i rapporti tra gli imputati - Misteri d'Italia
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Non c'è neppure bisogno di ricorrere ai con<strong>tra</strong>sti con le versioni de<strong>gli</strong> altri <strong>imputati</strong> (in particolare. Pacifico<br />
ha sempre negato di avere e<strong>gli</strong> informato i Rovelli che esistevano altri due avvocati creditori del defunto) per<br />
rendersi conto della assoluta, totale e insanabile inverosimi<strong>gli</strong>anza dei comportamenti umani descritti da<br />
Primarosa e Felice Rovelli. E se è inverosimile che una persona dia denaro ad un al<strong>tra</strong>, senza conoscere il<br />
motivo, fidandosi della indicazione quantitativa del creditore, sol per onorare la memoria di un defunto che<br />
quel debito aveva ammesso (ma senza quantificarlo); se ciò appare inverosimile, si diceva, anche quando la<br />
somma indicata sia di entità, per così dire ordinaria, appare francamente assurdo che si possa sostenere una<br />
simile versione quando il credito venga quantificato nell'ordine di decine e decine di miliardi di lire.<br />
Sempre rimanendo nella valutazione intrinseca delle dichiarazioni dei corruttori, la assoluta<br />
inverosimi<strong>gli</strong>anza investe anche la condotta dei tre legali: si parla di ragioni creditorie di quella entità,<br />
maturate in epoca precedente al dicembre 1990 e, improvvisamente, il debitore muore, senza che vi siano<br />
documenti, conteggi, scritture private di riconoscimento di debito. Semplicemente, e<strong>gli</strong> dice a voce alla<br />
mo<strong>gli</strong>e - sul letto di morte - che bisognava pagare un avvocato romano. Questi si presenta e, nel quantificare<br />
il proprio "avere", indica a<strong>gli</strong> eredi altri due creditori, che, quasi contestualmente, si presentano, a loro volta<br />
indicando cifre astronomiche.<br />
Felice Rovelli e Primarosa Battistella assumono subito (ma sempre e solo a voce, forse ci sarà stata anche<br />
una stretta di mano) l'impegno a pagare, e tuttavia asseriscono di non avere sufficienti disponibilità liquide;<br />
disponibilità che verranno (e nessuno de<strong>gli</strong> interlocutori sembra avere dubbi in proposito) al termine della<br />
causa contro l'IMI. Quindi, siano cortesi e pazienti i plurimiliardari creditori, e si adeguino ai tempi della<br />
giustizia italiana, rimandando sine die l'adempimento delle obbligazioni. I tre avvocati - forti della stretta di<br />
mano di due persone che erano sì prossime congiunte del petroliere, ma con le quali non avevano mai avuto<br />
<strong>rapporti</strong> di sorta - accettano senza battere ci<strong>gli</strong>o questa dilazione dei pagamenti a tempo indeterminato, e non<br />
si premurano di esigere, nemmeno questa volta, un pezzo di carta che consenta loro, un domani, di far valere<br />
le proprie pretese. E così, passano ben quattro anni, nel corso dei quali si sarebbero potute verifìcare<br />
molteplici evenienze, tutte tutt'altro che inverosimili: che la causa durasse anni ed anni ancora; che finisse<br />
male per i Rovelli; che questi ultimi, privi della guida del padre accen<strong>tra</strong>tore, conducessero una rovinosa<br />
gestione del patrimonio familiare, tale da renderlo incapiente; ovvero, e forse più semplicemente, che<br />
Rovelli e la madre si rifiutassero di versare del denaro, o di versare "quelle" somme che, in fondo, nessuno<br />
dei tre creditori sarebbe mai stato in grado di documentare e dunque di azionare per via giudiziaria.<br />
La verità è che la versione de<strong>gli</strong> ipotetici corruttori è tale da non richiedere ulteriori commenti, perché essa si<br />
commenta da sola, ed è quasi una confessione, anche nella prospettazione dei difensori nel corso dell'arringa<br />
finale, ed anche letta alla luce della missiva spedita al fi<strong>gli</strong>o all'indomani della sentenza firmata da Vittorio<br />
Metta: quando Nino Rovelli era in vita e<strong>gli</strong> può avere certamente "coltivato" la causa civile con metodi non<br />
confessabili ("l'andare a Roma" era questo) ai quali i familiari erano sostanzialmente es<strong>tra</strong>nei sotto il profilo<br />
del contributo causale e rispetto ai quali, anzi, Felice aveva forse espresso perplessità, negando al padre il<br />
proprio appoggio morale e materiale. Sentendosi vicino alla fine, il capofami<strong>gli</strong>a rivela alla mo<strong>gli</strong>e<br />
l'esistenza di <strong>rapporti</strong> occulti con Attilio Pacifico, che si presenterà per avere ciò che Nino Rovelli <strong>gli</strong> aveva<br />
promesso. La madre informa il fi<strong>gli</strong>o ed i due, che fino a quel momento forse non conoscevano <strong>gli</strong> esatti<br />
contorni dei <strong>rapporti</strong> dei legali con il de cuius, decidono di pagare, e di pagare tutti i creditori che si<br />
presentano, se non nella piena consapevolezza di quanto era fino a quel momento accaduto, certamente<br />
sapendo, o accettando il rischio,, che si <strong>tra</strong>ttasse dell'adempimento di obbligazioni di carattere illecito,<br />
inerenti la causa contro l'IMI. Solo così i comportamenti umani descritti dai corruttori possono <strong>tra</strong>vare una<br />
spiegazione ed un filo logico: non esistono prove del debito, ne si possono pretendere (sia dall'una che<br />
dall'al<strong>tra</strong> parte) perché si <strong>tra</strong>tta di un patto corruttivo; un patto che, per sua natura, deve rimanere, oltre che<br />
segreto, affidato al vincolo di solidarietà "necessitata" che non può non esistere <strong>tra</strong> il corrotto e i corruttori e<br />
chi li mette in contatto <strong>tra</strong> loro. Gli eredi dicono che Nino Rovelli non quantificò il dovuto, ed il Tribunale<br />
ritiene che ciò sia, almeno in parte, compatibile con la natura de<strong>gli</strong> accordi illeciti fra il debitore originario<br />
ed i creditori: forse il defunto non indicò l'ammontare del debito perché non era in quel momento in grado di<br />
farlo con sicurezza, ma solo in prospettiva, con riferimento alla futura, possibile irrevocabilità della sentenza<br />
emessa dalla Corte d'appello di Roma il 26 novembre 1990. Se è vero, come è vero, che nel 1994 parte, in<br />
dirczione dei conti esteri dei tre avvocati, la somma di sessantotto miliardi di lire che - come si dimostrerà in<br />
seguito - è, guarda caso, pari al 10% (per l'esattezza 10,016%) del risarcimento ottenuto dai Rovelli a seguito<br />
della causa, esclusa la somma pagata a titolo di imposte, allora proprio questo aggancio percentuale ai valori<br />
che la sentenza riconosceva al vincitore, può essere stato il criterio indicato a<strong>gli</strong> eredi dal de cuius in punto<br />
di morte, tale, cioè, da non lasciare (cosa che proprio non può essere seriamente creduta da nessuno) Rovelli<br />
junior e Battistella in totale balia di incontrollabili pretese de<strong>gli</strong> intermediari.