Ricordi 3 - Paolo Cason

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20.05.2013 Views

Negli uffici municipali di Castelvetrano, ci hanno registrato come profughi e accompagnati alla stazione sul treno per Agrigento. Anche questa esperienza è stata una novità, per il mezzo sul quale non avevo mai viaggiato e per il paesaggio che continuava a sorprendermi. Arrivati a Castrofilippo, siamo stati accolti dalla famiglia di mia mamma, che ci ha messo a disposizione una casa. Prima che finisse il 1941, mi impiegai al Comune, come responsabile dell’ufficio Anagrafe bestiame, in cui venivano registrati tutti gli animali da lavoro del paese e forniti di carta d’identità, che doveva essere mostrata, in un eventuale controllo da parte dei carabinieri, anche per strada. La mia competenza comprendeva anche la leva militare per i muli, che, quando occorreva, potevano essere requisiti dall’esercito. Quando era necessario, arrivava una commissione di ufficiali veterinari, per visitare i muli , che , se venivano dichiarati abili, potevano essere requisiti e utilizzati in guerra . La popolazione veniva avvisata dell’arrivo della commissione, alcuni giorni prima, da un banditore con un tamburo . Questa requisizione era obbligatoria, nessuno poteva esimersi; anche se veniva pagata a prezzi stabiliti dal governo, il contadino veniva privato del suo mezzo di lavoro a cui era molto affezionato. A causa della guerra e quindi della mancanza di personale maschile, facevano parte del numero degli impiegati anche le donne. Una di queste faceva la dattilografa, si chiamava Concettina, e dato che esisteva una sola macchina da scrivere, tutti ci rivolgevamo a lei ed io in modo particolare. Il sabato pomeriggio, detto sabato fascista, era destinato alle esercitazioni militari, che avvenivano in un grande piazzale , dove noi giovani,in attesa della chiamata alle armi, ci addestravamo. Un giorno fui chiamato dal Federale, che mi propose di partecipare ad un corso a Roma per l’attestato di “Primo Cadetto”, che sarebbe durato un mese. Accettai con entusiasmo, desideroso di conoscere la Capitale e partii con altri “fortunati”. Alla stazione di Roma ci accolse un gerarca, che prima di accompagnarci al campo di Monte Mario, ci avvertì che lì dentro si faceva sul serio e che, se qualcuno voleva ritirarsi, era meglio lo facesse subito. Quel mese è stato sfiancante per la severità della disciplina e della ginnastica, ma anche per la mancanza di una adeguata alimentazione. Alla fine sono venuti degli osservatori dalla Germania, Giappone e Spagna ad ammirare la nostra sfilata a passo romano di parata. Tornato a casa, con l’attestato di “Primo Cadetto”, sono stato nominato istruttore premilitare e con me i giovani hanno provato la vera ginnastica. A gennaio del 1943, fui chiamato alle armi e assegnato al 6° reggimento di fanteria della divisione Aosta, posta fra Palermo e Trapani, in difesa della costa nord-occidentale; in vista di un eventuale sbarco nemico, ci esercitavamo alle armi e ai combattimenti. Tutto ciò durò fino al 10 luglio 1943, data del vero sbarco, che avvenne invece nelle coste a sud dell’isola, lontano dalla nostra posizione. Quindi io non mi trovai subito ad affrontare il nemico appena sbarcato, ma la mia divisione si scontrò dopo pochi giorni con le truppe americane, che risalivano dal sud, mentre noi dai dintorni di Palermo andavamo verso il centro della Sicilia, a Nicosia, in provincia di Enna, dove ho avuto il battesimo del fuoco, per tentare di fermarli. Ma questa era pura illusione, perché nelle grandi battaglie che abbiamo sostenuto nei pressi di Troina, parte dei nostri reparti furono sconfitti o presi prigionieri o riuscirono a risalire lo stretto di Messina. Io mi trovai nel mezzo di una grande ritirata disordinata, che ci portò fino a Troina, tenendo questa nuova posizione per cinque giorni. Sembrava che gli americani

