i rapporti tra gli imputati - Misteri d'Italia

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- 38 annotazioni inequivocabilmente riferite all'imputato, del tipo "Consigliere Metta" o "Consigl. Metta", "Dott. Metta" o "V. Metta"; - 47 annotazioni inequivocabilmente riferite alla figlia: "Sabrina Metta"; - 11 annotazioni non riferibili con certezza, in quanto recanti solo il cognome: "Metta". Con il che è già smentita la tesi difensiva, in quanto il dubbio tra padre e figlia permane con esclusivo riferimento alle ultime annotazioni citate, mentre le segretarie (che evidentemente conoscevano entrambi) avevano quasi sempre cura di redigere appunti che non lasciassero dubbi in ordine a chi aveva chiamato. Ancora, Vittorio Metta ha negato di essere mai stato nello studio del coimputato; con tutta la buona volontà, il Tribunale non riesce però a dare un diverso significato alla annotazione che si rinviene alla data del 25 novembre 1993: "Consigliere Metta = può venire l'avv. aspetta". A conferma e conforto delle conclusioni raggiunte in ordine all'attribuzione delle chiamate in partenza dal cellulare intestato a Carletti, non si può fare a meno di osservare come, alla data del 16 marzo 1993, ore 12.00, compaia una annotazione relativa ad una chiamata di Vittorio Metta. Nel pomeriggio dello stesso giorno, alle ore 17.52 e alle ore 17.56, dal citato apparecchio partono altre due chiamate dirette allo studio di Cesare Previti; come dire che, a distanza di poche ore (e non in un giorno qualsiasi, come si vedrà analizzando l'episodio "Corda") Vittorio Metta si è messo in contatto sia con Pacifico che con Previti. Insomma, i rapporti con Pacifico c'erano, ed erano intensi e continui, oltre che, in qualche occasione, coordinati ai contatti con gli altri avvocati, ma Metta li ha negati, inducendo i difensori del coimputato ad attribuirli - non potendo più reggere, per quanto sopra detto, la tesi che i contatti riguardassero la sola Sabrina - al sentimento di un padre preoccupato, o arrabbiato perché la propria figlia ha una relazione sentimentale con un uomo assai più avanti negli anni. Comunque, sostengono i difensori, non sono provati contatti antecedenti al 23 dicembre 1991, data della prima annotazione sul tabulato Metta - Pacifico; per la verità, osserva il Tribunale che non è proprio così, in quanto è lo stesso Metta, nel proprio interrogatorio, a parlare di una telefonata che Pacifico gli fece in occasione della morte della madre, avvenuta il 2 agosto 1991; forse, gli aveva inviato anche un telegramma. Ed è fin troppo facile osservare che non si telefona ad una persona per le condoglianze se già quella persona non si conosce e quindi, seguendo la versione di Metta, la conoscenza con Attilio Pacifico daterebbe in epoca certamente precedente all'agosto del 1991 (va qui rammentato quanto sopra detto in merito alla testimonianza Latella). L'unico dei tre intermediari che Metta non ha tentato di allontanare da sé è Giovanni Acampora, con il quale intrattiene il rapporto più antico e più confidenziale ("ci sentivamo spesso, anche la domenica...", e forse avrebbe dovuto dirlo anche per Cesare Previti), ma neppure con riferimento a lui Metta ha detto il vero, quando ha tenuto a precisare come non vi fossero commistioni professionali nella loro amicizia ("lui non sapeva quello che facevo io, io non sapevo quello che faceva lui..."). E' agli atti, per estratto (cfr. foglio 630806, in faldone 21 IMI - SIR) la copia di una sentenza della Corte d'Appello di Roma, Sezione Prima Civile (Presidente Giuseppe Morsillo. Consigliere relatore Vittorio Metta, Consigliere Giovanni Paolini), depositata il 16 dicembre 1991. Si trattava della opposizione al fallimento della società di fatto di Gaetano Caltagirone e Francesco Bellavista Caltagirone, che nel procedimento erano difesi dagli avvocati Previti e Acampora. Ma vi è di più: quale componente della allora Sezione Istruttoria della Corte d'Appello di Roma, Metta ebbe a far parte del collegio giudicante che trattò un procedimento penale proprio contro Giovanni Acampora; si procedeva in relazione ad una violazione valutaria, proprio in quel periodo oggetto di depenalizzazione. La difesa ha fatto osservare come si trattasse di una decisione "de plano", in relazione alla quale, quindi, Metta non si era posto il problema di una eventuale incompatibilità al giudizio determinata dal suoi rapporti di amicizia con l'imputato. Ciò è in astratto forse vero, ma non è ciò che è avvenuto nel caso di specie, laddove si trattava dell'impugnazione del Pubblico Ministero avverso la decisione con la quale il Giudice Istruttore aveva prosciolto Acampora con la formula "il fatto non sussiste". L'accusa chiedeva invece che venisse semplicemente applicata la depenalizzazione e la differenza non era di poco conto: come ognuno può intendere, la formula "perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato" determina la trasmissione degli atti alla autorità amministrativa per l'applicazione della relativa sanzione; diversamente, dichiarando che il fatto non sussiste, il procedimento non può proseguire avanti l'autorità amministrativa. Il collegio giudicante, del quale faceva parte Vittorio Metta, confermò il proscioglimento di Giovanni Acampora con quest'ultima formula. Il dibattimento ha infine messo in luce un ulteriore versante - sia pur con riferimento ad un periodo successivo a quello in cui si sono verifìcati i fatti per i quali si procede - degli strettissimi e "fìduciari" rapporti che legano Metta ad Acampora: si tratta di una questione sulla quale l'ex magistrato si è rifiutato di

ispondere, ma della quale ha ampiamente parlato il teste Charles Poncet. Esaminato alle udienze del 12 marzo 2001 e 23 febbraio 2002, il teste, avvocato in Ginevra e fiduciario di Orlando Falco (magistrato romano in pensione al quale Vittorio Metta era molto legato), ha così descritto i fatti: - dopo la morte di Orlando Falco - avvenuta nell'agosto del 1994 - ed a causa dei problemi insorti circa la successione nel suo ingente patrimonio estero, aveva avuto un paio di incontri in Ginevra, con Vittorio Metta e Carlo Sanvitale, eredi, e l'avvocato Acampora; - I due eredi si erano accordati per dividere a metà l'asse ereditario, nonostante il de cuius avesse dato differenti disposizioni testamentarie; - Poncet, dato che non si rispettavano le volontà del defunto, aveva preteso che gli accordi venissero messi per iscritto; - L'anno successivo, ossia nel 1995, ricevette istruzioni di trasferire i patrimoni (che giacevano sui conti denominati “Valfolio” e “Bromgest”) ad altre banche, sempre nella Confederazione elvetica; - "...si poneva il problema dell'avente diritto economico...i conti della Valfolio e della Bromgest avevano come avente diritto economico, cioè come proprietario, dichiarato naturalmente, Orlando Falco...in Svizzera, dal 1991 è applicabile la cosiddetta formula A, cioè quando viene aperto un conto a nome di società off-shore... bisogna dare alla banca una dichiarazione nella quale si dice l'avente diritto economico, l'azionista, il proprietario vero è il signor Tal dei Tali. E questo naturalmente era stato fatto. Ora, morto Orlando Falco, diviso il patrimonio, bisognava rettificare, fare una dichiarazione rettificativa o una nuova dichiarazione indicando i nuovi beneficiari di Bromgest e Valfolio e c'era una certa reticenza a farlo"; - "mi fu chiesto se potevo mantenere i conti nuovi senza dichiarare gli aventi diritti economici o arrangiando un avente diritto economico fiduciario, diciamo una cosa che sia il banchiere che io ci siamo naturalmente rifiutati di fare perché tra l'altro è un reato..."; - gli avevano quindi dato istruzioni di trasferire i patrimoni ed erano stati chiusi sia il conto Bromgest che il conto Valfolio; Poncet era stato poi sollevato dall'incarico. Come già si accennava, un rapporto di estrema fiducia per questioni di grande riservatezza, oltre che chiaramente illecite, ma tramite il quale Vittorio Metta ha defìnitivamente occultato il suo ingente patrimonio ereditato all'estero; un rapporto che, come si vedrà allorquando verranno trattati i movimenti finanziari della causa Mondadori, ben può avere riguardato anche la detenzione, da parte di Acampora nel 1991 - ossia allorquando Metta, a quanto è dato sapere, non era ancora titolare di conti correnti in Svizzera - di somme di denaro di pertinenza di un amico giudice, da far rientrare, all'occorrenza, attraverso i noti e sperimentati canali di Previti e Pacifico. Passando alla figura del secondo dei giudici coinvolti nelle manovre occulte intorno alla causa IMI-SIR (per il terzo, Filippo Verde, il Tribunale ha già esposto le ragioni per le quali non ritiene raggiunta la prova della penale responsabilità) il Tribunale osserva come nei confronti di Renato Squillante vi sia la prova, diretta e granitica, di un intervento, per così dire "a piedi uniti", nella fase del giudizio svoltasi avanti la Corte di Cassazione nel 1991, allorquando, per conto di Felice Rovelli e attraverso Francesco Berlinguer, fu esperito un tentativo di avvicinamento di un giudice componente il collegio, Simonetta Sotgiu. Dopo che si sono esposte le prove in base alle quali si ritengono provate pesanti interferenze, attribuibili agli imputati, sulla elaborazione della Consulenza tecnica d'ufficio disposta dal Tribunale nel primo grado di giudizio sul quantum debeatur; sulla composizione del Collegio giudicante che ebbe a definire quella fase, con la "estromissione" del presidente del Tribunale di Roma, Carlo Minniti; sulla corretta formazione della volontà del Collegio giudicante della Prima Sezione Civile della Corte d'Appello, del quale faceva parte Vittorio Metta, l'episodio del quale è stato protagonista Renato Squillante (che sarà tra breve analiticamente trattato) documenta il proseguire, attribuibile allo stesso gruppo di imputati, delle manovre occulte tendenti ad alterare, sempre in favore di parte Rovelli, l'iter giudiziario della causa. Ciò che si dirà in ordine al ruolo svolto nell'occorso da Squillante basta (ed avanza) in termini di sua responsabilità penale per il delitto di corruzione, ove si consideri che risultano accertati trasferimenti diretti di danaro provenienti dai conti della famiglia Rovelli (per il tramite di Pacifico) nell'estate del 1991, seguiti da un più sostanzioso "saldo", all'atto della distribuzione delle ingenti somme bonificate dai vincitori della causa, allorquando l'IMI diede esecuzione alla condanna pronunciata dalla Corte d'Appello di Roma. Eppure, è opinione del Tribunale che gli elementi raccolti nel dibattimento dicano di più - molto di più - sulla figura di questo magistrato, la cui gravissima condotta, accertata attraverso la sofferta testimonianza di Francesco Berlinguer, non è il frutto di una determinazione isolata, estemporanea od occasionale, legata alla

ispondere, ma della quale ha ampiamente parlato il teste Charles Poncet. Esaminato alle udienze del 12<br />

marzo 2001 e 23 febbraio 2002, il teste, avvocato in Ginevra e fiduciario di Orlando Falco (magis<strong>tra</strong>to<br />

romano in pensione al quale Vittorio Metta era molto legato), ha così descritto i fatti:<br />

- dopo la morte di Orlando Falco - avvenuta nell'agosto del 1994 - ed a causa dei problemi insorti circa la<br />

successione nel suo ingente patrimonio estero, aveva avuto un paio di incontri in Ginevra, con Vittorio<br />

Metta e Carlo Sanvitale, eredi, e l'avvocato Acampora;<br />

- I due eredi si erano accordati per dividere a metà l'asse ereditario, nonostante il de cuius avesse dato<br />

differenti disposizioni testamentarie;<br />

- Poncet, dato che non si rispettavano le volontà del defunto, aveva preteso che <strong>gli</strong> accordi venissero<br />

messi per iscritto;<br />

- L'anno successivo, ossia nel 1995, ricevette istruzioni di <strong>tra</strong>sferire i patrimoni (che giacevano sui conti<br />

denominati “Valfolio” e “Bromgest”) ad altre banche, sempre nella Confederazione elvetica;<br />

- "...si poneva il problema dell'avente diritto economico...i conti della Valfolio e della Bromgest avevano<br />

come avente diritto economico, cioè come proprietario, dichiarato naturalmente, Orlando Falco...in<br />

Svizzera, dal 1991 è applicabile la cosiddetta formula A, cioè quando viene aperto un conto a nome di<br />

società off-shore... bisogna dare alla banca una dichiarazione nella quale si dice l'avente diritto<br />

economico, l'azionista, il proprietario vero è il signor Tal dei Tali. E questo naturalmente era stato<br />

fatto. Ora, morto Orlando Falco, diviso il patrimonio, bisognava rettificare, fare una dichiarazione<br />

rettificativa o una nuova dichiarazione indicando i nuovi beneficiari di Bromgest e Valfolio e c'era una<br />

certa reticenza a farlo";<br />

- "mi fu chiesto se potevo mantenere i conti nuovi senza dichiarare <strong>gli</strong> aventi diritti economici o<br />

arrangiando un avente diritto economico fiduciario, diciamo una cosa che sia il banchiere che io ci<br />

siamo naturalmente rifiutati di fare perché <strong>tra</strong> l'altro è un reato...";<br />

- <strong>gli</strong> avevano quindi dato istruzioni di <strong>tra</strong>sferire i patrimoni ed erano stati chiusi sia il conto Bromgest che<br />

il conto Valfolio; Poncet era stato poi sollevato dall'incarico. Come già si accennava, un rapporto di<br />

estrema fiducia per questioni di grande riservatezza, oltre che chiaramente illecite, ma <strong>tra</strong>mite il quale<br />

Vittorio Metta ha defìnitivamente occultato il suo ingente patrimonio ereditato all'estero; un rapporto<br />

che, come si vedrà allorquando verranno <strong>tra</strong>ttati i movimenti finanziari della causa Mondadori, ben può<br />

avere riguardato anche la detenzione, da parte di Acampora nel 1991 - ossia allorquando Metta, a quanto<br />

è dato sapere, non era ancora titolare di conti correnti in Svizzera - di somme di denaro di pertinenza di<br />

un amico giudice, da far rien<strong>tra</strong>re, all'occorrenza, at<strong>tra</strong>verso i noti e sperimentati canali di Previti e<br />

Pacifico.<br />

Passando alla figura del secondo dei giudici coinvolti nelle manovre occulte intorno alla causa IMI-SIR (per<br />

il terzo, Filippo Verde, il Tribunale ha già esposto le ragioni per le quali non ritiene raggiunta la prova della<br />

penale responsabilità) il Tribunale osserva come nei confronti di Renato Squillante vi sia la prova, diretta e<br />

granitica, di un intervento, per così dire "a piedi uniti", nella fase del giudizio svoltasi avanti la Corte di<br />

Cassazione nel 1991, allorquando, per conto di Felice Rovelli e at<strong>tra</strong>verso Francesco Berlinguer, fu esperito<br />

un tentativo di avvicinamento di un giudice componente il collegio, Simonetta Sotgiu.<br />

Dopo che si sono esposte le prove in base alle quali si ritengono provate pesanti interferenze, attribuibili a<strong>gli</strong><br />

<strong>imputati</strong>, sulla elaborazione della Consulenza tecnica d'ufficio disposta dal Tribunale nel primo grado di<br />

giudizio sul quantum debeatur; sulla composizione del Collegio giudicante che ebbe a definire quella fase,<br />

con la "estromissione" del presidente del Tribunale di Roma, Carlo Minniti; sulla corretta formazione della<br />

volontà del Collegio giudicante della Prima Sezione Civile della Corte d'Appello, del quale faceva parte<br />

Vittorio Metta, l'episodio del quale è stato protagonista Renato Squillante (che sarà <strong>tra</strong> breve analiticamente<br />

<strong>tra</strong>ttato) documenta il proseguire, attribuibile allo stesso gruppo di <strong>imputati</strong>, delle manovre occulte tendenti<br />

ad alterare, sempre in favore di parte Rovelli, l'iter giudiziario della causa.<br />

Ciò che si dirà in ordine al ruolo svolto nell'occorso da Squillante basta (ed avanza) in termini di sua<br />

responsabilità penale per il delitto di corruzione, ove si consideri che risultano accertati <strong>tra</strong>sferimenti diretti<br />

di danaro provenienti dai conti della fami<strong>gli</strong>a Rovelli (per il <strong>tra</strong>mite di Pacifico) nell'estate del 1991, seguiti<br />

da un più sostanzioso "saldo", all'atto della distribuzione delle ingenti somme bonificate dai vincitori della<br />

causa, allorquando l'IMI diede esecuzione alla condanna pronunciata dalla Corte d'Appello di Roma.<br />

Eppure, è opinione del Tribunale che <strong>gli</strong> elementi raccolti nel dibattimento dicano di più - molto di più -<br />

sulla figura di questo magis<strong>tra</strong>to, la cui gravissima condotta, accertata at<strong>tra</strong>verso la sofferta testimonianza di<br />

Francesco Berlinguer, non è il frutto di una determinazione isolata, estemporanea od occasionale, legata alla

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