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i rapporti tra gli imputati - Misteri d'Italia

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Motivazioni della sentenza IMI-SIR/Mondadori (Milano 29 aprile 2003)<br />

IL VERSANTE OCCULTO DELLE CAUSE CIVILI<br />

ovvero<br />

i <strong>rapporti</strong> <strong>tra</strong> <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong><br />

COME EMERGONO DALLE LORO DICHIARAZIONI<br />

I CORRUTTORI<br />

Deceduto il 30 dicembre 1990, Angelo Rovelli, detto Nino, è figura immanente nel processo: di lui parlano i<br />

documenti relativi alla stipula della convenzione con Pietro Schlesinger; di lui parlano molti testimoni, fra i<br />

quali lo stesso Schlesinger e i legali Are e Giorgianni che lo assistettero nella causa civile che decise di<br />

in<strong>tra</strong>prendere, di lui parlano la vedova Primarosa ed il fi<strong>gli</strong>o Felice, di lui parlano <strong>gli</strong> altri legali oggi<br />

<strong>imputati</strong>; infine, a lui l'impostazione accusatoria (che ha trovato piena conferma da quanto fin qui esposto)<br />

attribuisce i primigeni accordi corruttivi, rispetto ai quali sarebbero suben<strong>tra</strong>ti, jure ereditario, la mo<strong>gli</strong>e e<br />

Rovelli junior.<br />

Cardine della impostazione difensiva dei corruttori Battistella e Rovelli è stata la dimos<strong>tra</strong>zione che Rovelli<br />

senior fosse persona accen<strong>tra</strong>trice, che non parlava mai in fami<strong>gli</strong>a dei propri affari, neppure con la mo<strong>gli</strong>e<br />

(impegnata a tempo pieno con la fami<strong>gli</strong>a ed i fi<strong>gli</strong>, come una qualunque, brava donna di casa), che aveva un<br />

pessimo rapporto con il primogenito, tanto che questi - sostanzialmente"snobbando" le opportunità di lavoro<br />

presso le due banche facenti capo al padre - aveva deciso di in<strong>tra</strong>prendere percorsi professionali del tutto<br />

indipendenti dal contesto delle molteplici attività paterne, <strong>tra</strong>sferendosi ne<strong>gli</strong> Stati Uniti, lì costruendosi una<br />

fami<strong>gli</strong>a e lì operando, con successo, quale analista finanziario (cfr. testi Mezzomo, ud. 7 maggio 2002,<br />

Williamson Gherskey, Schlegel, Ponte Castillo, tutti all'udienza del 31maggio 2002).<br />

Ora, il Tribunale ritiene pacifico che tale fosse l'assetto dei <strong>rapporti</strong> all'interno della fami<strong>gli</strong>a Rovelli, ma non<br />

può oggi ignorare il contenuto di un documento - l'unico - proveniente dal capostipite e diretto al fi<strong>gli</strong>o, a<br />

commento della sentenza della Corte d'appello di Roma in data 26 novembre 1990, il giorno successivo alla<br />

sua pubblicazione. E' opportuno riprodurne integralmente il testo, riprendendo altresì, ratione materiae, le<br />

brevi osservazioni svolte laddove è parlato dell'iter giudiziario della causa:<br />

"Lugano, 27. XI'.90 Caro Felice, ti allego il Corriere, uno dei tanti che in questi giorni faranno un concerto<br />

attorno ai fatti! Tè lo mando perché consideri "che il mio andare a Roma", come dici tu, ha portato i suoi<br />

frutti: e credi, per anni, con fatica, ma soprattutto con una grande umiltà e abnegazione, con un coraggio<br />

che mi è costato di più della fatica; ma con orgo<strong>gli</strong>o per il ritrovato nome "Rovelli, fi<strong>gli</strong>o del Signor Felice,<br />

papa dell'ingegner Felice! Certo che ho dovuto fare tutto da solo, pensando che con l'aiuto di un fi<strong>gli</strong>o<br />

Master B.L, sicuramente avrei fatto me<strong>gli</strong>o, e, risparmiato, come tu suggerisci, la mia caduca salute, morale<br />

e materiale. Ti auguro, caro Felice, di star bene e di avere tutte le soddisfazioni che ti aspetti. Bacioni dal<br />

tuo Papa.".<br />

Ne<strong>gli</strong> intendimenti della difesa (che l'ha prodotta ai sensi dell'art. 507 c.p.p., e dunque solo in limine litis) lo<br />

scritto stava a dimos<strong>tra</strong>re, il giorno dopo la vittoria giudiziaria in grado d'appello che rendeva assai vicino<br />

l'epilogo favorevole del contenzioso, l'amarezza di un padre nei confronti di un fi<strong>gli</strong>o il quale, operando una<br />

cesura netta dal genitore nelle proprie scelte di vita, l'aveva "lasciato solo" anche nell'affrontare una causa<br />

civile al cui esito Nino Rovelli affermava di riconnettere significati non solo economici, ma anche di<br />

riaffermazione del proprio "orgo<strong>gli</strong>o" professionale e personale.<br />

Non è tuttavia sfuggito al Tribunale il tono assai criptico delle espressioni usate dal petroliere: non vengono<br />

mai menzionate espressamente né la causa civile, né la sentenza della Corte d'appello che, pure, era<br />

l'avvenimento a commento del quale la lettera era stata inviata. Invece, vi sono espressioni sulle quali è<br />

lecito soffermarsi per una lettura (sulla falsariga dell'arringa proprio di uno dei difensori de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong><br />

Rovelli e Battistella) anche in chiave psicologica: alludendo inequivocabilmente al tenore di precedenti


colloqui intervenuti <strong>tra</strong> padre e fi<strong>gli</strong>o, Nino Rovelli dice che "l'andare a Roma" ("come dici tu", e ciò fa<br />

pensare che Felice usasse quella espressione in tono critico, se non spregiativo) "ha portato i suoi frutti". E<br />

che "i frutti" siano da identificare nell'astronomico risarcimento riconosciuto dalla sentenza del giorno<br />

precedente, è cosa che pare arduo connfutare: ma altresì pare arduo interpretare "l'andare a Roma" come<br />

semplice ed asettico sinonimo di "coltivare una causa civile avanti l'autorità giudiziaria romana". E' invece<br />

fondato il sospetto che "l'andare a Roma" sia qualcosa di diverso, qualcosa che non può essere menzionato<br />

esplicitamente, qualcosa con riferimento al quale Felice si era mos<strong>tra</strong>to critico (o forse scettico) nei suoi<br />

colloqui con il padre, tanto che questi, con la soddisfazione del giorno dopo la sentenza, <strong>gli</strong> rinfaccia che ciò<br />

"ha dato i suoi frutti", e dunque sottolineando la propria determinazione a proseguire a dispetto<br />

dell'atteggiamento e delle opinioni del fi<strong>gli</strong>o, che l'aveva sconsi<strong>gli</strong>ato o scoraggiato. Forte del risultato<br />

ottenuto - nonostante Felice - Rovelli <strong>gli</strong> rinfaccia la "fatica" (ma e<strong>gli</strong> era assistito da una equipe di ottimi e<br />

prestigiosi legali che, ovviamente, si occupavano della causa e dunque, perché dire che <strong>gli</strong> era costata<br />

fatica?) e, in misura maggiore, il "coraggio", "che mi è costato di più della fatica". E qui, il riferimento al<br />

portare avanti la causa diviene ancora più arduo, a meno che non si vo<strong>gli</strong>a dire che un imprenditore esperto e<br />

navigato come Nino Rovelli, da anni sostenuto, nelle sue gigantesche "avventure" imprenditoriali, da<br />

amicizie politiche di primissimo piano, avesse dovuto tirare fuori un "coraggio che mi è costato di più della<br />

fatica" solo per in<strong>tra</strong>prendere, tutto sommato, una causa civile che lo opponeva ad un istituto bancario, fosse<br />

esso pure un colosso del sistema bancario come l'IMI.<br />

A causa delle perplessità del fi<strong>gli</strong>o, dice Nino "ho dovuto fare tutto da solo": ma, per la verità, se anche<br />

questa espressione deve essere riferita alla causa, allora ciò non è vero, perché, come è ovvio, i professori<br />

Are e Giorgianni, con i loro prestigiosissimi studi legali, avevano seguito passo passo, e con la dovuta cura,<br />

lo svolgimento del processo.<br />

E di più, e<strong>gli</strong> rimprovera infine al fi<strong>gli</strong>o (al quale aveva offerto una carriera scolastica ai massimi livelli) di<br />

averlo costretto a fare "tutto da solo", quando invece, con il suo aiuto "sicuramente avrei fatto me<strong>gli</strong>o" e<br />

avrebbe risparmiato (come il fi<strong>gli</strong>o stesso <strong>gli</strong> suggeriva) la "caduca salute, morale e materiale": se si può<br />

capire l'allusione all'aspetto materiale (Rovelli soffriva infatti di patologia cardiaca che solo un mese dopo lo<br />

avrebbe portato a morte), un po' fuori luogo pare, al con<strong>tra</strong>rio, il riferimento all'aspetto morale, che il tono<br />

accorato dello scrivente suggerisce essere qualcosa di più delle normali preoccupazioni o fastidi che la<br />

pendenza di una causa civile può ingenerare in chi via sia coinvolto.<br />

Insomma: la semplice lettura di questa privatissima corrispondenza di un padre con un fi<strong>gli</strong>o che non lo<br />

aveva appoggiato, che forse lo aveva criticato, che forse si era mos<strong>tra</strong>to scettico riguardo il suo "andare a<br />

Roma" è tale da suscitare qualche perplessità in ordine alla interpretazione che ne ha dato la difesa, ed anzi,<br />

sembra suggerire una reciproca consapevolezza - da parte del mittente come da parte del destinatario - di una<br />

realtà sottostante alla quale si poteva solo alludere, senza esplicitamente menzionarla: una realtà - nella<br />

quale evidentemente Felice non voleva en<strong>tra</strong>re perché forse non vi si riconosceva - che Nino Rovelli aveva<br />

affrontato con "fatica", che aveva richiesto tutto il suo coraggio, e nella quale e<strong>gli</strong> aveva perduto la propria<br />

salute, anche quella morale.<br />

Le risultanze probatorie che saranno analizzate di qui a poco - che descrivono, come recita il titolo del<br />

presente capitolo, il versante occulto delle due cause civili delle quali si discute - consentiranno, a giudizio<br />

del Tribunale, di trovare l'autentica chiave di lettura delle parole del defunto Angelo Rovelli, detto Nino.<br />

Intanto, a<strong>gli</strong> albori della indagine preliminare, emerge la figura di tré avvocati del Foro di Roma, che non<br />

avevano mai fatto parte del collegio difensivo scelto da Rovelli senior per la causa contro l'IMI; il giorno 8<br />

maggio 1996, in territorio elvetico, Primarosa Battistella vedova Rovelli, rendeva alla autorità giudiziaria di<br />

Milano, che le chiedeva conto di un bonifico di lire 241.600.000 giunto in data 29 marzo 1994 dal suo conto<br />

di Lugano su un conto corrente intestato ad Attilio Pacifico, le seguenti dichiarazioni:<br />

"Si <strong>tra</strong>tta di un pagamento che dovevo fare all'avvocato Pacifico come ne ho fatti altri. In proposito preciso<br />

che il 28 dicembre 1990 mio marito è stato sottoposto ad un'operazione a Zurigo. Siccome l'esito<br />

dell'operazione era incerto, il giorno precedente mio manto si è preoccupato che l'operazione potesse andar<br />

male e mi ha detto che aveva un debito con l'avvocato Pacifico e mi ha pregato - nel caso in cui non fosse<br />

sopravvissuto - di provvedere io al pagamento di questo debito. Mio marito non mi ha precisato la causale<br />

del debito, non mi ha nemmeno indicato l'importo. Si è limitato a dirmi che si sarebbe rivolto a me<br />

l'avvocato Pacifico per avere il denaro che <strong>gli</strong> spettava".<br />

Chiestole come mai, essendo il debitore deceduto nel 1990, il debito venne onorato solo nel 1994, l'imputata<br />

così rispondeva:


"Preciso che la somma da dare a Pacifico era una somma di rilievo... Alla morte di mio marito io non avevo<br />

a disposizione la somma da corrispondere al Pacifico, pertanto ho aspettato a dar<strong>gli</strong> il denaro soltanto<br />

quando ho potuto disporre della somma necessaria.Come ho accennato, l'accredito di cui alla prima<br />

domanda non è stato l'unico importo che ho fatto pervenire al Pacifico".<br />

Chiestole se conoscesse personalmente l'avvocato Pacifico, questa era la risposta:<br />

"Posso dire che l'avvocato Pacifico era conosciuto da mio marito. Io, prima della morte di mio marito, l'ho<br />

visto una sola volta, nel 1994 (n.d.r. si <strong>tra</strong>tta certamente di un refuso, volendosi forse verbalizzare 1984)<br />

perché, in compagnia di mio marito, l'ho incon<strong>tra</strong>to casualmente a Lugano per s<strong>tra</strong>da. In quell'occasione<br />

mio marito me lo ha presentato... Dopo che si è aggravato, cioè a partire dall'estate 1990, mio marito è<br />

rimasto più tempo a casa e ha quindi ricevuto delle telefonate a casa. Ricordo che Pacifico ha chiamato<br />

qualche volta".<br />

Rispondeva negativamente alla domanda se le fosse nota la natura dei <strong>rapporti</strong> intercorsi <strong>tra</strong> Nino Rovelli ed<br />

il citato legale, precisando che, dopo la morte del primo, Pacifico era venuto a farle le condo<strong>gli</strong>anze e ogni<br />

tanto le telefonava, generalmente nel periodo natalizio, per farle <strong>gli</strong> auguri. Esibitale la fattura n.1/94 emessa<br />

da Pacifico nei suoi confronti, Battistella così si esprimeva:<br />

"Sinceramente non ricordo la fattura... In ogni caso, io confermo di aver dato al Pacifico la somma<br />

corrispondente a questa fattura, ma escludo categoricamente, per quanto a mia conoscenza, che le<br />

prestazioni indicate in fattura siano state effettuate da Pacifico. Nella fattura si parla infatti di attività<br />

professionale relativa ad una controversia davanti alla Corte d'appello di Roma ed alla Corte di<br />

Cassazione, e si parla anche di possibilità di esecuzione nei confronti dell'IMI, ed io escludo che il Pacifico<br />

abbia prestato una sua attività professionale nella causa che la mia fami<strong>gli</strong>a ha effettivamente avuto contro<br />

l'IMI".<br />

Precisava che "i miei avvocati, che hanno curato i miei interessi in tutti questi anni" erano da identificare<br />

ne<strong>gli</strong> avvocati "Are, Giorgianni ed altri avvocati dei rispettivi studi, dei quali al momento non ricordo il<br />

nome". Aggiungeva: "Posso dire che su indicazione di Pacifico è stato versato del denaro ad Acampora.. .è<br />

un avvocato, ma non è <strong>tra</strong> quelli che si sono occupati dei miei interessi. Non so perché <strong>gli</strong> sia stato dato del<br />

denaro, credo che su questo punto potrà riferire mio fi<strong>gli</strong>o Felice ....Mio fi<strong>gli</strong>o mi ha riferito che ha versato<br />

del denaro a Cesare Previti".<br />

Nel prosieguo dell'indagine, l'imputata aggiungeva alcune precisazioni rispetto alla originale ossatura del<br />

proprio racconto; alla domanda sulle ragioni per le quali <strong>gli</strong> eredi di Nino Rovelli avessero deciso di pagare<br />

a Pacifico, Acampora e Previti le somme da loro pretese senza loro chiedere i motivi del credito che, a loro<br />

dire, vantavano nei confronti del defunto Nino, così rispondeva: ".. .fu mio marito a dirmi, prima della sua<br />

morte, che Pacifico vantava un credito...mio marito non mi disse l'ammontare dei trenta miliardi. Dopo la<br />

morte di mio marito, l'avv. Pacifico disse a mio fi<strong>gli</strong>o l'ammontare e decidemmo di accettare la volontà di<br />

mio marito, pagando la somma senza pretendere spiegazioni in merito. Mio marito non mi aveva parlato ne<br />

di Acampora ne di Previti....Felice, dopo aver parlato con Pacifico, mi ha detto che si sarebbero presentati<br />

anche Previti ed Acampora. Io con Previti ed Acampora di questo argomento non ne ho mai parlato e con<br />

Pacifico nemmeno”.<br />

Se il nome di Previti le fosse noto già in epoca precedente alla morte del marito:"Sì. Previti era una persona<br />

che telefonava a mio marito di frequente, almeno nell'ultimo periodo, perché mio marito a causa della sua<br />

malattia era a casa e quindi io venivo a sapere dei suoi contatti... Preciso che ho sentito di Previti e di<br />

Acampora da parte di mio marito esclusivamente ne<strong>gli</strong> ultimi tré mesi della sua vita, perché in quel periodo<br />

era in casa, arrivavano telefonate, e tante ce ne erano anche di Previti ed Acampora".<br />

Se li avesse mai incon<strong>tra</strong>ti personalmente:"Io non mai visto ne conosciuto Acampora; mentre con Previti ho<br />

preso un caffè dopo la morte di mio marito, in occasione di un mio viaggio effettuato a Roma per parlare<br />

con il professor Are. Previti venne all'Hotel Hassler e parlammo del più e del meno".<br />

Chiesta di indicare come mai venne pagato a Previti ed Acampora quanto da loro richiesto, nonostante<br />

nessuna indicazione in tal senso fosse venuta dal de cuius:"Perché si <strong>tra</strong>ttava di insigni avvocati di Roma";


infine, alla domanda se i due avvocati avessero indicato i motivi della richiesta di denaro: "Io non ho parlato<br />

con loro: mio fi<strong>gli</strong>o ha parlato con loro, dovete chiedere a lui".<br />

Racco<strong>gli</strong>endo l'invito della madre, diamo subito la parola a Felice Rovelli sul punto dei <strong>rapporti</strong> con i<br />

co<strong>imputati</strong> (cfr. interrogatori in data 8 maggio 1996; 14 settembre 1996; 15 settembre 1997; 25 settembre<br />

1997; tutti acquisiti, stante il rifiuto di rendere l'esame, all'udienza del 29 lu<strong>gli</strong>o 2002).<br />

"Pochi giorni dopo la morte di mio padre, mia madre mi ha comunicato che mio padre, prima di morire, le<br />

aveva detto che c'erano de<strong>gli</strong> impegni da rispettare... Preciso che nel mese di dicembre 1990 mio padre è<br />

stato ricoverato per subire un'operazione a rischio; non sapeva se sarebbe sopravvissuto. Poco prima<br />

dell'operazione ha detto a mia madre che se non fosse sopravvissuto, si sarebbe presentato a lei l'avv.<br />

Pacifico a chiedere dei soldi. Mio padre morì poco dopo e subito dopo mia madre mi ha girato<br />

l'informazione, facendomi presente che era sua intenzione onorare l'impegno. Dopo qualche settimana si è<br />

presentato l'avvocato Pacifico, probabilmente a Lugano, presumibilmente mentre eravamo presenti sia io<br />

che mia madre. L'avv. Pacifico si preoccupò se avremmo rispettato l'impegno che mio padre aveva preso<br />

con lui e noi rispondemmo affermativamente. Preciso che quanto all'entità dell'impegno mia madre sapeva<br />

che si <strong>tra</strong>ttava di una cifra importante. Pacifico, nell'incontro, ha quantificato l'importo in una cifra vicina<br />

ai 30 miliardi di lire. Preciso che Pacifico si è limitato a ricordarci l'impegno, a darci quella indicazione di<br />

massima sul valore, ma non ha detto nulla in ordine ai motivi per i quali i soldi erano dovuti. Nemmeno noi<br />

<strong>gli</strong> abbiamo chiesto alcuna spiegazione sui motivi del debito, perché in effetti la nos<strong>tra</strong> alternativa era o<br />

dir<strong>gli</strong> che non avremmo pagato o essere in condizioni di dover credere in qualsiasi cosa ci avesse detto.<br />

Intendo anche precisare che mio padre era molto ottimista e contemporaneamente persona che non faceva<br />

confidenze. Era sicuro di superare l'operazione e quindi si è limitato a dire a mia madre che in caso di<br />

ipotesi infausta si doveva onorare il debito. La sua fiducia nella possibilità di sopravvivere era a mio parere<br />

il motivo per cui non diede a mia madre altri detta<strong>gli</strong> sul rapporto con Pacifico. Questa essendo la<br />

situazione, noi non avevamo la possibilità di verificare nulla e quindi non abbiamo chiesto chiarimenti al<br />

Pacifico. Il Pacifico ci ha chiesto in quell'occasione la disponibilità di pagare subito, ma noi una cifra del<br />

genere in quel momento non l'avevamo per lo meno in forma liquida. Tra le tante cose, in quel periodo si<br />

analizzava anche l'asse ereditario, c'era anche la possibilità che noi ricevessimo del denaro come la<br />

liquidazione a seguito di una causa intentata contro l'IMI. Chiedemmo quindi a Pacifico la cortesia di<br />

aspettare che ci venisse liquidata quella somma. Pacifico acconsentì".<br />

Sulla comparsa in scena de<strong>gli</strong> altri <strong>imputati</strong>, questo è il racconto: "Faccio presente che nel corso dei primi<br />

contatti intervenuti con l'avvocato Pacifico nei mesi immediatamente successivi alla morte di mio padre, il<br />

Pacifico mi disse che la somma che mi chiedeva riguardava i suoi <strong>rapporti</strong> con mio padre, mi aggiunse che<br />

mio padre aveva dei debiti anche nei confronti dell'avvocato Giovanni Acampora e dell'avvocato Cesare<br />

Previti. Aggiunse che lui richiedeva a me il pagamento del suo credito, mentre Acampora e Previti mi<br />

avrebbero contattato ciascuno per il credito proprio. In effetti, pochi mesi dopo, anche Acampora e Previti<br />

si sono fatti vivi con me, sicuramente separatamente".<br />

In particolare sui <strong>rapporti</strong> con Acampora: "Fin dalla prima volta che l'ho visto, Acampora mi ha chiesto una<br />

somma dell'ordine di una dozzina di miliardi, senza specificare i motivi, ma dicendo che mio padre <strong>gli</strong>eli<br />

aveva promessi. Anche con Acampora ho pattuito un rinvio del pagamento al momento che mia madre fosse<br />

en<strong>tra</strong>ta in possesso della sufficiente liquidità. Finché, dopo che la sentenza IMI era stata eseguita,<br />

Acampora venne a New York da solo e... mi diede un bi<strong>gli</strong>ettino scritto a macchina sul quale compariva<br />

l'indicazione di bonificare le somme..." su alcuni conti esteri.<br />

Sui <strong>rapporti</strong> con Previti: "Anche Previti l'ho visto qualche mese dopo la morte di mio padre e l'ho incon<strong>tra</strong>to<br />

successivamente in poche occasioni. Posso dire di avere incon<strong>tra</strong>to il Previti qualche volta a Roma e<br />

qualche volta a Lugano, qualche cosa come un paio a Lugano e sulle tré volte a Roma nel suo studio. Non<br />

sono però in grado di dire se il primo incontro si è verifìcato a Roma oppure a Lugano. Nel primo incontro<br />

Previti mi disse che il debito di mio padre nei suoi confronti era di circa venti miliardi. Anche a Previti non<br />

ho mai chiesto spiegazioni, perché anche lì si <strong>tra</strong>ttava o di accettare di pagare tutti <strong>gli</strong> impegni che mi<br />

venivano prospettati come assunti da mio padre, oppure di rifiutarli. E siccome mia madre aveva promesso<br />

a mio padre prima dell'operazione di onorare i suoi debiti, mi disse che li voleva rispettare e io pertanto<br />

avrei dovuto agire di conseguenza. Anche Previti pochi giorni dopo la disponibilità liquida del denaro da<br />

parte della mia fami<strong>gli</strong>a mi comunicò, vedendomi a Lugano, <strong>gli</strong> estremi del bonifico".


Tale è rimasta, anche nel corso del dibattimento, la versione della fami<strong>gli</strong>a Rovelli in ordine ai <strong>rapporti</strong> con<br />

<strong>gli</strong> intermediari, in quanto sia Felice Rovelli che la madre hanno rifiutato di sottoporsi all'esame chiesto dal<br />

pubblico ministero. Quanto alla imputazione relativa all'al<strong>tra</strong> causa civile, quella di impugnazione del lodo<br />

arbi<strong>tra</strong>le, cosiddetto "lodo Mondatori", il dibattimento non si è potuto giovare del contributo probatorio del<br />

coimputato Silvio Berlusconi, nei confronti del quale la Corte d'appello di Milano, con sentenza in data 12<br />

maggio 2001, previa derubricazione nel reato di cui a<strong>gli</strong> artt. 321,319 c.p., ed a seguito del riconoscimento<br />

delle circostanze attenuanti generiche, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione.<br />

L'esame di Silvio Berlusconi, inizialmente chiesto anche dal Pubblico Ministero e dalla parte civile CIR -<br />

che in seguito vi avevano tuttavia rinunziato - è stato infine disposto, ai sensi de<strong>gli</strong> artt.210 e 205 c.p.p. su<br />

richiesta dei difensori di Vittorio Metta, per la data del 15 lu<strong>gli</strong>o 2002, presso la sede in cui il Presidente del<br />

Consi<strong>gli</strong>o dei Ministri esercita il proprio ufficio. E' tuttavia in seguito pervenuta al Tribunale missiva con la<br />

quale i difensori del dichiarante, nell'informare il Collegio che impegni istituzionali ne avrebbero impedito la<br />

presenza per lo svolgimento dell'incombente, ne preannunziavano altresì l'intendimento di avvalersi della<br />

facoltà di non rispondere alle domande, così come prevista dalla legge; ciò induceva il Tribunale a<br />

pronunziare ordinanza di revoca della ammissione di quel mezzo di prova. Oggi, dunque, non resta che<br />

regis<strong>tra</strong>re l'assenza di dichiarazioni da parte del soggetto il quale, nella ipotesi accusatoria, era indicato come<br />

concorrente - nella veste di corruttore - nel reato per il quale si procede.<br />

Prima ancora di analizzare la qualità de<strong>gli</strong> apporti dichiarativi de<strong>gli</strong> altri <strong>imputati</strong>, il Tribunale intende<br />

svolgere alcune valutazioni sulle intrinseche debolezze del racconto di coloro che sono <strong>imputati</strong> in veste di<br />

corruttori nella vicenda IMI-SIR. Si <strong>tra</strong>tta di debolezze di tutta evidenza, e perciò ben presenti anche alla<br />

mente dei difensori, che hanno sostanzialmente impostato le arringhe finali sulla totale inconsapevolezza, da<br />

parte di Battistella e Felice Rovelli, delle causali dei debiti con<strong>tra</strong>tti dal defunto con i tre legali e sulla<br />

parallela necessità - che li ha mossi en<strong>tra</strong>mbi, come per un ineluttabile determinismo - di rispettare la<br />

"volontà del padre". Né la stessa difesa Rovelli, nell'impostazione delle proprie conclusioni, ha inteso<br />

seguire il percorso logico e storico <strong>tra</strong>cciato dai co<strong>imputati</strong> in veste di intermediari, tutto teso a dimos<strong>tra</strong>re<br />

come ciascuno di essi avesse avuto - indipendentemente da<strong>gli</strong> altri due ed anzi, a loro insaputa - in un<br />

passato alquanto remoto, in<strong>tra</strong>ttenuto con il petroliere non ben specificati affari finanziari, societari, ovvero<br />

attività professionali svolte in ambito ufficioso e non ufficiale. No: la difesa Rovelli - Battistella si è limitata<br />

a dire che <strong>gli</strong> eredi nulla sapevano di ciò che il capofami<strong>gli</strong>a faceva nella gestione dei propri affari, e<br />

dunque, se accordi corruttivi vi erano stati, essi erano intervenuti con la consapevolezza e volontà del solo<br />

Nino, del quale, tuttavia, avevano sentito come imperativo il dovere di onorare la memoria, rispettandone le<br />

ultime volontà.<br />

Per conferire una parvenza di credibilità a questa ricostruzione (Felice e la madre non sanno - Nino non lo ha<br />

detto - perché occorre pagare tre avvocati, e tuttavia bonificano loro la somma di ben sessantotto miliardi di<br />

lire) i difensori hanno però dovuto "mettere in bocca" ai propri assistiti cose che né Rovelli, né Battistella<br />

hanno detto, ossia che il defunto aveva loro indicato anche la somma della quale era debitore (ma solo per<br />

Pacifico, o anche per <strong>gli</strong> altri due?); e ciò in guisa da rendere meno inverosimile la prospettazione della<br />

esecuzione meccanicistica della "volontà del padre". Ma siccome nell'attuale formulazione del codice di<br />

procedura penale i difensori non possono surrogarsi all'imputato nell'esame dibattimentale, e siccome<br />

en<strong>tra</strong>mbi <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> si sono sot<strong>tra</strong>tti al con<strong>tra</strong>ddittorio, il Tribunale deve oggi valutare il racconto di Rovelli<br />

e Battistella per come venne esposto e documentato nel corso delle indagini: Rovelli senior aveva indicato<br />

alla mo<strong>gli</strong>e quale creditore il solo Attilio Pacifico; non aveva indicato né le ragioni del credito, né il suo<br />

ammontare; quando Pacifico si era presentato aveva e<strong>gli</strong> stesso quantificato la somma; aveva altresì<br />

preannunciato la visita, in veste in ulteriori creditori, di Cesare Previti e di Giovanni Acampora. Nel breve<br />

volgere di pochi giorni, anche costoro si erano fatti vivi, separatamente, rivendicando un credito e<br />

quantificandolo, senza tuttavia documentarlo; pur in assenza di documenti che provassero le esorbitanti<br />

ragioni creditorie, e pur non conoscendo nessuno dei tre intermediari (che, comunque, non avevano mai<br />

svolto attività professionale nella causa) madre e fi<strong>gli</strong>o si erano indotti a dare loro quanto richiesto, perché si<br />

<strong>tra</strong>ttava di "insigni avvocati romani". Avevano solamente chiesto ai tre di attendere l'esito della vertenza<br />

giudiziaria contro l'IMI, che avrebbe portato loro la liquidità necessaria (.. .quanta sicurezza sull'esito della<br />

causa!): ed infine, come promesso, nell'estate 1994 Battistella Primarosa (unica erede del patrimonio del<br />

marito per la rinuncia dei fi<strong>gli</strong>, anche questo aderendo ad una indicazione paterna) dava ordine al fiduciario<br />

svizzero avvocato Rubino Mentsch di provvedere ai versamenti.


