i rapporti tra gli imputati - Misteri d'Italia
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colloqui intervenuti <strong>tra</strong> padre e fi<strong>gli</strong>o, Nino Rovelli dice che "l'andare a Roma" ("come dici tu", e ciò fa<br />
pensare che Felice usasse quella espressione in tono critico, se non spregiativo) "ha portato i suoi frutti". E<br />
che "i frutti" siano da identificare nell'astronomico risarcimento riconosciuto dalla sentenza del giorno<br />
precedente, è cosa che pare arduo connfutare: ma altresì pare arduo interpretare "l'andare a Roma" come<br />
semplice ed asettico sinonimo di "coltivare una causa civile avanti l'autorità giudiziaria romana". E' invece<br />
fondato il sospetto che "l'andare a Roma" sia qualcosa di diverso, qualcosa che non può essere menzionato<br />
esplicitamente, qualcosa con riferimento al quale Felice si era mos<strong>tra</strong>to critico (o forse scettico) nei suoi<br />
colloqui con il padre, tanto che questi, con la soddisfazione del giorno dopo la sentenza, <strong>gli</strong> rinfaccia che ciò<br />
"ha dato i suoi frutti", e dunque sottolineando la propria determinazione a proseguire a dispetto<br />
dell'atteggiamento e delle opinioni del fi<strong>gli</strong>o, che l'aveva sconsi<strong>gli</strong>ato o scoraggiato. Forte del risultato<br />
ottenuto - nonostante Felice - Rovelli <strong>gli</strong> rinfaccia la "fatica" (ma e<strong>gli</strong> era assistito da una equipe di ottimi e<br />
prestigiosi legali che, ovviamente, si occupavano della causa e dunque, perché dire che <strong>gli</strong> era costata<br />
fatica?) e, in misura maggiore, il "coraggio", "che mi è costato di più della fatica". E qui, il riferimento al<br />
portare avanti la causa diviene ancora più arduo, a meno che non si vo<strong>gli</strong>a dire che un imprenditore esperto e<br />
navigato come Nino Rovelli, da anni sostenuto, nelle sue gigantesche "avventure" imprenditoriali, da<br />
amicizie politiche di primissimo piano, avesse dovuto tirare fuori un "coraggio che mi è costato di più della<br />
fatica" solo per in<strong>tra</strong>prendere, tutto sommato, una causa civile che lo opponeva ad un istituto bancario, fosse<br />
esso pure un colosso del sistema bancario come l'IMI.<br />
A causa delle perplessità del fi<strong>gli</strong>o, dice Nino "ho dovuto fare tutto da solo": ma, per la verità, se anche<br />
questa espressione deve essere riferita alla causa, allora ciò non è vero, perché, come è ovvio, i professori<br />
Are e Giorgianni, con i loro prestigiosissimi studi legali, avevano seguito passo passo, e con la dovuta cura,<br />
lo svolgimento del processo.<br />
E di più, e<strong>gli</strong> rimprovera infine al fi<strong>gli</strong>o (al quale aveva offerto una carriera scolastica ai massimi livelli) di<br />
averlo costretto a fare "tutto da solo", quando invece, con il suo aiuto "sicuramente avrei fatto me<strong>gli</strong>o" e<br />
avrebbe risparmiato (come il fi<strong>gli</strong>o stesso <strong>gli</strong> suggeriva) la "caduca salute, morale e materiale": se si può<br />
capire l'allusione all'aspetto materiale (Rovelli soffriva infatti di patologia cardiaca che solo un mese dopo lo<br />
avrebbe portato a morte), un po' fuori luogo pare, al con<strong>tra</strong>rio, il riferimento all'aspetto morale, che il tono<br />
accorato dello scrivente suggerisce essere qualcosa di più delle normali preoccupazioni o fastidi che la<br />
pendenza di una causa civile può ingenerare in chi via sia coinvolto.<br />
Insomma: la semplice lettura di questa privatissima corrispondenza di un padre con un fi<strong>gli</strong>o che non lo<br />
aveva appoggiato, che forse lo aveva criticato, che forse si era mos<strong>tra</strong>to scettico riguardo il suo "andare a<br />
Roma" è tale da suscitare qualche perplessità in ordine alla interpretazione che ne ha dato la difesa, ed anzi,<br />
sembra suggerire una reciproca consapevolezza - da parte del mittente come da parte del destinatario - di una<br />
realtà sottostante alla quale si poteva solo alludere, senza esplicitamente menzionarla: una realtà - nella<br />
quale evidentemente Felice non voleva en<strong>tra</strong>re perché forse non vi si riconosceva - che Nino Rovelli aveva<br />
affrontato con "fatica", che aveva richiesto tutto il suo coraggio, e nella quale e<strong>gli</strong> aveva perduto la propria<br />
salute, anche quella morale.<br />
Le risultanze probatorie che saranno analizzate di qui a poco - che descrivono, come recita il titolo del<br />
presente capitolo, il versante occulto delle due cause civili delle quali si discute - consentiranno, a giudizio<br />
del Tribunale, di trovare l'autentica chiave di lettura delle parole del defunto Angelo Rovelli, detto Nino.<br />
Intanto, a<strong>gli</strong> albori della indagine preliminare, emerge la figura di tré avvocati del Foro di Roma, che non<br />
avevano mai fatto parte del collegio difensivo scelto da Rovelli senior per la causa contro l'IMI; il giorno 8<br />
maggio 1996, in territorio elvetico, Primarosa Battistella vedova Rovelli, rendeva alla autorità giudiziaria di<br />
Milano, che le chiedeva conto di un bonifico di lire 241.600.000 giunto in data 29 marzo 1994 dal suo conto<br />
di Lugano su un conto corrente intestato ad Attilio Pacifico, le seguenti dichiarazioni:<br />
"Si <strong>tra</strong>tta di un pagamento che dovevo fare all'avvocato Pacifico come ne ho fatti altri. In proposito preciso<br />
che il 28 dicembre 1990 mio marito è stato sottoposto ad un'operazione a Zurigo. Siccome l'esito<br />
dell'operazione era incerto, il giorno precedente mio manto si è preoccupato che l'operazione potesse andar<br />
male e mi ha detto che aveva un debito con l'avvocato Pacifico e mi ha pregato - nel caso in cui non fosse<br />
sopravvissuto - di provvedere io al pagamento di questo debito. Mio marito non mi ha precisato la causale<br />
del debito, non mi ha nemmeno indicato l'importo. Si è limitato a dirmi che si sarebbe rivolto a me<br />
l'avvocato Pacifico per avere il denaro che <strong>gli</strong> spettava".<br />
Chiestole come mai, essendo il debitore deceduto nel 1990, il debito venne onorato solo nel 1994, l'imputata<br />
così rispondeva: