritti pari a
quelli degli uomini.
Ma con la rivoluzione francese e
quella americana, alla cui base era la rivendicazione di libertà, di uguaglianza e
proprietà si diffuse una forte consapevolezza dei diritti delle donne, supportata dal
pensiero illuminista grazie al fatto che anche le donne contribuirono attivamente alla
rivoluzione e alla proclamazione degli ideali di uguaglianza e di libertà.Nel Settembre
1791, la francese Olympe de Gouges presentò come replica alla "Dichiarazione dei
diritti dell'uomo e del cittadino" una "Dichiarazione dei diritti della donna e della
cittadina". Nel suo scritto de Gouges sosteneva che la rivoluzione aveva sì abolito i
privilegi feudali, ma doveva fare altrettanto con i diritti del maschio, e rivendicava
l'uguaglianza della donna e dell'uomo di partecipare alla vita politica “le donne hanno il
diritto di salire sulla tribuna, visto che hanno quello di salire sul patibolo!”
In Inghilterra nel 1792 Mary Wollstonecraf denuncia nel suo saggio
"Rivendicazione dei diritti delle donne" che la condizione di inferiorità femminile è un
concetto artificiale, imposto alla donna da una cultura di tipo patriarcale. L'opera che
reclamava il diritto femminile all'educazione, al lavoro e alla vita pubblica non ebbe
molto successo e la Wollstonecraft venne definita una “iena in gonnella”
Durante la rivoluzione francese, le donne di ogni categoria si appassionarono
all’ambito pubblico e si riunirono nei primi club femminili che però furono repressi
duramente da Robespierre nel 1793.
La corsa alla conquista dei diritti femminili favorita dalla rivoluzione francese fu
arrestata dall’emanazione nel 1804 del codice civile napoleonico che considerava la
donna come affetta da una debolezza fisica e intellettuale, sempre bisognosa di
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Ricordi di donne del Novecento
protezione e sempre sottomessa ad un tutore (prima il padre, poi il marito).
Non solo in Francia esistevano codici civili di questo tipo; per esempio in italia
subito dopo
l’unificazione
entro in vigore
“l’autorizzazione
maritale” che
restò in vigore fino
al 1919 vale a dire
il divieto per le
donne di
intraprendere
imprese,vendere o
comprare bene
senza
l’autorizzazione
scritta del marito
che era in
qualunque
momento
revocabile.”la
moglie non può
donare, alienare beni immobili, sottoporli ad ipoteca, contrarre mutui, cedere o
riscuotere capitali[…] senza l’autorizzazione del marito. Il marito può con atto pubblico
concedere l’autorizzazione in genere
per tutti o per alcuni dei detti atti, salco
a lui il diritto di revocarla.”
In Inghilterra in base alla
COMMON LAW si sanciva che le
donne non avevano la disponibilità dei
proprio beni, né potevano agire
direttamente nei tribunali.
La lotta femminile riprese a metà
del 1800 con la richiesta del diritto di
voto e questa battaglia divenne
centrale agli inizi del ‘900.
Le organizzazioni suffragiste,che
si diffusero un po’ in tutta europa e
negli stati uniti, dettero vita a un vero e
proprio movimento con appelli,
campagne di propaganda, marce e
manifestazioni per fare pressione sui
parlamenti.
Il primo convegno della storia
sui diritti della donne a Seneca Falls,
vicino a New York il 19-20 luglio 1848
dove venne approvata la Dichiarazione
dei sentimenti che divenne il manifesto
politico della lotta per l’emancipazione
femminile
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La Dichiarazione è il secondo testo fondativo della lotta delle donne per i diritti di
cittadinanza e il riconoscimento di individualità, modellato, ma riscritto con contenuti
specifici, sulla Dichiarazione di Indipendenza del 1776 (la stessa cosa era accaduta con
il primo testo, la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” rispetto alla
Dichiarazione del 1789). Nella Dichiarazione si sanciva l’uguaglianza dei diritti tra i
sessi e si proponeva la lotta per il voto.
Ma fu in Inghilterra che si crearono le condizioni per il riscatto delle donne.
La spinta decisiva, infatti, avvenne con l’estensione del processo
d’industrializzazione e con le ripercussioni che esso ebbe sulla divisione sociale del
lavoro e della famiglia.
D’importanza straordinaria fu l’introduzione delle donne nella produzione
industriale e che esse percepivano, anche se più basso, un salario.
Così si mise in risalto quanto fossero infondate le idee sulla donna esistenti in quel
periodo dato che, la donna poteva benissimo svolgere determinate attività che erano
prerogativa solo degli uomini a quei tempi.
In Gran Bretagna la prima organizzazione di suffragiste fu la lega nazionale delle
associazioni per il voto femminile, organizzazione per il suffragio elettorale femminile
sorta in Gran Bretagna nel 1897 sotto la presidenza di Millicent G. Fawcett che
sottolineava
“.. in una legge la parola “uomo” include la donna è vero solo quando c’è del
denaro da pagare o un reato da
espiare. Quando si tratta invece di un
privilegio, la parola “uomo” viene ad
assumere il significato più limitato di
persona di sesso maschile”.. Le
appartenenti a questa lega vennero
chiamate suffragiste e adottarono una
pratica legalitaria cercando il dialogo
con i parlamentari.