Non c'è neppure bisogno di ricorrere ai con<strong>tra</strong>sti con le versioni de<strong>gli</strong> altri <strong>imputati</strong> (in particolare. Pacifico<br />

ha sempre negato di avere e<strong>gli</strong> informato i Rovelli che esistevano altri due avvocati creditori del defunto) per<br />

rendersi conto della assoluta, totale e insanabile inverosimi<strong>gli</strong>anza dei comportamenti umani descritti da<br />

Primarosa e Felice Rovelli. E se è inverosimile che una persona dia denaro ad un al<strong>tra</strong>, senza conoscere il<br />

motivo, fidandosi della indicazione quantitativa del creditore, sol per onorare la memoria di un defunto che<br />

quel debito aveva ammesso (ma senza quantificarlo); se ciò appare inverosimile, si diceva, anche quando la<br />

somma indicata sia di entità, per così dire ordinaria, appare francamente assurdo che si possa sostenere una<br />

simile versione quando il credito venga quantificato nell'ordine di decine e decine di miliardi di lire.<br />

Sempre rimanendo nella valutazione intrinseca delle dichiarazioni dei corruttori, la assoluta<br />

inverosimi<strong>gli</strong>anza investe anche la condotta dei tre legali: si parla di ragioni creditorie di quella entità,<br />

maturate in epoca precedente al dicembre 1990 e, improvvisamente, il debitore muore, senza che vi siano<br />

documenti, conteggi, scritture private di riconoscimento di debito. Semplicemente, e<strong>gli</strong> dice a voce alla<br />

mo<strong>gli</strong>e - sul letto di morte - che bisognava pagare un avvocato romano. Questi si presenta e, nel quantificare<br />

il proprio "avere", indica a<strong>gli</strong> eredi altri due creditori, che, quasi contestualmente, si presentano, a loro volta<br />

indicando cifre astronomiche.<br />

Felice Rovelli e Primarosa Battistella assumono subito (ma sempre e solo a voce, forse ci sarà stata anche<br />

una stretta di mano) l'impegno a pagare, e tuttavia asseriscono di non avere sufficienti disponibilità liquide;<br />

disponibilità che verranno (e nessuno de<strong>gli</strong> interlocutori sembra avere dubbi in proposito) al termine della<br />

causa contro l'IMI. Quindi, siano cortesi e pazienti i plurimiliardari creditori, e si adeguino ai tempi della<br />

giustizia italiana, rimandando sine die l'adempimento delle obbligazioni. I tre avvocati - forti della stretta di<br />

mano di due persone che erano sì prossime congiunte del petroliere, ma con le quali non avevano mai avuto<br />

<strong>rapporti</strong> di sorta - accettano senza battere ci<strong>gli</strong>o questa dilazione dei pagamenti a tempo indeterminato, e non<br />

si premurano di esigere, nemmeno questa volta, un pezzo di carta che consenta loro, un domani, di far valere<br />

le proprie pretese. E così, passano ben quattro anni, nel corso dei quali si sarebbero potute verifìcare<br />

molteplici evenienze, tutte tutt'altro che inverosimili: che la causa durasse anni ed anni ancora; che finisse<br />

male per i Rovelli; che questi ultimi, privi della guida del padre accen<strong>tra</strong>tore, conducessero una rovinosa<br />

gestione del patrimonio familiare, tale da renderlo incapiente; ovvero, e forse più semplicemente, che<br />

Rovelli e la madre si rifiutassero di versare del denaro, o di versare "quelle" somme che, in fondo, nessuno<br />

dei tre creditori sarebbe mai stato in grado di documentare e dunque di azionare per via giudiziaria.<br />

La verità è che la versione de<strong>gli</strong> ipotetici corruttori è tale da non richiedere ulteriori commenti, perché essa si<br />

commenta da sola, ed è quasi una confessione, anche nella prospettazione dei difensori nel corso dell'arringa<br />

finale, ed anche letta alla luce della missiva spedita al fi<strong>gli</strong>o all'indomani della sentenza firmata da Vittorio<br />

Metta: quando Nino Rovelli era in vita e<strong>gli</strong> può avere certamente "coltivato" la causa civile con metodi non<br />

confessabili ("l'andare a Roma" era questo) ai quali i familiari erano sostanzialmente es<strong>tra</strong>nei sotto il profilo<br />

del contributo causale e rispetto ai quali, anzi, Felice aveva forse espresso perplessità, negando al padre il<br />

proprio appoggio morale e materiale. Sentendosi vicino alla fine, il capofami<strong>gli</strong>a rivela alla mo<strong>gli</strong>e<br />

l'esistenza di <strong>rapporti</strong> occulti con Attilio Pacifico, che si presenterà per avere ciò che Nino Rovelli <strong>gli</strong> aveva<br />

promesso. La madre informa il fi<strong>gli</strong>o ed i due, che fino a quel momento forse non conoscevano <strong>gli</strong> esatti<br />

contorni dei <strong>rapporti</strong> dei legali con il de cuius, decidono di pagare, e di pagare tutti i creditori che si<br />

presentano, se non nella piena consapevolezza di quanto era fino a quel momento accaduto, certamente<br />

sapendo, o accettando il rischio,, che si <strong>tra</strong>ttasse dell'adempimento di obbligazioni di carattere illecito,<br />

inerenti la causa contro l'IMI. Solo così i comportamenti umani descritti dai corruttori possono <strong>tra</strong>vare una<br />

spiegazione ed un filo logico: non esistono prove del debito, ne si possono pretendere (sia dall'una che<br />

dall'al<strong>tra</strong> parte) perché si <strong>tra</strong>tta di un patto corruttivo; un patto che, per sua natura, deve rimanere, oltre che<br />

segreto, affidato al vincolo di solidarietà "necessitata" che non può non esistere <strong>tra</strong> il corrotto e i corruttori e<br />

chi li mette in contatto <strong>tra</strong> loro. Gli eredi dicono che Nino Rovelli non quantificò il dovuto, ed il Tribunale<br />

ritiene che ciò sia, almeno in parte, compatibile con la natura de<strong>gli</strong> accordi illeciti fra il debitore originario<br />

ed i creditori: forse il defunto non indicò l'ammontare del debito perché non era in quel momento in grado di<br />

farlo con sicurezza, ma solo in prospettiva, con riferimento alla futura, possibile irrevocabilità della sentenza<br />

emessa dalla Corte d'appello di Roma il 26 novembre 1990. Se è vero, come è vero, che nel 1994 parte, in<br />

dirczione dei conti esteri dei tre avvocati, la somma di sessantotto miliardi di lire che - come si dimostrerà in<br />

seguito - è, guarda caso, pari al 10% (per l'esattezza 10,016%) del risarcimento ottenuto dai Rovelli a seguito<br />

della causa, esclusa la somma pagata a titolo di imposte, allora proprio questo aggancio percentuale ai valori<br />

che la sentenza riconosceva al vincitore, può essere stato il criterio indicato a<strong>gli</strong> eredi dal de cuius in punto<br />

di morte, tale, cioè, da non lasciare (cosa che proprio non può essere seriamente creduta da nessuno) Rovelli<br />

junior e Battistella in totale balia di incontrollabili pretese de<strong>gli</strong> intermediari.


Ed ancora, nel racconto dei corruttori, le figure dei tre avvocati sono plasticamente descritte come<br />

indissolubilmente legate <strong>tra</strong> loro, sia nel momento del contatto con <strong>gli</strong> eredi (ed infatti, ritenendolo elemento<br />

qualificante, Pacifico si è affrettato a negare d'avere mai menzionato a Felice Rovelli l'esistenza dei crediti in<br />

capo ad Acampora e Previti, dei quali dice di non aver saputo alcunché), sia, ed anzi soprattutto, nel<br />

momento dei pagamenti, tutti dilazionati all'esito della causa, e tutti effettuati dopo che l'IMI aveva dato<br />

esecuzione alla condanna definitiva.<br />

Infine, ma questo sarà oggetto del <strong>tra</strong>ttazione che segue, il comportamento successivo di Felice Rovelli - in<br />

necessario accordo con la madre, unica erede del marito e dunque unico soggetto in grado di poter dare le<br />

disposizioni in ordine alla destinazione del patrimonio - dimos<strong>tra</strong> in modo assoluto ed incontrovertibile<br />

come e<strong>gli</strong> non solo fosse (o fosse venuto) a conoscenza dei <strong>rapporti</strong> illeciti del padre e dei patti corruttivi da<br />

lui stipulati, ma <strong>gli</strong> sia succeduto, jure ereditario, nei contatti con Pacifico Previti ed Acampora, e nei<br />

comportamenti attivi da questi gestiti ed orches<strong>tra</strong>ti, allo scopo di influire sull'iter giudiziario nella fase<br />

svoltasi avanti la Suprema Corte di Cassazione.<br />

GLI INTERMEDIARI<br />

CESARE PREVITI<br />

Se Rovelli e Battistella hanno tenuto ferme le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari,<br />

sensibili modificazioni sono invece intervenute, in dibattimento, per quanto concerne il racconto, in parte<br />

qua, dell'imputato Cesare Previti, sottopostosi all'esame solo in data 28 settembre 2002, dopo l'ordinanza del<br />

Tribunale che aveva ammesso tale mezzo di prova (per tutti <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>) ai sensi dell'art.507 c.p.p.,<br />

allorquando, (cfr. verbale dell'udienza del 29 lu<strong>gli</strong>o 2002 ed ordinanza in tale data pronunziata) erano stati<br />

legittimamente acquisiti i verbali de<strong>gli</strong> interrogatori resi nella fase delle indagini preliminari.<br />

Nel verbale stilato alla data del 23 settembre 1997, il Pubblico Ministero contestava le risultanze delle<br />

indagini bancarie svolte con rogatoria internazionale, dalle quali era emerso che, at<strong>tra</strong>verso il conto 136183,<br />

riferimento "Filippo", presso la banca Darier Hentsch di Ginevra, Cesare Previti aveva ricevuto da<strong>gli</strong> eredi<br />

Rovelli, con valuta in data 21 marzo 1994, la somma di 18.000.000 di franchi svizzeri, pari a circa 21<br />

miliardi di lire. L'imputato così rispondeva: "Sì, ho ricevuto questa somma su quel conto da me indicato, che<br />

era un conto di titolarità della banca, della mia banca che era la Hentsch di Ginevra ed aveva il mandato di<br />

ricevere questa somma e <strong>tra</strong>sferirla sul mio conto presso essa Hentsch, e l'importo era di 18.000.000 di<br />

franche svizzeri. Tengo subito a precisare che l'indicazione di questo conto era per.. .motivi di riservatezza<br />

nei confronti di Rovelli, nel senso che non ho voluto dire a Rovelli quale era la mia banca ed ho pregato la<br />

banca di indicare un conto suo sul quale far <strong>tra</strong>nsitare la somma".<br />

Al Pubblico Ministero, che <strong>gli</strong> chiedeva quali fossero state le sorti della somma ricevuta, Previti rispondeva,<br />

partendo dai motivi per i quali aveva in<strong>tra</strong>ttenuto <strong>rapporti</strong>, prima con Nino e, dopo la morte di questi, con il<br />

fi<strong>gli</strong>o Felice: "Io ho ricevuto questa somma in esecuzione di un mandato che avevo ricevuto da Nino Rovelli<br />

che è deceduto, mi pare, il 30 dicembre del 1990; questi, prima della sua morte, ma quando non pensava di<br />

morire certamente, mi aveva detto che avrei dovuto eseguire un mandato con una serie di pagamenti e che,<br />

nel quadro di questa esecuzione di questo mandato, avrei potuto anche <strong>tra</strong>ttenere l'importo di una parcella<br />

dovuta alle prestazioni professionali che io avevo avuto con Rovelli.. .ne<strong>gli</strong> anni precedenti. Quando morì<br />

Rovelli.. .qualche tempo dopo... non ricordo quanto tempo dopo, mi ha cercato Felice Rovelli e mi ha detto<br />

che sapeva di questo mandato e che lo avrebbe onorato quando avesse incassato la somma di cui alla<br />

sentenza della Corte d'appello di Roma del novembre 1990. Io presi atto della cosa e rimasi in attesa di<br />

quello che poi sarebbe successo; successivamente, dopo che Rovelli ha incassato questa somma, mi ha<br />

ancora una volta chiamato e mi ha detto che la somma era disponibile e che <strong>gli</strong> facessi sapere dove inviarla<br />

e così infatti io feci, indicando il così detto conto "Filippo" previ accordi con la Hentsch; ricevuta la somma<br />

infine sul mio conto ho dato disposizione che fosse inviata esattamente nei termini del mandato che qualche<br />

anno prima avevo ricevuto e che credo sia a conoscenza delle SS.LL., perché, diciamo, contenuta nei<br />

documenti bancari che sono in vostro possesso, comunque, per facilitare le interpretazioni delle indicazioni<br />

del conto, dirò che in data 19 settembre 1994 ho fatto due distinti invii, ciascuno di 2.147.000 franchi, alla<br />

Darier Hentsch di Nassau, poi ancora ho inviato 5.572.000 franchi svizzeri alla CODAVA in Lussemburgo<br />

...; poi ancora, a lu<strong>gli</strong>o 1994, 5.570.000 franchi svizzeri alla New Bank di Vaduz, e in data 9 agosto 1994,<br />

860.000 franchi sempre alla New Bank, sempre di Vaduz - il residuo di 1.703.000 franchi, pari a circa 2<br />

miliardi, l'ho <strong>tra</strong>ttenuto appunto a saldo di questa vecchia antica parcella".


A parte questi ultimi due miliardi di lire, la somma promessa da Nino Rovelli (e "bonificata" da<strong>gli</strong> eredi<br />

dopo la sua morte) non era destinata allo stesso Previti, ma ad altri professionisti, avvocati, dei quali non<br />

intendeva fare i nomi.<br />

Il Pubblico Ministero faceva presente all'imputato il contenuto delle dichiarazioni rese sul punto da Felice<br />

Rovelli, il quale aveva riferito di avere saputo dell'esistenza di un credito in capo a Previti dall'avvocato<br />

Pacifico il quale, presentatesi dopo la morte di Nino Rovelli, ebbe a dire a<strong>gli</strong> eredi che si sarebbero<br />

presentati, per esigere loro crediti, anche l'avvocato Acampora e l'avvocato Previti. Questa la risposta<br />

dell'imputato: "Io ho letto <strong>gli</strong> interrogatori di Rovelli e devo dire che questo con<strong>tra</strong>sto non mi sembra che<br />

sussista, perché io non so se <strong>gli</strong>ene ha parlato Pacifico, io so soltanto che Rovelli mi ha chiamato e quindi<br />

poi, se lo ha saputo da Pacifico che doveva eseguire questo mandato ...resta un mandato del padre, lo abbia<br />

fatto su invito di Pacifico perché il padre <strong>gli</strong>elo aveva detto o <strong>gli</strong>elo aveva detto indirettamente per al<strong>tra</strong> via,<br />

la parte che io conosco è questa, che Rovelli mi chiama, mi cerca, lo conosco nell'occasione, lo vedo<br />

qualche minuto, mi sembra all'Hotel Hassler e lui mi da questa assicurazione al quale io anche sono<br />

rimasto piuttosto freddo prima di tutto perché la parte di mia stretta pertinenza non era un importo tale che<br />

non mi facesse dormire la notte, secondo perché ritenevo fosse un problema diciamo della fami<strong>gli</strong>a Rovelli<br />

se intendeva o no far fronte a dei pagamenti che obbligavano solo loro e non me, io ero stato richiesto dal<br />

padre solo di fare da <strong>tra</strong>mite e quindi non vedo quale con<strong>tra</strong>ddizione vi sia nel percorso che lei mi <strong>tra</strong>ccia,<br />

può darsi che questa cosa l'abbia saputa da Pacifico, può darsi di no.. .vorrei anche aggiungere che io<br />

stesso, quando mi disse che bisognava aspettare il pagamento di cui alla sentenza, rimasi anche abbastanza<br />

scettico perché la vicenda IMI Rovelli.. .aveva una storia che mi faceva pensare che difficilmente la lobby<br />

bancaria avrebbe consentito che finisse come è finita.. .e quindi quando Felice Rovelli mi disse questa cosa,<br />

io ho continuato la mia vita senza nessun pensiero specifico su questa storia".<br />

Consequenziali a tale prospettazione le altre risposte sui particolari della vicenda: Felice Rovelli non ebbe<br />

mai a chieder<strong>gli</strong> un rendiconto, neppure su quella parte <strong>tra</strong>ttenuta da Previti quale parcella per sue antiche<br />

prestazioni; Angelo Rovelli <strong>gli</strong> aveva dato mandato di <strong>tra</strong>sferire somme a professionisti, senza tuttavia essere<br />

preciso sui motivi per i quali il denaro doveva essere <strong>tra</strong>sferito; poiché l'adempimento del "mandato" aveva<br />

avuto luogo oltre tre anni dopo il conferimento dell'incarico, prima di darvi corso aveva dovuto svolgere<br />

alcune verifiche, principalmente at<strong>tra</strong>verso un referente rappresentato dal dirigente della banca; all'epoca del<br />

conferimento del mandato aveva preso appunto scritto circa questi "referenti", ma le annotazioni erano state<br />

distrutte dopo che aveva svolto le operazioni bancarie di <strong>tra</strong>sferimento.<br />

Sui <strong>rapporti</strong> con <strong>gli</strong> altri "intermediari", affermava di non avere mai saputo, prima dell'indagine, che Rovelli<br />

avesse destinato del danaro anche ad Acampora e Pacifico, con i quali era peraltro in <strong>rapporti</strong>, anche risalenti<br />

nel tempo: "Pacifico, sono amico credo da 30 anni, più o meno, da tantissimo tempo e abbiamo anche avuto<br />

sempre una notevole frequentazione amicale anche con le fami<strong>gli</strong>e... ma nessuna frequentazione<br />

professionale diciamo in relazione alla professione di avvocato.. .invece ho usato il mio rapporto con<br />

Pacifico, che era considerato l'esperto di queste, cose per fare venire denaro in Italia dai miei conti svizzeri<br />

e lui faceva questo lavoro, diciamo, con una certa professionalità perché lo faceva dietro compenso e<br />

prendeva il 3 % per fare venire questo denaro in Italia, cioè il denaro veniva, salvo quello che era il<br />

cambio, decurtato di questo 3%...è finita questa cosa quando mi sono accorto che c'era la possibilità di<br />

spendere di meno per questo passaggio in Italia. Dapprima qualcuno mi fece arrivare questi soldi con un<br />

pagamento dell'1,5 % - un breve periodo - poi invece si offerse di fare questo lavoro Pacini Batta<strong>gli</strong>a, il<br />

quale me lo faceva senza nessuno "spread" sopra...me lo ha fatto due volte, tutte e due le volte per 200<br />

milioni, me li ha anticipati qui in Italia e io <strong>gli</strong>eli ho restituiti fuori...".<br />

Specificamente interrogato sui <strong>rapporti</strong> con il coimputato oggetto di contestazione nell'ambito della<br />

questione Lodo Mondadori, e rispondendo in merito al bonifico ad Attilio Pacifico della somma già in<br />

precedenza <strong>tra</strong>smessa da Acampora a Previti (425 milioni di lire), l'imputato isolava questa operazione - e<br />

questa sola - distinguendola da tutte le altre finalizzate al rientro del capitale in Italia at<strong>tra</strong>verso Pacifico: "Io<br />

ho inviato questo importo all'avvocato Pacifico perché dovevamo, avevamo fatto un'operazione insieme di<br />

natura finanziaria e dovevamo fare un'operazione di copertura, e quella era la parte di mia competenza.<br />

L'ho mandata per questa ragione".<br />

L'imputato rifiutava poi di fornire maggiori particolari in ordine a questa operazione, tanto diversa dalle<br />

altre, e il problema sarà approfondito allorquando si parlerà dei movimenti finanziari relativi alla vicenda<br />

Mondadori. Basterà qui evidenziare la circostanza, anticipando sin d'ora che le sue affermazioni sono state<br />

seccamente smentite dallo stesso Pacifico, come si vedrà oltre.


Esisteva dunque <strong>tra</strong> i due un legame di amicizia, fiducia, come pure <strong>rapporti</strong> finanziari su conti esteri:<br />

eppure, non avevano mai parlato fra loro della causa Rovelli: "Ex professo assolutamente no, siccome però<br />

della causa Rovelli, soprattutto da un certo momento in poi, ha parlato tutta Italia, hanno parlato tutti i<br />

giornali..."; comunque, nessuno dei due aveva rivelato all'altro i propri <strong>rapporti</strong>, anzi, le proprie aspettative<br />

economiche nei confronti della fami<strong>gli</strong>a del petroliere.<br />

E con il coimputato Acampora: "... era diciamo anni fa, un professionista molto considerato e stimato nel<br />

campo tributario, lui era un ex ufficiale della Guardia di finanza, aveva lasciato la Guardia di finanza ed<br />

aveva iniziato questa attività che subito <strong>gli</strong> aveva dato un grande prestigio, tanto che io ho mandato da lui<br />

mio fi<strong>gli</strong>o a fare un periodo di pratica...è stato tanto tempo da Acampora... naturalmente io avevo<br />

conosciuto prima Acampora, però i <strong>rapporti</strong> sono stati questa presenza di mio fi<strong>gli</strong>o in studio; però non<br />

abbiamo avuto, credo, professionalmente niente di particolare insieme, se non, essendo l’Acampora uno<br />

specialista di queste situazioni estere e avendo, diciamo, una particolare versatilità nei fatti tributari io <strong>gli</strong><br />

ho affidato qualche pratica personale da curare, tipo per esempio l'acquisto della società proprietaria della<br />

mia casa al mare".<br />

In particolare, sulle risultanze dei tabulati telefonici quanto ai contatti con Acampora: "...chiacchierando con<br />

mio fi<strong>gli</strong>o, mi diceva che una ragazza con la quale lui si è accompagnato per un lungo periodo, stava nello<br />

studio Acampora, quindi ci possono essere magari decine di telefonate fatte dal mio studio verso Acampora<br />

ed io non ho mai parlato con Acampora.. .in studio ho più di venti persone".<br />

Sui contatti telefonici con Felice Rovelli ed in particolare quello documentato il 22 marzo 1993: (data non<br />

indifferente nella controversia Imi-Sir) "...è possibile che Rovelli mi abbia chiamato, questo credo sia<br />

avvenuto in più d'una circostanza, quando veniva a Roma...mi faceva un saluto o mi aggiornava sullo stato<br />

delle cose di questa causa, in fondo lui riteneva che io fossi in aspettativa di queste somme, quindi magari<br />

mi dava delle notizie.. .molto generiche però, molto vaghe.. .io non ci stavo con la testa su questa cosa<br />

perché non mi interessava .. .questo è un dato assolutamente.. .se mi è consentito, pacifico...con la "p"<br />

minuscola".<br />

Dunque, per fare il punto su questa prima versione difensiva, l'ingente somma ricevuta da Previti riguardava,<br />

per la quasi totalità, un mandato che e<strong>gli</strong> aveva ricevuto da Rovelli senior, per provvedere al pagamento,<br />

all'estero, di altre persone ("professionisti", "avvocati") dei quali non aveva inteso fare i nomi; una volta<br />

incon<strong>tra</strong>to Felice, aveva quantificato la somma da <strong>tra</strong>smettere, comprensiva anche della propria "parcella"<br />

(pari a circa due miliardi di lire), senza però fare rendiconto a<strong>gli</strong> eredi; non sapeva dire chi avesse informato<br />

Felice del "debito" di Nino - nei termini sopra specificati - nei suoi confronti, ma certamente e<strong>gli</strong> non ne<br />

aveva parlato con l'avvocato Pacifico, suo ottimo amico da lungo tempo. Aveva accettato senza problemi la<br />

proposta di Felice di procrastinare il pagamento all'esito della controversia giudiziaria dei Rovelli con l'IMI<br />

(pur dubitando di un esito favorevole alla SIR, in quanto il sistema bancario non avrebbe accettato<br />

facilmente che la causa "finisse come poi è finita") perché, in fondo, la gran parte della somma non era<br />

destinata a lui (<strong>tra</strong>nne due miliardi di lire) e, dunque "non è che non ci dormissi la notte".<br />

Non aveva mai saputo - prima dello svolgimento dell'indagine - che un altro legale romano, Giovanni<br />

Acampora, che e<strong>gli</strong> ben conosceva (a suo dire principalmente in quanto titolare di un rinomato studio<br />

specializzato in materia di imposte e tributi, presso il quale il proprio fi<strong>gli</strong>o Stefano aveva svolto un periodo<br />

di pratica) era stato anch'e<strong>gli</strong> grandemente munificato, estero su estero, dai Rovelli madre e fi<strong>gli</strong>o, pressoché<br />

in contemporanea con i bonifici in favore suo e di Pacifico. Come già si accennava, descritti i propri<br />

personali <strong>rapporti</strong> con l'avvocato Pacifico con la menzione anche di "servizi", da parte di quest'ultimo, di<br />

natura riservata, concernenti cospicui fondi gestiti da Previti presso banche della Confederazione Elvetica,<br />

l'imputato minimizzava i propri contatti personali con l'altro avvocato in <strong>rapporti</strong> occulti con la fami<strong>gli</strong>a<br />

Rovelli, affermando di non avere avuto con lui legami professionali di rilievo e facendo notare come i<br />

numerosi contatti telefonici risultanti fra apparecchi in uso al coimputato e l'utenza del proprio studio fossero<br />

più che altro riconducibili al fi<strong>gli</strong>o Stefano, che aveva fatto pratica legale presso Acampora ed ivi aveva<br />

conosciuto una ragazza, con la quale si era per un certo periodo "accompagnato".<br />

In sostanza, nella primitiva versione difensiva di Previti emerge una generale ed accurata presa di distanze<br />

rispetto all'intero contesto: rispetto ai denari di Rovelli, che erano quasi tutti destinati ad altri<br />

"professionisti", senza che il mandante <strong>gli</strong> avesse mai rivelato la causa di quei <strong>tra</strong>sferimenti patrimoniali;<br />

rispetto all'esito della controversia civile contro l'IMI, da un lato, poiché e<strong>gli</strong> non aveva proprie personali


aspettative di pagamento, se non per due dei ventuno miliardi che Rovelli <strong>gli</strong> avrebbe bonificato, dall'altro,<br />

perché era assai scettico sull'esito positivo della medesima; infine, rispetto ai co<strong>imputati</strong> Acampora e<br />

Pacifico, con i quali diceva di non avere mai in<strong>tra</strong>ttenuto <strong>rapporti</strong> professionali di qualche significato.<br />

Rimanendo su di un piano generale, il Tribunale intende ora dar conto dei mutamenti della versione<br />

difensiva dell'anno 1997, intervenuti in dibattimento, a distanza di cinque anni. Partendo dalle vicende<br />

giudiziarie penali che, alla fine de<strong>gli</strong> anni'70, avevano coinvolto Angelo Rovelli ed i vertici del sistema<br />

bancario, con l'emissione, da parte dell'Autorità Giudiziaria di Roma, di provvedimenti di limitazione della<br />

libertà personale, all'esecuzione dei quali il petroliere si era sot<strong>tra</strong>tto rimanendo latitante, Previti ha descritto<br />

la attività professionale svolta, in quel contesto, per Efibanca, istituto a medio termine compreso fra quelli<br />

coinvolti nelle erogazioni in favore di Rovelli: "in questa situazione, il mio rapporto con Rovelli si è<br />

sviluppato su un piano di... estrema stima professionale ed anche il rapporto personale è stato<br />

particolarmente buono in quanto, effettivamente, i contatti io li ho avuti con un uomo veramente in un<br />

oceano di problemi il quale ha visto in me chi poteva effettivamente risolvere.. .in più sono andato a<br />

trovarlo un paio di volte durante il periodo della sua latitanza, fra i mille problemi che lui aveva, aveva<br />

anche il problema del suo patrimonio personale che era molto, molto cospicuo, e sul quale mi chiese una<br />

serie di consi<strong>gli</strong> per ripararsi da un possibile sequestro. .. .in buona sostanza, tutta l'attività professionale<br />

che io ho fatto per Efibanca è stata la stessa attività che io ho fatto per Rovelli, essendo la soluzione del<br />

problema Efibanca uno spicchio della soluzione del problema Rovelli. Al termine di questo rapporto,<br />

diciamo così a questa fase fondamentale del rapporto, quando si è capito che eravamo avviati a una<br />

soluzione, l'ingegner Rovelli si è impegnato nei miei confronti per una significativa parcella... La parcella<br />

che abbiamo concordato, poiché non poteva essere per mille ragioni una parcella da pagare in Italia,<br />

abbiamo concordato per un importo di 3 miliardi e 750 milioni che lui mi avrebbe corrisposto, non appena<br />

ne avesse avuto la liquidità, in Svizzera <strong>tra</strong>mutata fin dal primo momento in quello che era il corrispondente<br />

in franchi sviz-zeri di quel momento... l'importo della parcella fu concordato in 7 milioni e mezzo di franchi<br />

del 1980. Poiché Rovelli non era in grado in quel momento di corrispondere immediatamente quell'importo,<br />

ma era assolutamente fiducioso di poterlo fare in seguito, mi disse:"Benissimo, ti corrisponderò questo<br />

importo, quando mi sarà possibile, gravato del 10% di interessi". Poi, la situazione Rovelli ...si è,<br />

perlomeno sotto il profilo penalistico, chiarita, nel frattempo naturalmente si sono sviluppati altri problemi<br />

per lui perché non aveva più la sua attività imprenditoriale... io non <strong>gli</strong> ho immediatamente sollecitato<br />

questo pagamento, perché non l'ho mai fatto nei confronti di nessun cliente, la somma era sicuramente<br />

importante, ma secondo me era in ottime mani, non c'era davvero il problema che non venisse corrisposta e<br />

quindi l'ho lasciata lì.… come una sorta di investimento... Poi, nell'81, '82, mi parlò della ipotesi di far<br />

causa all'IMI per la inadempienza dei suoi impegni. Io mi tirai indietro da questa ipotesi, perché <strong>gli</strong> dissi:<br />

"Sono convinto che lei abbia perfettamente ragione, ma sono altresì convinto che lei va incontro ad una<br />

serie di infinite difficoltà perché il sistema bancario le farà da muro...d'altro canto io sono, diciamo,<br />

caratterizzato professionabnente anche come avvocato di banche, non sono la persona più indicata per uno<br />

scontro di questo genere"...ogni tanto lui mi parlava della causa che stava facendo, era fiducioso ne<strong>gli</strong> esiti,<br />

ma aveva sempre in mente l'ipotesi di una <strong>tra</strong>nsazione finale... Quando poi è morto io rimasi un attimo<br />

...colpito, dico, va be', adesso chissà cosa succederà, tanto che dissi a mio fi<strong>gli</strong>o quale era la situazione:<br />

"L'ingegner Rovelli mi ha detto che la cosa l'avrebbe sistemata, anzi, è bene che tu sappia quale è la<br />

situazione, magari un domani potrebbe succedere a me di morire".. .E poco tempo dopo la morte sono stato,<br />

infatti, contattato dal fi<strong>gli</strong>o il quale mi disse che, appunto, sapeva del debito del padre e che ne voleva<br />

parlare con me.. allora io mi sono consultato con un amico commercialista... e <strong>gli</strong> dissi di farmi i conteggi<br />

su quello che erano <strong>gli</strong> impegni....e poi ho avuto questo contatto con l'ingegner Rovelli Felice, lui mi ha<br />

detto che sapeva che il padre <strong>gli</strong> aveva detto di avere questo debito con me, <strong>gli</strong> aveva anche detto di che<br />

natura era, quali erano i conteggi e che mi avrebbe corrisposto il debito non appena avesse incassato non<br />

appena avesse incassato quanto <strong>gli</strong> era dovuto in seguito alla causa... io naturalmente, così come avevo<br />

avuto piena ed assoluta fiducia nel discorso del padre, ho avuto fiducia nel discorso del fi<strong>gli</strong>o e ho lasciato<br />

le cose come stavano, il fi<strong>gli</strong>o era stato poi netto, dice:"Quando prenderò questa somma.…".<br />

Di fronte a tale mutamento di versione, il Pubblico Ministero chiedeva all'imputato se fosse in grado di<br />

fornire documentazione attestante, per <strong>gli</strong> anni'70, questo "incontro professionale" (sono parole dello stesso<br />

Previti) con Nino Rovelli; questa la risposta: "naturalmente la documentazione attinente alle vicende che ho<br />

raccontato, per quanto riguarda i miei <strong>rapporti</strong> con l'ingegner Rovelli, non credo che nessun avvocato si<br />

faccia rilasciare dichiarazioni dal cliente né sulle parcelle, né su altro. Il rapporto è ovviamente fiduciario,


il rapporto è rimesso al rapporto interpersonale e quindi, se lei parla di una documentazione attinente alla<br />

conclusione di quella fase del rapporto con Rovelli, certamente non ce l'ho e non la posso avere".<br />

Ed ancora, interrogato dal P.M. sulle garanzie che eventualmente si fosse fatto dare da Rovelli junior,<br />

persona a lui sino a quel momento sconosciuta, circa l'adempimento del debito paterno, intervenuto ben<br />

quattro anni dopo la morte di Nino, così rispondeva: ".…per me era più che sufficiente che Rovelli mi avesse<br />

detto che il padre <strong>gli</strong> aveva parlato del suo debito e che lui lo avrebbe soddisfatto e che avrebbe rispettato<br />

in tutto e per tutto la volontà del padre. Detto questo, se io <strong>gli</strong> avessi chiesto un documento avrei fatto<br />

proprio veramente un fuor d'opera, era un rapporto fiduciario col padre, ero contento del fatto che si<br />

mantenesse fiduciario anche con il fi<strong>gli</strong>o, ne poteva essere di al<strong>tra</strong> natura".<br />

Di fronte ad un racconto dei fatti diverso dal precedente, ma privo - nell'ottica difensiva - di risvolti che<br />

collegassero il denaro di Rovelli a fatti corruttivi, ci si potrebbe a buon diritto chiedere perché mai, nel 1997,<br />

l'imputato avesse mentito, parlando di somma per la quasi totalità destinata a terzi e non - come invece era -<br />

a se stesso. Così spiega l'interessato il proprio iniziale mendacio: "... era stata fatta la richiesta di<br />

autorizzazione a procedere all'arresto in Parlamento e in più erano iniziate su vari fronti, anche nei miei<br />

confronti, le attività de<strong>gli</strong> organi fiscali per, diciamo, aggredire anche su quel fronte <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> di questo<br />

processo...talché io, in un primo momento quando uscì sui giornali il passaggio di denaro <strong>tra</strong> Rovelli e me,<br />

io dichiarai immediatamente quel che era la verità, cioè che si <strong>tra</strong>ttava di una parcella, ma in una<br />

dichiarazione ufficiale utilizzabile, anche su consi<strong>gli</strong>o dei professionisti che mi assistevano, io decisi di dare<br />

una versione nella quale non venisse fuori la parola parcella, perché mi è stato spiegato che questo avrebbe<br />

potuto effettivamente scatenare il fisco nei miei confronti, con effetti evidentemente rovinosi. E quindi ho<br />

parlato di mandato perché mi sembrava la situazione più, come dire, anonima e così le dichiarazioni<br />

conseguenti naturalmente sono state, diciamo, improvvisate alla circostanza proprio per evitare questo<br />

rischio gravissimo... in quella occasione, nel dovere spiegare un movimento di denaro che nulla aveva a che<br />

vedere con questa vicenda ho pensato, a tutela della mia posizione, soprattutto fiscale, ma anche di<br />

immagine, di parlare di mandato".<br />

Emergeva in dibattimento anche un ben differente spessore ed intreccio dei <strong>rapporti</strong> con l'avvocato<br />

Acampora: colui che nel corso delle indagini era presentato alla stregua di un collega come tanti (sia pure<br />

molto stimato) con il quale non aveva mai avuto <strong>rapporti</strong> professionali, se non per il fatto di avervi inviato il<br />

fi<strong>gli</strong>o per un periodo di pratica legale, si rivela in dibattimento legato a Cesare Previti da profondi legami,<br />

professionali e finanziari. Quanto al primo punto: "... a differenza che con l'avvocato Pacifico, ho avuto<br />

<strong>rapporti</strong> professionali in comune con l'avvocato Acampora e in un certo periodo molto intensi in quanto<br />

anche lui ha assistito il Gruppo Fininvest..."; non intendeva indicare altri clienti in comune (oltre alla<br />

Fininvest e a Gianni Bulgari; di quest'ultima vicenda si parlerà a proposito dei movimenti finanziari relativi<br />

alla imputazione Lodo Mondadori) con il coimputato "per naturale riservatezza".<br />

