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gli assetti proprietari delle strutture turistico ricettive

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GLI ASSETTI PROPRIETARI DELLE<br />

STRUTTURE TURISTICO RICETTIVE:<br />

ASPETTI VECCHI E NUOVI<br />

di Chiara Alvisi<br />

Produzione e logistica >> Sistemi di management


LO STATUTO DELLA PROPRIETÀ ALBERGHIERA COME “SINTESI” DI INTERESSI<br />

PRIVATI E COLLETTIVI. L’EVOLUZIONE NORMATIVA DEL VINCOLO ALBERGHIERO<br />

Lo statuto della proprietà alberghiera costituisce un esempio paradigmatico di come l’istituto<br />

della proprietà sia terreno di mediazione tra interessi confliggenti e parimenti garantiti<br />

dall’ordinamento giuridico: l’interesse privato all’appropriazione esclusiva del bene, con<br />

pienezza di facoltà, e quello della collettività alla conservazione del valore d’uso e del valore di<br />

scambio correlato all’impiego produttivo del “bene albergo”.<br />

L’interesse pubblico sotteso al diritto di proprietà è connesso non solo alla fruizione <strong>delle</strong><br />

esternalità positive che derivano alla collettività dalla capacità ricettiva di un dato territorio, ma<br />

anche alla razionale pianificazione dell’assetto urbanistico, e dunque al governo <strong>delle</strong><br />

esternalità negative che comunque si ricollegano alla proprietà edilizia.<br />

E’ emblematica in questo senso l’evoluzione normativa del vincolo alberghiero.<br />

La previgente disciplina dettata in materia di immobili destinati ad albergo, introdotta con L. 24<br />

lu<strong>gli</strong>o 1936, n. 1692, sanciva espressamente il divieto di alienazione dell’immobile vincolato,<br />

quantomeno laddove l’atto di disposizione avesse comportato – di fatto - un mutamento della<br />

destinazione d’uso impressa dal <strong>proprietari</strong>o: nel provvedimento normativo citato si statuiva<br />

infatti che “<strong>gli</strong> edifici interamente o prevalentemente destinati ad uso di albergo, pensione o<br />

locanda, per destinazione dei <strong>proprietari</strong> o per concessione risultante da contratto di affitto,<br />

non possono essere venduti né dati in locazione per uso diverso da quello alberghiero senza<br />

l’autorizzazione del ministro competente”.<br />

Il vincolo di destinazione costituiva, pertanto, disciplina imperativa di un particolare modo di<br />

utilizzo del bene, in funzione di garanzia dell’interesse della collettività al valore d’uso –<br />

<strong>turistico</strong> – dell’immobile, vincolo reso effettivo dalla corrispondente limitazione del diritto di<br />

proprietà sotto il profilo della facoltà di disposizione a cui è plausibile ritenere conseguisse la<br />

nullità de<strong>gli</strong> atti negoziali attuati in violazione del divieto.<br />

A quell’epoca il sorgere del vincolo legale presupponeva, in origine, un atto di destinazione<br />

impresso dal <strong>proprietari</strong>o, e dunque un atto di autonomia privata, in coerenza con il quadro<br />

normativo disegnato dal codice civile del 1865 in cui il diritto di proprietà veniva ancora<br />

concepito, con definizione letteralmente mutuata dal Code Napolèon, come “diritto di godere e<br />

disporre della cosa nella maniera più assoluta purchè non se ne faccia un uso vietato dalla<br />

legge e dai regolamenti” 1 .<br />

La legge del 1936 si limitava, pertanto, “a rafforzare e a rendere stabile la destinazione già<br />

operata dal privato”. Essa, dunque, non introduceva un limite cd. “conformativo” al<br />

contenuto del diritto di proprietà alberghiera, da intendersi ancora – secondo la logica di<br />

matrice giusnaturalistica refluita nelle codificazioni ottocentesche - quale diritto fondamentale<br />

dell’uomo, come tale “inviolable et sacré”.<br />

La concezione del diritto di proprietà accolta dai bill of rights e dalle Carte costituzionali<br />

ottocentesche comportava l’esclusione di ogni componente obbligatoria dalla struttura del<br />

diritto reale e l’attribuzione di un ruolo comunque subordinato ai limiti posti dalla legislazione<br />

speciale 2 . La visione unitaria del diritto di proprietà traspare nella felice definizione che ne dà<br />

Bernhard Windscheid nel Diritto <strong>delle</strong> Pandette: “la proprietà come tale è illimitata: ma<br />

ammette restrizioni”. Assolutezza significava, quindi, assenza di limiti, laddove eventuali vincoli<br />

o limiti non potevano leggersi che come eccezioni, insuscettibili tanto di applicazione analogica<br />

che di interpretazione estensiva 3 .<br />

1 Così l’art. 436 c.c. 1865, mentre l’art. 544 del Code Napolèon disponeva testualmente “la propriètè est le droit de jour et disposer des<br />

choses de la manière la plus absolue, pourvu qu’on n’en fasse pas un usage prohibè par les lois oi par les règlements”<br />

2 Si veda, ad esempio, il nostro Statuto Albertino, che all’art. 29 recitava “Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili.<br />

Tuttavia quando l’interesse pubblico legalmente accertato lo esiga, si può essere tenuti a cederle in tutto o in parte, mediante una giusta<br />

indennità conforme alle leggi”.<br />

3 L’eco di queste concezioni “assolutiste”, che portano a considerare come eccezione di restrittiva interpretazione ogni “peso” imposto<br />

al diritto di proprietà, si trova ancora – pur nella mutata cornice del codice civile del 1942 – nelle massime giurisprudenziali: “Dal<br />

disposto dell’art.832 c.c. e del comma 2 dell’art.42 Cost., si desume che le norme che pongono limiti ai poteri del titolare del diritto di<br />

proprietà non consentono applicazione analogica, siano esse dettate da ragioni di interesse generale a carattere pubblicistico, ovvero in<br />

vista dell’esigenza sociale di contemperare il diritto e <strong>gli</strong> interessi di ciascun <strong>proprietari</strong>o con quelli de<strong>gli</strong> altri (..)” (Cass., 20 febbraio<br />

1969, n 570).<br />

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La descritta disciplina vincolistica sopravviveva fino al 1981 quando veniva caducata dalla<br />

dichiarazione di illegittimità costituzionale di una <strong>delle</strong> successive leggi di proroga 4 . La<br />

normativa del 1936, venuta a cessare il 31 dicembre 1943, era stata ripristinata con D.Lgt. 19<br />

marzo 1945, n. 117 fino a 5 anni dalla cessazione dello stato di guerra. Era quindi stata<br />

successivamente prorogata dall’art. 1, L. 29 marzo 1951, n. 358 fino al 31 dicembre 1951, con<br />

esclusivo riferimento a<strong>gli</strong> immobili destinati ad uso alberghiero prima della data di<br />

pubblicazione del decreto del 1945. La stesso differente trattamento veniva ribadito dalla<br />

successiva disposizione di proroga di cui al D.L. n. 460/1967, convertito in L. n. 628/1967,<br />

dichiarata appunto costituzionalmente illegittima.<br />

La questione di illegittimità costituzionale non toccava la ratio del vincolo, che dal giudice a quo<br />

veniva riconosciuta conforme a<strong>gli</strong> artt. 41 e 42 Cost., “atteso il rilievo socio-economico<br />

dell’industria alberghiera”. Nell’ordinanza di rinvio il giudice non negava che “l’incidenza della<br />

disciplina (...) nella sfera spettante alla iniziativa economica o alla proprietà privata possa<br />

trovare qualche idoneo supporto nella Costituzione. La previsione del vincolo alberghiero<br />

sarebbe per un verso riconducibile ai programmi e ai controlli che la legge determina, ai sensi<br />

dell’art. 41 comma 3 Cost., per indirizzare l’attività economica, non importa se pubblica o<br />

privata, e coordinarla ai fini sociali; per altro verso – se si guarda all’immobile adibito ad<br />

albergo non come elemento dell’azienda alberghiera, ma come bene in sé considerato, rispetto<br />

al <strong>proprietari</strong>o – saremmo di fronte ad un limite del tipo prefigurato dall’art. 42, comma 2,<br />

Cost. che serve a garantire ed attuare la funzione sociale della proprietà. Simili configurazioni<br />

verrebbero del resto suffragate dal grande ed evidente rilievo socio economico dell’industria<br />

alberghiera, indispensabile al turismo di qualità e di massa, e al decisivo apporto che ne<br />

consegue per la bilancia valutaria”.<br />

Riconosciuto il legittimo fondamento di un vincolo di destinazione all’interno del nostro<br />

ordinamento, la questione di legittimità costituzionale si appuntava sulla differenza di<br />

trattamento che, in contrasto con l’art. 3 Cost., veniva istituita fra alberghi adibiti a tale uso<br />

prima del 1945, sui quali veniva a gravare il vincolo, e alberghi costruiti nel dopoguerra, liberi<br />

dal vincolo. Secondo la Corte Costituzionale, mentre questa disparità di trattamento risultava<br />

giustificata all’atto della sua introduzione nel 1945 e nel 1951, vale a dire nell’immediato<br />

dopoguerra, attesa “l’esigenza di non diminuire le ridotte ed insostituibili attrezzature<br />

turistiche, venute progressivamente ad affievolirsi”, non lo era più quando veniva prorogata,<br />

nel 1967, dopo la ricostruzione del patrimonio alberghiero.<br />

A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della menzionata disciplina<br />

normativa, il vincolo veniva reintrodotto, con diversi contenuti e per tutti <strong>gli</strong> immobili<br />

alberghieri, dall’art. 8, L. 17 maggio 1983, n. 217 e dalla legislazione regionale che vi dava<br />

attuazione.<br />

Questa disposizione, peraltro abrogata dalla successiva L. 29 marzo 2001, n. 135, di “Riforma<br />

della legislazione nazionale del turismo”, non contemplava un divieto espresso di alienazione<br />

funzionale alla modifica della destinazione d’uso dell’immobile alberghiero, ma si limitava a<br />

prevedere che “ai fini della conservazione e della tutela del patrimonio ricettivo, in quanto<br />

rispondente a finalità di pubblico interesse e della utilità sociale, le Regioni, con specifiche<br />

leggi, sottopongono a vincolo di destinazione le <strong>strutture</strong> <strong>ricettive</strong> indicate dall’art. 6 (…)”.<br />

Contestualmente la legge quadro per il turismo del 1983 identificava la nozione di impresa<br />

turistica con “l’attività di gestione di <strong>strutture</strong> <strong>ricettive</strong> ed annessi servizi turistici” (art.5),<br />

operando la classificazione <strong>delle</strong> <strong>strutture</strong> <strong>turistico</strong>-<strong>ricettive</strong> attraverso la tipizzazione della<br />

loro destinazione d’uso. Gli elementi qualificanti della ricettività alberghiera venivano, pertanto,<br />

individuati dalla legge quadro nella “gestione unitaria” della struttura e nella “offerta al<br />

pubblico” dei servizi per l’ospitalità.<br />

Tale classificazione, nell’intendimento del legislatore, non era tuttavia esaustiva ammettendosi<br />

che le Regioni, all’epoca dotate di competenza normativa concorrente sulla materia, potessero<br />

“individuare e disciplinare altre <strong>strutture</strong> destinate alla ricettività turistica” (art. 6, ultimo<br />

comma).<br />

4 Corte Cost. 28 gennaio 1981, n. 4, in Giur. cost., 1981, I, 25, secondo cui “E’ costituzionalmente illegittimo – per contrasto con l’art. 3<br />

Cost (….) – l’art. 5 del d.l. 27 giugno 1967, n. 460, convertito nella legge 28 lu<strong>gli</strong>o 1967, n. 628 (…)”.<br />