Da questa associazione si staccò
Emmeline Pankhurst che fondò nel
1903 l’unione sociale e politica delle
donne(WSUP), le cui appartenenti
erano definite “suffragette”. Queste
pensavano che dopo tanti anni di
tentativi falliti non era possibile
contare su una battaglia parlamentare
ma era necessario procedere con
strumenti di pressione più forti e visibili.
La Pankhurst sferrava i suoi attacchi su due fronti, sia rivolgendosi direttamente al
Governo per esigere che il diritto di voto per le donne venisse inserito nel programma
del partito liberale, sia servendosi il più possibile della pubblicità derivante dalle azioni
delle sue suffragette, che sovente conducevano alla carcerazione.
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Ricordi di donne del Novecento
La WSUP
organizzava migliaia di
riunioni, improvvisava
discorsi, sfilava in cortei
e faceva vendita
militante del giornale
“Votes for Women” in
tutta l’Inghilterra.
Con i nuovi
metodi le suffragette,
s’impegnarono a
boicottare i candidati
liberali impedendo loro
di parlare ai comizi, ma
poiché venivano subito
trascinate via con la
forza dalla polizia la
loro tattica cambiò: si
presenvano ai comizi in pochi elementi e, appena l’oratore iniziava a parlare, una di loro
gridava ad altissima voce: “Il nuovo governo darà il voto alle donne?”, l’uomo politico
quasi mai rispondeva, lei quindi continuava a gridare fino a quando i poliziotti non
riuscivano a portarla via. Subito però, ricominciava un’altra e un’altra ancora, bastavano
così dieci o quindici signore a far fallire un comizio. Ad ogni seduta del Parlamento, vi
si poteva trovare qualche signora alla balconata riservata al pubblico che iniziava a
chiedere a quando il voto alle donne, se veniva impedito loro di entrare, esse si
arrampicavano sui tetti delle case vicine e da lì gridavano i loro slogan.
Nel 1910 venne discussa in
parlamento la Conciliation Bill a
favore del suffragio femminale
ma non passò perché venne
sopravanzata dalla discussione
sul suffragio universale maschile.
Le manifestazioni di
prostesta e gli atti di
insubordinazione delle militanti
si intensificarono e aumentarono
gli arresti.
Le donne incarcerate
iniziarono, per farsi sentire, lo
sciopero della fame e di fronte a
ciò il Governo varò una legge,
che stabiliva l’alimentazione
forzata e la scarcerazione per
evitare le estreme conseguenze di
questa lotta, detta “Cat and
Mouse Act”, cioè legge del gatto
e del topo perché non appena
fuori dal carcere le donne
continuavano nelle loro lotte e il
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gioco del gatto alla rincorsa del topo riprendeva.
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Ricordi di donne del Novecento
I peggiori nemici delle suffragette,
non erano a quanto si poteva pensare,
gli uomini, ma al contrario: erano altre
donne, che crearono anche una Lega
Antisuffragista. Queste donne
presentarono diverse petizioni alla
camera dichiarando che “il disegno di
legge presentato per concedere i diritti
parlamentari alle donne non farà gli
interessi dello Stato perché causerà
discordia nelle famiglie, costringerà le
donne ad abbandonare la serenità e la
quiete delle loro case per confrontarsi
nell’agone della politica e imporre quindi loro un peso….”
. Non sapendo più come contrastare il movimento suffragista, il governo, ricorse
sempre più a metodi brutali, finche un venerdì del novembre 1910, furono uccise dalla
polizia due suffragette: il così detto “venerdì nero” scatenò un altrettanto violenta
reazione delle femministe, che disposte a tutto pur di poter esercitare il diritto di voto,
non esitarono nell’intraprendere azioni spettacolari: furono incendiati edifici, vagoni
ferroviari, molte si incatenarono alle inferriate di Westminister, Emily Davidson si gettò
davanti al cavallo che portava i colori reali nel 1913, morendo in seguito alle ferite
riportate, molte ancora infransero vetrine, incendiarono le chiese in segno di protesta.
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Le suffragette inglesi dunque furono molto intraprendenti, fecero ricorso a
qualsiasi mezzo pur di colpire l’opinione pubblica, utilizzando inoltre anche le nuove
tecniche pubblicitarie che si andavano via via diffondendo in quel periodo.
Quando scoppiò la guerra il governò si
rivolse a tutta la popolazione per il sostegno
del fronte interno, per ricoprire i posti di
lavoro lasciati dagli uomini; i confini delle
divisioni tra sessi diventarono più labili, dato
che le donne sopportarono come gli uomini le
sofferenze provocate dalla guerra.
Nell’immediato dopoguerra in tutti i
paesi si pose il problema di un nuovo stato
giuridico per le donne e del riconoscimento ad
esse della cittadinanza politica: dopo che
avevano dimostrato nei fatti di essere
cittadine, era più difficile negare loro il
superamento di questa soglia.