Come si vedrà a tempo debito, vi è un'al<strong>tra</strong> causa nella quale i due legali risultano avere prestato, insieme, la<br />

propria opera, ossia quella relativa alla opposizione al fallimento Caltagirone, in cui en<strong>tra</strong>mbi patrocineranno<br />

il fallito avanti un collegio giudicante della Corte d'appello di Roma, relatore Vittorio Metta.<br />

Quanto al secondo punto, si avrà modo di constatare l'esistenza in atti di lettere scambiate fra <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> nel<br />

giugno 2002, relative a passaggi da Acampora a Pacifico, e poi a Previti, di oltre 4 miliardi di lire: anche<br />

questa vicenda sarà <strong>tra</strong>ttata nella sede propria, bastando qui rimarcare che, soprattutto nelle parole di<br />

Acampora (cfr. ud.5 ottobre 2002; Previti si è invece rifiutato di rispondere, affermando che "non intendo<br />

dare nessuna storia a fatti privati che non c'en<strong>tra</strong>no per niente in questo processo") Previti avrebbe investito<br />

- suo <strong>tra</strong>mite e senza alcuna documentazione di supporto o di garanzia, in quanto "il rapporto Mochi Craft è<br />

un rapporto mio con sottostante ausilio partecipativo dell'avvocato Previti" - un miliardo e cinquecento<br />

milioni di lire nel 1991 e 4 milioni di franchi svizzeri nel 1994, in una società operante nel campo della<br />

nautica, la Mochi Craft, poi fallita nel 1999. Tutto, come sempre, sulla fiducia.<br />

In relazione alla vicenda Lodo Mondadori, Cesare Previti rendeva dichiarazioni in ordine alla natura della<br />

erogazione patrimoniale oggetto di contestazione, proveniente dai conti esteri riconducibili alla Fininvest di<br />

Silvio Berlusconi. Innegabili sono, invero, le differenze <strong>tra</strong> questa situazione e quella relativa alla questione<br />

Rovelli in quanto, sul piano generale, sono quasi fatto notorio <strong>gli</strong> intensi <strong>rapporti</strong>, anche professionali, che<br />

legavano l'imputato al sunnominato gruppo imprenditoriale. Interrogato, in sede di indagini preliminari,<br />

nell'unico, già menzionato, interrogatorio, sui bonifici riscon<strong>tra</strong>ti sul conto Mercier, così rispondeva in via<br />

generale: "... sono collegati alle mie prestazioni professionali internazionali e ai miei interessi ne<strong>gli</strong> USA e


in Brasile...i flussi di denaro su questo conto erano determinati in ragione della mia professione... in parte<br />

per operazioni finanziarie che mi venivano richieste e naturalmente ci sono anche compensi che posso<br />

spiegare e documentare, ma che non ritengo di dover esplicitare...".<br />

Anche in questo caso, diversa è la versione dibattimentale (cfr. ud.28 settembre 2002): non vengono più<br />

menzionati <strong>gli</strong> interessi in Usa ed in Brasile, e l'unico cliente è la Fininvest; il bonifico da "All Iberian" a<br />

"Mercier", via "Ferrido" (quello che, nella impostazione accusatoria, rappresenta la "provvista" per la<br />

tangente al giudice Metta) è così giustificato: "Io ho svolto per il gruppo un'attività imponente, interamente e<br />

totalmente documentata che in que<strong>gli</strong> anni ha portato il gruppo ad espandersi in Europa con una serie<br />

notevole di problemi che sono stati affrontati e risolti con la mia partecipazione. Al momento di parlare di<br />

parcelle, ho <strong>tra</strong>ttato la cosa con un dirigente del gruppo delegato a questo genere di <strong>rapporti</strong>, il dott. Livio<br />

Gironi.. .con il quale ebbi una serie di conversazioni e con il quale poi conclusi per una cifra globale, che<br />

mi è stata corrisposta in varie <strong>tra</strong>nches. Questo versamento rappresenta una di queste <strong>tra</strong>nches...si <strong>tra</strong>tta,<br />

ripeto, di un versamento inserito in altri contesti, che mi è stato fatto, diciamo, su disposizione del dott.<br />

Gironi, con il quale avevo discusso e <strong>tra</strong>nsatto, diciamo, l'importo delle mie parcelle... si <strong>tra</strong>tta di<br />

regolarissime e <strong>tra</strong>nquille parcelle che sono state corrisposte estero su estero per prestazioni in grande<br />

prevalenza eseguite all'estero".<br />

Dunque, il bonifico in questione, rappresenterebbe una prima rata dell'onorario (non quantificato, nel suo<br />

ammontare complessivo, dall'imputato) per attività di assistenza legale svolte all'estero in favore del gruppo<br />

Fininvest. Volendo <strong>tra</strong>rre alcune conclusioni in ordine alla valutazione intrinseca delle dichiarazioni di<br />

Cesare Previti non si può fare a meno di evidenziare, anche per quanto lo riguarda, <strong>tra</strong>tti di marcata<br />

inverosimi<strong>gli</strong>anza e di assoluto con<strong>tra</strong>sto con le regole di logica e di buon senso che normalmente<br />

presiedono ai comportamenti umani. Intanto, pesa a suo sfavore l'iniziale menzogna relativa alla<br />

destinazione della ingente somma ricevuta nel 1994, a causa finita, da<strong>gli</strong> eredi di Nino Rovelli, inserita in un<br />

quadro di generale presa di distanze da tutti i soggetti in quel momento protagonisti della indagine. Una<br />

menzogna che pesa ancor di più quando si vadano a valutare le giustificazioni addotte dall'imputato<br />

allorquando, nel corso dell'esame dibattimentale, ha rappresentato una diversa verità dei fatti, sempre e<br />

comunque lontana dall'accusa di corruzione. Come s'è visto, e<strong>gli</strong> ha in sostanza spiegato che le dichiarazioni<br />

relative ai fantomatici "professionisti italiani" che e<strong>gli</strong> avrebbe dovuto pagare con il denaro di Nino Rovelli<br />

nascevano solo ed esclusivamente dalla necessità di evitare di ricondurre a sé l'astronomica "parcella",<br />

percepita interamente in nero, estero su estero, sulla quale si sarebbero certamente scatenate le ire del fisco<br />

italiano. Dunque, la semplice preoccupazione di mettere al riparo il pur lauto compenso promesso dal<br />

defunto - e pagato dalla vedova - dalle pretese che sarebbero state avanzate da<strong>gli</strong> uffici finanziari dello Stato.<br />

Orbene, secondo l'imputato, il Tribunale dovrebbe pensare che, di fronte ad una gravissima accusa di<br />

corruzione in atti giudiziari ( "... la più grande corruzione della storia <strong>d'Italia</strong>, forse del mondo...", per usare<br />

le parole dello stesso Cesare Previti) un parlamentare della Repubblica, ex ministro, sul cui capo pende una<br />

richiesta di autorizzazione alla esecuzione della custodia cautelare in carcere, si preoccupi solo ed<br />

esclusivamente di "coprire" in tal modo compensi leciti (sia pur percepiti con elusione fiscale), e la<br />

preoccupazione sia così forte da spingerlo a mentire (rendendo dichiarazioni palesemente inverosimili)<br />

sull'essere stato l'effettivo destinatario di quelle somme.<br />

E' lecito nutrire dubbi su tale giustificazione, ed il Tribunale ne nutre molti, anche sulla base della versione<br />

dibattimentale, non certo mi<strong>gli</strong>ore - anzi, forse più problematica, quanto a verosimi<strong>gli</strong>anza e rispondenza a<br />

criteri di logica - rispetto alla prima. Intanto, quando Previti sosteneva che le la quasi totalità dei miliardi di<br />

Rovelli non fosse mai stata a lui destinata, e<strong>gli</strong> aveva poi buon gioco - si fa per dire - a sostenere il suo<br />

sostanziale disinteresse ("...non è che non ci dormissi la notte...") per il mantenimento de<strong>gli</strong> impegni da parte<br />

de<strong>gli</strong> eredi, e dunque, per l'esito della causa contro l'IMI in quanto viatico per l'acquisizione della liquidità<br />

necessaria ai pagamenti. In altre parole, l'essersi <strong>tra</strong>sformato da mero <strong>tra</strong>mite a effettivo destinatario della<br />

plurimiliardaria somma non <strong>gli</strong> permette più di palesare il precedente atteggiamento di distacco circa le reali<br />

intenzioni de<strong>gli</strong> eredi, che trovava il proprio fondamento nell'essere il debito del defunto sostanzialmente un<br />

affare che riguardava terze persone.<br />

Oggi la versione difensiva deve fare i conti - ed i conti, lo si ribadisce, debbono quadrare secondo logica -<br />

con un imputato che riceve per sé (e non per altri "professionisti") la somma di circa ventuno miliardi di lire,<br />

per un credito professionale maturato nei lontani anni'70. Ed allora, non può non lasciare a dir poco<br />

sconcertati l'intera ricostruzione dei <strong>rapporti</strong> - con Nino prima, con <strong>gli</strong> eredi poi - basata sulla reciproca<br />

fiducia, in totale assenza di qualsivo<strong>gli</strong>a documento, scrittura privata, riconoscimento di debito, rendiconto.<br />

A specifica domanda. Previti ha negato che vi sia mai stata <strong>tra</strong>ccia documentale dei propri <strong>rapporti</strong><br />

professionali con Angelo Rovelli, dei quali peraltro come si vedrà <strong>tra</strong> poco, ha offerto in dibattimento una


descrizione dai contorni sfumati e sfuggenti, alludendo - sempre per quanto riguarda <strong>gli</strong> anni intorno al<br />

1978,1979 - a situa-zioni non ufficiali e deontologicamente forse non ineccepibili. Ma ciò che ancor di più<br />

colpisce è la dimensione ingiustificatamente fiduciaria (e, se fosse come l'imputato dice, dissennatamente<br />

fiduciaria) dei <strong>rapporti</strong> in<strong>tra</strong>ttenuti, dopo la morte del capostipite, con Felice Rovelli e Primarosa Battistella,<br />

persone a Previti sostanzialmente sconosciute, che <strong>gli</strong> hanno garantito (ma solo sulla parola, senza alcun<br />

impegno scritto) che avrebbero pagato, ma nello stesso tempo hanno chiesto di procrastinare il pagamento a<br />

quando avrebbero "incassato quanto <strong>gli</strong> era dovuto a seguito della causa". E, non può non aggiungere il<br />

Tribunale, se fosse andata proprio così, il pagamento di parcelle dovute (ossia un credito maturato nel<br />

lontano 1979) non sarebbe stato incerto solo sul "quando", ma anche sull'"an", posto che i Rovelli non<br />

potevano dare per scontato l'esito vittorioso della causa e, dal canto suo, l'avvocato Previti aveva sufficiente<br />

esperienza professionale per co<strong>gli</strong>ere tutta l'aleatorietà della pro-spettiva offerta<strong>gli</strong> da<strong>gli</strong> eredi, e non solo in<br />

ordine ai tempi del processo civile dell'epoca.<br />

Ma all'aleatorietà dell'esito della causa, già lo si è detto a commento della versione Rovelli, si aggiungeva<br />

l'incognita più grande che, nell'ottica di Previti, non poteva non essere rappresentata dalle reali intenzioni di<br />

Felice e di sua madre, di fronte ad un asserito credito privo di alcun riscontro diverso dalle parole dello<br />

stesso Previti. E qui si aggiunge una ulteriore discrasia fra quanto dichiarato nel 1997 e quanto dichiarato<br />

nel corso dell'esame dibattimentale, sul punto - del quale si è già evidenziata la rilevanza - relativo a come<br />

Felice Rovelli fosse venuto a conoscenza del "debito" del padre verso l'avvocato Previti. Si è già detto - ma<br />

conviene ripeterlo - che nell'interrogatorio nel corso delle indagini preliminari, all'imputato erano state<br />

contestate le dichiarazioni di Rovelli, laddove questi sosteneva (e tutte quelle dichiarazioni sono rimaste<br />

ferme) che fu lo stesso Attilio Pacifico a palesar<strong>gli</strong> l'esistenza di altri due avvocati che attendevano di essere<br />

pagati dal defunto, nelle persone di Cesare Previti e Giovanni Acampora. In quella sede, l'imputato aveva<br />

affermato che Felice si era mos<strong>tra</strong>to a conoscenza del debito del padre, ma non <strong>gli</strong> aveva rivelato la fonte<br />

dalla quale aveva appreso la circostanza: tanto che lo stesso Previti - pur dichiarando di non avere mai<br />

parlato dell'argomento con Pacifico - non aveva in allora escluso che Felice potesse essere stato informato da<br />

quest'ultimo, il quale, a sua volta, non poteva che averlo appreso dal petroliere in persona.<br />

Profondamente diversa - e chiaramente ispirata da una più attenta valutazione delle risultanze della<br />

istruzione dibattimentale - è la versione del 29 settembre 2002, laddove Previti si spinge ad affermare con<br />

sicurezza che Felice <strong>gli</strong> aveva spiegato che "il padre <strong>gli</strong> aveva detto di avere questo debito con me, <strong>gli</strong> aveva<br />

anche detto di che natura era", <strong>gli</strong> aveva persino precisato "quali erano i conteggi". E sarà concesso<br />

ripetere, ancora una volta, come l'attribuire a<strong>gli</strong> eredi una piena consapevolezza circa la causa e l'ammontare<br />

del debito sia palesemente funzionale a dare alla versione difensiva una parvenza di logica, totalmente<br />

assente quando si vo<strong>gli</strong>a far credere che furono i tre avvo-cati - nel più totale arbitrio - a determinare<br />

l'ammontare del dovuto.<br />

Anche in questa situazione non è neppure necessario ricorrere al con<strong>tra</strong>sto "esterno" <strong>tra</strong> le versioni dei<br />

presunti corruttori e quelle dei presunti intermediari: le versioni difensive, anche singolarmente prese, si<br />

sgretolano da sé, sulla base della loro assoluta inverosimi<strong>gli</strong>anza, quando non a causa delle loro conclamate<br />

con<strong>tra</strong>ddizioni interne. Si è già avuto modo di notare (e ancor più lo si noterà oltre) come, per tutta la durata<br />

del dibattimento, il Tribunale abbia assistito a numerose rappresentazioni di <strong>rapporti</strong> professionali di affari,<br />

di investimenti, di operazioni immobiliari e finanziarie per importi di rilevanza assoluta, senza che mai<br />

alcuno dei protagonisti fosse in grado di esibire il benché minimo principio di prova, la benché minima<br />

<strong>tra</strong>ccia documentale di tali asserite attività od operazioni: tutto (anche quando si <strong>tra</strong>ttava di miliardi o di<br />

decine di miliardi di lire) era basato sul "rapporto fiduciario" e, in caso di dissensi, inadempienze, con<strong>tra</strong>sti,<br />

niente di ciò di cui <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> hanno parlato sarebbe potuto passare per le vie legali o giudiziarie.<br />

A questa caratteristica non è sfuggito neppure quello che Previti - con terminologia non a caso generica - ha<br />

chiamato "l'incontro professionale" con Nino Rovelli, risalente alla fine de<strong>gli</strong> anni settanta. L'imputato si è<br />

diffuso in spiegazioni sulle vicissitudini giudiziarie penali del petroliere (alludendo addirittura ad aiuti<br />

assicurati<strong>gli</strong> durante la latitanza), su "consi<strong>gli</strong>" che questi <strong>gli</strong> avrebbe chiesto per riparare il proprio<br />

patrimonio da possibili sequestri giudiziari ma, se si è ben compreso, non vi fu mai alcun incarico, ne<br />

preciso, ne ufficiale, da parte di Nino Rovelli. Incarico che, forse, neppure avrebbe potuto esservi, per<br />

sostanziale incompatibilità con il ruolo professionale di Previti al-l'epoca, che agiva su mandato del proprio<br />

cliente Efibanca, ossia uno de<strong>gli</strong> istituti bancari finanziatori dell'imprenditore in cattive acque.<br />

Insomma, con il racconto dell'imputato si chiede in sostanza al Tribunale un atto di fede, e cioè di credere -<br />

in assenza di qualsivo<strong>gli</strong>a riscontro e dopo la ri<strong>tra</strong>ttazione, da parte dell'imputato, delle primitive<br />

dichiarazioni difensive - che i ventuno miliardi ricevuti da Previti nel 1994 trovino spiegazione in <strong>rapporti</strong><br />

generici, non ben determinati (aiuti nella latitanza, consi<strong>gli</strong> per un possibile provvedimento cautelare reale e


nient'altro di concreto) e per di più gestiti dal legale in una situazione più che discutibile dal punto di vista<br />

della deontologia e dell'etica professionale. Nulla dice invece Previti, in ordine alla testimonianza del suo<br />

archivista Iannilli (cfr. capitoli precedenti) secondo il quale erano presenti in studio un paio di faldoni di<br />

documenti intestati alla Sir, ma contenenti anche atti Imi.<br />

Ma c'è di più: posto che le vicende giudiziarie di Rovelli, alle quali l'imputato si è riferito, si chiudono nel<br />

1980, come afferma lo stesso imputato, la "parcella" di che <strong>tra</strong>ttasi doveva necessariamente essere stata<br />

"concordata" a quell'epoca: secondo Previti, Rovelli <strong>gli</strong> riconobbe (lo si ripete, siamo alla fine de<strong>gli</strong> anni<br />

Settanta) la somma di tre miliardi e settecentocinquanta milioni di lire, <strong>tra</strong>sformata nel corrispondente valore<br />

in franchi svizzeri di allora. Ma perché non venne saldata subito? "Rovelli non era in grado di corrispondere<br />

immediatamente quell'importo, ma era assolutamente fiducioso di poterlo fare in seguito..." e così <strong>gli</strong> aveva<br />

promesso il pagamento aumentato di un interesse pari al 10%. Dunque, un credito già maturato nel 1980,<br />

lasciato nelle mani del debitore (che in quel momento stava at<strong>tra</strong>versando ogni genere di vicissitudini,<br />

personali, imprenditoriali, finanziarie) senza alcuna garanzia, solo dietro la promessa (come sempre,<br />

unicamente con una stretta di mano!) della corresponsione di interessi.<br />

Passano <strong>gli</strong> anni, la causa civile si <strong>tra</strong>scina, e Previti non sollecita mai il pagamento ("...non l'ho mai fatto<br />

con nessun cliente...", ma forse non tutti i clienti sono in debito di parcelle di tal fatta) fino a quando Nino<br />

Rovelli muore, e <strong>gli</strong> eventi si sviluppano come già descritto.<br />

Un rapporto di debito- credito che matura nel 1980 per oltre tre miliardi di lire di allora, che viene<br />

"generosamente" lasciato gestire da un debitore pieno di problemi; un rapporto il cui contenuto economico<br />

lievita nel tempo (grazie a<strong>gli</strong> interessi) fino a raggiungere la somma di oltre venti miliardi di lire. Tutto, per<br />

più di un decennio, senza un solo fo<strong>gli</strong>o di carta.<br />

Certamente consapevole della lampante debolezza di tale ricostruzione, interamente basata sulle parole<br />

dell'imputato e per di più frutto della ri<strong>tra</strong>ttazione di precedenti (e profondamente diverse) dichiarazioni, la<br />

difesa, in extremis - e segnatamente all'udienza del 7 ottobre 2002, ossia in fase di richieste di integrazione<br />

probatoria ai sensi dell'ari. 507 c.p.p. - ha chiesto l'esame in qualità di testimone del dott. Adolfo Cucinella,<br />

commercialista, quale "teste di riferimento" rispetto alla versione dibattimentale dell'imputato. In particolare,<br />

secondo la rappresentazione della difesa, costui avrebbe effettuato i conteggi nel 1990 e nel 1994, al fine di<br />

determinare il "quantum" del credito maturato da Previti nei confronti della fami<strong>gli</strong>a Rovelli.<br />

Riprendendo il contenuto del provvedimento reiettivo pronunziato il 19 ottobre 2002, il Tribunale non può<br />

oggi che ribadire, innanzitutto, che la richiesta si poneva al di fuori dell'accennato schema dell'art. 195 c.p.p.<br />

(laddove si fa questione di testimonianza indiretta) ma doveva essere inquadrata nel paradigma normativo<br />

dell'art. 507 c.p.p., modulato sulla "assoluta necessità" della prova ai fini del decidere. E tale necessità<br />

mancava nel caso di specie, anche avuto riguardo a<strong>gli</strong> esiti della istruzione probatoria ormai completata,<br />

poiché la testimonianza aveva per oggetto l'esecuzione di mere operazioni contabili, pienamente compatibili<br />

anche con la tesi accusatoria circa la natura illecita del pagamento da Rovelli a Previti.<br />

Per concludere, la versione di Cesare Previti, in sé e per sé considerata, è inattendibile, illogica e<br />

con<strong>tra</strong>ddittoria, oltre che totalmente priva di agganci probatori esterni. Una versione che, nella sostanza, e<br />

per en<strong>tra</strong>mbe le imputazioni (sia pur con le cennate differenze) si risolve nella pura e semplice asserzione<br />

che i denari ricevuti dai presenti corruttori siano da ricondurre al pagamento di lecite - sia pur fiscalmente<br />

irregolari - parcelle professionali. E si dirà a tempo debito per quali motivi il tribunale non ritiene<br />

riconducibile a parcella per attività professionali neppure il movimento finanziario dal conto “Ferrido” al<br />

conto “Mercier” di cui alla imputazione Lodo Mondatori.<br />

Si sono già esposti <strong>gli</strong> sviluppi e soprattutto i gravi abusi e le altrettanto gravi anomalie delle due cause civili<br />

in questione, le cui parti vincitrici hanno, all'esito, erogato denaro (molto denaro!) a<strong>gli</strong> avvocati Pacifico,<br />

Acampora e Previti, tutti es<strong>tra</strong>nei alla gestione "ufficiale" del contenzioso; si vedrà in seguito come questi tre<br />

legali siano profondamente legati fra loro e a due magis<strong>tra</strong>ti romani: l'uno, Vittorio Metta, consi<strong>gli</strong>ere<br />

relatore delle cause in grado d'appello ed estensore delle sentenze, una delle quali in parte cospicua<br />

letteralmente copiata da appunti custoditi da Giovanni Acampora ed Attilio Pacifico; l'altro, Renato<br />

Squillante, diretto protagonista di manovre di avvicinamento di un giudice allorquando la causa IMI-SIR si<br />

trovava avanti la Corte di Cassazione; si vedrà, ancora, come questi due giudici abbiano ricevuto denari dei<br />

quali non si giustifica la provenienza. Altro che parcelle!<br />

ATTILIO PACIFICO<br />

Nell'interrogatorio in data 14 marzo 1996, contestate<strong>gli</strong> le dichiarazioni di Stefania Ariosto (sulle quali vedi<br />

oltre) l'imputato rendeva le seguenti dichiarazioni:


- conosceva la donna in quanto, come lui, frequentatrice dei casinò;<br />

- non l'aveva mai incon<strong>tra</strong>ta in cene a casa Previti, mentre ne ricordava la presenza al viaggio Niaf del<br />

1988;<br />

- non aveva disponibilità di conti correnti all'estero.<br />

Il giorno 16 marzo 1996, contestate<strong>gli</strong> il contenuto di una conversazione <strong>tra</strong> presenti nella quale il suo<br />

interlocutore era Renato Squillante, nonché le risultanze investigative secondo le quali, nei giorni appena<br />

precedenti la sua cattura, e<strong>gli</strong> si trovava presso istituti bancari in Lugano e Bellinzona, l'imputato dichiarava<br />

di non voler rispondere anche alle domande relative alla disponibilità di conti presso tali istituti.<br />

In data 19 marzo 1996, il Pubblico Ministero contestava <strong>gli</strong> accertamenti relativi all'accredito di 241 milioni<br />

di lire dalla Banca Commerciale Italiana di Lugano su un conto corrente nella disponibilità di Pacifico<br />

presso la Rolo Banca di Roma. Questo il contenuto dell'interrogatorio, che merita di essere integralmente<br />

<strong>tra</strong>scritto:<br />

"Si <strong>tra</strong>tta di una parcella regolarmente fatturata alla signora Primarosa Battistella vedova Rovelli per una<br />

consulenza fiscale relativa al pagamento della tassa di successione sia in Italia che in Svizzera, non<br />

essendovi <strong>tra</strong>ttato di reciprocità sulla materia. Conosco la signora Rovelli da tantissimo tempo, eravamo<br />

amici di fami<strong>gli</strong>a. La signora ha dei fi<strong>gli</strong>, conosco tutta la fami<strong>gli</strong>a”.<br />

Domanda: la successione a che anno si riferisce?<br />

Risposta: non me lo ricordo. Riguardava il marito, era la successione del marito Rovelli, l'ing. Rovelli della<br />

SIR. Non ricordo quando è morto Rovelli.<br />

Domanda: della consulenza aveva una copia in studio o no?<br />

Risposta: ci sono stati de<strong>gli</strong> incontri con la signora, e poi <strong>gli</strong>el'ho mandata. Non so se c'è una copia della<br />

consulenza presso il mio studio.<br />

Domanda: sa se in relazione alla successione ci sono state delle cause giudiziarie?<br />

Risposta: No. Credo invece che ci sia stata una causa in ordine alle imposte da pagare sull'eredità.<br />

Domanda: sa se sul cespite ereditario ci sono state delle controversie?<br />

Risposta: l'eredità consisteva in una somma incassata dopo che era stata pagata da un istituto italiano. E'<br />

una somma dovuta dall'istituto credo in forza di una sentenza. L'istituto non ricordo se si trova a Milano o a<br />

Roma, la causa si è conclusa in cassazione, non ricordo esattamente quando, ma se la parcella è del 1994,<br />

anche la conclusione della causa sarà di quell'epoca lì.<br />

Domanda: dopo il bonifico, ha mantenuto ancora <strong>rapporti</strong>, anche professionali, con la signora e la fami<strong>gli</strong>a?<br />

Risposta: non ho mantenuto <strong>rapporti</strong> professionali, ma <strong>rapporti</strong> di amicizia con tutta la fami<strong>gli</strong>a: conosco<br />

Felice Rovelli.<br />

Domanda: in<strong>tra</strong>ttiene con Felice Rovelli <strong>rapporti</strong> professionali?<br />

Risposta: mi avvalgo della facoltà di non rispondere in quanto le domande propostemi non hanno nulla a<br />

che fare con il capo di imputazione che mi è contestato.<br />

Nuovamente interrogato dal giudice per le indagini preliminari il 21 maggio 1996, l'imputato si avvaleva<br />

della facoltà di non rispondere.<br />

Il 16 lu<strong>gli</strong>o 1996, acquisiti elementi in ordine alle disponibilità finanziarie di Pacifico depositate su conti<br />

correnti accesi presso istituti di credito della Confederazione elvetica, il P.M. sottoponeva ad interrogatorio<br />

Pacifico, e la versione relativa ai <strong>rapporti</strong> con la fami<strong>gli</strong>a Rovelli veniva sensibilmente modificata:


P.M.: ... sulla base di quello che è scritto nell'ordinanza, che cosa ha da dire? Lei perché ha intascato quei<br />

miliardi?<br />

I.: la signora credo che lo abbia dichiarato. Perché c'era un debito pregresso del marito nei miei confronti e<br />

quando è morto, prima di morire <strong>gli</strong> ha detto:" se io muoio, devi dare questi soldi a Pacifico".<br />

P.M.: Spieghi quale era il rapporto professionale con Rovelli, per cui lei ha intascato in più <strong>tra</strong>nches...<br />

I.: ma non era un rapporto...era un rapporto dovuto ad anni di collaborazione e...<br />

P.M.: di che tipo?<br />

I.: Di tutti i tipi. Di coinvolgimenti in operazioni che lui ha fatto, in soldi che avevo già guadagnato perché<br />

io avevo dato dei pareri o e delle consulenze, in una serie di cose...<br />

P.M.: Lei ha percepito questi soldi perché aveva svolto un'attività professionale per la causa Imi Rovelli?<br />

I.: No. Assolutamente.<br />

P.M.: perché trenta miliardi non sono pochi.<br />

I:.. .Io ho lavorato circa vent'anni con Rovelli, in una maniera settimanale o anche bisettimanale. Non credo<br />

di dover dare nessuna spiegazione per quanto riguarda la mia collaborazione professionale e i<br />

coinvolgimenti e i guadagni che ho fatto.<br />

P.M.: e in che anno inizia la collaborazione con Rovelli?<br />

I.:.. .Io l'ho conosciuto nel' 75, '76.. .poi ho cominciato con lui dopo un paio d'anni.. .l'-ho fatto dal'79, '80...<br />

Divento il suo consulente in certi tipi di operazioni societarie, bancarie, di valuta e di cose che lui fa<br />

all'estero... Ci siamo trovati pure certe volte in certe situazioni di... particolare... vantaggio. Per esempio,<br />

faccio un esempio. Quando c'è stato...quello sbalzo dei costi dell'oro che è andato da 400 dollari a 800<br />

dollari all'oncia. Quella, per esempio, è stata una cosa in cui lui mi ha coinvolto e ci sono stati dei guadagni<br />

importantissimi. Questa già è una cosa di tantissimi anni prima. Io ho impegnato, praticamente, tutta la mia<br />

attività professionale e la mia vita in questa Cosa.…<br />

P.M.: ma, i conti? Scusi. Lei come ha fatto i conti? Ha dovuto giustificare alla vedova.<br />

I.: Sì signora. Ma se questa me li ha dati, evidentemente lui <strong>gli</strong> ha detto la cifra.<br />

P.M.: io le chiedo se lei è in grado di dimos<strong>tra</strong>re...<br />

I.: No. Assolutamente.<br />

P.M.: ...e documentare l'attività..<br />

I.: No...non posso.<br />

P.M.: Quindi lei, nel corso di questi anni...dal'78/'79 al '90 non ha mai ricevuto nessun compenso da parte<br />

dell'ingegnere Rovelli?<br />

I.: Sì. Ogni tanto qualche cosa sì. Per esempio, che ne so, voleva comprare una cosa che mi interessava e lui<br />

mi dava un acconto su quelle che erano le mie competenze.


P.M.: Siccome l'ingegnere Rovelli muore nel 1990 e in quel momento la causa era in Corte d'appello, però<br />

non era finita: lei come mai ha accettato di aspettare ancora e non ha preteso in quel momento i compensi<br />

che da tanti anni Lei vantava nei confronti dell'ingegnere Rovelli?<br />

I.: Ma io non è che li vantavo da tanti anni. Io li avevo maturati in tanti anni e li potevo avere quando<br />

volevo... nel momento in cui io mi rivolgevo al Rovelli, sapevo che i soldi li potevo avere. Anche se non<br />

immediatamente, in varie soluzioni...<br />

P.M.: Sì, ma nel momento in cui è morto l'ingegnere Rovelli, è venuto meno il suo interlocutore, no?<br />

I.: ...visto che la signora e il fi<strong>gli</strong>o riconoscevano il debito e che fare nei miei confronti e io sapevo quali<br />

erano le loro possibilità...non è che ci rimettevo niente...il fatto che sia stato pagato dopo, sì, è vero che sono<br />

stato pagato dopo. Però, vo<strong>gli</strong>o dire, se io avessi insistito avrei potuto prendere i soldi anche prima.<br />

P.M.: Dalle dichiarazioni della signora Rovelli emerge che il marito, prima di operarsi, le disse, appunto, che<br />

l'avvocato Pacifico si sarebbe, qualora fosse successo qualcosa, si sarebbe rivolto a lei e se chiedeva<br />

qualsiasi cifra, la signora doveva estinguere questo debito. Quando lei si è presentato dalla fami<strong>gli</strong>a Rovelli,<br />

dopo la morte dell'ingegnere, disse che bisognava anche saldare dei debiti nei confronti dell'avvocato Cesare<br />

Previti e dell'avvocato Acampora.<br />

I.: Non l'ho mai detto questo. Io non sapevo che Acampora e Previti avessero dei crediti nei confronti di<br />

Rovelli. Nel modo più assoluto. Conosco benissimo sia Acampora che Previti, ma ignoravo che avessero<br />

questi crediti nei confronti di Rovelli.<br />

Prima di passare alla esposizione delle dichiarazioni dibattimentali, mette conto anticipare una notazione,<br />

peraltro evidente dalla lettura in ordine cronologico delle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso delle<br />

indagini: l'adattamento della versione difensiva alle emergenze investigative che via via il Pubblico<br />

Ministero andava acquisendo e contestando. In particolare. Pacifico è passato da una primitiva, assoluta e<br />

totale negazione, financo circa la propria disponibilità di conti correnti in terra elvetica, ad un generale<br />

rifiuto alle domande su quel tema allorquando erano emersi elementi che ne dimos<strong>tra</strong>vano l'esistenza. Allo<br />

stesso modo, emerso il primo rapporto economico con Primarosa Battistella, ossia il bonifico in Italia della<br />

irrisoria somma di 241 milioni di lire (irrisoria, s'intende, rispetto ai bonifici estero su estero che<br />

emergeranno in seguito). Pacifico descrive in modo frettoloso, distaccato e superficiale i propri <strong>rapporti</strong> con<br />

la fami<strong>gli</strong>a, alludendo ad una ottima conoscenza della vedova Rovelli, non ricordando (rectius, fingendo di<br />

non ricordare) la data della morte del capofami<strong>gli</strong>a, né - circostanza che, alla luce delle evidenze probatorie<br />

già acquisite in motivazione e che ancora si andranno ad esaminare, fa quasi sorridere - la denominazione<br />

"dell'istituto" (così lo indica l'imputato, che non "sapeva" se l'ente avesse sede in Roma o in Milano) che si<br />

con<strong>tra</strong>pponeva a Rovelli nella vertenza giudiziaria; né, infine, l'epoca in cui la causa era finita (che<br />

coincideva con il periodo nel quale e<strong>gli</strong> Pacifico, aggiunge il Tribunale, aveva ricevuto 30 miliardi di lire<br />

dalla fami<strong>gli</strong>a Rovelli).<br />

Solo dopo le dichiarazioni de<strong>gli</strong> eredi di Nino, l'imputato palesava l'esistenza di <strong>rapporti</strong> con il defunto<br />

ingegnere, tali da aver<strong>gli</strong> fruttato quella astronomica somma, dandone la "spiegazione" della quale s'è ora<br />

detto.<br />

Nel corso del lungo esame dibattimentale (cfr. udienza 20 settembre 2002) l'imputato ha parlato della<br />

conoscenza con Angelo Rovelli, alla fine de<strong>gli</strong> anni Settanta, e del fatto che il petroliere aveva apprezzato le<br />

sue altolocate e prestigiose conoscenze ".. .lui vede quali sono i miei <strong>rapporti</strong> con Carini e quindi<br />

cominciamo questo nostro rapporto di conoscenza e poi diventa di amicizia, perché io faccio de<strong>gli</strong> interventi<br />

per lui sia con Carini che con Rave<strong>gli</strong>a e Santospirito e ci sono anche delle delibere che <strong>gli</strong> consentono non<br />

solo di sanare certe posizioni debitorie con <strong>gli</strong> altri istituti, perché in quel mo-mento certe società di Rovelli<br />

erano in difficoltà, ma di ottenere anche denaro fresco, che era la cosa più importante... e per questi<br />

lavori... che lui mi incarica di fare, queste presentazioni... ad un certo punto, ottenendo certi risultati mi da<br />

circa 3 milioni di franchi...cioè io ricevo tre milioni di franchi svizzeri che nel'78, '79 saranno un miliardo e<br />

mezzo…".<br />

"A questo gruppo di denari... aggiungo 150 milioni di lire che ricevo, nel'70, dal dott. Alfonso Carulli, che è<br />

fratello di mia mamma, ed era il fratello maggiore al quale il padre notaio, Oreste Carulli, mio nonno,


prima di morire consegna 150 milioni di lire in titoli perché li desse a me, primo nipote di tutti <strong>gli</strong> altri, nel<br />

momento in cui io formavo una fami<strong>gli</strong>a... io con questi 150 milioni... compro circa un milione di franchi...<br />

questi milioni che mi dà Rovelli, insieme questo milione di franchi e insieme a qualche al<strong>tra</strong> cosa che ha<br />

fruttato questo piccolo capitale, mi permette, da solo e con altre operazioni con Rovelli, di fare un acquisto<br />

nel'79 che si verifica poi determinante per tutto quello che è il mio futuro, la mia vita futura e poi purtroppo<br />

questo episodio... io acquisto una quantità di oro 220 dollari all'oncia, e questo oro dal' 79, dal giugnolu<strong>gli</strong>o<br />

all'ottobre, va da 200 a 800 dollari l'oncia, il che significa che con i 4 milioni di franchi che io più o<br />

meno ho investito, diventano 16 milioni di franchi... a questo punto, siccome il rapporto con Rovelli è<br />

diventato sempre più forte, io e lui cerchiamo di fare altre operazioni, sempre dello stesso tipo".<br />

"ora, se nel' 79 io ci ho 16 milioni di franchi, se non faccio assolutamente niente da questo momento sino al'<br />

90 evidentemente questi danno il 7% circa medio, faccio un discorso molto restrittivo, annuo, perché io<br />

sono in conoscenza, collaborazione, società e certe cose con Nino Rovelli, i 16 milioni diventano 30 milioni<br />

di franchi facilmente... forse pure di più".<br />

Ne<strong>gli</strong> anni dal 1979 al 1990 (anno della morte di Angelo Rovelli) i denari di Pacifico restano in mano a<br />

Rovelli ".. .li faccio gestire da Rovelli.. .siccome lui ci ha queste possibilità, movimenti e anche, devo dire,<br />

tutti i due abbiamo delle segnalazioni, non so, di società che sono in situazioni negative e quindi possono<br />

essere rilevate e poi rivendere partecipazioni... praticamente lui mi gestisce questi fondi...".<br />

Forse consapevole della genericità assoluta di questa parte del racconto, che dovrebbe coprire un periodo di<br />

dieci anni di "gestione" di un enorme patrimonio da parte di Rovelli (imprenditore <strong>tra</strong> l'altro in pessime<br />

acque), lo stesso difensore di Pacifico, più avanti (cfr. pag. 79) <strong>gli</strong> pone una domanda specifica, ma<br />

l'imputato non riesce ad essere più preciso nel racconto: riproduciamo integralmente lo scambio di battute.<br />

Avv. Patanè: "...Rovelli, Pacifico, che operazioni avete fatto insieme? A partire da<strong>gli</strong> anni'80"<br />

Pacifico: "Abbiamo fatto qualche operazione, però saranno quattro o cinque, ma è difficile oggi poter<br />

identificare quali sono le operazioni, perché è passato tantissimo tempo, perché sono operazioni societarie<br />

ormai <strong>tra</strong> l'altro non esistono più e perciò le <strong>tra</strong>cce sono diffìcilmente riscon<strong>tra</strong>bili".<br />

Avuta questa risposta, il difensore fa in tutta fretta marcia indietro e passa ad altro:<br />

"Ho capito. Quindi non parliamo della finanza allora a questo punto".<br />

No, non ne parliamo, lasciando del tutto in ombra quanto accaduto nei dieci anni in cui Pacifico ha<br />

accumulato il capitale della sua vita, ossia quando i suoi denari erano - senza documenti, senza garanzie,<br />

senza scritture private, senza la benché minima <strong>tra</strong>ccia di un conteggio - nelle mani di Nino Rovelli.<br />

Tornando alle dichiarazioni iniziali, il Pubblico Ministero chiedeva che l'imputato spiegasse il mutamento<br />

nella versione difensiva:<br />

"Senta, lei perché nel corso dell'interrogatorio 16 lu<strong>gli</strong>o 1996 a proposito della provvista Rovelli dice che si<br />

<strong>tra</strong>tta di proventi per <strong>rapporti</strong> professionali durati più di vent'anni con Rovelli ed oggi cambia versione?".<br />

E l'imputato, dando per scontata la difformità rilevata dal P.M., risponde facendo riferimento alle proprie<br />

condizioni psicologiche dell'epoca dell'interrogatorio, reso in carcere, dopo un lungo periodo di custodia<br />

cautelare ("…io ho chiesto anche una perizia... perché davo i numeri... io sono l'unico di tutto il gruppo che<br />

si è fatto nove mesi di carcere…"); però, nel prosieguo pomeridiano dell'esame, corregge il tiro, contestando<br />

in sostanza la stessa esistenza della difformità, e riferendosi ad un concetto assai ampio di "attività<br />

professionale":<br />

"... volevo dire che quando io stamattina mi è stato chiesto dell'attività professionale, in effetti anche questa<br />

è una ... .professionale (cfr. p.104)”.


Domanda del PM: "Lei è in grado di documentare questi investimenti che sono stati fatti da Nino Rovelli<br />

ne<strong>gli</strong> anni'70?<br />

Pacifico: "No".<br />

P.M.: "Come mai?"<br />

Pacifico:"Beh, perché io... avevo una fiducia massima nella sua persona, lui mi ha fatto solo una<br />

dichiarazione che aveva avuto i 30 milioni di franchi e poi li ha gestiti. A me mi bastava questo, perché<br />

questi erano i nostri <strong>rapporti</strong>".<br />

P.M.:"Non c'era nulla di scritto?".<br />

Pacifico: "Sì, ho detto, mi ha fatto una dichiarazione. Lui mi ha fatto una dichiarazione".<br />

P.M.: "dov'è questa dichiarazione?".<br />

Pacifico: "Beh, è stata s<strong>tra</strong>ppata quando sono stato pagato. Non serviva più".<br />

P.M.:"Lei l'ha s<strong>tra</strong>ppata nel' 94...capisco bene questo?"<br />

Pacifico: "Dopo che ho fatto l'accordo con il fi<strong>gli</strong>o e con la signora. Dopo.. .diciamo febbraio '91".<br />

P.M.: "Quindi questo documento è stato portato a conoscenza di Felice Rovelli e Battistella Primarosa?"<br />

Pacifico: "No, perché non ce n'era bisogno, in quanto loro avevano avuto l'incarico ufficiale dal padre o dal<br />

marito a secondo della persona di cui parliamo, che dovevano darmi i soldi che mi spettavano, perché io<br />

sarei andato lì a dire quale era la cifra".<br />

P.M.: "e come mai non ha ritenuto di far vedere questo documento a Felice Rovelli e alla signora Battistella<br />

Primarosa, atteso che vantava un credito... di ben 30 miliardi di lire...”.<br />

Pacifico: "No, erano 30 milioni di franchi".<br />

P.M.:"Pari a 28 miliardi di lire".<br />

Pacifico:" E va beh, se vo<strong>gli</strong>amo fare questa precisazione... Eh, oggi non so quanti sono... io non ho ritenuto<br />

di farlo perché loro mi hanno confermato che avrebbero pagato quello che il padre aveva detto, o il<br />

marito".<br />

P.M.: "E quindi poi questo documento che lei aveva in mano l'ha s<strong>tra</strong>cciato dopo che sono arrivati i<br />

bonifici...".<br />

Pacifico: "No, dopo che il fi<strong>gli</strong>o e la mo<strong>gli</strong>e di Rovelli mi hanno confermato che avreb-bero pagato".<br />

Prima di morire, Nino Rovelli telefona al creditore per <strong>tra</strong>nquillizzarlo: "...lui il 28 dicembre del 1990 mi<br />

chiama all'Hotel della Posta dove io risiedo... e mi dice: "Se c'è bisogno di qualcosa perché mi capita che io<br />

vada all'al-tro mondo, puoi rivolgerti senz'altro a mia mo<strong>gli</strong>e e mio fi<strong>gli</strong>o, perché sono quelli che ti daranno<br />

tutto quello che è tuo... il giorno in cui ricevo la telefonata... nella mia stanza c'era l'avvocato Antonio<br />

Picone di Roma... ed ha sentito non la telefonata, però i commenti che io ho fatto a seguito di questa cosa,<br />

dicendo: "Che persona, hai visto questo mi chiama perché addirittura siccome pensa che può morire...".<br />

Morto Nino, Pacifico si fa vivo con <strong>gli</strong> eredi per porgere le condo<strong>gli</strong>anze "e poi io <strong>gli</strong> dissi che c'era ‘sto<br />

problema che mi aveva accennato al telefono il marito da Zurigo e la signora mi confermò che loro si<br />

impegnavano a fare fronte... quando ho detto la cifra... io avevo la sensazione che la signora già sapesse


qual era... lei non sapeva quale era il motivo per cui pagava, perché la signora, del marito, delle attività che<br />

faceva, professionali, del lavoro del marito non sapeva niente".<br />

Con loro, che pure Pacifico ha dichiarato di non conoscere, se non per averli visti in qualche occasione,<br />

avviò immediatamente un rapporto di fiducia:<br />

"...erano delle persone delle quali io non potevo non avere fiducia, visto che avevano accettato l'ordine,<br />

chiamiamolo così, che <strong>gli</strong> aveva dato il padre e il marito. A questo punto, conoscendo le loro capacita<br />

economiche e anche la loro struttura della fami<strong>gli</strong>a io non avevo nessun motivo di continuare a tenere 'sta<br />

carta, insomma".<br />

Presidente: "Però le chiesero di aspettare anni".<br />

Pacifico:"No, loro mi chiesero di aspettare un po'. Non mi hanno detto di aspettare anni per la verità. E io<br />

ho aderito perché ho pensato che tanto le capacità lì e erano e comunque avevamo concordato che se mi<br />

serviva qualcosa per qualche esigenza loro avrebbero fatto fronte...".<br />

Infine, negava di avere preannunziato ai Rovelli la presentazione de<strong>gli</strong> altri due creditori, Previti ed<br />

Acampora, en<strong>tra</strong>mbi suoi buoni amici, ma dei quali non conosceva i pregressi <strong>rapporti</strong> con Rovelli senior.<br />

Ancora, sui <strong>rapporti</strong> con Felice Rovelli nel periodo in cui il procedimento pendeva avanti la Corte di<br />

cassazione: "Felice Rovelli dopo che aveva accertato che il padre aveva in me una fiducia così grande da<br />

rilasciare addirittura l'impegno per il fi<strong>gli</strong>o e la mo<strong>gli</strong>e di pagarmi questa cifra.. . e ha saputo che c'era<br />

questo contatto e questo rapporto così stretto, essendo un ansioso e avendo trovato una persona che aveva<br />

un tipo di espressioni di carattere moto cordiale, come credi di essere stato almeno in passato io, si<br />

rivolgeva a me per questi tipi di informazioni... qui il Collegio probabilmente poteva essere composto da un<br />

Presidente e da alcuni magis<strong>tra</strong>ti che potevano, che ne so, interpretare certe cose di quella causa, di quel<br />

giudizio, e per cui voleva sapere quelle cose"; spiegando il motivo per cui Fehce chiedesse queste<br />

informazioni proprio a lui, e non ai difensori ufficiali nella causa: "... io ho un rapporto umano, di cordialità,<br />

con Felice Rovelli che non aveva né il professor Are, né Giorgianni, che era sempre s<strong>tra</strong>impegnato e che lui<br />

non può chiamare... ecco il motivo, io credo".<br />

A proposito dei <strong>rapporti</strong> con Giovanni Acampora, così si esprimeva Pacifico: "Lui mi ha difeso in alcune<br />

vicende erariali, davanti alle commissioni varie. E io invece l'ho difeso perche lui vantava dei crediti nei<br />

confronti di certi suoi clienti, soprattutto società, che non avevano adempiuto ai pagamenti, siccome<br />

qualcuna era fallita, qualcuna era andata in concordato preventivo... io mi occupavo di queste cose e lui si<br />

è servito di me. Quindi, c'è stato questo scambio… poi anche la conoscenza di fami<strong>gli</strong>e, perché ci siamo<br />

frequentati, abbiamo fatto qualche volta, che ne so, un week-end di vacanze insieme".<br />

A proposito dei <strong>rapporti</strong> con Previti: "... <strong>tra</strong> i miei <strong>rapporti</strong> con Previti ce n'è uno che è quello di far<strong>gli</strong><br />

rien<strong>tra</strong>re capitali in Italia quando <strong>gli</strong> occorrono, per sue esigenze di spese, ogni volta che c'è un passaggio<br />

da Previti, o da Acampora, o da un terzo cliente molto meno importante dal punto di vista delle operazioni,<br />

c'è sempre questa chiarezza di passaggio, cioè un conto di Previti che è quasi sempre Mercier; che va a un<br />

mio conto che io <strong>gli</strong> indico… averto il banchiere, il quale a sua volta manda su mia richiesta quasi sempre<br />

al famoso signor Bossert, che è quello che ha i conti da cui prende questi soldi e li porta m contanti a Roma,<br />

dove io li consegno all'interessato...".<br />

Il difensore di Pacifico <strong>gli</strong> poneva tuttavia un'al<strong>tra</strong> domanda, inerente altri e diversi <strong>rapporti</strong> di tipo<br />

finanziario, in<strong>tra</strong>ttenuti con il coimputato Previti:<br />

"Ha fatto anche delle operazioni di investimento comune con l'onorevole Previti? Cioè è capitato che ci<br />

fossero delle operazioni bancarie, azionarie, finanziarie?”.<br />

Pacifico: "Sì"<br />

Avv. Quattrocchi: "All'estero soprattutto?”.


Pacifico: "No".<br />

Avv. Quattrocchi: "Non se ne ricorda di operazioni...?”.<br />

Pacifico: "No, non mi ricordo".<br />

La difesa insiste: "Non si ricorda di prelevamenti fatti sui conti di provviste che arrivavano da...".<br />

Pacifico: "... lui mi dava delle istruzioni che poi io seguivo. Per esempio, lui, non so, voleva coprire una<br />

partecipazione azionaria, un titolo di debito di...di ordinazione di un acquisto.. .dava le istruzioni. Ma non è<br />

che io facevo l'operazione con lui, nel senso che ero socio nell'affare con lui".<br />

Come si vedrà me<strong>gli</strong>o in altro capitolo (cfr. movimenti finanziari c.d. Lodo Mondadori), con questa secca<br />

negazione, è lo stesso Pacifico a smentire le - pur generiche - dichiarazioni difensive di Previti, intese a<br />

negare, per quel che riguarda i bonifici da “Mercier” (di Previti) a “Pavoncella” (di Pacifico) del 14 e 17<br />

ottobre 1991 per un totale di 425 milioni di lire, il rientro in Italia della somma, nell'ipotesi d'accusa<br />

destinata alla illecita retribuzione del giudice Vittorio Metta.<br />

Sempre volendo restare sullo specifico piano della valutazione intrinseca delle dichiarazioni de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>,<br />

anche la versione difensiva di Attilio Pacifico non si sot<strong>tra</strong>e alle censure di con<strong>tra</strong>ddittorietà e di<br />

inverosimi<strong>gli</strong>anza già formulate verso Cesare Previti. Intanto, si è già sottolineato il progressivo adattamento<br />

delle sue risposte (o delle sue non risposte) alle acquisizioni investigative della Procura della Repubblica nel<br />

corso delle indagini preliminari, culminate nel verbale stilato prima de<strong>gli</strong> interrogatori di Felice Rovelli e<br />

della madre, laddove Pacifico fìnge addirittura di avere dimenticato quale fosse l'istituto bancario contro il<br />

quale Rovelli aveva agito per via giudiziaria, e di non ricordare l'epoca nella quale la causa era terminata. Ed<br />

ancora, la versione finale circa i motivi dello spostamento patrimoniale incriminato è singolarmente simile a<br />

quella del coimputato Previti: en<strong>tra</strong>mbi si riferiscono a risalenti, generici e non documentati <strong>rapporti</strong> lato<br />

sensu "professionali" con il defunto (anche se Pacifico, per la verità, in dibattimento ha posto l'accento su<br />

non me<strong>gli</strong>o identificate "operazioni societarie e finanziarie", piuttosto che su attività legale); a ingentissimi<br />

crediti maturati dieci anni prima della morte di Nino Rovelli, e mai fatti valere, ed anzi lasciati gestire a<br />

costui come una sorta di "finanziamento"; en<strong>tra</strong>mbi, senza essere in grado di documentare alcunché<br />

(Pacifico aveva un documento di Nino Rovelli, ma sostiene di non averlo mai esibito a<strong>gli</strong> eredi e di averlo<br />

s<strong>tra</strong>cciato nel 1991, quando questi si erano "impegnati" a pagare, sia pur all'esito della causa contro l'IMI) si<br />

presentano dopo la morte dell'imprenditore e vengono creduti sulla parola. Tutto, come sempre, senza una<br />

carta.<br />

Ma altre carte, come s'è visto nella ricostruzione dell'iter giudiziario della causa IMI SIR, seques<strong>tra</strong>te presso<br />

lo studio legale di Attilio Pacifico dimos<strong>tra</strong>no in modo inconfutabile quale fosse la reale causa dell'enorme<br />

credito vantato dal legale e saldato parte nel 1991 e parte nel 1994: la compravendita della sentenza Imi-Sir<br />

estesa (rectius: firmata) da Vittorio Metta e la sua irrevocabilità.<br />

GIOVANNI ACAMPORA<br />

Acampora è imputato in en<strong>tra</strong>mbe le vicende oggetto del giudizio del Tribunale, ma nei suoi confronti è<br />

stata disposta separazione, quanto alla vicenda IMI SIR, stante la sua richiesta che si procedesse nelle forme<br />

del rito abbreviato. Altro Collegio giudicante ha poi pronunziato sentenza ed il giudizio pende ora in grado<br />

d'appello. Come per tutti <strong>gli</strong> altri <strong>imputati</strong> che avevano rifiutato di sottoporsi all'esame, anche per Acampora<br />

il Tribunale ha acquisito all'udienza del 29 lu<strong>gli</strong>o 2002, i verbali delle dichiarazioni rese nella fase delle<br />

indagini preliminari, allorquando i procedimenti de quibus erano uniti.<br />

Nel corso dell'interrogatorio in data 10 ottobre 1996, Acampora (che si trovava in istato di custodia<br />

cautelare) così spiegava i suoi contatti con Nino Rovelli: "Ho conosciuto Nino Rovelli nell'agosto-settembre<br />

1989... Il mio rapporto con Rovelli era di natura ex<strong>tra</strong>giudiziale, per problemi di natura fiscale, l'ing.<br />

Rovelli voleva delle consulenze, quindi non mi associò alla difesa... Mi sono letto una montagna di carte per<br />

farmi una opinione, in particolare relativamente alle con<strong>tra</strong>pposte tesi difensive. Faccio presente che nella<br />

documentazione esistente presso il mio studio... vi è una bozza dell'atto di citazione in riassunzione che è<br />

particolarmente significativa perché innanzitutto sta ad indicare che l'estensore della bozza aveva messo a<br />

conoscenza l'ing. Rovelli del suo scritto e che questo scritto era stato portato a mia conoscenza. Dimostrerò


poi documentalmente che ho redatto un appunto dattiloscritto chiosando la bozza e che il contenuto di<br />

quest'appunto è stato ripreso nella stesura dell'atto definitivo depositato in causa. Ciò vale a dimos<strong>tra</strong>re, a<br />

mio avviso, incontestabilmente che io ho comunque seguito le vicende processuali, pur senza essere<br />

difensore in giudizio. Il materiale certamente mi fu fatto recapitare dall'ing. Rovelli".<br />

Il verbale così prosegue: "Si da atto che a questo punto viene depositata la bozza dell'atto di citazione e<br />

riassunzione di cui si è parlato sopra e la copia dell'atto di citazione depositato in causa, facendosi rilevare<br />

che pag. 20 ultime righe e seg. dell'atto definitivo si evidenzia l'aggiunta alla bozza. Viene anche depositata<br />

una fotocopia pervenuta via fax dell'appunto sulla bozza di cui si è parlato sopra, che Acampora dichiara di<br />

avere personalmente a suo tempo redatto.<br />

L'imputato aggiungeva: "I miei <strong>rapporti</strong> con Felice Rovelli sono stati assolutamente banali. L'ho conosciuto<br />

dopo la morte di suo padre; circa cinque o sei mesi dopo abbiamo parlato delle mie aspettative aleatorie,<br />

credo di averlo rivisto dopo qualche mese, lo vidi il giorno prima o dopo della sentenza della Cassazione<br />

dove mi informò della mancanza della procura. Definimmo la situazione economica nel 1994... Felice<br />

Rovelli nel 1991 era a conoscenza che mi doveva delle somme. Io dissi a Felice Rovelli che avevo svolto una<br />

consulenza legale per suo padre per la causa Imi-Rovelli e che a seguito di questa attività era stabilito,<br />

come lo chiamo io, un compenso aleatorio. Il mio compenso era determinato sul quantum incassato dalla<br />

fami<strong>gli</strong>a, anche in sede <strong>tra</strong>nsattiva".<br />

Per chiudere sulla vicenda Rovelli - nella quale, lo si ripete, Acampora non è più in questa sede imputato -<br />

basterà qui richiamare, in tutta la sua eccezionale rilevanza, il raffronto <strong>tra</strong> il contenuto del documento<br />

prodotto dall'imputato ed il testo della sentenza sottoscritta dall'estensore Vittorio Metta (raffronto operato<br />

nel capitolo relativo alla ricostruzione dell'iter della causa) dal quale si desume, senza ombra di dubbio, che<br />

alcuni passi della motivazione della sentenza sottoscritta dal giudice Metta sono letteralmente "copiati"<br />

dall'appunto prodotto da Giovanni Acampora, e che identico appunto (stampato su carta da fax dell'epoca) è<br />

stato rivenuto e seques<strong>tra</strong>to presso lo studio di Attilio Pacifico, ove venivano rinvenute e seques<strong>tra</strong>te altre<br />

"bozze" il cui contenuto è stato, in parte riprodotto nella citata sentenza.<br />

Esaminato in dibattimento all'udienza del 5 ottobre 2002, l'imputato non ha inteso rispondere ad alcuna<br />

domanda sull'accusa per la quale si procede separatamente, ed ha invece reso dichiarazioni generali sui<br />

propri <strong>rapporti</strong> con <strong>gli</strong> altri <strong>imputati</strong>, nonché, in particolare, sui <strong>tra</strong>sferimenti finanziari che l'accusa<br />

riconduce alla tangente per la vicenda Lodo Mondatori.<br />

Sui <strong>rapporti</strong> con il gruppo Fininvest: "I <strong>rapporti</strong> nascono in tarda primavera, inizio estate del 1991... fui<br />

consultato per questioni che inerivano TELE +... ebbe una certa evoluzione il rapporto con le vicende<br />

Telecinco in Spagna dove provvidi alla elaborazione, alla costruzione, alla redazione dei con<strong>tra</strong>tti di<br />

compravendita di pacchetti azionari... Il discorso si è anche poi manifestato successivamente at<strong>tra</strong>verso il<br />

fatto che ... il mio studio sia stato officiato in sede penale per quanto riguardava quello che dicevo prima,<br />

falsi in bilancio"; tutte le parcelle "sono sempre state emesse regolarmente, sono tutte a<strong>gli</strong> atti...".<br />

Su domanda della difesa: "Ovviamente conosco l'avvocato Pacifico, i <strong>rapporti</strong> sono ul<strong>tra</strong>ventennali, ci<br />

conoscemmo per questioni di tipo professionale, si sono i <strong>rapporti</strong> implementati anche con una<br />

frequentazione ex<strong>tra</strong>professionale; chiedevo, quando mi fu palesata la possibilità dell'avvocato Pacifico di<br />

far rien<strong>tra</strong>re dei fondi in Italia, <strong>gli</strong> chiedevo di farmi queste cortesie, peraltro erano remunerate; l'avvocato<br />

Pacifico mi ha anche seguito alcune pratiche di recupero crediti e quant'altro per il mio studio... ci siamo<br />

visti spesso, qualche volta cenavamo insieme, avevamo anche una amicizia familiare con la mo<strong>gli</strong>e, mia<br />

mo<strong>gli</strong>e e così via, quindi diciamo che sono state delle frequentazioni <strong>tra</strong> due colleghi molto lunghe nel<br />

tempo che si sono reiterate sino ai giorni nostri, sostanzialmente".<br />

Scendendo nel detta<strong>gli</strong>o della movimentazione finanziaria considerata dall'accusa quale "provvista" per la<br />

corruzione giudiziaria Mondadori: "...i motivi per cui l'avvocato Previti mi invia questi fondi è inquadrabile<br />

in un rapporto che io avevo avviato da tempo di un investimento nella nautica da diporto... coinvolsi<br />

l'avvocato Previti, nel senso <strong>gli</strong> dissi se era interessato a partecipare all'operazione. L'avvocato Previti, col<br />

quale avevamo appunto dei <strong>rapporti</strong> di fiducia e di amicizia, mi affidò dei propri fondi affinchè fossero<br />

investiti in quella iniziativa... io ho detto che l'avvocato Previti ha mandato dei soldi a me.. .sono stati


investiti da me questi soldi, quindi il rapporto Mochi Craft è un rapporto mio, con sottostante ausilio<br />

partecipativo dell'avvocato Previti".<br />

Riservando alla parte relativa ai movimenti finanziari della imputazione Lodo Mondadori l'esposizione dei<br />

motivi per i quali il Tribunale non crede a questa ricostruzione, basterà osservare come, per l'ennesima volta,<br />

<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> raccontino movimenti finanziari miliardari (il "finanziamento" di Previti in questa occasione<br />

ammontava ad 1.500.000.000 di lire) senza un solo documento d'appoggio.<br />

Infine, Acampora si è diffuso in spiegazioni in ordine al successivo movimento finanziario, quello per 425<br />

milioni di lire dal proprio conto “Careliza” al conto “Mercier” di Previti: questa volta si sarebbe <strong>tra</strong>ttato della<br />

divisione esatta per due della somma di 850 milioni di lire bonificata<strong>gli</strong> da Gianni Bulgari nell'ambito di una<br />

parcella per l'assistenza in un arbi<strong>tra</strong>to. Anche questo, come il precedente movimento, sarà oggetto di<br />

analitica <strong>tra</strong>ttazione a tempo debito.<br />

Qui si intende unicamente anticipare come, in questo caso, le difese si siano sforzate, di "adattare" alla<br />

bisogna alcuni dati di realtà, quali l'esistenza del rapporto professionale con Gianni Bulgari e l'assistenza<br />

legale a lui prestata insieme al coimputato Previti: peccato, però, che il cliente (interrogato in dibattimento<br />

all'udienza del 11 giugno 2002) ricordasse di avere pagato, come onorario, una cifra diversa da quella<br />

indicata da<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>; che i legali coinvolti nell'arbi<strong>tra</strong>to fossero tre e non due (vi era anche il Professor<br />

Guarino) e ciò non permette di far quadrare i conti; e che, infine, il fax prodotto in fotocopia - a parte alcune<br />

osservazioni in ordine alla sua completezza e genuinità - faccia riferimento ad un bonifico da Bulgari al<br />

conto “Careliza”, mai effettuato.<br />

I GIUDICI CORROTTI<br />

RENATO SQUILLANTE<br />

Così spiega Cesare Previti, nell'unico interrogatorio reso in fase di indagini preliminari, i propri <strong>rapporti</strong> con<br />

Renato Squillante: "io ho avuto per parecchi anni <strong>rapporti</strong> di assidua frequentazione sportiva, in particolare<br />

tutti e due eravamo e siamo amanti del calcio e quindi mi capitava un po'di vederlo allo stadio la<br />

domenica… e poi perché giocavamo insieme... ho cominciato a frequentare Squillante quando lui ancora<br />

giocava in campo grande, io ho smesso prima di lui... ha cominciato ad accusare la fatica ed allora è<br />

passato al calcetto... io già da tempo ero passato a questo sport minore e lo praticavo al Circolo che è la<br />

ormai famosa Canottieri Lazio, dove avevo organizzato la cosa, è durata credo 15 anni... 16 anni... un<br />

calcetto speciale, un calcetto ad inviti, ... lo chiamavano a Roma un calcetto VIP... e questo calcetto,<br />

cascasse il mondo, veniva fatto due volte a settimana il martedì e il giovedì, partecipavano a questo calcetto<br />

... circa una cinquantina di persone... e Squillante era <strong>tra</strong> i più assidui così come ero molto assiduo io<br />

stesso. Questo tipo di frequentazione mi ha portato a non avere sostanzialmente al<strong>tra</strong> frequentazione con<br />

Squillante, sebbene lui fosse un magis<strong>tra</strong>to molto autorevole, un magis<strong>tra</strong>to molto stimato ed apprezzato...<br />

insomma, vo<strong>gli</strong>o dire, era un magis<strong>tra</strong>to di primissimo livello, ma le sue frequentazioni, salvo quella<br />

sportiva, non erano le mie... io a casa di Squillante sarò andato tre volte, quattro volte… cinque volte,<br />

forse, non lo so, in venti anni. Quindi, questo era il rapporto effettivo che io avevo con Squillante, d'altro<br />

canto io non ho mai avuto niente a che vedere col penale, ma proprio ho avuto sempre l'idiosincrasia per il<br />

penale... non solo, ma con il penale non hanno avuto niente a che vedere nemmeno i miei clienti fino... ne<strong>gli</strong><br />

anni di cui qui si discute, non c'è stato un mio cliente che abbia avuto interferenze o passaggi con il<br />

penale... quindi non c'è stata mai la opportunità, la necessità in nessun modo di rivolgersi a Squillante per<br />

avere un aiuto, che d'altro canto Squillante, con la sua generosità non negava a nessuno, perché quando si<br />

andava a giocare a pallone se c'era una guardia carceraria che doveva essere <strong>tra</strong>sferita di penitenziario.<br />

Squillante si interessava, se uno de<strong>gli</strong> avvocati che giocava si andava a raccomandare per una certa<br />

situazione, magari Squillante l'interessamento lo tirava fuori, ma mai con me, perché non ce n'era proprio<br />

motivo...".<br />

Una spiegazione - questa relativa alla comune passione per il calcio, o per il calcetto - tenuta ferma, anche in<br />

dibattimento, come unica ragione sottesa ai numerosi contatti telefonici dei quali si dirà. Peraltro, questo<br />

accenno - forse incauto, forse sapientemente calcolato - alla cortese e generosa disponibilità di Squillante a<br />

"tirare fuori un interessamento" se un avvocato chiedeva una raccomandazione, richiama quella parte di<br />

dichiarazioni rese da Attilio Pacifico nel corso delle indagini, laddove (cfr. interrogatorio in data 14 marzo


1996) spiega i contenuti di una propria conversazione telefonica con tale Morici: "Morici giocava a pallone<br />

con me. Aveva un grosso problema con la banca con cui lavorava perché era stato licenziato in tronco. Io<br />

<strong>gli</strong> ho consi<strong>gli</strong>ato un buon avvocato, ciononostante ha perso la causa in primo grado e dopo qualche anno,<br />

essendo stata fissata la causa in appello, mi ha chiamato per sapere se potevo dar<strong>gli</strong> aiuto, ma da intendere<br />

come consi<strong>gli</strong>o giuridico. Quando parlo di presidente e di collegio non intendo dire che vo<strong>gli</strong>o contattare<br />

qualcuno con intenti corruttivi, ma semplicemente che, sapendo prima l'esatta composizione del Collegio, si<br />

può capire la linea giurisprudenziale del collegio stesso. L'accenno a Renà si riferisce a Renato Squillante,<br />

ma non certo in termini corruttivi, quanto invece alla possibilità che anche Squillante desse un suo parere<br />

giuridico come consi<strong>gli</strong>o autorevole, parere che il Morici non aveva la confidenza per chiedere, posto che<br />