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La legislazione regionale attuativa dei principi della legge quadro delega i Comuni ad “adeguare<br />

i propri strumenti urbanistici con la previsione della disciplina urbanistica <strong>delle</strong> <strong>strutture</strong><br />

<strong>ricettive</strong> riferita in particolare a quelle esistenti e (…) con l’individuazione <strong>delle</strong> aree<br />

specificamente destinate a<strong>gli</strong> insediamenti <strong>turistico</strong>-ricettivi, tenuto conto <strong>delle</strong> linee di<br />

indirizzo della programmazione regionale” 5 .<br />

All’indomani della legge-quadro nazionale del 1983 il vincolo alberghiero ha assunto, pertanto,<br />

una rilevanza eminentemente urbanistica.<br />

Ne è derivata una conformazione del contenuto della proprietà alberghiera in cui sono confluiti<br />

sia lo statuto della proprietà edilizia, sia lo statuto di quel particolare bene produttivo che è<br />

l’albergo, secondo la classificazione e la tipizzazione della modalità d’uso produttiva di quel<br />

bene operata in primis dal legislatore nazionale e, in via attuativa dei principi della legge<br />

quadro, dal legislatore regionale.<br />

La specialità della proprietà alberghiera rispetto al modello statico ed apparentemente unitario<br />

sancito dall’art. 832 c.c. è, tuttavia, solo apparente.<br />

Questa norma, infatti, innovando radicalmente la concezione tradizionale accolta dal codice del<br />

1865, ha essa stessa abbandonato il concetto di assolutezza del diritto di proprietà,<br />

sostituendolo con il concetto di “pienezza”, ed ha ricondotto al contenuto del diritto di<br />

proprietà l’osservanza de<strong>gli</strong> obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico. L’evoluzione normativa<br />

sottende il passaggio da una concezione dominicale strettamente individualistica, che identifica<br />

la proprietà come il diritto ad escludere i terzi da ogni interferenza sul bene, ad una visione<br />

pluralistica che esige sia garantita l’accessibilità ai beni che, secondo l’ordinamento,<br />

costituiscono risorse di interesse collettivo.<br />

Come ha rilevato Pu<strong>gli</strong>atti, la disciplina codificata della proprietà si riduce ad un rinvio a tutte le<br />

disposizioni speciali che contengono limiti o impongono obbligazioni. La nozione<br />

apparentemente statica e unitaria di proprietà, che si ricava dal comma primo dell’art. 832<br />

c.c., è resa dunque “dinamica” proprio dall’inciso finale della norma e dal “richiamo<br />

dell’ordinamento nel suo complesso e nella sua mutevolezza”. Questa evoluzione è stata altresì<br />

legittimata dal Costituente che ha demandato al legislatore il compito di “riconoscere” e<br />

“garantire” la proprietà privata, di determinarne i modi di acquisto, di godimento e i limiti, allo<br />

scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.<br />

Come nota Rescigno, “funzione sociale e accessibilità a tutti (…) insinuano limiti e obblighi nella<br />

struttura stessa della proprietà, contro l’immagine del codice che sembra ancora fermarli in<br />

una fascia contigua ma estranea al diritto (…)” 6 .<br />

LA PROPRIETÀ ALBERGHIERA COME SPECIES DEL GENUS “PROPRIETÀ EDILIZIA”. LA<br />

MULTIPROPRIETÀ ALBERGHIERA E I PROBLEMI DI COMPATIBILITÀ CON IL VINCOLO<br />

La disciplina della proprietà alberghiera trova la sua collocazione sistematica nell’impianto<br />

codicistico solo in quanto species del più ampio genus della proprietà edilizia.<br />

Tuttavia, in quanto fattispecie di proprietà edilizia anche la proprietà alberghiera trova la sua<br />

regolamentazione in fonti extracodicistiche: <strong>gli</strong> artt. 869 – 872 c.c., dedicati alla proprietà<br />

edilizia, contengono una serie di rinvii alla legislazione speciale di portata così ampia da potersi<br />

affermare che “la disciplina della proprietà edilizia è dunque tutta fuori dal codice civile”.<br />

Questa “fuga” dal codice civile nella conformazione del contenuto, per così dire statico, della<br />

proprietà alberghiera è dunque, e anzitutto, il portato della sua classificazione come fattispecie<br />

di proprietà edilizia. Come per quest’ultima fattispecie, anche per la proprietà alberghiera il<br />

vincolo di destinazione urbanistica del bene si risolve anzitutto in una limitazione di quel<br />

particolare contenuto del diritto di proprietà che attiene allo jus aedificandi. Non sono, infatti, i<br />

<strong>proprietari</strong> dei suoli a stabilire quale debba essere la loro destinazione d’uso né, entro certi<br />

limiti, le caratteristiche tipologiche dell’edificio da realizzare quanto ad altezze, volumi,<br />

distanze, sagome. Parimenti la disciplina del vincolo alberghiero limita e conforma alla<br />

5<br />

Così l’art. 3 della legge regionale Emilia Romagna 9 aprile 1990, n. 28, successivamente modificata dalla legge regionale 24 marzo<br />

2000, n. 20.<br />

6<br />

Rescigno, op. cit., 287.<br />

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destinazione d’uso - impressa da<strong>gli</strong> strumenti urbanistici comunali alla zona su cui sorge<br />

l’immobile - le attività di trasformazione edilizia <strong>delle</strong> <strong>strutture</strong> <strong>ricettive</strong> già esistenti, nonché le<br />

attività di costruzione di nuovi insediamenti ricettivi.<br />

Così la giurisprudenza ha ritenuto sussistesse un illecito urbanistico penalmente rilevante<br />

nel caso in cui, a fronte della concessione edilizia richiesta per la demolizione, costruzione ed<br />

ampliamento di immobile destinato ad albergo ne veniva poi modificata la destinazione d’uso<br />

con la realizzazione di locali destinati ad abitazioni private.<br />

Si è, inoltre, ritenuto che costituisse illecito urbanistico anche il mutamento della destinazione<br />

d’uso da alberghiero a residenziale attuata con i singoli atti di acquisto <strong>delle</strong> unità immobiliari<br />

di un edificio quando “la modifica della destinazione d’uso sia stata predisposta sin<br />

dall’esecuzione dei lavori, adottando <strong>gli</strong> accorgimenti costruttivi necessari per permettere la<br />

successiva vendita <strong>delle</strong> singole “suites” come entità residenziali autonomamente utilizzabili”.<br />

Ne derivano conseguenze peculiari in ordine ai controlli su<strong>gli</strong> atti di godimento del bene,<br />

nonché in ordine alle sanzioni applicabili a<strong>gli</strong> atti realizzati in violazione del vincolo.<br />

Il principale strumento di controllo sulle modalità di utilizzo del bene è rappresentato dalla<br />

concessione edilizia 7 , cui si ricollega l’indisponibilità dell’immobile abusivo nei ristretti limiti in<br />

cui l’art. 17, L. n. 47/1985 (oggi riprodotto dall’art. 46 del T.U. sull’edilizia) commina la nullità<br />

dell’atto traslativo stipulato senza menzione (e in assenza) della concessione a costruire o in<br />

sanatoria.<br />

Ne deriva, altresì, che il mutamento strutturale della destinazione d’uso impressa all’immobile<br />

dalla concessione edilizia integra illecito urbanistico cui si ricollegano le sanzioni, anche penali<br />

e ripristinatorie, stabilite originariamente dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47 e oggi<br />

riconfermate dal T.U. <strong>delle</strong> disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, entrato in<br />

vigore, dopo numerose vicissitudini, il 30 giugno 2003.<br />

Assai più problematico è invece stabilire se e quando il frazionamento dell’immobile<br />

alberghiero, attuato attraverso atti di disposizione del bene e senza opere, integri un<br />

mutamento solo funzionale della destinazione d’uso impressa da<strong>gli</strong> strumenti urbanistici, atteso<br />

che, come si è visto, la disciplina del vincolo alberghiero introdotta a partire da<strong>gli</strong> anni Ottanta<br />

non menziona più un divieto espresso di alienazione, o comunque di disposizione, funzionale al<br />

mutamento della destinazione d’uso alberghiera.<br />

Il quesito è emerso di frequente nella prassi con riferimento all’ammissibilità della cosiddetta<br />

multiproprietà alberghiera ogniqualvolta si veniva a costituire sull’immobile, per via<br />

contrattuale, un diritto di godimento turnario di natura reale.<br />

Come si è visto, la classificazione <strong>delle</strong> <strong>strutture</strong> <strong>turistico</strong>-<strong>ricettive</strong>, contenuta nella leggequadro<br />

del 1983 ed attuata, anche con soluzioni creative, dalla legislazione regionale, opera<br />

una tipizzazione <strong>delle</strong> modalità d’uso dell’immobile che compone l’azienda alberghiera,<br />

suggerendo che il suo esercizio sia legittimato in base ad un titolo, sia pure non<br />

necessariamente <strong>proprietari</strong>o, che ne garantisca la gestione unitaria e consenta l’offerta al<br />

pubblico dei servizi per l’ospitalità che essa produce. Tale ultimo requisito sembrerebbe dunque<br />

escludere, in linea di principio, che la fruizione a fini ricettivi dell’immobile o di sue singole parti<br />

possa legittimarsi in base ad un diritto reale dell’utente.<br />

Ne dovrebbe conseguire che l’alienazione della proprietà separata di singole parti dell’immobile<br />

alberghiero, così come il suo frazionamento in diritti di multiproprietà reale, è in sé suscettibile<br />

di determinare un mutamento, sia pure solo funzionale, della destinazione d’uso da alberghiera<br />

in residenziale (e dunque un illecito urbanistico), penalmente sanzionato, ogniqualvolta il<br />

diritto di proprietà così costituito sulla singola unità immobiliare o sulla singola frazione spazio<br />

temporale dell’immobile alberghiero sia titolo da solo sufficiente a legittimare il godimento<br />

diretto ed esclusivo del bene da parte dell’utente.<br />

In questo senso si è espressa recentemente la giurisprudenza amministrativa chiamata a<br />

pronunciarsi sulla compatibilità col vincolo de<strong>gli</strong> atti di disposizione che comportano il<br />

frazionamento in multiproprietà dell’immobile alberghiero.<br />

Un orientamento particolarmente restrittivo del Consi<strong>gli</strong>o di Stato della fine de<strong>gli</strong> anni Novanta<br />

è quello secondo il quale “l’attività alberghiera si caratterizza per il fatto di esprimersi<br />

attraverso offerte al pubblico dei servizi ad essa inerenti, di modo che – in caso di<br />

7<br />

Oggi sostituita dal permesso di costruire ai sensi del Titolo II, Capo II, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 recante il “Testo unico <strong>delle</strong><br />

disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”.<br />

Pagina 5 di 10


multiproprietà – non vi è destinazione alberghiera de<strong>gli</strong> alloggi e dei servizi connessi, poiché il<br />

loro godimento discende esclusivamente dalla titolarità <strong>delle</strong> quote in cui è frazionato<br />

l’immobile. Pertanto è abusivo il mutamento di destinazione d’uso, da albergo a residenza, ove<br />

il godimento <strong>delle</strong> singole unità immobiliari sia fissato in modo permanente ed esclusivo”.<br />