Evento emblematico fu il
Representation of the people Act che nel 1918
stabilì il diritto di voto per alcune milioni di
donne inglesi con più di 30 anni di età. Il
rilievo assunto da questa vittoria, pur con i
suoi limiti evidenti, si spiega con la forza, la durata e l’intensità del movimento inglese
per il suffragio. La battaglia delle suffragette continuò anche dopo la guerra e nel 1928
l'Inghilterra concesse il diritto di voto a
tutte le donne maggiorenni.
In Italia il quadro fu molto
diverso: la questione giuridica
femminile venne portata alla Camera dei
Deputati, per la prima volta nel 1863 poi
nel 1871 e nel 1880 e 1882 con De
Pretis.
Nel maggio del 1912 durante la
discussione del progetto di legge della
riforma elettorale che avrebbe concesso
il voto agli analfabeti maschi, alcuni
deputati proposero un emendamento per
concedere il voto anche alle donne.
Giolitti però si oppose strenuamente,
definendolo “un salto nel buio”.
Secondo Giolitti il voto alle donne
doveva essere concesso gradualmente, a
partire dalle elezioni amministrative: le
donne avrebbero potuto esercitare i
diritti politici solo quando avessero
esercitato effettivamente i diritti civili.
Nel 1919-1920 vennero fatte due
proposte di legge che fallrono perché le
Camere vennero sciolte prima che il
Senato potesse approvarle.
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Con l’avvento del fascismo, le speranze del suffragio universale femminile
svanirono: lo Stato fascista aveva realizzato finalmente l’eguaglianza tra i sessi
privando tutti, maschi e femmine, dei diritti politici.
Il problema di fondo fu che il movimento suffragista italiano non ebbe mai la
forza che invece ebbe quello inglese.
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Maria Montessori: una vita per i bambini ... e non solo di Sara Giusta
Una curiosità. E’ per curiosità che ho scelto di fare una relazione su Maria
Montessori. La curiosità di sapere chi era e cosa aveva fatto il volto femminile stampato
sulle vecchie mille lire.
Una curiosità nata vedendo un semplicissimo telefilm televisivo e accresciuta
mano a mano che sentivo parlare di lei.
Sono molto contenta di aver scelto questo argomento per la mia relazione perché
mi è servito a conoscere meglio una persona che ha fatto tanto per i bambini di allora e
per i bambini di oggi.
Avevo sempre pensato alla Montessori come ad una figura femminile di grande
rilievo per quello che riguardava il campo scolastico, ma mai avrei immaginato che
fosse anche una femminista.
Questa relazione può essere suddivisa in quattro punti: il femminismo, il Metodo,
i rapporti con Mussolini e la pace…il collante di questi punti? la sua vita!
MARIA MONTESSORI
Maria Montessori nasce a Chiaravalle (AN), da Alessandro e Renilde Montessori,
il 31 Agosto 1870. Nel corso della sua adolescenza si trasferisce a Roma e lì decide di
iscriversi alla Facoltà di Medicina,
nonostante il parere contrario dei genitori
che avrebbero voluto che diventasse
insegnante, considerando troppo pericoloso
per una ragazza entrare in un ambiente
ancora rigorosamente maschile, in una scena
del film “Maria Montessori –una vita per i
bambini-” dopo la prima lezione, appena
tornata a casa, va dalla madre chiedendole
come mai quando si parla di scienza le
donne devono sempre dimostrare di essere
all’altezza, Renilde rispose “perché la
scienza fino ad ora è stata degli uomini”. Il
10 luglio 1896 Maria si laurea con 104 su
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110, malgrado l’ottima tesi a carattere sperimentale, non ottenne il massimo forse a
causa di un pregiudizio su di lei in quanto donna. Ottiene comunque la nomina di
assistente presso la clinica psichiatrica de “La Sapienza” dedicandosi al recupero dei
bambini con problemi psichici, da lei definiti anormali.
Pochi mesi prima della sua laurea era entrata a far parte di un gruppo femminile e
partecipa alla fondazione dell’associazione “Per la Donna”,
passano pochi mesi e le socie dell’associazione deliberano
di inviarla come loro delegata al Congresso internazionale
delle Donne che si tenne a Berlino tra il 20 e il 26
settembre.
Al Congresso interviene due volte: la prima per
parlare di come i vari gruppi femminili cercassero di porre
rimedio all’analfabetismo italiano, la seconda per illustrare
la disparità del trattamento alle donne sul lavoro,
riscuotendo molto successo tanto che giornali come il
“Corriere della Sera” e “L’illustrazione Italiana” parlarono
di lei in toni entusiastici, senza il solito sarcasmo maschile
sulla rivendicazione dei diritti da parte delle donne. In un
articolo del 24/06/2006, Emilia Costantini, giornalista del
“Corriere della Sera” l’ ha definita .
Maria non abbandona comunque il campo della medicina e della ricerca ed è
proprio in questo campo che incontra, lavorandoci insieme, Giuseppe Montesano; i due
si innamorarono e ebbero il 31 Marzo 1898 un figlio, Mario, non si sposarono mai a
causa della netta opposizione da parte della madre di lei, Renilde non voleva che la
figlia buttasse al vento la posizione conquistata, assai rara per una donna del suo tempo.
Un figlio nato al di fuori di un’unione legalizzata, che rimaneva comunque a carico
della madre non si poteva certo esibire, anche se lei era una donna moderna e affermata
professionalmente. Tacere, dopotutto, era il costume del tempo. Alla morte della madre,
Maria decise di prendersi suo figlio e di portarlo a vivere con lei, cosa che le era stata
vietata anni prima. Inizialmente venne presentato come suo nipote, diventò col tempo il
suo principale collaboratore, stabilendo con lei un legame intenso e unico. Mario si
firmò sempre “Mario M. Montessori”, essendo molto orgoglioso del nome materno
decise di propria iniziativa di aggiungerlo a quello paterno, che non usò mai finché
visse.
Nel settembre dello stesso anno della nascita di Mario, il 1898, Maria partecipa al
I Congresso pedagogico nazionale a Torino per affrontare l’argomento della situazione
pedagogica nelle scuole, anche in quell’esperienza sollevò il problema dei bambini
anormali, problema a lei molto caro. Verso la fine del Congresso, il 10 Settembre,
Elisabetta d’Austria, la celebre Sissi, viene assassinata per mano dell’anarchico Luigi
Luccheni. Il fatto scatena sulla stampa violente accuse nei confronti della scuola italiana
(non era la prima volta che c’era un omicidio da parte di un anarchico italiano, nel 1894
infatti Sante Caseario aveva ucciso il presidente francese Carnot). Sul tema Maria
prende la parola con un intervento incisivo, denunciando il fatto che molti individui
passano attraverso la scuola senza un’educazione, Maria pensava infatti a cambiamenti
per fare in modo che la scuola e la pedagogia proteggessero tutti i bambini, compresi
quelli che si dimostrano refrattari all’ambiente sociale.
Maria non dimentica la sua lotta femminista e il 18 Maggio 1902 svolse una
conferenza su “La via e l’orizzonte del femminismo”, in cui sottolineò che con la
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I cambiamenti che auspicava nel 1898 si attuano nove anni dopo, precisamente il
6 Gennaio 1907, data in cui nasceva a Roma la prima “Casa dei Bambini” (oggi
chiamata semplicemente asilo) nel quartiere di San
Lorenzo, una scuola diversa dalle altre a vista d’occhio,
era infatti a misura di fanciullo a partire
dall’arredamento stesso (pareti colorate, banchi piccoli
bianchi, librerie e lavandini ad altezza di bambino) che
migliora l’educazione sensoriale e motoria del
bambino. Una scuola diversa soprattutto perché vi era
applicato quello che lei stessa chiamava il Metodo,
tutt’ora conosciuto come “Metodo Montessori”. Nel
telefilm “Raccontami” una giovane madre smonta alle
porte le maniglie per poi riabbassarle in modo che la bambina potesse entrare e uscire
dalle camere liberamente, spiegando appunto che quello era il Metodo Montessori, tutto
doveva essere a misura di bambino. Il Metodo è basato sul principio della libertà
dell’allievo e sulla collaborazione, lascia che sia il bambino a scegliere, infatti seguendo
la sua naturale voglia di apprendere e di scoprire, si riavvicinerà anche alle cose per le
quali sembra non avere interesse. Ogni bambino deve solo trovare il luogo più adatto a
lui e poi assorbirà ogni informazione naturalmente. Le maestre non devono intervenire a
casaccio o sulla spinta di pregiudizi, ma in base ad un’osservazione attenta, metodica e
individualizzata, non disturbare il bambino tutto preso da ciò che fa, mai ricorrere a
premi o castighi. Da lei in poi si diffuse il principio in base al quale . Secondo l’ex Ministro della Pubblica Istruzione
Giuseppe Fioroni "La scuola italiana ha un grande debito di riconoscenza nei confronti
di Maria Montessori, esemplare
figura di educatore che ha
precorso i tempi ed ha avuto il
coraggio di avviare un progetto
pedagogico innovativo, basato
sulla centralità dell'alunno e
sull'idea del bambino come
persona completa", il principio
ispiratore e la grande novità
delle sue teorie furono quelli di
“conoscere e valorizzare gli
spontanei interessi del bambino
come leve prioritarie per il suo
apprendimento”.
La Casa dei Bambini fu
una scuola, ma non solo, quella
di Palliano diventò infatti anche
una casa per 150 bambini sfollati
da Caporetto nel 1917.
Il Metodo ebbe un
inaspettato successo e Maria
fece pellegrinaggi in tutto il
mondo, in Italia invece ebbe
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poca diffusione e fu proprio per questo che Mario nel 1923 sollecitò la madre ad iniziare
un rapporto con Mussolini, sperando di trovare un appoggio nel nuovo capo del
governo, aveva infatti bisogno di un sostenitore politico che condividesse le sue teorie
pedagogiche e che la aiutasse a realizzare in maniera efficace i suoi progetti. Fino ai
primi anni Trenta il rapporto fu idilliaco generando un’ammirazione personale
reciproca. Mussolini incoraggiò lo sviluppo di questa metodologia pedagogica
interamente italiana, nella quale individuava motivo di orgoglio e soddisfazione per la
nuova classe dirigente nazionale.