Squillante era un presidente di GIP. Dato che Squillante non giocava più al calcio da tanti anni, Morici non<br />

lo vedeva più".<br />

Queste esattamente le parole dell'impu-tato: "... si conoscevano benissimo (Morici e Squillante, n.d.r.)<br />

perché pure lui è uno che gioca molto bene, però è rimasta questa amicizia, ma è rimasta anche molta<br />

deferenza da parte di Morici nei confronti di Squillante che poi è diventato Presidente dei GIP, per cui lui<br />

mai e poi mai, insomma, aveva il coraggio di andar<strong>gli</strong> a chiedere un suggerimento tecnico s<strong>tra</strong>tegico per<br />

poter cercare di ottenere un risultato positivo in questo secondo grado... Squillante non è un conoscitore di<br />

persone che stanno alla Sezione Lavoro o che può dare suggerimenti giurisprudenziali su certe linee o su<br />

altre, è una materia sulla quale, per quello che mi risulta, per i discorsi che abbiamo fatto... con tutto il<br />

rispetto, non mi pare che abbia un tipo di preparazione per poter dare un suggerimento di questo genere...<br />

non si può pretendere che al telefono uno possa dare suggerimento su due piedi. Viene da me e parla con<br />

me, e io <strong>gli</strong> dico le cose. Questo è quello che io vo<strong>gli</strong>o dire".<br />

Premesso che il Tribunale non ha a<strong>gli</strong> atti le <strong>tra</strong>scrizioni delle conversazioni telefoniche ed ambientali<br />

intercettate nel corso delle indagine (e dunque non è utilizzabile il testo della conversazione intercettata,<br />

bensì solamente il racconto che uno de<strong>gli</strong> interlocutori, ossia Pacifico, ne fa) al Tribunale preme, per il<br />

momento, enucleare il succo del colloquio <strong>tra</strong> l'imputato e il Morici, dal quale è giocoforza desumere che<br />

una persona coinvolta in un contenzioso avanti l'autorità giudiziaria di Roma, in grado d'appello, si era<br />

rivolta proprio a Pacifico chiedendo<strong>gli</strong>, in sostanza, se non si potesse "interessare" all'uopo Squillante,<br />

confidenzialmente chiamato "Renà".<br />

Si vedrà di qui a poco, proprio nella causa IMI - Rovelli, un diretto, concreto e sostanzioso "interessamento"<br />

in un contenzioso civile di "Renà", il quale, a beneficio di Felice Rovelli, prende contatto con Francesco<br />

Berlinguer per chieder<strong>gli</strong> di "intervenire" su uno dei componenti del collegio giudicante in Corte di<br />

cassazione.<br />

Nel lungo esame dibattimentale svoltosi per videoconferenza il 3 ottobre 2002, Squillante ha dichiarato, in<br />

armonia con le spiegazioni del coimputato Previti, che la ragione di tutti i contatti telefonici documentati fra<br />

loro era esclusivamente da ricercarsi nella organizzazione delle partite di calcetto: "In genere le telefonate ...<br />

non so dire se io quel giorno in quel contesto, quel tipo di telefonate a cui lei allude quella precisa io abbia<br />

parlato... lei mi dice che ho parlato con Cesare Previti, il punto è che erano ricorrenti le telefonate che con<br />

lo studio Previti si facevano, sia le facevo io, sia mi venivano fatte a casa, perché ogni due volte per<br />

settiamana noi giocavamo a calcetto ed era necessario per la folla di persone che intendevano giocare<br />

prenotarsi, dopo di ché si riceveva la conferma.… quindi questa può essere una delle ragioni per le quali io<br />

ho telefonato non a Previti perché non me lo posso, scusi, ricordare, ma certamente con lo studio, con il<br />

circolo, non so dove si trovassero per la faccenda del calcetto".<br />

Quanto a<strong>gli</strong> aspetti relativi ai <strong>rapporti</strong> finanziari (sui quali ci si in<strong>tra</strong>tterrà analiticamente in seguito),<br />

Squillante così li riassumeva: "l'avvocato Pacifico è stato, diciamo, <strong>tra</strong> virgolette, utilizzato, non si offenda<br />

Pacifico, per importare ed esportare per le esigenze dei miei familiari, cioè dei miei parenti, per le ragioni<br />

che ho detto. Solo eccezionalmente - e io me lo ricordo - una volta io <strong>gli</strong> consegnai 70 milioni che ricavai<br />

dalla vendita a fine settembre del 1988 della casa di via dello Statuto... Tutte le altre, diciamo, importazioni<br />

ed esportazioni sono state... determinate, cagionate, occasionate da questi interessi dei miei benedetti<br />

parenti, ai quali peraltro io ero assai legato" (ed i quali, osserva il Tribunale, si fidavano di Squillante al<br />

punto da affidar<strong>gli</strong> i loro risparmi in assenza totale di documenti, garanzie, calcoli, rendiconti).<br />

Dunque, da un lato, l'ammissione di avere coltivato legami - non certo commendevoli per un giudice - con<br />

un avvocato del foro di Roma per l'illecito <strong>tra</strong>ffico "import-export" di denaro dalla Svizzera; dall'altro, la<br />

presa di distanza dall'ingentissimo patrimonio (quasi sette milioni di franchi nel 1994) occultato per anni


nelle banche elvetiche, difficilmente spiegabile per un magis<strong>tra</strong>to (pur giocatore in borsa, come Squillante<br />

dice d'essere stato, grazie alla esperienza alla Consob) che abbia vissuto onestamente del proprio stipendio,<br />

tirando in ballo disponibilità dei parenti commercianti, le quali erano depositate in modo indistinto e senza<br />

possibilità di documentare a chi dovesse essere, un domani, restituito che cosa. E infine, non sarà suggestivo<br />

riandare con il pensiero ad un risalente rapporto bancario di Squillante con la Banca Commerciale di<br />

Lugano, facente capo a Nino Rovelli, presso la quale l'imputato aveva acceso, ne<strong>gli</strong> anni 1986/1992, un<br />

conto corrente denominato “Iberica”, sce<strong>gli</strong>endo come fiduciario l'avvocato Rubino Mentsch. Come risulta<br />

dai documenti bancarie dalle stesse dichiarazioni di Felice Rovelli e Primarosa Battistella, il legale svizzero<br />

è anche il fiduciario d'elezione della fami<strong>gli</strong>a Rovelli, che della sua opera si era avvalsa, per esempio, all'atto<br />

della costituzione della Pitara Trust, ossia dello strumento utilizzato per onorare, secondo il volere del<br />

defunto Nino, <strong>gli</strong> impegni assunti nei confronti di Previti, Pacifico ed Acampora.<br />

Interrogato su queste circostanze, Squillante - che pure ben conosceva l'imprenditore, tanto da avere<br />

telefonato ai familiari per le condo<strong>gli</strong>anze - ha dichiarato di essere stato completamente all'oscuro dei legami<br />

<strong>tra</strong> Mentsch e Rovelli, così come ha negato di avere mai saputo che il citato istituto bancario elvetico fosse<br />

sostanzialmente di proprietà di quest'ultimo.<br />

Pur necessariamente rimandando per l'analitico esame dei movimenti finanziari contestati nel presente<br />

dibattimento o comunque probatoriamente rilevanti a<strong>gli</strong> appositi capitoli, si devono qui menzionare due<br />

importantissime relazioni bancarie le quali esemplificano, per tabulas, la ricostruzione del contesto dei<br />

<strong>rapporti</strong> <strong>tra</strong> <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> effettuata, come si vedrà, da Stefania Ariosto.<br />

Il primo è specificamente ricollegato alla prima <strong>tra</strong>nche della provvista Rovelli, quella bonificata dal conto<br />

“Dorian Investment” nel giugno del 1991 ad Attilio Pacifico: da Pacifico parte un ulteriore bonifico di 133<br />

milioni di lire verso il conto “Rowena” di Squillante; il destinatario ne è certamente informato e ne<br />

preannuncia al funzionario di banca l'arrivo, dando istruzioni (cfr. capitolo movimenti finanziari IMI SIR).<br />

Quello che, in ipotesi d'accusa, è un acconto su più sostanzioso compenso (che verrà ricevuto nel 1994,<br />

allorquando i Rovelli salderanno il debito con <strong>gli</strong> avvocati occulti) che viene bonificato dal corruttore al<br />

corrotto per il <strong>tra</strong>mite dell'intermediario, viene così giustificato dal magis<strong>tra</strong>to: "... intanto, da dove li avesse<br />

ricevuti Pacifico sono fatti suoi e io non l'ho mai saputo, mica me lo veniva a raccontare a me..."; la somma<br />

<strong>gli</strong> era stata consegnata da parenti che intendevano metterli a disposizioni del nipote, Alberto Franco, che era<br />

in <strong>tra</strong>ttative per l'acquisto di un ristorante in Manchester ed e<strong>gli</strong> li aveva a sua volta consegnati in contanti a<br />

Pacifico in Roma, perché li esportasse: "... ne parlo con Pacifico per esportarli e depositarli sul conto... e<br />

poi dal conto estero potessero partire direttamente, una volta concluso l'affare, in direzione che mi sarebbe<br />

stata indicata da Alberto Franco qualora l'affare del ristorante fosse stato concluso... poi l'affare non si<br />

potè fare per le ragioni che hanno spiegato loro... i soldi rimasero accreditati, per quelli che erano i<br />

conteggi che io puntualmente facevo nei confronti di tutti i titolari di queste spettanze, quindi furono<br />

contabilizzati in favore dei miei suoceri...".<br />

Dunque, non un compenso "anticipato" ricevuto da parte Rovelli rispetto a<strong>gli</strong> interventi che Squillante porrà<br />

in essere allorquando, come si vedrà, si cercherà di avvicinare un giudice della causa, bensì una<br />

"compensazione" di quelle che usualmente praticava Pacifico nei suoi <strong>tra</strong>ffici sui conti esteri, capitata, solo<br />

per caso, in coincidenza temporale con l'arrivo della prima parte del compenso illecito. Del tutto casuale è<br />

poi, il secondo movimento dei giorni successivo, sempre da Pacifico e sempre di 133 milioni di lire, verso il<br />

coimputato Cesare Previti.<br />

Benché l'operazione sia oggetto di contestazione in altro processo, pendente avanti al<strong>tra</strong> Sezione di questo<br />

Tribunale, l'analisi dei <strong>rapporti</strong> <strong>tra</strong> <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> come emergono dalle loro dichiarazioni non può prescindere<br />

dal riferirsi al bonifico che, in data 6 marzo 1991, proveniente dal conto “Ferrido” (riconducibile al gruppo<br />

Fininvest) porta in favore del conto “Mercier” di Previti presso la banca Darier Hentsch di Ginevra, la<br />

somma di 434.404 dollari USA; l'accredito viene regis<strong>tra</strong>to in data 5 marzo con valuta il successivo giorno 7,<br />

ma lo stesso 5 marzo viene telefonicamente impartito l'ordine alla Hentsch di <strong>tra</strong>sferire l'intera somma alla<br />

SBT di Bellinzona, riferimento "Orologio"; lo stesso 5 marzo, infine, si comunica telefonicamente alla SBT<br />

che arriverà su “Romena”, riferimento “Orologio”, la somma 434.404 dollari USA; il conto citato è di<br />

Renato Squillante. Il giudice, dunque, ha direttamente ricevuto da Previti, at<strong>tra</strong>verso un conto di <strong>tra</strong>nsito, la<br />

somma in questione, proveniente da un gruppo imprenditoriale privato. Come si è già detto, l'operazione<br />

sarà analizzata compiutamente nella parte relativa ai movimenti finanziari relativi alla vicenda Lodo<br />

Mondadori. Qui, per ora, interessa dar conto dell'esistenza di questa relazione bancaria diretta e delle<br />

spiegazioni che ne dan-no <strong>gli</strong> interessati.


Cominciamo da Cesare Previti, che così si è espresso nel corso della indagini preliminari: "Non intendo<br />

spiegare nel detta<strong>gli</strong>o quale fosse la mia attività all'estero, chi erano i miei clienti e le motivazioni dei<br />

movimenti finanziari".<br />

In dibattimento, quando era ormai emersa la provenienza del bonifico dalla Fininvest: "Credo sia nel quadro<br />

delle parcelle di cui ho parlato prima"; sul destinatario, ossia un giudice. Previti nulla sa, poiché e<strong>gli</strong><br />

pensava di averli mandati a Pacifico: "Ho inviato quell'importo sull'indicazione ricevuta dall'avvocato<br />

Pacifico, conto "Orologio": Pacifico mi ha dato in Italia l'equivalente, cioè circa 500 milioni, de<strong>tra</strong>tte le sue<br />

competenze. E questi 500 milioni... sono stati da me utilizzati per pagamenti in contanti in Italia... poi cosa è<br />

successo in quella banca... quali ordini ha dato l'avvocato Pacifico, per quali ragioni le risultanze<br />

documentali siano del tipo da lei indicato questo chiedetelo all'avvocato Pacifico".<br />

Ed ecco la versione di Pacifico e di Squillante, in sintesi:<br />

- Squillante, amico di Paolo Berlusconi, nell'estate del 1990 sarebbe venuto a conoscenza di un progetto<br />

immobiliare con campi da golf in Tolcinasco e ne avrebbe parlato a Pacifico, che si era detto interessato<br />

per una quota di 500 milioni di lire;<br />

- tempo dopo. Previti aveva necessità di avere in Italia, in contanti, una somma di 500 milioni, proprio<br />

pari a quella di cui in quel momento Pacifico disponeva in contanti; Previti avrebbe in seguito bonificato<br />

pari somma all'estero;<br />

- nel marzo 1991 Pacifico aveva dunque deciso di inviare a Squillante, in relazione all'affare di<br />

Tolcinasco, quanto dovuto<strong>gli</strong> da Previti;<br />

- aveva dato quindi a quest'ultimo le coordinate del conto di Squillante, riferimento “Orologio”,<br />

all'insaputa dei due (un avvocato ed un giudice, en<strong>tra</strong>mbi del foro di Roma);<br />

- sicché Previti, senza saperlo, manda 500 milioni ad un giudice, ed il giudice, ignaro, riceve 500 milioni<br />

all'estero da un avvocato.<br />

Secondo <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>, una serie incredibile di casualità, innescate da operazioni quantomeno imprudenti di<br />

Attilio Pacifico; per il Tribunale, la "proiezione bancaria" e documentale del racconto di Stefania Ariosto.<br />

VITTORIO METTA<br />

Interrogato in dibattimento circa la natura e l'origine dei <strong>rapporti</strong> con il giudice relatore in en<strong>tra</strong>mbe le cause<br />

civili delle quali si discute, ossia Vittorio Metta, Previti così rispondeva: "II mio rapporto con l'avvocato<br />

Metta l'ho... non a caso dico Avvocato Metta perché inizia quando lui ha lasciato la magis<strong>tra</strong>tura e ha<br />

iniziato la professione di avvocato. Ci siamo conosciuti, io lo conoscevo per fama perché aveva.… a parte<br />

che si era occupato di vicende professionalmente evidentemente lo conoscevo, ma lui aveva la fama di<br />

essere uno dei mi<strong>gli</strong>ori giudici del civile a Roma, dotato di grandissima competenza e di grandissima<br />

capacità. Conosciutolo dopo che aveva lasciato la professione, dopo che aveva lasciato la magis<strong>tra</strong>tura e<br />

affrontato la professione, ipotizzammo delle forme di collaborazione che poi si sono concretizzate quando io<br />

ho assunto la veste di Ministro, perché a quel punto ho dovuto lasciare completamente ogni attenzione sullo<br />

studio e mio fi<strong>gli</strong>o ancora, diciamo, stava completando il suo periodo di pratica allora presso lo studio del<br />

Professor Vassalli e, anche se era venuto in studio in anticipo rispetto ai tempi stabiliti proprio per questo<br />

mio distacco, io ritenevo che lo studio, che era pieno di lavoro e veramente impegnato, avesse bisogno di<br />

una sorta di tutela, di direzione più esperta e più, diciamo così, aderente per qualità a quello che era<br />

l'impegno di lavoro dello studio e così proposi all'avvocato Metta di collaborare col mio studio proprio in<br />

questa veste di... supervisore dello studio anche per mettere in condizioni mio fi<strong>gli</strong>o di en<strong>tra</strong>re nella<br />

responsabilità diretta dello studio un po' più gradualmente".<br />

Insomma, secondo questo racconto, Previti en<strong>tra</strong> in rapporto di conoscenza personale e diretta con Vittorio<br />

Metta solo quando questi aveva già lasciato la magis<strong>tra</strong>tura (ossia dopo il 7 novembre 1994: cfr.<br />

interrogatorio Metta in data 18 giugno 1998) e praticamente subito <strong>gli</strong> affida le gestione (la "supervisione")<br />

del proprio avviatissimo studio legale, per affiancare il proprio fi<strong>gli</strong>o Stefano, da poco divenuto avvocato.<br />

Anche il secondo legale che risulta avere percepito denaro dalle parti uscite vincitrici nelle controversie<br />

giudiziarie IMI-SIR e Mondatori in<strong>tra</strong>ttiene (e per di più da lungo tempo) una consuetudine di <strong>rapporti</strong> con il<br />

relatore in grado d'appello delle due cause: nell'esame dibattimentale reso in data 5 ottobre 2002, Giovanni<br />

Acampora così si esprimeva:"io conosco l'attuale avvocato Metta, dottor Metta, da moltissimi anni, credo<br />

da 25, 30 anni; la conoscenza è legata a cointeressenze editoriali: della serie che en<strong>tra</strong>mbi scrivevamo o


comunque davamo contributi editoriali a una casa editrice che si occupava di pubblicazioni doganali...<br />

l'editore fece un codice doganale, credo nel'72, '73, e in quel periodo il dottor Metta scriveva, frequentava<br />

questa casa editrice e anch'io...". Seguirono poi altre comuni collaborazioni editoriali in riviste specializzate<br />

nel diritto tributario e "in questo si estrinsecò la mia frequentazione con il dottor Metta per moltissimi anni...<br />

si è sviluppata poi un'amicizia, come dire, di carattere familiare <strong>tra</strong> mia fi<strong>gli</strong>a e sua fi<strong>gli</strong>a; la fi<strong>gli</strong>ola del<br />

dottor Metta frequentò per un certo periodo per la tesi... per la formazione della tesi di laurea il mio<br />

studio... La questione si esaurì quando la ragazza si è laureata, non è venuta nel mio studio a far pratica,<br />

abbiamo mantenuto una cordiale frequentazione sino ai noti eventi, da allora non ci siamo più visti...".<br />

"C'è stato poi, credo'94 se non ricordo male, il momento in cui il dottor Metta mi investì di problematiche<br />

successorie a seguito della successione Falco: c'erano dei legati, c'era una distonia <strong>tra</strong> testamenti o <strong>tra</strong><br />

disposizioni testamentarie, ma parlando con lui emerse che il suo benefattore, chiamiamolo così,<br />

l'ambasciatore Falco, aveva i suoi averi in Svizzera gestiti da due avvocati, un avvocato di Ginevra e un<br />

avvocato di Zurigo... l'avvocato di Ginevra lo conoscevo molto bene,... l'avvocato Charles Poncet, fratello di<br />

Dominique, con il quale ho un rapporto di grande amicizia e di colleganza ul<strong>tra</strong> ventennale... andai a<br />

trovare Charles Poncet, <strong>gli</strong> presentai l'avvocato Metta e l'avvocato Sanvitale che conoscevo nell'occasione,<br />

guardammo quelle che potevano essere le problematiche... <strong>gli</strong> dissi soltanto che... sarebbe stata gradita la<br />

liquidazione sostanzialmente, o l'inventario per una liquidazione de<strong>gli</strong> averi, per delle operazioni di<br />

accorpamento che poi avvennero...".<br />

Ed infine, anche il terzo soggetto che nell'ipotesi accusatoria avrebbe assunto la veste di intermediario ne<strong>gli</strong><br />

affari corruttivi, è in contatto con Vittorio Metta.<br />

All'udienza del 20 settembre 2002, Attilio Pacifico così presentava l'origine e le circostanze di tali contatti:<br />

"il rapporto con il dottor Metta è un rapporto difficilissimo... mi sia consentita una battuta... le persone che<br />

non sono molto alte in genere sono molto complessate. Per cui questo è uno dei motivi per cui i contatti con<br />

Metta non erano una cosa facile. Lui infatti vive per questo nel suo ufficio chiuso perché ha fatto delle cose<br />

importanti".<br />

Interrogato sul periodo in cui l'aveva conosciuto, Pacifico rispondeva: "... forse a metà del '91, dopo il '91...<br />

io mi ricordo che praticamente la fi<strong>gli</strong>a faceva l'università, giurisprudenza, e siccome il cognome con M,<br />

Metta, è vicino alla P, Pacifico, aveva collegamenti con mia fi<strong>gli</strong>a, anche se mia fi<strong>gli</strong>a era più piccola di<br />

età, però avevano sempre questi... le lezioni, sa, le cose, <strong>gli</strong> esami... quindi hanno familiarizzato e poi... ma<br />

come colleghe universitarie senza che sapessero i padri quello che poi... chiaramente dopo hanno scoperto<br />

'sta cosa e poi avevano anche la stessa passione sportiva per una squadra, che poi insomma pure io avevo<br />

questo tipo di cosa. E niente, a un certo punto la ragazza credo sia venuta a casa a prendere un libro o<br />

qualcosa, ci siamo conosciuti e... Sabrina Metta ha cominciato a chiedere delle informazioni... diciamo<br />

notizie su argomentazioni tecniche su certi esami... era una ragazza molto pignola, molto precisa, molto<br />

diligente... quando andava a fare <strong>gli</strong> esami non <strong>gli</strong> davano il trenta praticamente lei rifiutava... lei voleva<br />

questi riconoscimenti e quindi, quando cominciava, attaccava argomento, era capace di fare infinite<br />

telefonate che poi sono quelle che risultano, perché era sempre lei che chiamava e non mi trovava, io poi<br />

come una persona normale e civile, la richiamavo... Il padre io invece... l'ho conosciuto, guardi, l'avrò visto<br />

in tre o quattro occasioni... un matrimonio, un cocktail, una festa, una mos<strong>tra</strong>... Lui qualche volta mi ha<br />

chiamato sempre in corrispondenza de<strong>gli</strong> esami che faceva la fi<strong>gli</strong>a. Infatti, se prende il certificato di laurea<br />

della Sabrina e si verificano le date, si vedrà che tutte le chiamate che sono state fatte dal padre più o meno<br />

coincidono... o con l'esame o con la data in cui dovrebbe fare l'esame ma non lo fa... per i motivi che dicevo<br />

prima, cioè che ha paura a fare questo esame perché quello non <strong>gli</strong> da il voto che lei pensa di poter<br />

realizzare".<br />

Nell'unica, formale occasione nella quale Vittorio Metta si è sottoposto ad interrogatorio (in dibattimento ha<br />

infatti rifiutato di sottoporsi all'esame chiesto dal Pubblico Ministero), ossia il 18 giugno 1998, <strong>gli</strong> sono state<br />

rivolte domande con riferimento al tenore ed alla consistenza dei suoi <strong>rapporti</strong> con i tre avvocati che l'accusa<br />

qualifica come intermediari nella corruzione.<br />

Cominciando da Cesare Previti, Metta così rispondeva: "Ho lasciato la magis<strong>tra</strong>tura chiedendo di andare in<br />

pensione anticipata, avendo raggiunto il massimo della contribuzione, il 31 ottobre 1994, lasciando<br />

effettivamente la magis<strong>tra</strong>tura il 7 novembre dello stesso anno... inizialmente non pensavo di iscrivermi<br />

all'albo de<strong>gli</strong> avvocati, perché ero stanco e preferivo riposare... incominciai a fare le pratiche per<br />

l'iscrizione intorno a dicembre dello stesso anno delle mie dimissioni, ovvero a gennaio dell'anno successivo


ed ho ottenuto l'iscrizione il 31 gennaio 1995. Ho aperto allora uno studio in via Carlo Conti Rossini n.26...<br />

ho iniziato molto lentamente la mia nuova attività, perché non mi ero preparato prima ad affrontarla. Prima<br />

della mia iscrizione all'albo, Cesare Previti, avendo saputo del mio pensionamento, mi ha invitato<br />

ripetutamente con molto garbo a valutare la possibilità che io mi occupassi del suo studio. E<strong>gli</strong> infatti era<br />

molto preso dall'attività politica e riteneva che il fi<strong>gli</strong>o, data la giovane età, non fosse in grado di farsi<br />

carico completamente dell'attività dello studio. Io all'inizio declinai queste offerte di collaborazione ed<br />

intorno a marzo 1995 accettai la proposta di collaborazione, però ad una condizione che ritenevo essenziale<br />

e alla quale Previti ha aderito immediatamente, e cioè che io conservassi la mia attività nel mio studio. La<br />

collaborazione con lo studio Previti era una collaborazione esterna, ed io non ero affatto socio<br />

dell'associazione professionale facente capo allo studio Previti. Venne stabilito un compenso della mia<br />

attività di 100 milioni l'anno come collaboratore dello stesso. La collaborazione consisteva nel <strong>tra</strong>ttare<br />

alcune cause e dare consi<strong>gli</strong> in materia s<strong>tra</strong>giudiziale".<br />

Invitato a riferire quando avesse conosciuto Cesare Previti e che tipo di rapporto con lui vi fosse fino al<br />

momento in cui iniziò la collaborazione allo studio, Metta rendeva la seguente dichiarazione: "L'avv. Previti<br />

girava ne<strong>gli</strong> uffici giudiziari romani, e quindi avevo avuto sicuramente occasione di vederlo per motivi<br />

professionali, anche se lui non aveva cause con me, fin dai tempi remoti. Il rapporto è diventato più<br />

ravvicinato intorno al 1993 -1994, senza che nemmeno io sappia spiegare i motivi di questo cambiamento di<br />

qualità".<br />

Richiesto di indicare con maggiore precisione il periodo in cui l'avvicinamento si era verifìcato e le modalità<br />

dello stesso, l'imputato rispondeva: "Credo che il fatto si possa collocare nel 1993, anche se non posso<br />

essere più preciso. Non sono in grado di precisare circostanze di tempo e di luogo. Sicuramente può essere<br />

capitato che ci siamo visti più di frequente fino a quando io ho esercitato la mia attività di magis<strong>tra</strong>to presso<br />

la Corte d'appello di Roma; dopodiché posso escludere di avere avuto occasione di incon<strong>tra</strong>re l'avvocato<br />

Cesare Previti in occasione di cene e pranzi o comunque in occasioni mondane".<br />

Aggiungeva l'imputato, su specifica domanda, che non era mai capitato che l'avvocato Cesare Previti fosse<br />

difensore in ricorsi o controversie giudiziarie che e<strong>gli</strong> aveva <strong>tra</strong>ttato, sia come componente di collegi<br />

giudicanti civili del Tribunale, né come giudice presso la Corte d'appello di Roma; ribadiva dunque che,<br />

ne<strong>gli</strong> anni 1991, 1992 non aveva motivo di in<strong>tra</strong>ttenere <strong>rapporti</strong> di qualsiasi tipo con il coimputato: "... come<br />

ho già detto, il mio rapporto con lui comincia in pratica quando accetto di collaborare nel 1995 con il suo<br />

ufficio, con suo fi<strong>gli</strong>o".<br />

Infine, Vittorio Metta specificava che la collaborazione con lo studio Previti era iniziata nel febbraio- marzo<br />

1995; in precedenza c'erano stati dei contatti con i quali Previti lo aveva invitato ad iniziare tale<br />

collaborazione; il coimputato lo aveva sicuramente contattato telefonicamente, poi si erano incon<strong>tra</strong>ti ed<br />

avevano preso accordi sul punto.<br />

L'ex magis<strong>tra</strong>to Metta rendeva dichiarazioni anche in ordine ai propri <strong>rapporti</strong> con l'avvocato Pacifico, così<br />

ricostruendoli: "... con l'avvocato Pacifico non ho mai avuto nessun rapporto stretto. L'avvocato Pacifico è<br />

una di quelle persone che impongono la loro presenza... Mia fi<strong>gli</strong>a, frequentando l'università, conobbe la<br />

fi<strong>gli</strong>a dell'avvocato Pacifico e, da una parte, si misero a condividere la passione per la Juventus, dall'al<strong>tra</strong><br />

parte, l'avvocato Pacifico si offrì più di una volta di aiutare mia fi<strong>gli</strong>a nei suoi studi. Il rapporto con<br />

Pacifico è stato un rapporto assolutamente sporadico ed occasionale".<br />

In ordine ai tempi della conoscenza: "Sicuramente dopo il 1991 e sono sicuro di questo perché il primo<br />

contatto con l'avvocato Pacifico fu in occasione della morte di mia madre avvenuta il 2 agosto 1991 e devo<br />

dire che in quella occasione si fece sentire per le condo<strong>gli</strong>anze e credo pure che mandò un telegramma.<br />

Sicuramente prima di quella data non ho avuto alcun rapporto. A partire da allora è successo che ci siamo<br />

potuti vedere in ufficio e si sia conversato delle proprie cose. Poi è sorto il rapporto <strong>tra</strong> mia fi<strong>gli</strong>a e la fi<strong>gli</strong>a<br />

dell'avvocato Pacifico, credo subito dopo la mia conoscenza con l'avvocato. Quando parlo di rapporto<br />

occasionale con Pacifico, intendo dire che non c'è mai stata alcuna amicizia, ma nemmeno un rapporto<br />

ravvicinato o di frequentazione stessa. Per me il rapporto con Pacifico non voleva dire assolutamente niente<br />

ed anzi mi dava in qualche misura fastidio il suo intromettersi con mia fi<strong>gli</strong>a a causa della comune passione<br />

sportiva per la Juventus".


Contestate<strong>gli</strong> le risultanze documentali relative ai tabulati telefonici ed alle agende seques<strong>tra</strong>te presso lo<br />

studio di Pacifico (sulla quali ci si in<strong>tra</strong>tterrà oltre) l'ex magis<strong>tra</strong>to ribadiva che "i contatti che potevo avere<br />

con l'avvocato Pacifico riguardavano principalmente mia fi<strong>gli</strong>a. Qualche volta poteva succedere che<br />

Pacifico mi chiedesse informazioni in ordine a materia giurisprudenziale... ribadisco di non essere stato io<br />

ad avere <strong>rapporti</strong> così frequenti nel corso di questi anni con l'avvocato Pacifico perché non ve n'era ragione<br />

ne motivazione. Evidentemente tutti i contatti telefonici <strong>tra</strong> utenze nella disponibilità e utenze nella<br />

disponibilità di Pacifico sono intercorsi <strong>tra</strong> quest'ultimo e mia fi<strong>gli</strong>a Sabrina, o almeno gran parte delle<br />

stesse. Oppure, visto che mia fi<strong>gli</strong>a era diventata amica della fi<strong>gli</strong>a di Pacifico, conversazioni <strong>tra</strong> le due.<br />

Non posso escludere che vi siano anche telefonate <strong>tra</strong> mia mo<strong>gli</strong>e e la mo<strong>gli</strong>e di Pacifico perché si erano<br />

conosciute".<br />

Restano da riportare le spiegazioni relative ai <strong>rapporti</strong> con il terzo "intermediario": Giovanni Acampora.<br />

Questo dice di lui Vittorio Metta: "L'ho conosciuto nei primi anni'80 perché io collaboravo per una rivista<br />

in materia fiscale (produco documentazione in proposito). Acampora mi contattò e mi propose, avendo in<br />

allestimento una rivista giuridica in materia fiscale, di collaborare con lui. Ci siamo conosciuti in questo<br />

modo e <strong>tra</strong> di noi si è instaurato un rapporto di frequentazione ed anche di confidenza personale. Acampora<br />

aveva problemi con i fi<strong>gli</strong> e si confidava con me. Con Acampora ci si sentiva spesso, anche di domenica".<br />

Alla domanda se avesse frequentato lo studio dell'avvocato Acampora, rispondeva affermativamente, ma<br />

precisando che ciò era avvenuto "rarissimamente": "non avevo ragione di incon<strong>tra</strong>rlo nel luogo in cui<br />

esercitava la sua attività professionale".<br />

Richiesto di precisare se avesse mai avuto occasione di avvalersi dell'attività professionale dell'avvocato<br />

Acampora, rispondeva di aver<strong>gli</strong> una volta indirizzato la fi<strong>gli</strong>a perché la aiutasse a compilare la denuncia<br />

ICI: "ammesso che si possa chiamare incarico professionale la richiesta di aiuto per la compilazione della<br />

denuncia ICI, si è <strong>tra</strong>ttato comunque dell'unica volta in cui mi sono recato da Acampora in ragione della<br />

sua professione... Vo<strong>gli</strong>o precisare che con l'avvocato Acampora dall'una e dall'al<strong>tra</strong> parte c'è sempre stato<br />

un rapporto di grandissimo rispetto. Devo dire che io non sapevo di che cosa lui si occupasse, ne lui mi ha<br />

mai chiesto di che cosa io mi occupassi".<br />

Dopo avere introdotto l'argomento relativo all'eredità ricevuta dal magis<strong>tra</strong>to Orlando Falco, ed avere<br />

menzionato l'entità dell'asse ereditario in Italia (costituito da titoli di Stato e fondi di investimento per oltre<br />

tre miliardi di lire) il Pubblico Ministero faceva presente a Metta che dalle indagini sino ad allora svolte<br />

risultava che Acampora avesse avuto anche un ruolo nell'eredità Falco; chiedeva all'imputato di dire perché<br />

non avesse parlato di ciò in occasione delle precedenti domande. Questa la secca risposta: "Perché io su<br />

questo non vorrei rispondere".<br />

Infine, a specifica domanda, negava che i tre avvocati (con i quali, nei termini esposti, e<strong>gli</strong> aveva ammesso<br />

di essere, comunque, in contatto) <strong>gli</strong> avessero mai parlato dei loro <strong>rapporti</strong> con la fami<strong>gli</strong>a Rovelli.<br />

Riassumendo, Metta, giudice di en<strong>tra</strong>mbe le cause, ammette i contatti con i tre avvocati, ma li distingue per<br />

origine, intensità e motivi.<br />

Per Previti, descrive una amicizia ed una fiducia eccezionali (il coimputato <strong>gli</strong> affida la supervisione sul<br />

proprio studio legale e sulla propria pregiata clientela, allorquando, dedicatesi alla politica, deve <strong>tra</strong>scurare<br />

l'attività forense) ma ne colloca la nascita dopo le proprie dimissioni dalla magis<strong>tra</strong>tura, avvenute<br />

nell'autunno del 1994. Prima di quella data, i due si conoscevano appena e Previti non aveva mai esercitato<br />

attività di difensore nell'ambito di cause da lui <strong>tra</strong>ttate. Anzi, all'emergere dell'indagine penale, Metta<br />

interrompe bruscamente la collaborazione con lo studio Previti e, nel corso nel suo unico interrogatorio,<br />

produce corrispondenza epistolare intervenuta con Stefano Previti nell'occorso. In una delle lettere, Metta<br />

dimos<strong>tra</strong> irritazione per avere appreso dei <strong>rapporti</strong> <strong>tra</strong> il coimputato e i Rovelli e <strong>gli</strong> rimprovera di non averlo<br />

"messo al corrente di talune, seppur legittime, implicazioni che avrebbero potuto anche lontanamente<br />

riguardarmi per la mia pregressa attività di magis<strong>tra</strong>to e che taluno, come poi purtroppo fatalmente si è<br />

verificato, avrebbe potuto sfruttare per fini quantomeno devianti".