La compatibilità del frazionamento multi<strong>proprietari</strong>o dell’albergo con la disciplina vincolistica<br />

veniva pacificamente ammessa dalla giurisprudenza solo durante la parentesi temporale<br />

intercorsa fra la dichiarazione di incostituzionalità della previgente disciplina vincolistica,<br />

intervenuta nel 1981, e la reintroduzione del vincolo alberghiero ad opera della legge quadro<br />

del 1983 e della successiva legislazione regionale, periodo nel quale il vincolo era venuto<br />

meno.<br />

Nella descritta situazione di vuoto normativo maturavano pronunce, come quella del Tribunale<br />

di Genova del 2 febbraio 1982, che ammettevano la liceità del frazionamento in multiproprietà<br />

de<strong>gli</strong> immobili alberghieri. Nel caso deciso dal tribunale genovese, il venditore aveva adibito<br />

l’albergo a complesso di unità ricettizie secondo la formula della multiproprietà, e il giudice<br />

statuiva che “a seguito della caducazione del vincolo alberghiero, deve considerarsi valida la<br />

vendita di una quota di un immobile adibito ad albergo con la formula della multiproprietà, non<br />

comportando nullità l’eventuale violazione del vincolo di destinazione ad albergo” né<br />

“l’eventuale vincolo di destinazione imposto dalla legislazione regionale per ottenere mutui al<br />

fine della ristrutturazione dell’albergo”.<br />

La premessa da cui originano le pronunce richiamate è quella per la quale, alla luce <strong>delle</strong> fonti<br />

conformative del contenuto del diritto di proprietà alberghiera, “l’attività di gestione<br />

immobiliare in multiproprietà non può essere ricompresa nella nozione di attività alberghiera”.<br />

Per contro, un orientamento giurisprudenziale risalente alla fine de<strong>gli</strong> anni Settanta, riteneva<br />

che il frazionamento in multiproprietà di un immobile ad uso alberghiero non determinasse il<br />

mutamento della sua destinazione d’uso se risultava salvaguardata l’unitarietà della<br />

conduzione dei servizi comuni e la titolarità della gestione in capo ad un’impresa alberghiera,<br />

esercitata da un soggetto diverso dai multi<strong>proprietari</strong> 8 .<br />

In questo senso si è affermato che “il carattere distintivo dell’esercizio alberghiero risiede nella<br />

unitarietà della gestione dei vari servizi (locazione di cose, fornitura di prestazioni personali) e<br />

non nella appartenenza dell’immobile ad un solo <strong>proprietari</strong>o” 9 .<br />

Più recentemente il T.A.R. Campania ha affermato la compatibilità col vincolo del<br />

frazionamento in multiproprietà di un albergo, atteso che il regime della multiproprietà<br />

“corrisponde ad una nuova concezione dell’attività imprenditoriale di ricezione turistica” 10 .<br />

Si tratta di un orientamento che interpreta il vincolo alberghiero come limite alla potestà di<br />

gestione dell’immobile - in considerazione della sua natura di bene produttivo destinato<br />

all’esercizio dell’impresa <strong>turistico</strong> ricettiva - piuttosto che come vincolo incidente sul regime<br />

<strong>proprietari</strong>o della struttura. L’assetto <strong>proprietari</strong>o potrebbe allora risultare compatibile col<br />

vincolo ogniqualvolta non impedisca una gestione conforme alla destinazione <strong>turistico</strong> ricettiva<br />

del bene.<br />

LA PROPRIETÀ ALBERGHIERA ALLA LUCE DEL NUOVO QUADRO NORMATIVO<br />

DISEGNATO DALLA MODIFICA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE E DALLA<br />

RIFORMA DELLA LEGISLAZIONE NAZIONALE DEL TURISMO<br />

L’orientamento richiamato sembra riacquistare attualità alla luce del recente mutamento del<br />

quadro normativo di riferimento a livello nazionale, suscettibile di incidere anche sulla<br />

conformazione del contenuto del diritto di proprietà alberghiera.<br />

8 Si tratta di un indirizzo chiaramente espresso da Cons. Stato, sez. V, 23 novembre 1979, n. 743, ove si rileva che per<br />

l’Amministrazione dovrebbe essere indifferente che la titolarità dell’edificio sia unitaria, nel senso che la proprietà appartenga ad un solo<br />

soggetto, ovvero sia frazionata in quote che appartengono a più soggetti o a una o più società, ferma la necessità di una gestione<br />

unitaria dell’immobile a fini <strong>turistico</strong> - ricettivi.<br />

9 Cons. Stato, sez. V, 26 gennaio 1979, n. 38, in Riv. giur. edil., 1979, I, 588, conforme T.A.R. Marche 13 dicembre 1984, n. 584.<br />

10 Così T.A.R. Campania, sez. III, 6 agosto 1991, n. 247, secondo cui il regime della multiproprietà “si atteggia in modo tale da<br />

assicurare puntualmente la fruibilità <strong>delle</strong> prestazioni alberghiere da parte di utenti indeterminati essendovi una gestione alberghiera<br />

unitaria che funge essa stessa, come in qualsiasi albergo, da locatrice <strong>delle</strong> camere e dei servizi a soggetti terzi scelti secondo<br />

determinati criteri in virtù di sottostanti pattuizioni (…)”.<br />

Pagina 6 di 10


In questo nuovo assetto normativo si inserisce, da un lato, la L. 29 marzo 2001, n. 135 di<br />

“Riforma della legislazione nazionale del turismo” e, dall’altro, la modifica del Titolo V della<br />

Costituzione attuata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3.<br />

La prima, che non detta alcuna disposizione relativamente al vincolo alberghiero, ha abrogato<br />

la legge quadro n. 217/1983, offrendo nel contempo una nuova definizione di impresa<br />

turistica 11 .<br />

L’art. 7, L. n. 135 definisce come imprese turistiche “quelle che esercitano attività economiche,<br />

organizzate per la produzione, la commercializzazione, l’intermediazione e la gestione di<br />

prodotti, di servizi, tra cui <strong>gli</strong> stabilimenti balneari, di infra<strong>strutture</strong> e di esercizi, compresi<br />

quelli di somministrazione facenti parte dei sistemi turistici locali, concorrenti alla formazione<br />

dell’offerta turistica” (comma 1). La stessa disposizione rinvia ad un successivo decreto del<br />

Presidente del Consi<strong>gli</strong>o dei Ministri, da adottarsi di intesa con la Conferenza permanente per i<br />

rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome, l’indicazione dei principi generali che le<br />