Mussolini decise di aiutare la
Montessori per molti fattori: la fama
della dottoressa in tutto il mondo e
soprattutto l’atteggiamento
favorevole dell’attuale Ministro della
Pubblica Istruzione, Giovanni
Gentile, che era da diversi anni
direttore della “Società degli Amici
del Metodo” (associazione fondata
nel 1910 da un gruppo di sostenitori
del Metodo che aveva il compito di
organizzare i corsi di formazione per
l’apertura delle nuove Case di
Bambini). Mussolini colse subito dal
metodo l’idea di disciplina e
autoregolamentazione, che la
dottoressa considerava indispensabile
nella sua didattica, ma non considerò
l’aspetto volto al libero sviluppo
dell’individuo. Nel 1924 il duce,
dopo aver fatto un’inchiesta sulla
situazione delle scuole montessoriane
all’estero, ottenne un risultato così
favorevole che costituì
l’Associazione Opera Montessori, il
cui Presidente fu Giovanni Gentile,
scopo dell’associazione era di
raccogliere fondi e diffondere le
riforme dell’educazione attraverso il
metodo montessoriano nella sua
completezza; fondò un ramo dell’
Opera a Milano, dove si tenne il
primo corso di formazione nazionale
per insegnanti, il programma seguito fu quello dettato dal Ministero, Presidente
Onorario del corso fu lo stesso Benito Mussolini, che regalò all’Opera 10.000£. In
conformità ai nuovi programmi governativi, nelle scuole si eseguivano canti, preghiere,
disegno libero e si infondeva il sentimento patriottico, con la devozione al re e
l’omaggio alla bandiera. Nel 1926 Maria ottenne la tessera fascista e divenne membro
onorario del partito.
Nel frattempo si aprirono scuole che adottavano il Metodo: cinque solo a Roma e
nel Gennaio del 1929 fu fondata la Regia Scuola del Metodo Montessori dove si
insegnava un corso secondario e in più anche la cultura fascista. Poiché il metodo
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prevedeva il facile adattamento alle diverse realtà nazionali e tendeva quindi a
differenziarsi serviva qualcosa che al contrario unificasse e così nello stesso anno fu
fondata l’”Associazione Internazionale Montessori” che doveva favorire una maggiore
cooperazione tra i popoli di diversa razza, religione, cultura e convinzione politica,
dando luogo ad un’intesa non solo tra il bimbo e l’adulto, ma tra tutti gli esseri umani.
Tra i suoi sostenitori troviamo nomi come Giovanni Gentile, Guglielmo Marconi e
Sigmund Freud.
La Montessori non era disposta a sacrificare la scelta del personale docente ed
accettare l’intromissione nelle sue concezioni didattiche, la libertà d’azione che le era
stata accordata nei primi tempi non era conciliabile con la prassi di Mussolini e il
regime, appena ne ebbe la possibilità, tentò di controllare il suo operato. Nel luglio del
1932, l’insegnante di pedagogia, nonché direttrice di una scuola di Roma, Giuliana
Sorge, fu coinvolta in uno scandalo, venne accusata di aver detto, sul posto di lavoro,
una frase offensiva nei confronti del duce (di cui però non se ne conoscono le parole).
Venne arrestata, privata del passaporto e sospesa dal suo incarico, fu poi sostituita da
un’altra insegnante che non conosceva neanche il Metodo. Questo episodio diede inizio
ad una estenuante contesa tra la Montessori e il Ministero per la scelta del personale
docente, il criterio di scelta era diventao la totale adesione al fascismo. Per questo
motivo nel 1934 ci fu la rottura tra il duce e la Montessori, la quale decise col figlio di
lasciare l’Italia, due anni dopo il fascismo chiuse l’Opera.
Un altro tassello molto importante della sua vita è dato dal suo impegno per la
pace, nel 1929
viene invitata a
Ginevra dalla
Società delle
Nazioni, la
prima
organizzazione
politica
internazionale,
che da anni
cercava di
trovare un
equilibrio
pacifico tra i
popoli. Alcune
frasi della sua
relazione
sembrano avere quasi un valore profetico:”Se, allo scopo di distruggere qualcun altro,
gli uomini useranno ciecamente forze cosmiche senza conoscerle il risultato sarà presto
raggiunto. L’umanità oggi è come un bambino abbandonato, perduto in un bosco,
spaventato dalle ombre e dai misteriosi rumori della notte. Gli uomini non realizzano
con chiarezza quali siano le forze che li trascinano nella guerra e per quale ragione
appaiano inermi contro di esse. ” Secondo Maria , è infatti normale che gli uomini facciano la guerra poiché fin dai
primi anni di vita, all’interno della famiglia e della scuola, sperimentano molteplici
forme di intolleranza e aggressività. Secondo lei, inoltre,
Maria insistette sulla questione dei bambini e nel 1937 si fa addirittura promotrice
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del “partito sociale del bambino”, ma la seconda guerra mondiale annullerà ogni sua
iniziativa.