Affatto diverso il tenore delle dichiarazioni concernenti Pacifico, dal quale l'ex magis<strong>tra</strong>to ha preso, sin<br />

dall'inizio, le distanze: con lui non vi è mai stato alcun rapporto; casualmente, per ragioni legate a<strong>gli</strong> studi<br />

universitari, le rispettive fi<strong>gli</strong>e Clara e Sabrina, erano divenute amiche e Sabrina Metta, ragazza assai<br />

diligente ne<strong>gli</strong> studi, spesso e volentieri si rivolgeva al Pacifico per avere aiuti e consi<strong>gli</strong>. Nessun rapporto<br />

<strong>tra</strong> i due padri, meno che mai inerente la causa Imi-Sir.<br />

Infine, Acampora, fra i tre il soggetto con il quale Metta dichiara di avere un antico rapporto d'amicizia e di<br />

confidenza ("ci sentivamo spesso, anche la domenica") ma nel più rigoroso rispetto dei differenti ruoli ("lui<br />

non sapeva cosa facessi io, io non sapevo cosa facesse lui..."); quando diventerà erede di una fortuna grazie<br />

al lascito di Orlando Falco, Metta chiederà all'amico di occuparsi della cospicua parte estera dell'attività, ma<br />

su questo si rifiuta di rispondere.<br />

Questa analisi intrinseca delle dichiarazioni de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> in ordine ai loro reciproci <strong>rapporti</strong> ha permesso di<br />

apprezzare il contenuto delle loro difese, inteso ad affermare l'autonomia del rapporto di ciascuno con <strong>gli</strong><br />

altri e l'assoluta assenza, in questi <strong>rapporti</strong>, di ogni riferimento alle due cause civili.<br />

E' giunto ora il momento di dar conto delle altre risultanze processuali, quelle che, secondo il Collegio,<br />

dimos<strong>tra</strong>no la falsità di tutte queste dichiarazioni, facendo emergere, in modo lampante ed inconfutabile, che<br />

<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> erano tutti fra loro legati da una comunanza di azione e di intenti: il mercimonio della funzione<br />

giudiziaria di Vittorio Metta e Renato Squillante e l'interferenza sullo svolgimento e sull'esito di en<strong>tra</strong>mbe le<br />

controversie giudiziarie.<br />

... E COME EMERGONO DAGLI ATTI<br />

Le dichiarazioni de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>, come già si diceva, hanno dovuto più di una volta scon<strong>tra</strong>rsi con altre<br />

risultanze dibattimentali, le quali, nella loro semplice oggettività, descrivono un quadro di fatto spesso<br />

incompatibile con la versione difensiva o con le giustificazioni che la sorreggono. E' questo il caso, in primo<br />

luogo, dei tabulati relativi ai contatti telefonici e delle annotazioni sulle agende o sui bloc notes seques<strong>tra</strong>ti<br />

nello studio di Attilio Pacifico.<br />

I primi sono stati acquisiti sia nella forma originale Telecom (mediante l'emissione, da parte del Tribunale,<br />

di appositi decreti motivati) sia nella forma, ordinata ad opera della Polizia giudiziaria, di riepilogo<br />

"ragionato" dai dati <strong>tra</strong>smessi dal gestore, laddove i dati stessi sono stati raggruppati per imputato ovvero per<br />

periodo di tempo; il Pubblico ministero ha introdotto, mediante l'esame testimoniale dell'ispettore Latella<br />

(esaminato alle udienza del 23 febbraio 2001 e del 25 febbraio 2002) la spiegazione dei criteri seguiti nel<br />

riordino dei dati e, preliminarmente a detto esame, sono stati acquisiti ai rispettivi verbali <strong>gli</strong> specchietti<br />

frutto di detta operazione di riordino. A tali prospetti il Tribunale integralmente qui si richiama sin d'ora,<br />

facendo presente che de<strong>gli</strong> stessi ci si servirà nel prosieguo della <strong>tra</strong>ttazione.<br />

La premessa rispetto all'analisi dei dati non può prescindere da alcune precisazioni di carattere generale:<br />

- come è ovvio, il dato probatorio desumibile dall'analisi dei tabulati telefonici è unicamente relativo alla<br />

data del contatto <strong>tra</strong> due apparecchi e alla sua durata, nonché alla intestazione de<strong>gli</strong> apparecchi; nulla<br />

dice, invece, sul contenuto della conversazione, né sulla identità delle persone che hanno effettivamente<br />

colloquiato;<br />

- come ha spiegato il teste Latella, i tabulati contengono, fino all'anno 1995, i dati relativi ai contatti <strong>tra</strong><br />

apparecchi radiomobili o cellulari, ovvero fra questi ed apparecchi fìssi; fino a quell'anno non erano<br />

disponibili - per ragioni tecniche - i dati relativi a contatti fra due apparecchi fissi;<br />

- la diffusione sul mercato di apparecchi cellulari data dal 1990 circa, e dunque, per i periodi precedenti,<br />

non sono disponibili i dati relativi al <strong>tra</strong>ffico telefonico.<br />

Di conseguenza, per i periodi anteriori alla seconda metà dell'anno Novanta l'assenza di dati non significa<br />

assenza di contatti; lo stesso dicasi per tutti i contatti fra utenze fisse fino all'anno 1995.<br />

Ciò premesso, deve ancora aggiungersi, per facilitare la lettura dei prospetti riepilogativi, che spesso le<br />

utenze in uso a<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> sono intestate al coniuge ovvero ad altre persone a<strong>gli</strong> stessi legate: sarà<br />

opportuno, pertanto, precisare che:<br />

- Badin Mary è la convivente di Giovanni Acampora;


- Subrizi Rosamaria è la consorte di Vittorio Metta;<br />

- Metta Sabrina è la fi<strong>gli</strong>a di Vittorio Metta;<br />

- Spera Secondina è la suocera di Vittorio Metta, presso la cui abitazione l'imputato ha spiegato di avere<br />

una stanza ove, quando ancora faceva parte dell'Ordine Giudiziario, solitamente si recava a lavorare;<br />

- Midolo Serenella è la consorte di Attilio Pacifico;<br />

- - Pacifico Clara è la fi<strong>gli</strong>a di Attilio Pacifico;<br />

- Cappotta Anna Maria è la consorte di Filippo Verde;<br />

- Fraco Liliana è la consorte di Renato Squillante;<br />

- Pompili Silvana è la consorte di Cesare Previti;<br />

- Ponti Simonetta è il giudice Simonetta Sotgiu: l'intestazione dell'utenza è stata fatta con il cognome del<br />

marito.<br />

Alcuni apparecchi cellulari utilizzati da<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> sono risultati intestati a società ed occorre farne un<br />

elenco, richiamando dati assolutamente incontestati in dibattimento:<br />

- l'apparecchio intestato a La Fulvia s.p.a è risultato in uso a Felice Rovelli;<br />

- l'apparecchio intestato alla TECHSO s.p.a. era in uso a Francesco Berlinguer;<br />

- l'apparecchio intestato alla EDICOGI era in uso a Francesco Bellavista Caltagirone;<br />

- <strong>gli</strong> apparecchi intestati PARTINVEST erano in uso a Giovanni Acampora.<br />

Ancora, due apparecchi cellulari sono risultati fìttiziamente intestati a Tifi Paolo, marito di Rita Passare,<br />

segretaria "storica" di Cesare Previti; Tifi, esaminato come teste (cfr. udienze 9 febbraio 2001 e 22 febbraio<br />

2002), riferendosi alle utenze 0336/769820 e 0336/773509, ha spiegato di essere stato richiesto di acquistare<br />

i due apparecchi, intestando a se medesimo i con<strong>tra</strong>tti; aveva provveduto all'acquisto, ma non aveva mai<br />

utilizzato <strong>gli</strong> apparecchi, le cui fatture venivano saldate dallo studio di Cesare Proviti; l'imputato non ha mai<br />

contestato questa circostanza.<br />

Sono stati altresì acquisiti i dati relativi al <strong>tra</strong>ffico telefonico di un apparecchio cellulare 0337/723535,<br />

intestato all'avvocato Mario Are, legale della fami<strong>gli</strong>a Rovelli; questi, esaminato come testimone il 23<br />

febbraio 2001, ha spiegato di avere dato in prestito l'apparecchio a Felice Rovelli per pochi giorni, nel mese<br />

di febbraio del 1992; a quest'ultimo vanno dunque attribuiti i contatti, regis<strong>tra</strong>ti in quel periodo, con <strong>gli</strong> altri<br />

<strong>imputati</strong> del presente procedimento.<br />

Infine, è sottoposta alla valutazione del Tribunale la questione relativa all'uso dell'utenza 0337/746298,<br />

intestata all'avvocato Fioravante Carletti: su questa utenza, a partire dal 25 novembre 1992 fino al 27 maggio<br />

1994, si regis<strong>tra</strong>no numerosi contatti con Attilio Pacifico, Giovanni Acampora e con lo studio di Cesare<br />

Previti. L'interessato (udienza 5 aprile 2002, citato dalla difesa) ha spiegato di essere da lungo tempo buon<br />

amico di Vittorio Metta e della sua fami<strong>gli</strong>a, aggiungendo che ne<strong>gli</strong> anni precedenti alla laurea (forse dal<br />

1991) Sabrina aveva frequentato il suo studio legale, per rendersi conto di come fosse, in pratica, la<br />

professione legale. Come tutti coloro che frequentavano lo studio, la ragazza aveva a disposizione un<br />

apparecchio cellulare, del quale il teste intendeva farle omaggio; Sabrina aveva rifiutato, perché il padre non<br />

era d'accordo. Richiesto di fornire indicazioni sull'apparecchio cellulare poc'anzi citato, il teste si diceva<br />

sicuro <strong>tra</strong>ttarsi del proprio apparecchio personale e non di uno fra quelli a disposizione di chi frequentava lo<br />

studio; a domanda, rispondeva di non conoscere l'avvocato Pacifico, ma non escludeva di avere avuto<br />

contatti telefonici con il legale, magari per una causa nella quale erano con<strong>tra</strong>pposti; nel prosieguo, durante<br />

il controesame del Pubblico Ministero, <strong>gli</strong> venivano contestate le numerose conversazioni documentate con i<br />

tre <strong>imputati</strong> Acampora, Pacifico e Previti, nonché con l'Hotel Splendid di Lugano. Ribadendo di non<br />

conoscere personalmente alcuno dei tre, alla fine il teste concludeva, rivedendo la drastica affermazione<br />

iniziale: il telefono de quo era forse quello in uso a Sabrina, e che la ragazza non aveva accettato di tenere<br />

per sé quando la frequentazione dello studio era cessata.<br />

In un periodo di circa un anno e mezzo (dal novembre 1992 al maggio 1994) questi i contatti dal tabulato del<br />

cellulare Carletti: 24 chiamate in partenza verso lo studio o l'abitazione di Attilio Pacifico; 2 chiamate in<br />

partenza per l'Hotel Splendid di Lugano (ove Pacifico soleva alloggiare); 4 chiamate in partenza verso lo<br />

studio Previti; 3 chiamate in partenza verso lo studio Acampora; 2 chiamate in arrivo dall'abitazione di<br />

Attilio Pa-cifico.<br />

Premesso che le difese avevano chiesto ed ottenuto l'ammissione della testimonianza di Sabrina Metta, alla<br />

quale hanno poi rinunciato, deve rilevarsi come sulla ragazza si siano concen<strong>tra</strong>te molte dichiarazioni de<strong>gli</strong><br />

<strong>imputati</strong> ed alcune ineleganti allusioni dei difensori in sede di arringa finale.


Elenchiamole tutte:<br />

- Pacifico ne ha parlato come amica della propria fi<strong>gli</strong>a Clara, anch'ella studentessa in giurisprudenza,<br />

seppure più giovane (l'imputato non ha precisato di quanto) rispetto a Sabrina;<br />

- Pacifico ne ha parlato, ancora, come studentessa diligente ai limiti della pignoleria ed ha fatto intendere<br />

che la ragazza <strong>gli</strong> si rivolgeva spesso (troppo spesso) per chieder<strong>gli</strong> consi<strong>gli</strong> per <strong>gli</strong> esami universitari;<br />

- Acampora ha parlato di un periodo di frequentazione, da parte della ragazza, del proprio studio per la<br />

preparazione della tesi di laurea;<br />

- Metta ha dichiarato che Sabrina aveva fatto amicizia con una delle fì<strong>gli</strong>e di Acampora ("nonostante la<br />

differenza di età"), ma non ha parlato della preparazione della tesi,<br />

- ancora, Metta ha parlato di un aiuto di Sabrina a Previti per la campagna elettorale del 1994; dato il<br />

rapporto instaurato in quell'occasione con Stefano Previti, dopo la laurea e dopo la nascita di una<br />

bambina - avvenuta nel settembre 1994 - si era iscritta al praticantato presso quello studio; non l'aveva<br />

effettivamente frequentato fino a quando lo stesso Vittorio Metta aveva iniziato la propria<br />

collaborazione con il citato studio.<br />

Ora, pur con tutta la comprensione per le esigenze difensive de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> - costretti a misurarsi su<br />

imbarazzanti e non facilmente spiegabili contatti personali fra loro - sembra al Tribunale che nel caso di<br />

specie si sia esagerato nel fare ricorso alla fi<strong>gli</strong>a per attribuirle <strong>rapporti</strong> personali che, invece, erano per lo<br />

più del padre. Ed allora, ecco la ragazza che, dal 1991 al 1994, è impegnata sotto i seguenti profili:<br />

- studia all'università con cura maniacale e (pur essendo fi<strong>gli</strong>a di uno dei magis<strong>tra</strong>ti più preparati del<br />

distretto di Roma) telefona insistentemente a Pacifico per farsi consi<strong>gli</strong>are libri di testo;<br />

- è amica sia di Clara Pacifico, sia di Valerla Acampora le quali, a quanto si è capito, hanno età ben<br />

differenti dalla sua;<br />

- frequenta pressoché quotidianamente lo studio legale di Fioravante Carletti;<br />

- collabora alla campagna elettorale di Cesare Previti mentre sta lavorando alla tesi di laurea<br />

(frequentando lo studio Acampora) e mentre è in attesa di un fi<strong>gli</strong>o;<br />

- infine - hanno avuto l'ardire di sostenere i difensori dell'imputato - coltiva una relazione amorosa con<br />

Attilio Pacifico, cosa che spinge il padre Vittorio a telefonare al coimputato per invitarlo a desistere.<br />

Non si può seriamente chiedere ad un Tribunale di credere che le cose siano andate veramente così:<br />

innanzitutto, le difese si sono ben guardate dall'articolare mezzi di prova su queste circostanze, per esempio<br />

sull'amicizia di Sabrina Metta con le fi<strong>gli</strong>e dei co<strong>imputati</strong>; secondo, lo stesso Metta con<strong>tra</strong>ddice Acampora<br />

quando non parla della preparazione della tesi di laurea ma, anzi, precisa che Sabrina non andò mai a fare<br />

pratica presso il coimputato; né, peraltro, la ricorda Gianluca Santilli (ud. 23 febbraio 2002), per anni<br />

collaboratore dello studio. La verità è che <strong>gli</strong> unici agganci probatori alla fi<strong>gli</strong>a di Vittorio Metta si<br />

rinvengono nelle agende di Pacifico, delle quali si parlerà oltre: per il resto, nel marzo 1993 (e dunque<br />

esattamente un anno prima delle elezioni politiche del marzo 1994) Sabrina non aveva alcuna ragione di<br />

contatto con lo studio Previti e restano asserzioni meramente difensive - neppure confermate da Metta -<br />

quelle relative alla frequentazione dello studio Acampora per la tesi di laurea.<br />

In conclusione, è certamente vero che Fioravante Carletti consegnò l'apparecchio cellulare a Sabrina, ma<br />

tutti <strong>gli</strong> elementi disponibili convergono nel far ritenere che quel telefono fosse, nel periodo in questione,<br />

usato da Vittorio Metta, il solo ad avere <strong>rapporti</strong> personali certi e documentati con i tre co<strong>imputati</strong>.<br />

L'attribuzione a Metta dei contatti sopra riepilogati è importante sia perché testimonia, in generale, una<br />

intensità di <strong>rapporti</strong>, soprattutto con Pacifico e Previti, come s'è visto negata da<strong>gli</strong> interessati, sia perché<br />

documenta, at<strong>tra</strong>verso la regis<strong>tra</strong>zione di due chiamate allo studio Previti, alle ore 17.52 e alle ore 17.56,<br />

quanto avvenuto - sul versante occulto, rappresentato dai <strong>rapporti</strong> fra <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> - il 16 marzo 1993, ossia il<br />

giorno nel quale si sarebbe dovuta tenere la prima udienza, per la <strong>tra</strong>ttazione del ricorso dell'IMI avverso la<br />

sentenza estesa proprio da Metta, avanti la Corte di Cassazione presieduta da Mario Corda: ma il tema, per<br />

la sua importanza, sarà oggetto di <strong>tra</strong>ttazione separata.<br />

Possiamo ora esaminare il dato quantitativo che emerge dai tabulati:<br />

- METTA - ACAMPORA: 145 contatti dal 17 agosto 1990 al 6 maggio 1996;<br />

- METTA - PACIFICO: 140 contatti dal 23 dicembre 1991 al 23 dicembre 1995;<br />

- METTA - PREVITI: 131 contatti dal 24 aprile 1992 al 22 maggio 1996;


- SQUILLANTE - PACIFICO: 248 contatti dal 10 novembre 1990 al 13 marzo 1996;<br />

- SQUILLANTE - PREVITI: 63 contatti dal 26 gennaio 1991 al 31 dicembre 1995;<br />

- SQUILLANTE - ROVELLI: 24 contatti dal 24 lu<strong>gli</strong>o 1991 al 24 marzo 1993;<br />

- SQUILLANTE - ARE (in uso a Felice. Rovelli): 2 contatti dal 11 febbraio 1992 al 12 febbraio 1992;<br />

- PACIFICO - ROVELLI: 36 contatti dal 30 maggio 1991 al 23 marzo 1993;<br />

- PACIFICO - ARE (in uso a Felice Rovelli): 5 contatti dal 11 febbraio 1992 al 12 febbraio 1992;<br />

- PACIFICO - PREVITI: 192 contatti dal 28 dicembre 1990 al 23 febbraio 1996;<br />

- PACIFICO - ACAMPORA: 83 contatti dal 24 dicembre 1990 al 28 marzo 1996;<br />

- PREVITI - ROVELLI: 4 contatti dal 22 marzo 1993 al 24 marzo 1993;<br />

- PREVITI - ACAMPORA: 98 contatti dal 6 lu<strong>gli</strong>o 1990 al 27 ottobre 1995;<br />

- ACAMPORA - ROVELLI: 3 contatti dal 7 giugno 1991 al 17 febbraio 1992;<br />

- ACAMPORA - ARE (in uso a Felice Rovelli): 1 contatto il 12 febbraio 1992.<br />

Il Tribunale esordisce con l'osservare come il mero riepilogo di questi imponenti dati porti già ad una totale<br />

confutazione delle dichiarazioni di Metta, che ha ammesso <strong>rapporti</strong> confidenziali con il solo Acampora,<br />

mentre li ha assolutamente esclusi con Pacifico e, per Previti, li ha collocati in epoca successiva alle sue<br />

dimissioni dalla magis<strong>tra</strong>tura, intervenute nel 1994.<br />

I tabulati, invece, regis<strong>tra</strong>no chiamate (sempre provenienti da Cesare Previti) verso l'abitazione di Metta o<br />

della suocera, ove e<strong>gli</strong> solitamente lavorava, a decorrere dal 24 aprile 1992, data di pochi giorni successiva<br />

alla stipula del con<strong>tra</strong>tto preliminare di compravendita di un appartamento pagato da Metta con centinaia di<br />

milioni in contanti spuntati da nulla. Ed i contatti de quibus hanno caratteristiche di tempo e di luogo che<br />

denotano una già acquisita e sperimentata confidenza fra <strong>gli</strong> interlocutori: intanto, Previti è a conoscenza<br />

dell'utenza telefonica della abitazione della suocera di Metta, e conseguentemente ne conosce l'abitudine di<br />

lavorare in quel luogo. Inoltre, parecchie chiamate vengono effettuate da Previti in giorni festivi o<br />

semifestivi (ad esempio, guardando solo le prime annotazioni, il 7 giugno 1992, domenica; il 23 agosto<br />

1992, domenica; il 20 giugno 1992 e il 10 aprile 1993, sabato); di primo mattino (il 6 giugno 1992, alle ore<br />

7.31, a casa; il 20 giugno 1992, domenica, alle ore 7.58, a casa) o a sera inol<strong>tra</strong>ta (il 24 aprile 1992, venerdì<br />

prefestivo alle ore 20.42; il 15 maggio 1992, ancora venerdì, alle ore 20.35; il 24 lu<strong>gli</strong>o 1992, sempre<br />

venerdì, alle ore 22.38, alle ore 22.54 e alle ore 22.55).<br />

Tutte chiamate - queste ed altre ancora, comprese quelle in partenza dal cellulare intestato a Fioravante<br />

Carletti - in un periodo nel quale sia Metta che Previti negano di avere in<strong>tra</strong>ttenuto alcun tipo di rapporto.<br />

Nel corso del già citato interrogatorio, a fronte delle richiamate dichiarazioni circa l'epoca dei <strong>rapporti</strong>, il<br />

Pubblico Ministero faceva presente all'imputato Metta il tenore delle citate risultanze; questa la sconcertante<br />

(ma forse necessitata) risposta: "Prendo atto di questi contatti, non riesco assolutamente a ricordarmi per<br />

quale motivo Cesare Previti mi abbia chiamato anche ne<strong>gli</strong> anni 1992 - 1993. Risulta anche che<br />

effettivamente l'avvocato Previti conoscesse anche l'utenza di mia suocera, non so assolutamente<br />

spiegarmelo".<br />

In dibattimento, Vittorio Metta non ha ritenuto - esercitando un suo diritto, beninteso - di sottoporsi<br />

all'esame richiesto dal Pubblico Ministero, e si è dunque sot<strong>tra</strong>tto al con<strong>tra</strong>ddittorio su queste ed altre<br />

circostanze; né, durante le sue dichiarazioni spontanee (cfr. udienza 7 ottobre 2002) nelle quali ha<br />

diffusamente parlato di sé, della propria carriera, rivendicando l'orgo<strong>gli</strong>o per come ha, per oltre trent'anni,<br />

esercitato le funzioni giudiziarie e difendendo, nel merito delle soluzioni giuridiche le sentenze incriminate,<br />

ha reputato utile tornare sui punti qualificanti della impostazione accusatoria nei suoi confronti. Non ha<br />

parlato, dunque, della origine delle somme contanti depositate sui suoi conti ne<strong>gli</strong> anni in cui <strong>tra</strong>ttava - quale<br />

consi<strong>gli</strong>ere istruttore e relatore - le cause de quibus; non ha spiegato i motivi per cui e<strong>gli</strong> - proclamatosi<br />

schivo e riservato, es<strong>tra</strong>neo a consuetudini di cene, pranzi e barche - era in stretti <strong>rapporti</strong> con i tre avvocati<br />

che hanno occultamente percepito - ed altrettanto occultamente gestito - denari provenienti dalle due parti<br />

private risultate vincitrici nelle controversie.<br />

L'ex giudice ha mentito altresì - e clamorosamente - per quanto concerne il rapporto con l'avvocato Pacifico,<br />

attribuendo alla propria fi<strong>gli</strong>a tutti i contatti telefonici documentati. La prova della menzogna è data dal<br />

contenuto delle agende e dei bloc- notes rinvenuti e seques<strong>tra</strong>ti presso lo studio del coimputato (cfr. in<br />

faldone 21 atti dibattimento; un riepilogo di tutte le annotazioni relative a Sabrina e Vittorio Metta è allegato<br />

all'interrogatorio dell'imputato Metta): dal 19 ottobre 1992 al 10 gennaio 1995 si rilevano le seguenti<br />

annotazioni:


- 38 annotazioni inequivocabilmente riferite all'imputato, del tipo "Consi<strong>gli</strong>ere Metta" o "Consigl. Metta",<br />

"Dott. Metta" o "V. Metta";<br />

- 47 annotazioni inequivocabilmente riferite alla fi<strong>gli</strong>a: "Sabrina Metta";<br />

- 11 annotazioni non riferibili con certezza, in quanto recanti solo il cognome: "Metta".<br />

Con il che è già smentita la tesi difensiva, in quanto il dubbio <strong>tra</strong> padre e fi<strong>gli</strong>a permane con esclusivo<br />

riferimento alle ultime annotazioni citate, mentre le segretarie (che evidentemente conoscevano en<strong>tra</strong>mbi)<br />

avevano quasi sempre cura di redigere appunti che non lasciassero dubbi in ordine a chi aveva chiamato.<br />

Ancora, Vittorio Metta ha negato di essere mai stato nello studio del coimputato; con tutta la buona volontà,<br />

il Tribunale non riesce però a dare un diverso significato alla annotazione che si rinviene alla data del 25<br />

novembre 1993: "Consi<strong>gli</strong>ere Metta = può venire l'avv. aspetta".<br />

A conferma e conforto delle conclusioni raggiunte in ordine all'attribuzione delle chiamate in partenza dal<br />

cellulare intestato a Carletti, non si può fare a meno di osservare come, alla data del 16 marzo 1993, ore<br />

12.00, compaia una annotazione relativa ad una chiamata di Vittorio Metta. Nel pomeriggio dello stesso<br />

giorno, alle ore 17.52 e alle ore 17.56, dal citato apparecchio partono altre due chiamate dirette allo studio di<br />

Cesare Previti; come dire che, a distanza di poche ore (e non in un giorno qualsiasi, come si vedrà<br />

analizzando l'episodio "Corda") Vittorio Metta si è messo in contatto sia con Pacifico che con Previti.<br />

Insomma, i <strong>rapporti</strong> con Pacifico c'erano, ed erano intensi e continui, oltre che, in qualche occasione,<br />

coordinati ai contatti con <strong>gli</strong> altri avvocati, ma Metta li ha negati, inducendo i difensori del coimputato ad<br />

attribuirli - non potendo più reggere, per quanto sopra detto, la tesi che i contatti riguardassero la sola<br />

Sabrina - al sentimento di un padre preoccupato, o arrabbiato perché la propria fi<strong>gli</strong>a ha una relazione<br />

sentimentale con un uomo assai più avanti ne<strong>gli</strong> anni. Comunque, sostengono i difensori, non sono provati<br />

contatti antecedenti al 23 dicembre 1991, data della prima annotazione sul tabulato Metta - Pacifico; per la<br />

verità, osserva il Tribunale che non è proprio così, in quanto è lo stesso Metta, nel proprio interrogatorio, a<br />

parlare di una telefonata che Pacifico <strong>gli</strong> fece in occasione della morte della madre, avvenuta il 2 agosto<br />

1991; forse, <strong>gli</strong> aveva inviato anche un telegramma. Ed è fin troppo facile osservare che non si telefona ad<br />

una persona per le condo<strong>gli</strong>anze se già quella persona non si conosce e quindi, seguendo la versione di<br />

Metta, la conoscenza con Attilio Pacifico daterebbe in epoca certamente precedente all'agosto del 1991 (va<br />

qui rammentato quanto sopra detto in merito alla testimonianza Latella).<br />

L'unico dei tre intermediari che Metta non ha tentato di allontanare da sé è Giovanni Acampora, con il quale<br />

in<strong>tra</strong>ttiene il rapporto più antico e più confidenziale ("ci sentivamo spesso, anche la domenica...", e forse<br />

avrebbe dovuto dirlo anche per Cesare Previti), ma neppure con riferimento a lui Metta ha detto il vero,<br />

quando ha tenuto a precisare come non vi fossero commistioni professionali nella loro amicizia ("lui non<br />

sapeva quello che facevo io, io non sapevo quello che faceva lui...").<br />

E' a<strong>gli</strong> atti, per es<strong>tra</strong>tto (cfr. fo<strong>gli</strong>o 630806, in faldone 21 IMI - SIR) la copia di una sentenza della Corte<br />

d'Appello di Roma, Sezione Prima Civile (Presidente Giuseppe Morsillo. Consi<strong>gli</strong>ere relatore Vittorio<br />

Metta, Consi<strong>gli</strong>ere Giovanni Paolini), depositata il 16 dicembre 1991. Si <strong>tra</strong>ttava della opposizione al<br />

fallimento della società di fatto di Gaetano Caltagirone e Francesco Bellavista Caltagirone, che nel<br />

procedimento erano difesi da<strong>gli</strong> avvocati Previti e Acampora.<br />

Ma vi è di più: quale componente della allora Sezione Istruttoria della Corte d'Appello di Roma, Metta ebbe<br />

a far parte del collegio giudicante che <strong>tra</strong>ttò un procedimento penale proprio contro Giovanni Acampora; si<br />

procedeva in relazione ad una violazione valutaria, proprio in quel periodo oggetto di depenalizzazione. La<br />

difesa ha fatto osservare come si <strong>tra</strong>ttasse di una decisione "de plano", in relazione alla quale, quindi, Metta<br />

non si era posto il problema di una eventuale incompatibilità al giudizio determinata dal suoi <strong>rapporti</strong> di<br />

amicizia con l'imputato. Ciò è in as<strong>tra</strong>tto forse vero, ma non è ciò che è avvenuto nel caso di specie, laddove<br />

si <strong>tra</strong>ttava dell'impugnazione del Pubblico Ministero avverso la decisione con la quale il Giudice Istruttore<br />

aveva prosciolto Acampora con la formula "il fatto non sussiste". L'accusa chiedeva invece che venisse<br />

semplicemente applicata la depenalizzazione e la differenza non era di poco conto: come ognuno può<br />

intendere, la formula "perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato" determina la <strong>tra</strong>smissione<br />

de<strong>gli</strong> atti alla autorità amminis<strong>tra</strong>tiva per l'applicazione della relativa sanzione; diversamente, dichiarando<br />

che il fatto non sussiste, il procedimento non può proseguire avanti l'autorità amminis<strong>tra</strong>tiva.<br />

Il collegio giudicante, del quale faceva parte Vittorio Metta, confermò il proscio<strong>gli</strong>mento di Giovanni<br />

Acampora con quest'ultima formula.<br />

Il dibattimento ha infine messo in luce un ulteriore versante - sia pur con riferimento ad un periodo<br />

successivo a quello in cui si sono verifìcati i fatti per i quali si procede - de<strong>gli</strong> strettissimi e "fìduciari"<br />

<strong>rapporti</strong> che legano Metta ad Acampora: si <strong>tra</strong>tta di una questione sulla quale l'ex magis<strong>tra</strong>to si è rifiutato di


ispondere, ma della quale ha ampiamente parlato il teste Charles Poncet. Esaminato alle udienze del 12<br />

marzo 2001 e 23 febbraio 2002, il teste, avvocato in Ginevra e fiduciario di Orlando Falco (magis<strong>tra</strong>to<br />

romano in pensione al quale Vittorio Metta era molto legato), ha così descritto i fatti:<br />

- dopo la morte di Orlando Falco - avvenuta nell'agosto del 1994 - ed a causa dei problemi insorti circa la<br />

successione nel suo ingente patrimonio estero, aveva avuto un paio di incontri in Ginevra, con Vittorio<br />

Metta e Carlo Sanvitale, eredi, e l'avvocato Acampora;<br />

- I due eredi si erano accordati per dividere a metà l'asse ereditario, nonostante il de cuius avesse dato<br />

differenti disposizioni testamentarie;<br />

- Poncet, dato che non si rispettavano le volontà del defunto, aveva preteso che <strong>gli</strong> accordi venissero<br />

messi per iscritto;<br />

- L'anno successivo, ossia nel 1995, ricevette istruzioni di <strong>tra</strong>sferire i patrimoni (che giacevano sui conti<br />

denominati “Valfolio” e “Bromgest”) ad altre banche, sempre nella Confederazione elvetica;<br />

- "...si poneva il problema dell'avente diritto economico...i conti della Valfolio e della Bromgest avevano<br />

come avente diritto economico, cioè come proprietario, dichiarato naturalmente, Orlando Falco...in<br />

Svizzera, dal 1991 è applicabile la cosiddetta formula A, cioè quando viene aperto un conto a nome di<br />

società off-shore... bisogna dare alla banca una dichiarazione nella quale si dice l'avente diritto<br />

economico, l'azionista, il proprietario vero è il signor Tal dei Tali. E questo naturalmente era stato<br />

fatto. Ora, morto Orlando Falco, diviso il patrimonio, bisognava rettificare, fare una dichiarazione<br />

rettificativa o una nuova dichiarazione indicando i nuovi beneficiari di Bromgest e Valfolio e c'era una<br />

certa reticenza a farlo";<br />

- "mi fu chiesto se potevo mantenere i conti nuovi senza dichiarare <strong>gli</strong> aventi diritti economici o<br />

arrangiando un avente diritto economico fiduciario, diciamo una cosa che sia il banchiere che io ci<br />

siamo naturalmente rifiutati di fare perché <strong>tra</strong> l'altro è un reato...";<br />

- <strong>gli</strong> avevano quindi dato istruzioni di <strong>tra</strong>sferire i patrimoni ed erano stati chiusi sia il conto Bromgest che<br />

il conto Valfolio; Poncet era stato poi sollevato dall'incarico. Come già si accennava, un rapporto di<br />

estrema fiducia per questioni di grande riservatezza, oltre che chiaramente illecite, ma <strong>tra</strong>mite il quale<br />

Vittorio Metta ha defìnitivamente occultato il suo ingente patrimonio ereditato all'estero; un rapporto<br />

che, come si vedrà allorquando verranno <strong>tra</strong>ttati i movimenti finanziari della causa Mondadori, ben può<br />

avere riguardato anche la detenzione, da parte di Acampora nel 1991 - ossia allorquando Metta, a quanto<br />

è dato sapere, non era ancora titolare di conti correnti in Svizzera - di somme di denaro di pertinenza di<br />

un amico giudice, da far rien<strong>tra</strong>re, all'occorrenza, at<strong>tra</strong>verso i noti e sperimentati canali di Previti e<br />

Pacifico.<br />

Passando alla figura del secondo dei giudici coinvolti nelle manovre occulte intorno alla causa IMI-SIR (per<br />

il terzo, Filippo Verde, il Tribunale ha già esposto le ragioni per le quali non ritiene raggiunta la prova della<br />

penale responsabilità) il Tribunale osserva come nei confronti di Renato Squillante vi sia la prova, diretta e<br />

granitica, di un intervento, per così dire "a piedi uniti", nella fase del giudizio svoltasi avanti la Corte di<br />

Cassazione nel 1991, allorquando, per conto di Felice Rovelli e at<strong>tra</strong>verso Francesco Berlinguer, fu esperito<br />

un tentativo di avvicinamento di un giudice componente il collegio, Simonetta Sotgiu.<br />

Dopo che si sono esposte le prove in base alle quali si ritengono provate pesanti interferenze, attribuibili a<strong>gli</strong><br />

<strong>imputati</strong>, sulla elaborazione della Consulenza tecnica d'ufficio disposta dal Tribunale nel primo grado di<br />

giudizio sul quantum debeatur; sulla composizione del Collegio giudicante che ebbe a definire quella fase,<br />

con la "estromissione" del presidente del Tribunale di Roma, Carlo Minniti; sulla corretta formazione della<br />

volontà del Collegio giudicante della Prima Sezione Civile della Corte d'Appello, del quale faceva parte<br />

Vittorio Metta, l'episodio del quale è stato protagonista Renato Squillante (che sarà <strong>tra</strong> breve analiticamente<br />

<strong>tra</strong>ttato) documenta il proseguire, attribuibile allo stesso gruppo di <strong>imputati</strong>, delle manovre occulte tendenti<br />

ad alterare, sempre in favore di parte Rovelli, l'iter giudiziario della causa.<br />

Ciò che si dirà in ordine al ruolo svolto nell'occorso da Squillante basta (ed avanza) in termini di sua<br />

responsabilità penale per il delitto di corruzione, ove si consideri che risultano accertati <strong>tra</strong>sferimenti diretti<br />

di danaro provenienti dai conti della fami<strong>gli</strong>a Rovelli (per il <strong>tra</strong>mite di Pacifico) nell'estate del 1991, seguiti<br />

da un più sostanzioso "saldo", all'atto della distribuzione delle ingenti somme bonificate dai vincitori della<br />

causa, allorquando l'IMI diede esecuzione alla condanna pronunciata dalla Corte d'Appello di Roma.<br />

Eppure, è opinione del Tribunale che <strong>gli</strong> elementi raccolti nel dibattimento dicano di più - molto di più -<br />

sulla figura di questo magis<strong>tra</strong>to, la cui gravissima condotta, accertata at<strong>tra</strong>verso la sofferta testimonianza di<br />

Francesco Berlinguer, non è il frutto di una determinazione isolata, estemporanea od occasionale, legata alla


contingenza di un momento, ovvero al risalente rapporto - come ammesso dallo stesso imputato - che lo<br />

legava al defunto Rovelli e poi al di lui fi<strong>gli</strong>o.<br />

Niente di tutto questo: Squillante era un magis<strong>tra</strong>to assai stimato, assai conosciuto, dotato di influenti ed<br />

altolocate conoscenze nel mondo politico ed imprenditoriale romano: uno che, all'occorrenza, poteva<br />

arrivare - pur non conoscendolo personalmente - ad un giudice della Cassazione coma la dottoressa Sotgiu,<br />

che, provenendo dalla Sardegna, era es<strong>tra</strong>nea a<strong>gli</strong> ambienti della Capitale; uno la cui "disponibilità a tirare<br />

fuori un interessamento" (per usare le parole di Cesare Previti) era evidentemente fatto noto, se non notorio,<br />

come dimos<strong>tra</strong>to dal colloquio fra tale Michele Morici (persona che aveva problemi con una causa civile in<br />

materia di lavoro) ed Attilio Pacifico, nel racconto offertone da quest'ultimo (cfr. infra).<br />

E non a caso Morici ne parla con Pacifico: tutte le emergenze documentali dimos<strong>tra</strong>no continui ed incessanti<br />

contatti <strong>tra</strong> Pacifico e Squillante, rilevabili sia dai tabulati telefonici, sia dalle annotazioni sulle agende ed i<br />

bloc - notes: solo dai tabulati se ne contano ben 248 dal 1990 al 1996, e dalle regis<strong>tra</strong>zioni, come s'è detto,<br />

sono esclusi, fino a tutto il 1995, i contatti fra utenze fisse. Come dicono le carte bancarie <strong>tra</strong>smesse per rogatoria.<br />

Squillante è un magis<strong>tra</strong>to miliardario, e tale consistenza patrimoniale - certamente non usuale per<br />

un appartenente all'Ordine Giudiziario - è stata giustificata al Tribunale in modo maldestro e non<br />

documentato (si è <strong>tra</strong>ttato di lauti guadagni in operazioni di borsa effettuate allorquando era componente<br />

della CONSOB? Sono i risparmi dei parenti della mo<strong>gli</strong>e, gestiti in modo confuso e indistinto?).<br />

Comunque, poiché il Tribunale giudica su di uno specifico fatto, qui importa sottolineare ciò che<br />

l'interessato stesso ha ammesso, ossia che si avvaleva abitualmente della collaborazione dell'amico Pacifico,<br />

allorquando doveva compiere operazioni (illecite, peraltro) di esportazione od importazione di capitali<br />

all'estero o dall'estero.<br />

Dunque, un magis<strong>tra</strong>to in servizio presso la sede giudiziaria romana (anzi, il capo di un ufficio giudiziario<br />

romano), come <strong>gli</strong> stessi interessati ammettono, si è per anni appoggiato ad un legale del foro di Roma per<br />

compiere riservate ed anzi illecite operazioni bancarie all'estero, laddove occultava un ingente patrimonio.<br />

Del resto, la disponibilità di Pacifico al compimento di tali operazioni era assai nota nell'ambiente<br />

giudiziario della capitale: vi è in atti la prova - e <strong>gli</strong> stessi interessati lo hanno ammesso - che l'imputato<br />

svolgesse analoghe attività anche per conto di Filippo Verde, Paolo Zucchini e Antonino Vinci, tutti<br />

magis<strong>tra</strong>ti all'epoca in servizio a Roma.<br />

Se si valutano queste emergenze, allora l'orizzonte dei vincoli riservati ed occulti fra <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> è destinato<br />

ad ampliarsi, passando dalla loro unione d'azione e d'intenti verso la turbativa di una singola causa civile,<br />

alla esistenza di una ben più stabile - e quantomeno non commendevole - rete di <strong>rapporti</strong> fra alcuni<br />

magis<strong>tra</strong>ti ed alcuni avvocati in Roma, legati da operazioni finanziarie all'estero le quali, per loro natura (ed<br />

indipendentemente dalla liceità o meno della provenienza del danaro movimentato) erano destinate a<br />

rimanere segrete.<br />

Sono ancora i documenti (prima delle parole di una testimone) a far en<strong>tra</strong>re in questo panorama, in tutta la<br />

sua importanza, la figura di Cesare Previti: sono provati, nei termini ricordati, suoi contatti con Vittorio<br />

Metta - ossia con il giudice che <strong>tra</strong>ttò en<strong>tra</strong>mbe le cause de quibus - in epoca di gran lunga precedente alle<br />

dimissioni di quest'ultimo dall'Ordine Giudiziario; sono documentati (in numero di 63 dal 1991 al 1995)<br />

contatti telefonici con Squillante - ossia con il giudice che tentò l'avvicinamento di un consi<strong>gli</strong>ere della Corte<br />

di Cassazione - dei quali uno collocato la sera del 29 gennaio 1992, proprio nella data in cui il giudice<br />

oggetto di quel tentativo aveva partecipato all'udienza dibattimentale; infine (e ciò chiude il cerchio<br />

probatorio contro Previti in ordine al suo coinvolgimento in quell'episodio che più oltre si approfondirà)<br />

mentre si attendeva di conoscere le determinazioni dei Supremi Giudici (in particolare il 5 febbraio 1992,<br />

alle ore 17.48) si regis<strong>tra</strong> un contatto <strong>tra</strong> l'imputato e Francesco Berlinguer in persona, mai spiegato da<strong>gli</strong><br />

interessati, che hanno fìnanco negato di conoscersi.<br />

Andando con ordine, e partendo da<strong>gli</strong> albori della telefonia cellulare, quando <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> erano <strong>tra</strong> i non<br />

molti possessori nei nuovi apparecchi, si scopre che le linee erano assai calde nei giorni a cavallo <strong>tra</strong> la fine<br />

del 1990 e l'inizio del 1991:<br />

- 28 dicembre 1990 ore 9.08 e 9.09 Pacifico chiama Previti;<br />

- 28 dicembre 1990 ore 10.02 Pacifico chiama Squillante in ufficio;<br />

- 28 dicembre 1990 ore 15,17 Pacifico chiama Squillante a casa;<br />

- 28 dicembre 1990 ore 16.54 Pacifico chiama Acampora;<br />

II giorno 28 dicembre 1990 Nino Rovelli venne sottoposto ad intervento chirurgico in quel di Zurigo; a detta<br />

di Attilio Pacifico, quel giorno, verso le 16, l'imprenditore lo aveva chiamato a Cortina per informarlo che,


nel caso <strong>gli</strong> fosse accaduto qualcosa di grave, la mo<strong>gli</strong>e Primarosa era informata sui loro <strong>rapporti</strong> di debito -<br />

credito.<br />

Lo stesso giorno, si rincorrono le chiamate fra i tre intermediari e uno dei due giudici "interessati" alla causa<br />

di Nino Rovelli.<br />

Così si prosegue:<br />

- 30 dicembre 1990, ore 19.53, Pacifico chiama Squillante. E' il giorno della morte di Nino Rovelli.<br />

- 2 gennaio 1991, ore 17,15 Previti chiama Acampora;<br />

- 3 gennaio 1991 ore 12,16 Pacifico chiama Squillante in ufficio;<br />

- 3 gennaio 1991 ore 13,57 Pacifico chiama Previti;<br />

- 3 gennaio 1991 ore 14,21 Pacifico chiama Squillante a casa.<br />

Nel giorno della morte del debitore ed in quelli immediatamente successivi (si noti che il ricorso per<br />

cassazione dell'IMI avverso la sentenza della Corte d'Appello era stato notificato proprio il 3 gennaio)<br />

intermediar! e giudice si sentono ancora, tutti.<br />

Ora, si potrà dire che il giro di telefonate era per farsi <strong>gli</strong> auguri di Capodanno (ma le chiamate paiono<br />

complessivamente troppe, subito prima e subito dopo il 1° gennaio), però il dato nella sua assoluta<br />

significatività, resta, e ci permette, ancora una volta, di vedere i tre intermediari plasticamente insieme, così<br />

come li descrivono Felice Rovelli e Battistella Primarosa, accomunati da crediti plurimiliardari nei confronti<br />

del defunto, che vengono contestualmente fatti valere, che verranno contestualmente pagati, e che avevano -<br />

aggiunge il Tribunale - la medesima causa illecita: il mercimonio della procedimento civile IMI-SIR.<br />

Insieme a loro, Renato Squillante.<br />

Proseguendo la cronologia della causa, nel gennaio - febbraio 1992 si regis<strong>tra</strong> il tentativo di avvicinamento<br />

al quale si accennava, oggetto di separata <strong>tra</strong>ttazione, alla quale si rimanda: e Previti è sempre presente,<br />

come è presente nelle comunicazione fra i correi in altre giornate "calde", allorquando si attendevano <strong>gli</strong><br />

esiti delle manovre poste in essere dietro le quinte nel marzo 1993, ossia nel periodo in cui era pervenuto in<br />

Corte di cassazione l'esposto anonimo che indusse il Presidente Corda all'astensione:<br />

- 9 marzo 1993 (data del timbro postale di spedizione sulla busta dell'anonimo): sull'agenda di Pacifico<br />

compare la seguente annotazione: "9.50 Previti (quella operazione che doveva fare l'ha fatta stamattina<br />

ed è abbastanza urgente)";<br />

- nella stessa mattinata (ore 10.30 ed ore 12.15) sono annotate chiamate di Acampora a Pacifico;<br />

- il giorno successivo vi è un contatto telefonico <strong>tra</strong> Previti e Metta, seguito, a distanza di pochi minuti, da<br />

un contatto <strong>tra</strong> il primo e Squillante;<br />

- queste le risultanze dei tabulati per il giorno 16 marzo (data fissata per la camera di consi<strong>gli</strong>o in<br />

Cassazione, poi rinviata proprio per l'arrivo dell'anonimo): un contatto <strong>tra</strong> Pacifico e Squillante; due<br />

contatti <strong>tra</strong> Metta e Previti; cinque contatti <strong>tra</strong> Previti e Pacifico;<br />

- sull'agenda, nella stessa giornata, abbiamo: tre annotazioni per Metta ed una per Previti;<br />

- il 19 marzo 1993 (giorno successivo all'astensione di Corda, accolta da Brancaccio): un contatto <strong>tra</strong><br />

Previti e Squillante; due contatti <strong>tra</strong> Pacifico e Squillante; una annotazione sull'agenda per Acampora,<br />

una per Previti ed una per Felice Rovelli.<br />

Anche l'episodio de quo è oggetto di specifica <strong>tra</strong>ttazione, alla quale si rimanda comunque. Sempre<br />

seguendo l'ordine cronologico, vi è un'al<strong>tra</strong> data nella quale i contatti si intensificano e coinvolgono tutti <strong>gli</strong><br />

<strong>imputati</strong>: s'è già visto come, dopo che la Corte di Cassazione aveva celebrato l'udienza in data 27 maggio<br />

1993, ma prima del de-posito e della pubblicazione della decisione sul ricorso dell'IMI, fosse pervenuto un<br />

ennesimo anonimo (timbro postale 31 maggio 1993, regis<strong>tra</strong>zione a protocollo della Suprema Corte il 1°<br />

giugno 1993) che recava in allegato, l'originale, mutilato in alcune parti, della procura speciale dell'IMI ai<br />

suoi difensori; il Presidente aveva convocato la Corte in data 8 giugno, ed il Collegio, con decisione dello<br />

stesso 8 giugno, depositata il giorno successivo, aveva deliberato una convocazione ex<strong>tra</strong> ordinem delle<br />

parti, onde informarle della sopravvenienza. Il 9 giugno 1993 partono dunque i "bi<strong>gli</strong>etti di cancelleria" per<br />

la convocazione delle parti in Camera di consi<strong>gli</strong>o, per il giorno 8 lu<strong>gli</strong>o 1993.<br />

Il giorno 10 giugno si regis<strong>tra</strong>no frenetici contatti fra <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>, così documentati, in ordine cronologico:<br />

- ore 11,09 Pacifico chiama Metta;


- ore 11,20 sull'agenda Pacifico vi è l'annotazione "Renato";<br />

- ore 11,45 sull'agenda vi è l'annotazione "Previti";<br />

- ore 12,15, sempre sull'agenda: "Meccariello: se può passare o può chiamare nel pomeriggio è in ufficio"<br />

(<strong>tra</strong>ttasi di dipendente amminis<strong>tra</strong>tivo della Suprema Corte);<br />

- ore 12,41 Pacifico chiama Metta;<br />

- ore 12,57 Pacifico chiama Squillante;<br />

- sull'agenda vi è l'annotazione "Messaggio = Renato (da richiamare);<br />

- ore 16,48 Pacifico chiama Squillante;<br />

- ore 16,58 Pacifico chiama Squillante.<br />

A conferma della "delicatezza" di questi giorni, una eloquente annotazione sull'agenda di Pacifico il 24<br />

giugno 1993: "X Rovelli l'avv. sarà qui per le 18.30 X <strong>gli</strong> altri l'avv. è fuori"; come dire, attenzione e<br />

concen<strong>tra</strong>zione assolute sulla causa Rovelli.<br />

Come detto, la convocazione delle parti era per il giorno 8 lu<strong>gli</strong>o, e nei giorni 7, 8 e soprattutto 9 lu<strong>gli</strong>o,<br />

ancora, si intensificano le comunicazioni fra <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>:<br />

- il 7 lu<strong>gli</strong>o, ore 12.44 Pacifico chiama Metta,<br />

- il 7 lu<strong>gli</strong>o, ore 15.54 Previti chiama Pacifico;<br />

- sempre il 7 lu<strong>gli</strong>o, ore 16.40 Pacifico chiama Squillante;<br />

- il giorno 8 lu<strong>gli</strong>o, sull'agenda: "Consi<strong>gli</strong>ere Metta (richiamerà lui)";<br />

- ancora sull'agenda dell'8 lu<strong>gli</strong>o: "12.15 Meccariello";<br />

- 8 lu<strong>gli</strong>o, ore 16.11 Pacifico chiama Squillante;<br />

- 8 lu<strong>gli</strong>o, ore 17.52 Pacifico chiama Squillante;<br />

- sull'agenda del 9 lu<strong>gli</strong>o: "12.35 Consi<strong>gli</strong>ere Metta (in studio)";<br />

- 9 lu<strong>gli</strong>o ore 12.55 Pacifico richiama Metta a casa della suocera (ossia in studio);<br />

- 9 lu<strong>gli</strong>o sull'agenda: "16.35 Renato (far chiamare dall'avv.)";<br />

- agenda del 9 lu<strong>gli</strong>o: "18.05 Renato" - 9 lu<strong>gli</strong>o ore 18.10 il tabulato regis<strong>tra</strong> due chiamate da Pacifico a<br />

Squillante in rapida successione, a confutazione di ogni possibile dubbio sulla identificazione del Renato<br />

di cui sopra; - ancora agenda 9 lu<strong>gli</strong>o: "18.10 Rovelli " e di seguito: "X Renato - Rovelli numero<br />

macchina e albergo", laddove appare evidente come Pacifico sia stato il <strong>tra</strong>mite <strong>tra</strong> Squillante e Rovelli<br />

per chiarire al primo la reperibilità del secondo.<br />

Sempre <strong>gli</strong> intermediari, sempre i due giudici.<br />

Seguono, infine, ulteriori contatti <strong>tra</strong> <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> nei giorni immediatamente precedenti e successivi alla<br />

pubblicazione della tanto attesa (e mai come in questo caso l'espres-ìsione pare adeguata) sentenza con la<br />

quale la Corte di Cassazione dichiarava l'improcedibilità del ricorso dell'Istituto Mobiliare Italiano (14<br />

Lu<strong>gli</strong>o 1993).<br />

Torniamo un attimo al rapporto Previti - Squillante: come si diceva, en<strong>tra</strong>mbi, ammettendo la loro amicizia e<br />

frequentazione, la legano ad un'unica comune attività, quella del gioco del calcetto: vi era un gruppo di una<br />

cinquantina di persone che, una volta o due la settimana, si riunivano per una partita, alla quale però, proprio<br />

per il folto numero di interessati, era necessario "prenotarsi". Proprio a queste "prenotazioni" e alla relativa<br />

conferma, <strong>gli</strong> interessati ascrivono tutte - ma proprio tutte - le loro conversazioni telefoniche.<br />

E' processualmente accertato, perché plurime fonti lo confermano, compresa Stefania Ariosto, che <strong>gli</strong><br />

<strong>imputati</strong> (anche Pacifico) avessero questa attività ludica in comune. La collocazione temporale delle<br />

chiamate e il loro incrocio con quelle de<strong>gli</strong> altri soggetti occultamente interessati alla causa Imi-Sir impone a<br />

chi sia dotato di normali capacità logiche (e di collegamento con <strong>gli</strong> altri elementi gravemente indizianti) di<br />

disattendere la totalizzante versione difensiva e di ricollegare a<strong>gli</strong> illeciti movimenti di perturbazione di<br />

quella causa, se non tutti i contatti documentati, certamente quelli dotati delle peculiarità che si sono<br />

indicate.<br />

Ma c'è di più, a<strong>gli</strong> atti, e, ancora una volta, <strong>gli</strong> orizzonti si debbono allargare, at<strong>tra</strong>verso <strong>gli</strong> esiti delle<br />

indagini bancarie svolte con rogatoria internazionale smentendo ancora l'asserzione difensiva secondo cui <strong>tra</strong><br />

Previti e Squillante non vi fossero altri comuni interessi od attività, a parte il calcetto.<br />

Intanto, en<strong>tra</strong>mbi, quasi contestualmente, ricevono da Pacifico la stessa somma (133 milioni di lire, pari a<br />

100 mila dollari USA del 1991) proveniente dalla prima <strong>tra</strong>nche della provvista Rovelli bonificata dal conto


“Dorian Investment”; in secondo luogo, vi è un'al<strong>tra</strong>, importantissima operazione, alla quale già si è<br />

accennato e che sarà oggetto di approfondita analisi nella parte concernente i movimenti finanziari della<br />

vicenda Mondadori. Si <strong>tra</strong>tta della operazione - oggetto di contestazione nell'ambito del connesso procedimento<br />

cosiddetto "SME - Ariosto", che si sta svolgendo avanti al<strong>tra</strong> Sezione di questo Tribunale - con la<br />

quale, il giorno 5 marzo 1991, dal conto “Mercier” di Cesare Previti, viene bonificata direttamente -<br />

proveniente dal conto “Ferrido”, del gruppo Fininvest - al conto “Rowena” di Renato Squillante, la somma<br />

di 434.404 dollari USA, pari esattamente a 500 milioni di lire.<br />

Parlando delle dichiarazioni de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> s'è già detto quali siano le giustificazioni - arzigogolate e<br />

cervellotiche - offerte al Tribunale nel tentativo di negare un rapporto economico diretto <strong>tra</strong> il legale ed il<br />

magis<strong>tra</strong>to; si è anche detto che quel movimento è oggetto di diverso dibattimento e che al Tribunale non<br />

interessa qui accertare la ragione sottesa allo stesso.<br />

Tuttavia, un dato balza a<strong>gli</strong> occhi: quel rapporto è l'esatta proiezione bancaria - <strong>tra</strong>dotta in documenti<br />

inoppugnabili - di un racconto "tridimensionale", nel quale i soggetti bancari agiscono in carne ed ossa e<br />

maneggiano materialmente banconote, invece che muoverle "virtualmente" <strong>tra</strong>mite bonifico: il racconto di<br />

Stefania Ariosto che più oltre si analizzerà.<br />

E sempre parlando di orizzonti che si ampliano, mette conto ricordare un'al<strong>tra</strong> operazione (anch'essa oggetto<br />

di dibattimento altrove pendente) che presenta marcatissime analogie con la precedente, anche dal punto di<br />

vista de<strong>gli</strong> arzigogoli difensivi e che dimos<strong>tra</strong> l'esistenza di illeciti <strong>rapporti</strong> in<strong>tra</strong>ttenuti dal duo Previti-<br />

Pacifìco con magis<strong>tra</strong>ti del distretto di Roma. Rimandando, per maggiori detta<strong>gli</strong>, alla <strong>tra</strong>ttazione finanziaria<br />

Mondadori, così è sufficiente, in questa sede, esporre i fatti:<br />

- da un bonifico proveniente da “All Iberian” - via “Polifemo” - (conti riconducibili ancora alla Fininvest)<br />

giungono il 14 aprile 1991 lire 1.800.000.000 a “Mercier” di Cesare Previti;<br />

- lo stesso giorno Pacifico preannuncia l'arrivo sul proprio conto “Pavone 771” (riferimento “Oceano”) il<br />

controvalore di 500 milioni di lire; infatti. Previti da l'ordine, che viene eseguito;<br />

- Pacifico investe fiduciariamente la somma, ma, ancor prima della scadenza dell'investimento, la bonifica<br />

interamente al conto “Master 811” di Filippo Verde.<br />

Nell'apposita sede si parlerà, in detta<strong>gli</strong>o, delle giustificazioni de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>: ciò che al momento interessa è<br />

rilevare come, in ben due occasioni, somme provenienti da imprenditori siano passate per le mani di Previti<br />

e Pacifico, per finire, con collegamento bancario diretto ed inoppugnabile, nelle mani di giudici romani.<br />

Per il Tribunale è la prova che, oltre al calcetto, c'era dell'altro: in poche parole, la lobby affaristico<br />

giudiziaria descritta da Stefania Ariosto.<br />

...ANCHE IN RELAZIONE A MOMENTI PARTICOLARI...<br />

IL COSIDDETTO "EPISODIO BERLINGUER"<br />

Nell'ambito dello sviluppo della vicenda giudiziaria IMI - Rovelli, quello che il Tribunale, per comodità<br />

espositiva, individua come "episodio Berlinguer" riveste importanza cen<strong>tra</strong>le, sia se in sé considerato, sia se<br />

inquadrato nel complesso dei fatti portati alla cognizione del Collegio.<br />

In sé considerato, l'episodio ha portato alla luce, grazie alle dichiarazioni del teste Berlinguer, il significato<br />

illecito di contatti fra alcuni de<strong>gli</strong> attuali <strong>imputati</strong>, spasmodicamente protesi alla interferenza in una<br />

delicatissima fase della causa civile: quella in cui, nell'udienza in Corte di Cassazione tenutasi il 29 gennaio<br />

1992, i legali della fami<strong>gli</strong>a Rovelli, dopo avere affrontato la discussione nel merito del ricorso dell'IMI<br />

avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma (estensore Vittorio Metta) ne eccepirono in limine litis<br />

l'improcedibilità per mancato deposito della procura speciale alle liti da parte dell'IMI ai propri difensori.<br />

Come si vedrà, la narrazione di Francesco Berlinguer (che, lungi dall'essere calunniosa nei confronti de<strong>gli</strong><br />

attuali <strong>imputati</strong>, è anzi parsa a <strong>tra</strong>tti "ammorbidita" a loro vantaggio) nel descrivere in modo diretto ed<br />

immediato le manovre del neo corruttore Felice Rovelli, de<strong>gli</strong> esperti intermediari e del magis<strong>tra</strong>to<br />

Squillante, rivela la finalità dei <strong>rapporti</strong> occulti fra questi personaggi e fornisce una formidabile chiave di<br />

lettura per <strong>gli</strong> ulteriori contatti documentati (nei tabulati telefonici ovvero nelle agende) nelle fasi<br />

antecedenti e successive dello sviluppo della causa civile, segnatamente per l'intensificarsi dei medesimi in<br />

corrispondenza di momenti "importanti".<br />

Punto di partenza è il riepilogo del dato cronologico relativo al procedimento civile: come già visto nel<br />

detta<strong>gli</strong>o (cfr. capitolo Cassazione 1992 -1993) il 30 dicembre 1990 (circa un mese dopo la sentenza 27


novembre 1990, relatore Vittorio Metta) muore, per complicanze relative ad un intervento cardio-chirurgico,<br />

Nino Rovelli; il 3 gennaio 1991 era depositato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte<br />

d'appello di Roma, nella quale l'Imi era rimasto soccombente; come già detto, nell'udienza del 29 gennaio<br />

1992, i difensori di parte resistente, al termine del loro intervento, eccepirono "a sorpresa" l'improcedibilità<br />

del ricorso ai sensi dell'art.369 c.p.c., e tutte le testimonianze relative allo svolgimento di quell'udienza<br />

danno conto dello stupore (ma il termine è senz'altro eufemistico) con il quale il collegio difensivo di parte<br />

IMI accolse l'eccezione.<br />

Anche il Collegio giudicante fu colto alla sprovvista, visto che il relatore Bibolini non s'era avveduto della<br />

circostanza (cfr. dich. Bibolini, acquisite, ex art. 512 c.p.p., all'udienza del 12 marzo 2001) che il dato non<br />

emergeva dalla relazione del massimario, accuratissima sotto tutti <strong>gli</strong> altri profili (cfr. esame del teste Di<br />

Palma, all'udienza del 17 maggio 2001) e che il magis<strong>tra</strong>to addetto alla classificazione del ricorso - che era<br />

altresì membro del collegio (si <strong>tra</strong>ttava di Simonetta Sotgiu cfr, udienza 4 giugno 2001) nulla aveva rilevato<br />

in merito.<br />

Di fronte ad un dato tanto eclatante - anche in relazione alle prevedibili conseguenze - i legali di parte IMI<br />

decisero di chiedere alla Corte di ritenere non manifestamente infondata questione di legittimità<br />

costituzionale dell'art.369 c.p.c.<br />

Il collegio si era riservato la decisione, che venne assunta il giorno successivo, 30 gennaio (cfr. dep. Sotgiu);<br />

l'ordinanza con la quale venne disposta la <strong>tra</strong>smissione de<strong>gli</strong> atti alla Corte costituzionale venne depositata e<br />

pubblicata solo in data 12 febbraio 1992.<br />

Per maggiore efficacia espositiva vanno subito riepilogati, in ordine cronologico, i contatti telefonici fra <strong>gli</strong><br />

<strong>imputati</strong> nel periodo che interessa:<br />

- il 24 lu<strong>gli</strong>o 1991 ore 18.13 Rovelli chiama Squillante (pochi giorni dopo il bonifico a Squillante di 133<br />

milioni di lire della provvista Rovelli del 1991 - cfr capitolo movimen-tazioni finanziarie Imi-Sir)<br />

- il 9 gennaio 1992 ore 12.55 Rovelli chiama Squillante<br />

- il 9 gennaio 1992 ore 20.04 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 15 gennaio 1992 ore 18.13 Rovelli chiama Squillante<br />

- il 15 gennaio 1992 ore 18.36 Berlinguer chiama Squillante<br />

- il 15 gennaio 1992 ore 20.06 Pacifico chiama Acampora<br />

- il 15 gennaio 1992 ore 20.31 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 16 gennaio 1992 ore 11.51 Berlinguer chiama Squillante<br />

- il 16 gennaio 1992 ore 15.13 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 16 gennaio 1992 ore 17.43 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 17 gennaio 1992 ore 10.03 Rovelli chiama Squillante<br />

- il 17 gennaio 1002 ore 10.05 Rovelli chiama Squillante<br />

- il 17 gennaio 1992 ore 10.57 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 17 gennaio 1992 ore 10.58 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 17 gennaio 1992 ore 11.25 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 17 gennaio 1992 ore 12.17 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 21 gennaio 1992 ore 22.22 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 22 gennaio 1002 ore 8.54 Rovelli chiama Squillante<br />

- il 23 gennaio 1992 ore 22.14 Berlinguer chiama Squillante<br />

- il 25 gennaio 1992 ore 18.19 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 28 gennaio 1992 ore 10.49 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 28 gennaio 1992 ore 10.52 Rovelli chiama Squillante<br />

- il 28 gennaio 1992 ore 10.59 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 28 gennaio 1992 ore 14.31 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 28 gennaio 1992 ore 15.57 Berlinguer chiama Squillante<br />

- il 28 gennaio 1992 ore 17.01 Rovelli chiama Squillante<br />

- il 28 gennaio 1992 ore 17.34 Rovelli chiama Squillante<br />

- il 28 gennaio 1992 ore 17.35 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 28 gennaio 1992 ore 18.28 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 28 gennaio 1992 ore 19.44 Rovelli chiama Berlinguer<br />

- il 28 gennaio 1992 ore 22.51 Berlinguer chiama Squillante<br />

- il 28 gennaio 1992 ore 23.32 Berlinguer chiama Squillante<br />

- il 28 gennaio 1992 ore 23.33 Berlinguer chiama Squillante


- il 29 gennaio 1992 ore 15.12 Berlinguer chiama Squillante<br />

- il 29 gennaio 1992 ore 17.42 Pacifico chiama Squillante<br />

- il 29 gennaio 1992 ore 17.44 Pacifico chiama Acampora<br />

- il 29 gennaio 1992 ore 18.01 Pacifico chiama Squillante<br />

- il 29 gennaio 1992 ore 18.09 Previti chiama Squillante<br />

- il 29 gennaio 1992 ore 19.34 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 29 gennaio 1992 ore 22.04 Berlinguer chiama Squillante<br />