Regioni dovranno seguire nell’identificazione <strong>delle</strong> principali tipologie “di valenza generale” di<br />

imprese turistiche. Il citato D.P.C.M., adottato il 13 settembre 2002, include fra le “attività<br />

<strong>ricettive</strong>” le “attività di gestione di <strong>strutture</strong> e complessi con destinazione a vario titolo <strong>turistico</strong><br />

– ricettiva, con annessi servizi turistici ed attività complementari, fra i quali alberghi e<br />

residenze <strong>turistico</strong> alberghiere, residences, case ed appartamenti per vacanze, anche quando<br />

gestiti sotto la formula della multiproprietà, campeggi e villaggi turistici, altre <strong>strutture</strong><br />

<strong>ricettive</strong> definite dalle leggi regionali (…)”.<br />

Contestualmente, la L. n. 135/2001 ha modificato il testo dell’articolo 1, lett. d), D.Lgs. 9<br />

novembre 1998, n. 427, attuativo della direttiva 94/47/CE “concernente la tutela<br />

dell’acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento<br />

a tempo parziale di beni immobili”.<br />

Per effetto di questa modifica, l’art. 1, D.Lgs. n. 427/1998 indica che oggetto del diritto di<br />

godimento a tempo parziale, anche di natura reale, che può essere costituito o trasferito per<br />

contratto è “un immobile, anche con destinazione alberghiera, o parte di esso, per uso di<br />

abitazione e per uso alberghiero o per uso <strong>turistico</strong>-ricettivo, (…)”.<br />

La normativa da ultimo menzionata non prende espressa posizione in ordine alle condizioni di<br />

ammissibilità, nel nostro ordinamento, ed in particolare sotto il profilo urbanistico, del<br />

frazionamento multi<strong>proprietari</strong>o de<strong>gli</strong> alberghi. Tuttavia, la mutata definizione del bene<br />

“immobile” suscettibile di frazionamento multi<strong>proprietari</strong>o sembrerebbe militare in favore della<br />

tesi secondo cui la “multiproprietà” rappresenta una <strong>delle</strong> possibili forme di gestione dei beni<br />

con destinazione <strong>turistico</strong> – ricettiva.<br />

Per converso, la riforma del Titolo V della Costituzione, intervenuta successivamente<br />

all’emanazione della L. n. 135/2001, ha attribuito alle Regioni una competenza normativa<br />

esclusiva sulla materia turistica 12 .<br />

Ne dovrebbe derivare la sopravvivenza <strong>delle</strong> previgenti leggi regionali che indicano nella<br />

“gestione unitaria” e nella “offerta al pubblico” dei servizi per l’ospitalità i requisiti tipizzanti<br />

dell’attività <strong>turistico</strong> ricettiva, requisiti sui quali il giudice amministrativo ha fondato il giudizio<br />

di incompatibilità del frazionamento multi<strong>proprietari</strong>o de<strong>gli</strong> alberghi con il vincolo urbanistico di<br />

destinazione d’uso <strong>turistico</strong>-ricettiva.<br />

UNA QUESTIONE DI DIRITTO PRIVATO REGIONALE?<br />

Il nuovo sistema costituzionale di ripartizione <strong>delle</strong> competenze normative ai diversi livelli di<br />

governo sembra dunque consentire che le nuove leggi regionali in materia di classificazione<br />

11<br />

In epoca antecedente alla entrata in vigore della L. n. 135/2001, la definizione di “impresa turistica” è stata oggetto di un ampio<br />

dibattito dottrinale.<br />

12<br />

Come noto, in seguito alla citata riforma costituzionale è stato integralmente riformulato l’art. 117 Cost. L’attuale formulazione della<br />

norma costituzionale introduce un primo elenco di materie riservate alla esclusiva potestà legislativa statale, ed un secondo elenco di<br />

materie oggetto invece di competenza concorrente Stato – Regioni. Con formula di chiusura, il comma 4 dell’art. 117 dispone che<br />

“spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”. Tra<br />

queste deve ricomprendersi anche la materia del turismo e dell’industria alberghiera, riservata pertanto alla potestà legislativa esclusiva<br />

<strong>delle</strong> Regioni.<br />

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alberghiera, operando una contestuale definizione <strong>delle</strong> modalità d’uso <strong>turistico</strong>-ricettivo <strong>delle</strong><br />

diverse tipologie strutturali, possano conformare in modo differenziato, da Regione a Regione,<br />

il contenuto del diritto di proprietà alberghiera aprendo una singolare questione di “diritto<br />

privato regionale” 13 .<br />

Basti pensare, a titolo puramente esemplificativo, che mentre la abrogata L. n. 217/1983,<br />

classificava come esercizi di affittacamere le <strong>strutture</strong> composte da non più di sei camere,<br />

ubicate in non più di due appartamenti ammobiliati, in uno stesso stabile, nei quali sono forniti<br />

alloggio e, eventualmente, servizi complementari, la Provincia di Trento, con L. 15 maggio<br />

2002, n. 7, ha definito all’art. 31 come esercizi di affittacamere “<strong>gli</strong> esercizi ricettivi dotati di<br />

non più di venticinque camere destinate a<strong>gli</strong> ospiti (…)”. Ne deriva che nella Provincia di Trento<br />

vengono classificati come esercizi di affittacamere, come tali sottratti al vincolo di destinazione<br />

alberghiera, immobili strutturalmente simili a quelli che in altre Regioni risultano classificati<br />

come esercizi alberghieri, come tali assoggettati al vincolo di destinazione: con la rilevante<br />

differenza che solo con riferimento a questi ultimi può porsi il problema dell’incompatibilità col<br />

vincolo del frazionamento multi<strong>proprietari</strong>o.<br />

L’attuale assetto <strong>delle</strong> competenze normative sulla materia turistica sembrerebbe favorire una<br />

normazione regionale di diritto privato, con riferimento alle modalità d’uso <strong>turistico</strong>-<strong>ricettive</strong><br />

de<strong>gli</strong> immobili alberghieri, in contrasto col “limite del diritto privato” alla potestà legislativa<br />

regionale, ribadito dal nuovo testo dell’art. 117, comma 2, lett. l), Cost. Infatti, le leggi<br />

regionali di classificazione <strong>delle</strong> <strong>strutture</strong> <strong>turistico</strong>-<strong>ricettive</strong>, operando una tipizzazione <strong>delle</strong><br />

modalità gestionali corrispondenti al contenuto del vincolo imposto alle diverse tipologie<br />

strutturali, vengono a conformare il contenuto del diritto di proprietà alberghiera. E poiché<br />

ciascuna Regione è libera di effettuare scelte differenti in tema di classificazione alberghiera,<br />

sussiste la possibilità che le diverse legislazioni regionali diano vita, sul territorio nazionale, ad<br />

<strong>assetti</strong> <strong>proprietari</strong> diversamente conformati pur nella omogeneità di denominazione.<br />

Il tema non è nuovo perché si era posto all’attenzione dei cultori del diritto privato già con<br />

riferimento alla conformazione della proprietà edilizia.<br />

In proposito si osservava che se attraverso la programmazione dell’assetto urbanistico si<br />

individua e si seleziona la destinazione d’uso dell’immobile, ne deriva che alle Regioni è data<br />

non solo una competenza “urbanistica”, ma altresì il potere di determinare il contenuto del<br />

diritto di proprietà edilizia.<br />

All’indomani della riforma costituzionale la dottrina civilistica italiana ha segnalato l’urgenza di<br />

porre al centro del lavoro scientifico de<strong>gli</strong> studiosi del diritto privato l’indagine sul limite del<br />

diritto privato al potere legislativo <strong>delle</strong> Regioni. Questa esigenza è tanto più avvertita in<br />

quanto, dopo la decisione della Consulta n. 352/2001, il divieto di frammentare l’unità<br />

dell’ordinamento del diritto privato non può più intendersi “in modo assoluto, in quanto anche<br />

la disciplina dei rapporti privatistici può subire un qualche adattamento, ove questo risulti in<br />

stretta connessione con la materia di competenza regionale e risponda al criterio di<br />

ragionevolezza che vale a soddisfare il rispetto del (…) principio di egua<strong>gli</strong>anza”.<br />

Lo svolgimento e l’applicazione del descritto giudizio di ragionevolezza ad opera dei giudici<br />

costituzionali dovrebbe, peraltro, potersi giovare de<strong>gli</strong> apporti della civilistica italiana in ordine<br />

all’individuazione dei fondamentali istituti del diritto privato, oltre “ai rapporti tradizionalmente<br />

oggetto di codificazione”, che esigono una disciplina necessariamente unitaria alla luce del<br />

principio costituzionale di egua<strong>gli</strong>anza. Al fine di segnare i confini del diritto privato regionale<br />

occorre pertanto interrogarsi sull’estensione dell’area del diritto privato, sia al fine di<br />

individuarne il “nucleo duro”, insuscettibile di adattamenti locali, che nei rapporti con il diritto<br />

pubblico.<br />

Alla fine de<strong>gli</strong> anni Ottanta i giudici costituzionali hanno individuato quale criterio di<br />

misurazione della competenza normativa regionale suscettibile di interferire nella disciplina dei<br />

diritti soggettivi quello secondo il quale tale inferenza deve intendersi preclusa per quanto<br />

riguarda “i profili civilistici dei rapporti da cui [i diritti soggettivi] derivano, cioè i modi di<br />

acquisto e di estinzione, di accertamento, le regole sull’adempimento <strong>delle</strong> obbligazioni e sulla<br />

13 Si è peraltro osservato che, alla luce della evoluzione della giurisprudenza costituzionale, anche all’indomani della riforma del titolo V<br />

della Costituzione, che assegna la disciplina dell’ordinamento civile alla esclusiva competenza normativa statuale, la disciplina dell’uso<br />

dei beni ed in particolare dell’uso de<strong>gli</strong> immobili sembrerebbe costituire “l’area in cui le situazioni, i rapporti, <strong>gli</strong> istituti di diritto privato più<br />

frequentemente richiamano, e me<strong>gli</strong>o sopportano, interventi dei legislatori regionali”.<br />

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esponsabilità per inadempimento, la disciplina della responsabilità extracontrattuale, i limiti<br />

dei diritti di proprietà connessi ai rapporti di vicinato, e via esemplificando. Per quanto attiene,<br />

invece, alla normazione conformativa del contenuto dei diritti di proprietà allo scopo di<br />

assicurarne la funzione sociale, la riserva di legge stabilita dall’art. 42 Cost., può trovare<br />

attuazione anche in leggi regionali, nell’ambito, si intende, <strong>delle</strong> materie indicate dall’art. 117”.<br />

Alla luce dell’indicato criterio potrebbe dunque rientrare nella competenza normativa regionale,<br />

in connessione con le materie di attribuzione esclusiva, qual è il turismo e l’industria<br />

alberghiera, la disciplina dei beni immobili e <strong>delle</strong> loro modalità d’uso, salva l’applicazione<br />

dell’indicato “test di ragionevolezza”, riservandosi invece all’unitario intervento del legislatore<br />

nazionale, per le imprescindibili esigenze di uniformità nella normazione che si fondano sul<br />

principio costituzionale di ugua<strong>gli</strong>anza, la disciplina <strong>delle</strong> situazioni soggettive di appartenenza,<br />

e dunque le modalità di acquisto e di circolazione dei beni.<br />

Anzi, quando si tratti della disciplina dell’uso de<strong>gli</strong> immobili si potrebbe arguire che si tratti<br />

ancora della distinzione fra diritto pubblico e diritto privato, sulla scorta del tradizionale<br />

principio “secondo cui spetta al diritto pubblico conformare le possibili forme di utilizzazione dei<br />

beni, mentre il diritto civile presuppone tale conformazione e la organizza come situazione di<br />

appartenenza. In questa ottica la categoria del diritto privato regionale potrebbe non apparire<br />

del tutto appropriata (…)”.<br />

Riportando il discorso alla materia turistica e alla disciplina della proprietà alberghiera ci si<br />

potrebbe dunque domandare se è ammissibile, e in ipotesi positiva, fino a che punto sia<br />

ragionevole la frammentazione a livello regionale della disciplina <strong>delle</strong> imprese turistiche ed in<br />

particolare della ricettività alberghiera.<br />

Se è vero, infatti, che la disciplina dell’uso de<strong>gli</strong> immobili si confonde con il governo del<br />

territorio, questa vocazione localistica è ancora più accentuata quando si tratta di disciplinare<br />

l’uso di immobili produttivi che concorrono a formare l’offerta turistica, atteso che quest’ultima<br />

consente di valorizzare sul mercato l’identità culturale ed ambientale di un dato contesto<br />

territoriale. E’ dunque a livello locale che possono essere colte e valorizzate le soluzioni<br />

organizzative più idonee a sviluppare la capacità ricettiva del territorio (si pensi alle discipline<br />

regionali sul bed and breakfast, o al nuovo fenomeno de<strong>gli</strong> “alberghi diffusi”, che non ha<br />

ancora trovato disciplina normativa, ma che rappresenta una soluzione imprenditoriale alla<br />

esigenza, anche di pubblico interesse, di riconvertire immobili residenziali in <strong>strutture</strong> <strong>ricettive</strong><br />

di tipo alberghiero).<br />

Per converso, proprio l’offerta turistica esige una forte internazionalizzazione e il suo sviluppo<br />

dipende dalle possibilità di accesso al mercato globale, anche in termini di investimento sulle<br />

infra<strong>strutture</strong> che concorrono alla produzione dei servizi turistici e dell’ospitalità. E in questa<br />

prospettiva andrebbero collocate le indicazioni della legge nazionale circa il possibile<br />

frazionamento multi<strong>proprietari</strong>o de<strong>gli</strong> alberghi.<br />

Quali allora le soluzioni legittimamente adottabili dai legislatori regionali in materia di<br />

classificazione alberghiera? Potrà il legislatore regionale vietare tout court il frazionamento<br />

multi<strong>proprietari</strong>o de<strong>gli</strong> alberghi, in deroga alla legislazione nazionale oppure dovrà limitarsi a<br />

disciplinare le modalità di esercizio del diritto di godimento turnario a carattere reale che<br />

giudichi compatibili con la destinazione <strong>turistico</strong>-ricettiva dell’immobile su cui il diritto viene ad<br />

insistere, ponendo, ad esempio, il solo vincolo della gestione unitaria o, comunque, imponendo<br />

forme di godimento indiretto che rendono necessaria l’intermediazione dell’ente gestore anche<br />

nei confronti dell’ospite titolare del diritto di multiproprietà?<br />

Certo è che nell’attuale panorama normativo, la disciplina della proprietà alberghiera denuncia<br />

una nuova fase della crisi della unitarietà dell’istituto <strong>proprietari</strong>o, crisi inaugurata dalla<br />

codificazione del 1942, che ammettendo fughe verso la legislazione speciale ha originato un<br />

processo di frammentazione de<strong>gli</strong> statuti <strong>proprietari</strong>. Fenomeno altresì legittimato dalla<br />

direttiva del costituente a disciplinare la proprietà come diritto anzitutto inclusivo di una serie<br />

di interessi, sia individuali che collettivi, all’accesso e alla fruizione di determinate categorie di<br />

beni, specie se di tipo produttivo. Questa frammentazione diventa oggi più evidente, almeno in<br />

prospettiva, con riferimento alla proprietà di beni a destinazione <strong>turistico</strong>-ricettiva, attesa la<br />

competenza normativa che l’attuale sistema <strong>delle</strong> fonti attribuisce in via esclusiva, nella<br />

materia turistica, alle Regioni.<br />

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GLOSSARIO<br />

Proprietà edilizia<br />

La regolamentazione della proprietà edilizia costituisce significativa espressione di una<br />

disciplina vincolata della proprietà privata al fine del perseguimento della funzione sociale<br />

ad essa assegnata dalla Costituzione. Essa è, pertanto, il risultato di un bilanciamento tra<br />

l’interesse del privato a disporre a suo piacimento del diritto di proprietà, e l’interesse<br />

pubblico ad un razionale sistema di pianificazione territoriale: la proprietà può essere<br />

limitata al fine di rendere il bene vantaggioso per la comunità favorendo il turismo.<br />

Struttura <strong>turistico</strong>-ricettiva<br />

La legge quadro del 1983 non forniva una espressa definizione di attività <strong>turistico</strong>-ricettiva<br />

ma, all’art. 6, si limitava a definire le diverse tipologie di <strong>strutture</strong> che esercitano tale<br />

attività: quelle di “tipo alberghiero” risultano tutte caratterizzate dai comuni requisiti della<br />

“gestione unitaria” e della “apertura al pubblico”. Gli alberghi, ad esempio, venivano<br />

qualificati come esercizi ricettivi “aperti al pubblico, a gestione unitaria, che forniscono<br />

alloggio, eventualmente vitto ed altri servizi accessori, in camere ubicate in uno o più<br />

stabili o in parti di stabili”.<br />

SANPAOLO TURISMO: una proposta di finanziamento innovativa<br />

Sanpaolo Imprese lancia il nuovo prodotto "Sanpaolo Turismo" dedicato<br />

al settore <strong>turistico</strong>-alberghiero per rispondere alle esigenze specifiche del settore. Per<br />

conoscere le caratteristiche del prodotto e i servizi al sistema ricettivo consultare<br />

la scheda prodotto on line.<br />

Documento reperibile, assieme ad altre monografie, nella sezione Dossier del sito http://www.sanpaoloimprese.com/<br />

Documento pubblicato su licenza di WKI - Ipsoa Editore<br />

Fonte: Diritto del Turismo<br />

Trimestrale di analisi, giurisprudenza e documentazione<br />

Copyright: WKI - Ipsoa Editore<br />

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