Nel 1949 viene candidata al Premio Nobel, i suoi due temibili avversari sono la
Fondazione Bernadotte e la Croce Rossa, entrambe sostenute dagli Inglesi; un
prestigioso giornalista, Vittorio Gorresio, sottolineò sul “Corriere della Sera” che ne la
Fondazione ne la Croce Rossa hanno dato un contributo alla pace, anzi ambedue
presuppongono l’esistenza della guerra. Alla fine il premio andò al primo direttore della
Fao (dott. Boyd-Orr).
L’immagine della Montessori che è rimasta impressa a molte persone è quella di
una donna con un sorriso quasi ironico che esprime la freschezza di una mente che non
si stanca mai di indagare. I suoi modi sono semplici, famigliari, ma con una voce decisa,
come quella di una donna che non ammette contraddizioni, una voce che allo stesso
tempo è anche musicale e carica di una
passione intellettuale che non
l’abbandonerà nemmeno negli ultimi
giorni della sua vita.
Morì il 6 Maggio 1952 a
Noordwijk in Olanda la donna che
Giampietro Dore, giornalista de “Il
Quotidiano” definì , sulla sua lapide si
trova la scritta “io prego i cari bambini,
che possono tutto, di unirsi a me per la
costruzione della pace negli uomini e nel mondo”.
LE FONTI
Filmografia:
-“Maria Montessori –una vita per i bambini-” regia di Gianluca Tavarelli, con
Paola Cortellesi, Drammatico, colore, Italia, 2007;
-“Raccontami –capitolo secondo-”, 12° puntata, 24° episodio, regia di Riccardo
Donna e Tiziana Aristarco, con Massimo Ghini, Commedia, colore, Italia,
2008;
Bibliografia:
-Grazia Honegger Fresco, “Maria Montessori –una storia attuale-”, I edizione,
Napoli-Roma, L’ancora del mediterraneo (le gomene), febbraio 2008;
-Maria Montessori, “Il Metodo della pedagogia scientifica applicato
all’educazione infantile nelle case dei bambini”, III edizione, Roma, Maglione
& Strini, 1935;
Sitografia:
-http://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Montessori;
-http://74.86.27.188/testipdf/2000_1_177-196.pdf;
-http://www.repubblica.it/2006/09/sezioni/scuola_e_universita/
servizi/montessori-studio-americano/centenario-montessori-roma/centenario-
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montessori-roma.html;
-http://archiviostorico.corriere.it/2006/giugno/24/Cortellesi_
eroina_fiction_rivivere_Maria_co_9_060624005.shtml;
-http://www.operanazionalemontessori.it/index.php?option=com_
content&task=section&id=5&Itemid=32;
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Edda Ciano: il rapporto con il padre e la nave ospedale Po di Eliana
Demuru
Premessa
La fonte principale di questa relazione è stata la raccolta di interviste fatte ad Edda
Ciano dal giornalista e suo amico Domenico Olivieri tra il 1980 e il 1990. Come si
deduce dal titolo “Edda Ciano La mia vita”, la figlia del duce racconta i principali
momenti della sua vita, più che sotto un punto di vista politico, sotto un punto di vista
umano. Ho trovato interessante vedere il rapporto che aveva con il duce colei che
poteva realmente chiamarlo padre e non solo per un invito e per l’atteggiamento del
duce nei suoi discorsi.
La scelta di parlare della vicenda della nave ospedaliera Po che coinvolse Edda
Ciano è dovuto alla curiosità, ad un articolo letto per caso, a questo si aggiunge il fatto
che è una vicenda che non spesso viene riportata sui libri di testo scolastici.
Di questa donna mi ha colpito il carattere molto deciso e forte che aveva alle
spalle l’ombra ingombrante del padre che tuttavia non si preoccupava affatto di andargli
contro.
Edda Ciano: la vita e il rapporto con il padre
Edda Mussolini, figlia primogenita di Benito
Mussolini e Rachele Guidi, nacque il 1° settembre del
1910 a Forlì, la coppia non era sposata (si sposarono nel
1925 e Edda i fratelli vennero battezzati in seguito al
concordato tra stato e chiesa), anche per le idee socialiste
di Mussolini, per cui Edda venne registrata all’anagrafe
come figlia illegittima dal padre e al posto del nome
materno con l’annotazione “N.N.”.