avessero premura, agguerriti sempre più, facevano ripetuti attacchi terrestri e aerei; in uno di questi, alcuni gruppi caddero prigionieri, tra quei soldati, c’ero io. Era il 5 agosto 1943. Leggendo oggi i libri di storia a questo proposito, il generale Bradley, comandante del 2° corpo di Armata americano, ebbe a dire che a Troina fu combattuta la più impegnativa e sanguinosa battaglia che gli Americani sostennero durante l’intera campagna di Sicilia. La mia prigionia durò pochi giorni, perché gli Americani, che esaminavano la situazione e la provenienza di ogni prigioniero, si accorsero che provenivo da una zona già da loro conquistata e, senza perdere tempo, per non dover portare appresso il peso di questi prigionieri, firmarono un documento dove risultavo prigioniero sulla parola e in cui mi impegnavo sul mio onore, a non prendere più le armi contro gli anglo-americani; con esso dovevo presentarmi, giunto in paese, al Comando che ormai era nelle loro mani. Aperti i cancelli del campo solo per i fortunati come me, che abitavano a sud, mi avviai verso casa, che distava da lì circa 200 chilometri , che percorsi un po’ a piedi e un po’ su carretti di passaggio, guidati da carrettieri mossi a compassione del mio aspetto estenuato, ma che mi davano un po’ di respiro. Arrivato a casa e dopo un periodo di riposo, tornai a lavorare all’ufficio Anagrafe bestiame, dove incontrai i vecchi colleghi e quella dattilografa, che mi aveva colpito in precedenza, tanto che ci fidanzammo e poi sposammo in un giorno particolare il 29 aprile 1945. Quel giorno , era domenica, suonarono le campane a festa, credevamo che fossero per noi, invece sapemmo che era finita la guerra e che l’Italia era libera, ma nel nostro piccolo paese, questa grande notizia era arrivata con quattro giorni di ritardo. Nei giorni che seguirono il matrimonio, la mia mente e quella dei miei genitori era rivolta di nuovo verso quella Tripoli, che eravamo stati costretti a lasciare, anche perché vi abitavano un fratello, ormai tornato dalla prigionia e una sorella sposata. Ma questa volta Tripoli non era più italiana e ancora non c’erano servizi di linea. Data la voglia di rientrare della mia famiglia, alla quale si era unita anche la mia giovane sposa, cercammo un traghettatore o come si direbbe oggi, uno scafista. Lo trovammo a Siracusa, nel porto. Lui prendeva tempo, perché non si fidava, ma poi acconsentì e raccolse settanta persone che dovevano attraversare il Mediterraneo in motopeschereccio, ma questa volta partendo dalla Sicilia. Il viaggio fu un’altra avventura, prima per raggiungere a gruppetti con piccole barche il natante, che aspettava al largo e poi per affrontare due notti e due giorni di navigazione. Tutti i movimenti dell’imbarco sono avvenuti di sera tardi, per evitare controlli; il motore era una Isotta Fraschini, aveva un bel rombo e presto ci siamo trovati in alto mare. Per fortuna era estate e il mare era calmo, ma attorno a noi c’era solo mare, sole e il buio della notte. Dovevamo avere pazienza e pregare. Fattosi giorno, i marinai ci invitarono a fare silenzio e restare chini e coricati sul fondo, perché eravamo nei pressi di Malta ed era prudente non farsi vedere. Dopo un altro giorno di navigazione, venuta la sera, i marinai ci avvisarono che non mancava molto, infatti dopo un paio d’ore vedemmo delle luci e finalmente la terra. Il motore venne messo al minimo, ora la barca si muoveva appena. Il capo dei tre marinai col binocolo osservava la terra vicina a quelle luci, era quello il punto dello sbarco; eravamo davanti ad una spiaggia, il lido di Tripoli, come dire, davanti casa. In precedenza avevamo osservato un passeggero che parlottava con il capo barca, all’arrivo capimmo che era un familiare dei proprietari del lido, dove in quel

Negli uffici municipali di Castelvetrano, ci hanno registrato come profughi e<br />

accompagnati alla stazione sul treno per Agrigento. Anche questa esperienza è stata<br />

una novità, per il mezzo sul quale non avevo mai viaggiato e per il paesaggio che<br />

continuava a sorprendermi. Arrivati a Castrofilippo, siamo stati accolti dalla famiglia<br />

di mia mamma, che ci ha messo a disposizione una casa. Prima che finisse il 1941, mi<br />

impiegai al Comune, come responsabile dell’ufficio Anagrafe bestiame, in cui<br />

venivano registrati tutti gli animali da lavoro del paese e forniti di carta d’identità,<br />

che doveva essere mostrata, in un eventuale controllo da parte dei carabinieri, anche<br />

per strada. La mia competenza comprendeva anche la leva militare per i muli, che,<br />

quando occorreva, potevano essere requisiti dall’esercito. Quando era necessario,<br />

arrivava una commissione di ufficiali veterinari, per visitare i muli , che , se venivano<br />

dichiarati abili, potevano essere requisiti e utilizzati in guerra . La popolazione veniva<br />

avvisata dell’arrivo della commissione, alcuni giorni prima, da un banditore con un<br />

tamburo . Questa requisizione era obbligatoria, nessuno poteva esimersi; anche se<br />

veniva pagata a prezzi stabiliti dal governo, il contadino veniva privato del suo mezzo<br />

di lavoro a cui era molto affezionato. A causa della guerra e quindi della mancanza di<br />

personale maschile, facevano parte del numero degli impiegati anche le donne. Una<br />

di queste faceva la dattilografa, si chiamava Concettina, e dato che esisteva una sola<br />

macchina da scrivere, tutti ci rivolgevamo a lei ed io in modo particolare. Il sabato<br />

pomeriggio, detto sabato fascista, era destinato alle esercitazioni militari, che<br />

avvenivano in un grande piazzale , dove noi giovani,in attesa della chiamata alle<br />

armi, ci addestravamo. Un giorno fui chiamato dal Federale, che mi propose di<br />

partecipare ad un corso a Roma per l’attestato di “Primo Cadetto”, che sarebbe durato<br />

un mese. Accettai con entusiasmo, desideroso di conoscere la Capitale e partii con<br />

altri “fortunati”. Alla stazione di Roma ci accolse un gerarca, che prima di<br />

accompagnarci al campo di Monte Mario, ci avvertì che lì dentro si faceva sul serio e<br />

che, se qualcuno voleva ritirarsi, era meglio lo facesse subito. Quel mese è stato<br />

sfiancante per la severità della disciplina e della ginnastica, ma anche per la<br />

mancanza di una adeguata alimentazione. Alla fine sono venuti degli osservatori dalla<br />

Germania, Giappone e Spagna ad ammirare la nostra sfilata a passo romano di parata.<br />

Tornato a casa, con l’attestato di “Primo Cadetto”, sono stato nominato istruttore<br />

premilitare e con me i giovani hanno provato la vera ginnastica. A gennaio del 1943,<br />

fui chiamato alle armi e assegnato al 6° reggimento di fanteria della divisione Aosta,<br />

posta fra Palermo e Trapani, in difesa della costa nord-occidentale; in vista di un<br />

eventuale sbarco nemico, ci esercitavamo alle armi e ai combattimenti. Tutto ciò durò<br />

fino al 10 luglio 1943, data del vero sbarco, che avvenne invece nelle coste a sud<br />

dell’isola, lontano dalla nostra posizione. Quindi io non mi trovai subito ad affrontare<br />

il nemico appena sbarcato, ma la mia divisione si scontrò dopo pochi giorni con le<br />

truppe americane, che risalivano dal sud, mentre noi dai dintorni di Palermo<br />

andavamo verso il centro della Sicilia, a Nicosia, in provincia di Enna, dove ho avuto<br />

il battesimo del fuoco, per tentare di fermarli. Ma questa era pura illusione, perché<br />

nelle grandi battaglie che abbiamo sostenuto nei pressi di Troina, parte dei nostri<br />

reparti furono sconfitti o presi prigionieri o riuscirono a risalire lo stretto di Messina.<br />

Io mi trovai nel mezzo di una grande ritirata disordinata, che ci portò fino a Troina,<br />

tenendo questa nuova posizione per cinque giorni. Sembrava che gli americani

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