La sua vita fu caratterizzata da un difficile rapporto con i
genitori, entrambi con un carattere molto forte, la stessa
Edda si dimostrò molto determinata e questo portò a
diversi scontri. Edda obbediva principalmente a suo
padre, più affettuoso di sua madre ma al contempo molto
rigido. In casa Mussolini non era consentito farsi vedere piangere o lamentarsi per delle
piccolezze, come racconta la stessa Edda nell’intervista rilasciata a Domenico Olivieri,
da bambina era abituata ad addormentarsi sentendo suo padre che le suonava il violino,
una sera non suonò e lei si mise a urlare come una matta e “papà mi tirò tutto ciò che
aveva per le mani” oppure di un altro episodio racconta che lei aveva il vizio di toccarsi
i capelli e “papà non voleva, allora mi rapò”; a questo si univano le diverse liti tra i
genitori a causa di presunti o reali tradimenti a cui lei era costretta ad assistere come
giudice, si allontanò dai suoi genitori e decise di andare nel collegio di Poggio
Imperiale. Tornata iniziò a viaggiare e si manifestò la sua personalità forte e ribelle: fu
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tra le prime donne a guidare un’automobile e indossare i pantaloni, inoltre giocava
d’azzardo e fumava cosa che non piacque a suo padre così come il ragazzo ebreo che
aveva intenzione di sposare nel 1929. In una lettera Mussolini rispose “guarda, gli ebrei
sono i miei peggiori nemici”, ci fu un altro fidanzamento finchè nel 1930 conobbe Gian
Galeazzo Ciano conte di Cortellazzo e Buccari (l’incontro fu in qualche modo pilotato
da Mussolini), si sposarono a Roma, il 24 aprile 1930 dopo due mesi di fidanzamento,
più che un matrimonio familiare fu un matrimonio di stato, erano presenti numerose
personalità del regime fascista, del mondo religioso e di quello imprenditoriale, fu un
collante tra popolo e duce infatti i due rappresentavano una giovane famiglia fascista
che doveva essere d’esempio. Dopo un breve viaggio di nozze a Capri partirono per la
Cina per un incarico diplomatico di Galeazzo e nel mentre appresero della vittoria di
Hitler alle elezioni cosa che piacque a Edda mentre Galeazzo si mostò più tentennante.
Tornati in Itaia Galeazzo ricevette un incarico da Mussolini nel 1933, come capo
dell’ufficio stampa del duce, nel 1935 divenne ministro della stampa e della
propaganda, il 9 giugno del 1936 fu nominato Ministro degli Esteri. Nei suoi primi anni
come ministro degli esteri eseguì le volontà di Mussolini, ma successivamente iniziò a
dubitare dell’avvicinamento con Hitler che lui stesso aveva firmato nel 1936 (asse
Roma-Berlino). Il 1° settembre del 1939 la Germania invase la Polonia dando
inizio alla seconda guerra mondiale. Per quanto riguarda l’Italia e il teatro balcanico, nel
1939 l’Albania venne annessa con molta facilità all’Italia e Galeazzo intitolò alla moglie
un porto (Porto Edda), nel 1940 l’Italia invase la Grecia che, appoggiata dagli Inglesi, si
impadronì di larga parte dell’Albania, Mussolini tentò una seconda offensiva ma solo
con l’aiuto di Hitler nel 1941 riuscì a spezzare la resistenza greca. La
contessa in qualche modo voleva rendersi utile e partecipare alla guerra così nel giugno
del 1940 a Torino prese parte a un corso per diventare infermiera e nella primavera del
1941 partì per l’Albania sulla nave ospedale Po, prestò servizio come crocerossina
anche sul fronte russo, in Africa e in Sicilia dove apprese della riunione del gran
consiglio del fascismo del 25 luglio del 1943, data in cui cadde il fascismo per i voti di
sfiducia ottenuti dal duce, anche Galeazzo Ciano votò contro il duce e per questo, con
gli altri traditori, venne fucilato a Verona l’11 gennaio del 1944. Edda tentò invano di
salvare la vita di suo marito con il tentativo di consegnare ai tedeschi i diari del marito
che contenevano informazioni su ragioni e motivi di molti fatti che ebbero molta
rilevanza visti dall'interno del regime. Scappò in Svizzera con i tre figli, cominciò un
periodo molto duro caratterizzato da fughe, documenti falsi, due anni di confino a
Lipari, dal rifugio in convento e in manicomio, senza alcun contatto con la famiglia se
non un’ultima lettera del padre con del denaro a cui Edda rispose aspramente “accetto
questo denaro perché ne ho bisogno, ma appena posso te lo restituisco, non voglio avere
niente da te”. Venne a sapere il 28 aprile 1945 dell’uccisione del padre tramite la radio e
dell’esposizione del cadavere in piazzale Loreto. La vita di Edda Ciano è stata
caratterizzata da un misto di odio e amore verso il padre, da una personalità
intraprendente e irrequieta pronta a scontrarsi con il potente padre che affermò "Ho
sottomesso il Paese, ma non riuscirò a sottomettere mia figlia".
Edda Ciano morì a Roma l’ 8 aprile 1995 e fu sepolta a Livorno vicino alla tomba di
Galeazzo Ciano.
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La nave ospedale Po
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Le prime navi ospedali apparvero nella guerra di Crimea (1853-1856), ma fu con
la seconda guerra mondiale che assunsero maggiore importanza, infatti l’Italia aveva
dodici navi ospedale. Spesso le navi ospedale erano navi passeggeri adeguatamente
attrezzate per trasportare feriti e infermi; con i nuovi metodi come gli attacchi aerei o
sottomarini era necessario questo tipo di intervento, che nei casi più gravi, doveva
essere quanto mai tempestivo.
La Po venne costruita nel 1911, pesava 7289 tonnellate, apparteneva alla
compagnia di navigazione Lloyd Austriaco con il nome Weim, nel 1916 venne requisita
dalla marina militare asburgica e trasformata in nave ospedale, danneggiata fu ridata
alla compagnia di navigazione e requisita nuovamente diventando una nave caserma per
tedeschi, venne affondata nel 1919 dagli italiani e requisita dalla Regia Marina come
preda bellica e chiamata Vienna, nel 1935 fu chiamata Po e nel 1940 fu nuovamente
trasformata in nave ospedale. Edda Ciano si imbarcò, nel marzo del 1941, a bordo della
Po in qualità di crocerossina con altre 239 persone dell’equipaggio, la nave ormeggiò
nel porto di Valona in Albania; come dice la contessa anche il duce si trovava in
Albania, perché doveva vedere dei pozzi di petrolio. La notte tra il 13 e il 14 marzo del
1941 era una “notte di luce incredibile” a causa della luna piena, il comando della
marina locale aveva dato l’ordine di spegnere le luci della Po di modo che le altre
imbarcazioni che si trovavano nella baia non diventassero un possibile bersaglio; di
norma le navi ospedali tenevano le luci accese di modo che la croce rossa in campo
bianco fosse ben visibile e quindi non potessero venire attaccate dai nemici.
Quando oramai gran parte dell’equipaggio era ormai nelle proprie cabine cinque
aerosiluranti “Swardfish” dell’aviazione marina inglese volarono a bassa quota sulla
baia di Valona; gli inglesi, in seguito all’attacco della Grecia da parte dell’Italia, poi
aiutata dai tedeschi, avevano come obbiettivo quello di attaccare porti e rifornimenti
italiani per aiutare gli alleati della Grecia. Uno degli aerosiluranti venne abbattuto, uno
centrò la Po e gli altri attaccarono Durazzo e i campi fortificati di Tirana e Berat. La
nave ospedale non aveva a bordo i feriti e i malati da riportare in Italia, ma gli avrebbe
dovuti caricare la mattina seguente, questo ha ridotto il numero di possibili vittime che
furono comunque 23 persone. La nave venne colpita lateralmente, in pochi minuti la
poppa si trovava già sott’acqua, diverse persone annegarono, tra cui tre crocerossine di
cui un’amica di Edda, Ennia Tramontani, a lei e alle due compagne (Maria Federici e
Wanda Sechi) venne data la medaglia d’argento per il valore militare, a Edda la
medaglia di bronzo cosa per cui successivamente dissee nel libro “Le italiane” di Anita
Pensotti “con quali strani criteri si misura il coraggio? Non capirò mai che merito ci sia
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Ricordi di donne del Novecento
nell’ essere dei sopravvissuti, nell’aver schivato in un modo o nell’altro la morte”. Edda
tentò di salvarsi a nuoto ma fu scoraggiata dalla distanza da terra e soprattutto dal
freddo dell’acqua, motivo per cui dei militari morirono per assideramento, si aggrappò
ad una scialuppa che però era ancora legata alla nave che stava affondando che
fortunatamente toccò il fondo lasciando così liberi i naufraghi; dopo circa due ore un
motopeschereccio si accorse dei superstiti rimasti in mare. Questo avvenimento fece
molto scalpore, non tanto per il fatto che la nave affondata fosse una nave ospedale,
anche perché la Po non fu né la prima né l’ultima nave ospedale che veniva colpita, ma
per il fatto che a bordo vi si trovasse la figlia del duce, era infatti elevata la
preoccupazione per le condizioni di Edda come si nota anche dai documenti segreti
della Supermarina (il comando superiore della Regia Marina durante la seconda guerra
mondiale) in cui viene scritto “Contessa Ciano sta bene”. Questa vicenda venne sfruttata
dalla propaganda fascista per mettere in luce la vigliaccheria degli inglesi. A riguardo di
questa vicenda la figlia del duce disse “gli inglesi credevano che il piroscafo fosse la
residenza di papà e ci silurarono benché avessimo le insegne di una nave ospedaliera. È
vero che non avevamo le luci accese come avremmo dovuto ma la notte era molto
luminosa ed era impossibile non vedere l’enorme croce rossa dipinta sullo scafo”.
Il relitto della “spedaliera”, così come era chiamata dai marinai del luogo, è stato
ritrovato il 31 luglio del 2005, il giorno prima, sempre nella baia di Valona, venne
trovato il relitto della corazzata Regina Margherita che era affondata nel 1916. Come si
può leggere nell’ufficiale comunicato stampa “I ritrovamenti daranno seguito ad
iniziative congiunte dell’Ambasciata d’Italia a Tirana, del Consolato Generale d’Italia a
Valona e della Iantd (che si occupa di spedizioni e immersioni subacquee archeologiche
e scientifiche sui relitti e i luoghi della storia) volte a valorizzare il significato storico di
quegli avvenimenti e ad onorare la memoria dei caduti nei due eventi bellici”.
Fonti
Edda Ciano La mia vita, intervista a cura di Domenico Olivieri, 2001 Mondadori
Editore, Milano Le italiane, Anita Pensotti , 1999 Simonelli Editore
Focus storia n° 17 di dicembre- gennaio 2008
http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=1224&biografia=Edda+Ciano+Mus
solini
http://it.wikipedia.org/wiki/Edda_Ciano
http://www.iantdexpeditions.com/spedizioni/po2005/navepopdf.pdf
http://www.iantdexpeditions.com/spedizioni/po2005/po2005.htm
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