- il 30 gennaio 1992 ore 17.32 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 30 gennaio 1992 ore 18.39 Rovelli chiama Squillante<br />

- il 30 gennaio 1992 ore 18.40 Rovelli chiama Berlinguer<br />

- il 30 gennaio 1992 ore 21.57 Berlinguer chiama Rovelli<br />

- il 30 gennaio 1992 ore 21.59 Berlinguer chiama Rovelli<br />

- il 31 gennaio 1992 ore 8.26 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 31 gennaio 1992 ore 11.16 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 5 febbraio 1992 ore 16.56 Berlinguer chiama Squillante<br />

- il 5 febbraio 1992 ore 16.57 Berlinguer chiama Squillante<br />

- il 5 febbraio 1992 ore 17.48 Berlinguer chiama Previti<br />

- 1'8 febbraio 1992 ore 17.28 Acampora chiama Metta<br />

- l'8 febbraio 1992 ore 17.32 Pacifico chiama Metta –<br />

- l'8 febbraio 1992 ore 20.11 Pacifico chiama Metta<br />

- l'8 febbraio 1992 ore 20.55 Pacifico chiama Squillante<br />

- il 10 febbraio 1992 ore 20.30 Berlinguer chiama Squillante<br />

- l'11 febbraio 1992 ore 11.31 Rovelli chiama Pacifico<br />

- l'11 febbraio 1992 ore 11.40 Rovelli chiama Pacifico<br />

- l'11 febbraio 1992 ore 19.51 Rovelli chiama Squillante<br />

- l'11 febbraio 1992 ore 21.31 Berlinguer chiama Squillante<br />

- il 12 febbraio 1992 ore 8.31 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 12 febbraio 1992 ore 10.26 Rovelli chiama Acampora<br />

- il 12 febbraio 1992 ore 13.37 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 12 febbraio 1992 ore 13.48 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 12 febbraio 1992 ore 18.54 Rovelli chiama Squillante<br />

In poco più di trenta giorni, abbiamo quindi 12 contatti <strong>tra</strong> Rovelli e Squillante, 24 contatti <strong>tra</strong> Rovelli e<br />

Pacifico, un contatto <strong>tra</strong> Rovelli e Acampora; 2 contatti <strong>tra</strong> Pacifico e Squillante, altrettanti <strong>tra</strong> Pacifico ed<br />

Acampora, e <strong>tra</strong> Pacifico e Metta; infine, un contatto <strong>tra</strong> Acampora e Metta, 13 contatti <strong>tra</strong> Berlinguer e<br />

Squillante, un contatto <strong>tra</strong> Previti e Squillante e un contatto <strong>tra</strong> Berlinguer e Previti.<br />

Separatamente vanno menzionati i contatti di Berlinguer Francesco con l'utenza in uso a Simonetta Sotgiu,<br />

giudice facente parte del collegio della I Sezione della Corte di cassazione:<br />

- il 21 gennaio 1992 ore 21.31 Berlinguer chiama Sotgiu<br />

- il 28 gennaio 1992 ore 21.13 Berlinguer chiama Sotgiu<br />

- il 29 gennaio 1992 ore 20.09 Berlinguer chiama Sotgiu<br />

- il 10 febbraio 1992 ore 21.23 Berlinguer chiama Sotgiu<br />

- l'il febbraio 1992 ore 20.33 Berlinguer chiama Sotgiu<br />

Gli ultimi contatti nell'anno 1992 Berlinguer - Sotgiu si collocano il 10 e 25 marzo, poi il 20 maggio;<br />

riprenderanno solo un anno dopo, ossia il 20 maggio 1993.<br />

Gettando uno sguardo complessivo sulle risultanze dei tabulati telefonici, balza subito all'occhio<br />

l'impressionante serie di contatti - che il Tribunale non esita a definire frenetici - fra i soggetti interessati.<br />

Non sono rare le chiamate in ore notturne (dopo le ore 22) ovvero quelle di buon mattino (prima delle 9).<br />

Non può sfuggire neppure il fatto che i protagonisti effettuano chiamate a catena, in rapida successione fra<br />

loro, e che in alcune occasioni in<strong>tra</strong>ttengono contatti più volte nello stesso giorno, quando non nella stessa<br />

fascia oraria.<br />

La significatività del dato documentale è destinata ad aumentare quando si vada a riflettere sulla identità<br />

delle persone coinvolte e sui loro "legami" con la causa IMI - SIR: Rovelli è parte in causa, già vittoriosa


(con le modalità che si sono esaminate) in grado d'appello; Previti, Acampora e Pacifico sono tré avvocati<br />

che, non avendo svolto attività professionale come patrocinatori nella causa, in quel momento storico hanno<br />

già ricevuto e riceveranno, dalla fami<strong>gli</strong>a Rovelli, compensi che non si esita a definire astronomici; Metta è<br />

il giudice relatore della sentenza impugnata avanti la Corte di Cassazione dal soccombente Imi; Squillante è<br />

un noto ed importante giudice del Tribunale di Roma, amico di Francesco Berlinguer; quest'ultimo è un<br />

avvocato buon amico (ed ex compagno di liceo) di Simonetta Sotgiu; Sotgiu è uno dei giudici che<br />

compongono il collegio della Corte di Cassazione chiamato a decidere sul ricorso dell'IMI.<br />

Questo insieme di elementi - certi ed oggettivi, a prescindere dalla ovvia considerazione che l'acquisizione<br />

dei tabulati consente di conoscere il dato storico esterno del contatto telefonico e non già il suo contenuto -<br />

consentirebbe già di per sé di co<strong>gli</strong>ere, in tutta la sua pregnanza, il significato indiziario di questi <strong>rapporti</strong>,<br />

per la loro frequenza, la loro collocazione temporale e la loro evidente interdipendenza: in una parola, la loro<br />

attinenza, sul piano occulto, alla causa IMI - Rovelli. Ma, come già si anticipava, nella fattispecie il processo<br />

si è giovato del contributo testimoniale di uno dei protagonisti, l'avvocato Francesco Berlinguer, che -<br />

esaminato alle udienze del 4 maggio 2001 e del 3 giugno 2002 - ha così ricostruito i fatti.<br />

Nell'ambito della sua professione, all'epoca gestiva varie società, <strong>tra</strong> cui la TECHSO s.p.a., alla quale era<br />

intestato l'apparecchio cellulare da lui abitualmente utilizzato nel periodo che interessa. Aveva conosciuto<br />

Renato Squillante ne<strong>gli</strong> anni 1987 -1988, per il <strong>tra</strong>mite di suo fratello Sergio, all'epoca segretario del<br />

Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, del quale il magis<strong>tra</strong>to era consi<strong>gli</strong>ere giuridico. Berlinguer<br />

era presidente di un consorzio di imprese interessate alla realizzazione di grandi opere in Israele, Russia e<br />

Cecoslovacchia, e Squillante <strong>gli</strong> aveva fatto conoscere imprenditori e personalità politiche, quali<br />

l'ambasciatore di quest'ultimo paese a Roma. At<strong>tra</strong>verso uno dei fi<strong>gli</strong> di Squillante - Fabio, all'epoca<br />

giornalista corrispondente da Mosca - aveva poi conosciuto altri imprenditori russi ed aveva fatto un viaggio<br />

nella ex Unione Sovietica con Squillante al seguito di Cossiga.<br />

Nell'ambito di questa sua conoscenza e buona frequentazione con l'alto magis<strong>tra</strong>to, questi <strong>gli</strong> aveva detto che<br />

Felice Rovelli avrebbe avuto piacere di incon<strong>tra</strong>rlo; lo pregò pertanto di chiamarlo all'Hotel Hassler, dove<br />

alloggiava.<br />

Vi era stato così un primo incontro (doveva essere l'inizio del 1992), al quale <strong>gli</strong> sembra di ricordare che non<br />

fosse presente Squillante; a questo incontro ne seguirono, nelle settimane successive, altri due: ad uno di essi<br />

aveva partecipato anche Squillante.<br />

Richiesto di indicare il contenuto del colloquio intervenuto nel primo incontro con Rovelli, Berlinguer così<br />

si esprime: "Rovelli cominciò a parlarmi del fatto che era vissuto sempre all'estero, che non era abituato a<br />

vivere in Italia, che aveva ereditato dal padre questa causa nei confronti dell'Imi, che era estremamente<br />

preoccupato soprattutto perché ad ogni udienza si scatenava una campagna stampa feroce nei confronti del<br />

padre, soprattutto, e del gruppo Sir, e aveva paura che ci fosse una cappa sopra il Collegio giudicante e che<br />

non potesse giudicare con serenità, con imparzialità, e venne fuori se io conoscevo la dottoressa Sotgiu. Io<br />

dissi che la conoscevo, che era una persona estremamente seria, corretta, un giudice, un magis<strong>tra</strong>to di<br />

spessore, e... che la conoscevo. Mi chiese allora se io avessi potuto, in un incontro con la dottoressa,<br />

chiederle di non badare a tutta questa pressione psicologica che c'era da parte della campagna stampa<br />

per... e soltanto ed esclusivamente di giudicare con imparzialità, con serenità, e impedire che venissero fatte<br />

delle scorrettezze, questo mi chiese Rovelli, nient'altro. Ci lasciammo e io... dicendo che poteva anche non<br />

esserci bisogno, perché la persona era estremamente valida; poi ci risentimmo e <strong>gli</strong> dissi... mi accennò<br />

vagamente ad una parcella che mi avrebbe dato in seguito ad un incarico che mi avrebbe dovuto dare, ma<br />

fugacemente, proprio una cosa estremamente fugace. E ci sentimmo, cioè ci rivedemmo successivamente...".<br />

Il teste parla poi di un secondo incontro, al quale forse aveva partecipato anche Renato Squillante: aveva<br />

chiarito a Rovelli che non era sua intenzione avvicinare la dottoressa Sotgiu, sollecitando il giovane a non<br />

preoccuparsi, in quanto questo giudice era persona molto corretta. Rovelli però era in grande agitazione, non<br />

si fidava delle rassicurazioni, ed insisteva.<br />

I discorsi intervenuti nel corso del terzo incontro furono di analogo tenore; il compenso per il suo<br />

"intervento" era stato quantificato, fin dal primo incontro, in cinquecento milioni di lire. Oltre ai tre incontri<br />

ci furono anche parecchi contatti telefonici con Rovelli: Berlinguer afferma che e<strong>gli</strong> si limitava a<br />

<strong>tra</strong>nquillizzare l'ansioso giovane, e poi riferiva a Squillante il quale, dal canto suo, lo invitava a "dare una<br />

mano a questo ragazzo" affinchè la causa fosse decisa con serenità e senza subire influenze dalla negativa<br />

campagna di stampa contro la fami<strong>gli</strong>a del petroliere.


Queste dichiarazioni dibattimentali del teste determinavano il Pubblico Ministero a contestare di<br />

dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari in data 11 aprile 1997: "Tenga presente che sia Squillante<br />

che Rovelli hanno insistito a che io avvicinassi la dottoressa Sotgiu ed anche questo è il motivo delle varie<br />

telefonate <strong>tra</strong> di noi in questi giorni, così come appare dal prospetto..."; "Faccio presente che Squillante,<br />

nei contatti che abbiamo avuto in quei giorni, insisteva per convincermi che la fami<strong>gli</strong>a Rovelli aveva la<br />

ragione dalla sua parte e che quindi una sentenza a loro sfavorevole sarebbe stata un'ingiustizia".<br />

Sempre a seguito di contestazione, confermava che Squillante era al corrente del fatto che <strong>gli</strong> fosse stata<br />

promessa una lauta "parcella" per parlare della causa con il giudice Sotgiu.<br />

Il Pubblico Ministero chiede poi al teste conto di due contatti telefonici con l'utenza in uso a Simonetta<br />

Sotgiu, datati 21 e 29 gennaio 1992, ricordando che il giorno 29 gennaio si era tenuta l'udienza in Corte di<br />

cassazione.<br />

Berlinguer, nel ribadire che - nonostante l'offerta di Rovelli - e<strong>gli</strong> si rifiutò sempre di parlare al giudice,<br />

dichiara che fu per puro caso che <strong>gli</strong> capitò di chiamare la Sotgiu la sera stessa dell'udienza.<br />

Nuovamente interpellato sui contenuti delle conversazioni telefoniche documentate il giorno 28 gennaio<br />

(ben sei, dalle 15.57 alle 23.33 fra Berlinguer, Rovelli e Squillante) il teste afferma che Rovelli insisteva<br />

sulle sue originarie richieste: Berlinguer si limitava a <strong>tra</strong>nquillizzarlo, telefonando poi a Squillante per<br />

"tenerlo informato".<br />

Il teste così si esprime: "io riferivo a Squillante... questo ragazzo non ne può più, questo ragazzo mi<br />

continua a telefonare, io lo chiamo per <strong>tra</strong>nquillizzarlo... sì, sentivo anche Squillante, commentavo questi<br />

fatti con lui, e Squillante diceva: "poveretto, non c'è niente di male... se tu potessi dar<strong>gli</strong> una... non dico...<br />

vedere di... di chiedere che si giudichi con imparzialità" erano momenti di.. .io riferivo queste cose a<br />

Squillante e poi cercavo di <strong>tra</strong>nquillizzare questo ragazzo".<br />

Queste risposte provocano una ulteriore contestazione delle dichiarazioni in precedenza rese (11 aprile<br />

1997): "Prendo atto di questa fitta serie di contatti <strong>tra</strong> me, Renato Squillante e Felice Rovelli nelle giornate<br />

del 28, 29 e 30 gennaio 1992. Rispetto a queste circostanze posso dire che, in quel periodo, ho subito delle<br />

fortissime pressioni da parte di Felice Rovelli e Renato Squillante, perché avvicinassi la dottoressa Sotgiu,<br />

cosa che ribadisco di non aver fatto. Tutte le telefonate di questi giorni mi sono state fatte all'unico scopo di<br />

convincermi ad avvicinare la dottoressa Sotgiu. Felice Rovelli e lo stesso Renato Squillante cercarono di<br />

convincermi, dicendo che i Rovelli dovevano vincere questa causa perché avevano ragione. Io non me la<br />

sono sentita e, nonostante le pressioni ricevute, non ho fatto nulla di quanto mi veniva richiesto".<br />

Ed ecco la risposta: "... telefonavo a Rovelli o mi telefonava; che... eh... palesava sempre le stesse<br />

preoccupazioni, io lo confortavo, continuavo a telefonare. Chiamavo... eh... Squillante perché... per... eh...<br />

perché anche lui aiutasse questo ragazzo a venir fuori da questo stato di pros<strong>tra</strong>zione, e il tenore in<br />

generale era questo".<br />

La contestazione era poi estesa all'intero passo del verbale, del quale era letta anche la domanda:<br />

"La sua versione non è compatibile con quanto risulta dalle analisi del tabulato dell'ingegner Rovelli ed<br />

invero dal prospetto che le mostro risulta una serie di telefonate, proprio nei giorni immediatamente<br />

precedenti alla decisione della Suprema Corte, <strong>tra</strong> lei. Rovelli e Renato Squillante".<br />

Risposta: "Mi rendo conto che la mia risposta può apparire illogica ed inverosimile, ma Lei si deve rendere<br />

conto dell'imbarazzo che provo in questo momento per i fatti che mi vedono in qualche modo coinvolto.<br />

Renato Squillante era da me conosciuto come persona al di sopra di ogni sospetto, addirittura uno dei<br />

consi<strong>gli</strong>eri giuridici del Presidente della Repubblica, alto magis<strong>tra</strong>to che ricopriva una carica importante<br />

ne<strong>gli</strong> Uffici Giudiziari romani, per cui, quando mi caldeggiò la posizione dell'ingegner Rovelli,<br />

rappresentandomi appunto che il mio intervento era richiesto per motivi di equità e di giustizia facendomi<br />

intendere che la Sir aveva ragione e che quindi bisognava in qualche modo aiutare la fami<strong>gli</strong>a Rovelli, non<br />

ebbi incertezze a rendermi disponibile per l'incontro con l'ingegner Rovelli, perché mi veniva proprio<br />

richiesto da un magis<strong>tra</strong>to come Renato Squillante. Certamente rimasi colpito da quanto poi mi chiese di<br />

fare l'ingegner Rovelli, e cioè di avvicinare la dottoressa Sotgiu per cercare in qualche modo di favorire la<br />

sua posizione per impedire appunto che venissero commesse, a suo dire, delle irregolarità. Presi tempo, nel<br />

senso che non dissi subito a Rovelli che non volevo occuparmene, spinto a fare questo proprio per il<br />

rispetto che io all'epoca portavo a Squillante. Ho avuto poi modo di pensarci su, mi sembrava andare<br />

contro i miei principi interferendo nell'iter giudiziario di una causa; ritenni inopportuno parlare della<br />

vicenda alla dottoressa Sotgiu per cui la serie di telefonate che feci con lo stesso Squillante e lo stesso


Rovelli si rese necessaria per comunicare ai due che non me la sentivo di chiedere informazioni sulla causa<br />

in corso".<br />

Alle contestazioni il teste conclusivamente risponde in questi termini: "Sì, certamente si parlò anche che i<br />

Rovelli erano certi dei loro diritti e di avere ragione e appunto per questo, in quella situazione di estremo<br />

disagio dal punto di vista della pressione psicologica, se avessero avuto torto sarebbe stata un'ingiustizia,<br />

quindi chiedevano solo ed esclusivamente che si giudicasse con serenità ed imparzialità".<br />

Riassuntivamente, questo il senso del racconto di Berlinguer quale risulta anche dalle risposte a seguito di<br />

contestazione:<br />

- Rovelli e Squillante non si erano limitati a constatare i possibili effetti negativi della campagna di<br />

stampa in atto, bensì avevano fatto riferimento alla fondatezza delle ragioni della SIR ed avevano<br />

prospettato come un'ingiustizia l'eventualità che non venissero accolte le ragioni della fami<strong>gli</strong>a;<br />

- i due non avevano semplicemente chiesto di prendere contatti con il giudice Sotgiu per sollecitarla ad un<br />

giudizio sereno ed imparziale, ma, in collegamento con quanto sopra, allo scopo di sensibilizzarla sul<br />

fatto che, se le ragioni della fami<strong>gli</strong>a non fossero state accolte, vi sarebbe stata una ingiustizia;<br />

- Berlinguer non aveva subito rifiutato quanto richiesto<strong>gli</strong>, ma aveva preso tempo, forse facendo intendere<br />

(o comunque non escludendo espressamente, almeno per qualche giorno) che il contatto voluto vi<br />

sarebbe stato;<br />

- pensandoci sopra, aveva reputato scorretto "interferire" in un procedimento giudiziario ed aveva<br />

comunicato ai suoi interlocutori che non avrebbe dato corso alla richiesta;<br />

- non parlò mai alla Sotgiu della causa IMI Rovelli.<br />

Restano ancora da aggiungere pochi dati importanti per chiudere la parte per così dire espositiva del<br />

racconto del teste Berlinguer:<br />

- al Pubblico Ministero che <strong>gli</strong> chiede conto di due suoi contatti telefonici con lo studio dell'avvocato<br />

Cesare Previti (il primo proprio nel periodo che più interessa - 5 febbraio 1992 - ed il secondo qualche<br />

tempo dopo - 7 maggio 1992) Berlinguer nega di conoscere l'imputato, affermando di non avere alcun<br />

motivo per telefonare allo studio di via Cicerone,60; azzarda quindi l'ipotesi che qualcuno (ma riesce a<br />

fare il nome solo di suo fratello Sergio) possa aver<strong>gli</strong> chiesto in prestito il telefono cellulare ed avere<br />

fatto quelle due chiamate; come si vedrà oltre, Sergio Berlinguer escluderà la circostanza;<br />

- su specifica domanda, ammette di avere ricevuto, in data 15 febbraio 1993, la somma di 250 milioni di<br />

lire (estero su estero) da Francesco Bellavista Caltagirone (cognato di Felice Rovelli per averne sposato<br />

la sorella Rita), affermando <strong>tra</strong>ttarsi di una parcella per attività legale svolta per conto del Caltagirone;<br />

non vi era un mandato professionale, e date le modalità di pagamento non possiede documentazione di<br />

supporto;<br />

- su domande della difesa Rovelli, dichiara di avere saputo solo tempo dopo i suoi <strong>rapporti</strong> con Rovelli<br />

che vi era stata una ipotesi di <strong>tra</strong>nsazione <strong>tra</strong>mite il Quirinale; esclude categoricamente di avere parlato<br />

con Rovelli di questa eventualità ed in particolare esclude di essersi "proposto" alla fami<strong>gli</strong>a Rovelli<br />

quale legale per gestire un discorso di tipo <strong>tra</strong>nsattivo.<br />

La valutazione circa l'attendibilità della testimonianza di Francesco Berlinguer non può prescindere<br />

dall'analisi delle versioni de<strong>gli</strong> altri soggetti coinvolti nella vicenda, ossia Felice Rovelli, Renato Squillante e<br />

Simonetta Sotgiu.<br />

Quest'ultima, esaminata all'udienza del 4 giugno 2001, confermava l'amicizia con il Berlinguer, che era stato<br />

suo compagno di liceo; poiché en<strong>tra</strong>mbi lavoravano a Roma e vivevano in Sardegna, capitava che si<br />

incon<strong>tra</strong>ssero in aeroporto e facessero il viaggio insieme; come pure capitava che si vedessero in Roma per<br />

mangiare una pizza insieme.<br />

Specificamente interrogata sui suoi contatti con il Berlinguer nei giorni che interessano, la teste innanzitutto<br />

negava che e<strong>gli</strong> le avesse posto domande particolari sulla causa IMI SIR; non escludeva, pur non avendone<br />

il ricordo, di avere cenato con lui la sera dell'udienza (29 gennaio 1992), come non escludeva di avere fatto,<br />

parlando con lui del più e del meno, riferimento alla giornata particolarmente pesante ed al fatto che<br />

l'udienza si era pro<strong>tra</strong>tta sino a pomeriggio inol<strong>tra</strong>to, cosa alquanto inusuale per le udienze di cassazione.


La teste proseguiva, ricordando come il collegio giudicante si fosse di nuovo riunito il giorno successivo (30<br />

gennaio) ed in quella sede avesse deciso di <strong>tra</strong>smettere <strong>gli</strong> atti alla Corte costituzionale; precisa che il<br />

Presidente aveva chiesto di mantenere il massimo riserbo sulla decisione, che doveva ancora essere motivata<br />

e di nuovo sottoposta all'esame del Collegio.<br />

Ricorda che, prima di avviarsi all'aeroporto, aveva trovato nella propria casella in Corte una busta, che aveva<br />

portato con sé; l'aveva aperta, apprendendo <strong>tra</strong>ttarsi di una lettera anonima che faceva riferimento ad un<br />

orientamento del collegio giudicante a favore dell'IMI (per la verità, inizialmente la teste lo aveva riferito in<br />

senso opposto, ossia come funzionale a<strong>gli</strong> interessi dalla parte avversa ai Rovelli, ma si è corretta in seguito<br />

a contestazione del Pubblico Ministero).<br />

Si era recata nella toilette dell'aeroporto e aveva buttato la missiva; non ne aveva parlato poi con alcuno dei<br />

colleghi della Corte di cassazione.<br />

Ricollegando il ricordo dell'anonimo con una pelliccia particolarmente vistosa che indossava quel giorno,<br />

precisava di avere incon<strong>tra</strong>to all'aeroporto Francesco Berlinguer, con il quale aveva poi viaggiato per la<br />

Sardegna: escludeva di aver<strong>gli</strong> rivelato il contenuto della decisione presa quel giorno.<br />

Rovelli, nel corso de<strong>gli</strong> interrogatori in fase di indagine preliminare (acquisiti stante il suo rifiuto di<br />

sottoporsi all'esame dibattimentale chiesto dal Pubblico Ministero) non ha mai inteso rendere dichiarazioni<br />

in ordine allo specifico tema: come risulta dal relativo verbale, il giorno 22 settembre 1997, il Pubblico<br />

Ministero contesta a Felice Ro-velli (vi erano stati già altri interrogatori precedenti) le dichiarazioni di<br />

Berlinguer, ma l'allora indagato si era avvalso della facoltà di non rispondere, così come aveva in seguito<br />

fatto di fronte alle contestazioni relative alle emergenze bancarie riguardanti la società Dorian Investments<br />

ed i relativi passaggi finanziari, fino ad arrivare al <strong>tra</strong>sferimento in favore di Renato Squillante, di 133<br />

milioni di lire sul conto Rowena nel 1991.<br />

Nel primo interrogatorio in data 8 maggio 1996 Rovelli aveva accennato ai suoi <strong>rapporti</strong> con il magis<strong>tra</strong>to,<br />

aveva dichiarato di essere andato a trovarlo a casa e di avere discusso con lui "alcuni aspetti della vicenda<br />

della causa"; a uno di questi incontri aveva forse preso parte anche Attilio Pacifico.<br />

Nulla Rovelli ebbe mai a dichiarare intorno a concreti contatti con la controparte finalizzati ad una ipotesi<br />

<strong>tra</strong>nsattiva; nel primo verbale compare un fugacissimo e generico accenno, di segno completamente negativo<br />

mentre, come si è detto, vi è stato un rifiuto totale di rispondere in merito alla vicenda Berlinguer.<br />

Renato Squillante (esaminato per videoconferenza all'udienza del 3 ottobre 2002) nega in modo categorico<br />

che i fatti si siano svolti come li ricostruisce Berlinguer; segnatamente nega di avere chiesto al teste di<br />

avvicinare un componente il collegio giudicante della causa Imi SIR.<br />

Andando con ordine, l'imputato ha spiegato di avere telefonato a Felice Rovelli dopo la morte del padre<br />

Nino per porger<strong>gli</strong> le condo<strong>gli</strong>anze; più avanti lo stesso Felice, trovandosi a Roma, lo era andato a trovare a<br />

casa, per ringraziarlo; in quell'occasione <strong>gli</strong> aveva spiegato che spesso veniva nella capitale proprio per<br />

seguire la causa che aveva "ereditato" dal padre; il giovane si era limitato a dir<strong>gli</strong> che sperava che la<br />

vertenza giudiziaria finisse "presto e bene". Negava dunque di essersi mai interessato alle vicende della<br />

causa civile ("io, che ho sempre fatto il penale..."). Quanto ai <strong>rapporti</strong> con i fratelli Berlinguer, dichiarava di<br />

avere conosciuto Sergio al Quirinale e, at<strong>tra</strong>verso di lui, Francesco; questi era alla ricerca di contatti<br />

imprenditoriali all'estero, nei paesi dell'ex Unione Sovietica; aveva anche chiesto a suo fi<strong>gli</strong>o Fabio - che<br />

lavorava come giornalista a Mosca - di far<strong>gli</strong> da interprete in occasione di un viaggio a Mosca con l'allora<br />

Presidente Cossiga e di presentar<strong>gli</strong> personalità locali che potessero essere utili per i suoi progetti<br />

imprenditoriali. Una volta, Sergio Berlinguer <strong>gli</strong> aveva detto che il Presidente dell'IMI, Luigi Arcuti, aveva<br />

chiesto un incontro con il Presidente della Repubblica, affinchè il Quirinale si attivasse per promuovere una<br />

ipotesi di <strong>tra</strong>nsazione con la fami<strong>gli</strong>a Rovelli; lo aveva riferito a Felice, il quale però non aveva commentato<br />

la cosa.<br />

Lo stesso Berlinguer, <strong>gli</strong> aveva poi chiesto di indicare a Rovelli il fratello Francesco come possibile legale di<br />

parte SIR in relazione alla specifica ipotesi di una <strong>tra</strong>nsazione: proprio per questo motivo aveva detto a<br />

Francesco Berlinguer di telefonare a Felice presso l'Hotel Hassler.<br />

Ecco dunque che, per bocca dell'imputato Squillante (ma, come si è visto, non di Rovelli) prende corpo una<br />

versione difensiva specificamente riferita a fornire una differente "lettura" del coinvolgimento del Berlinguer<br />

nella vicenda IMI Rovelli: in poche parole, poiché Sergio aveva avuto notizia diretta delle richieste di Luigi<br />

Arcuti, nella sua veste di Presidente dell'IMI, al Quirinale perché mettesse i suoi buoni uffici nel tentativo di<br />

una composizione ex<strong>tra</strong>giudiziale della causa, aveva cercato di "infilare" nel pool di avvocati che<br />

assistevano la fami<strong>gli</strong>a Rovelli anche il fratello Francesco, affinchè potesse "partecipare" all'affare in caso di


possibile <strong>tra</strong>nsazione. Sapendo dunque che Squillante era in buoni <strong>rapporti</strong> con Felice Rovelli, <strong>gli</strong> aveva<br />

chiesto di suggerire il nome di Francesco in veste di consulente legale. Il suo unico "intervento" - prosegue<br />

Squillante - fu quindi quello di chiedere a Francesco Berlinguer di mettersi in contatto con Felice, il quale,<br />

quando veniva a Roma per seguire la causa, alloggiava in un Hotel nei pressi di Piazza di Spagna.<br />

Dopodiché non li vide più, se non separatamente; i numerosi contatti telefonici che risultano, proprio in quel<br />

periodo, con Berlinguer avevano però un diverso oggetto, ed erano relativi alla ricerca, da parte di<br />

quest'ultimo, di contatti di tipo imprenditoriale e politico per <strong>gli</strong> affari in Russia e nell'est europeo, nonché<br />

alla organizzazione di un viaggio in Russia al seguito del Presidente Cossiga.<br />

Questo tema dell'ipotesi di <strong>tra</strong>nsazione <strong>tra</strong>mite l'intervento del Quirinale - tanto caro alla difesa Rovelli,<br />

anche in sede di arringa finale - è stato oggetto di alcuni esami testimoniali, le cui risultanze,<br />

complessivamente considerate, decisamente non consentono di riconnettere a questa vicenda la grande<br />

rilevanza postulata dai difensori.<br />

Intanto, il teste Sergio Berlinguer (cfr. udienza 17 maggio 2001) smentisce totalmente il racconto di<br />

Squillante nella parte relativa ad un tentativo di inserimento di Francesco Berlinguer nel collegio di difesa<br />

della fami<strong>gli</strong>a Rovelli. Esclude di avere parlato con il fratello di questa ipotesi di <strong>tra</strong>nsazione, se non più<br />

tardi, ossia dopo il pronunciamento definitivo della Corte di cassazione, così come esclude che Francesco <strong>gli</strong><br />

abbia mai detto di essersi "interessato" ad una <strong>tra</strong>nsazione <strong>tra</strong> la fami<strong>gli</strong>a Rovelli e l'IMI.<br />

Sulla vicenda in generale, ha riferito di essersi incon<strong>tra</strong>to con Arcuti - presidente dell'Imi - che <strong>gli</strong> aveva<br />

chiesto - nella veste di Segretario Generale della Presidenza della Repubblica - se il Quirinale potesse<br />

intervenire per una soluzione s<strong>tra</strong>giudiziale della vicenda giudiziaria; ne aveva parlato con il Presidente<br />

Cossiga, il quale aveva incaricato Alfredo Masala; questi aveva forse preso contatti con esponenti della<br />

fami<strong>gli</strong>a Rovelli, ma la prospettiva non ebbe mai alcuna concretezza, visto che le posizioni delle parti erano<br />

troppo distanti.<br />

Ancora - e su un altro versante - il teste era stato chiamato in causa dal proprio fratello quale possibile autore<br />

di due chiamate allo studio dell'avvocato Previti nel febbraio e nel maggio 1992: anche questa ipotesi ha<br />

trovato smentita nelle dichiarazioni di Sergio Berlinguer, che lo ha negato categoricamente, spiegando di<br />

avere conosciuto Previti solo nel 1994, allorquando si erano trovati Ministri nella stessa compagine<br />

governativa.<br />

Alfredo Masala (esaminato ex art.195 c.p.p. per iniziativa della difesa Rovelli all'udienza del 14 giugno<br />

2002) conferma le richieste di Arcuti al Capo dello Stato e conferma che lo stesso Presidente Cossiga<br />

autorizzò una iniziativa in tal senso, incaricando lo stesso Masala di convocare tale ragionier Bianchi,<br />

conosciuto quale strettissimo collaboratore di Nino Rovelli.Questi venne a Roma e fu personalmente<br />

ricevuto da Cossiga, ma la cosa non ebbe seguito alcuno. Su specifica domanda, esclude d'aver mai saputo<br />

che Francesco Berlinguer (che e<strong>gli</strong> ben conosceva) fosse interessato al tentativo di <strong>tra</strong>nsazione fra IMI e la<br />

fami<strong>gli</strong>a Rovelli.<br />

Luigi Arcuti, all'epoca dei fatti Presidente dell'IMI, conferma (cfr. udienza 3 giugno 2002) di avere chiesto<br />

un incontro al Quirinale; non venne ricevuto dal Presidente bensì da Sergio Berlinguer, al quale espose, in<br />

un colloquio durato pochi minuti, i motivi per i quali aveva chiesto di essere ricevuto dal Presidente Cossiga;<br />

si <strong>tra</strong>ttava di esporre la grave situazione di difficoltà dell'IMI nei confronti delle banche estere in dipendenza<br />

dall'andamento della causa, che vedeva allo stato l'Istituto soccombente per una cifra superiore ai mille<br />

miliardi di lire; dopo quel colloquio non seppe più nulla e non venne mai ricevuto dal capo dello Stato.<br />

A domanda specifica, il teste si diceva sicuro nel collocare l'incontro con Sergio Berlinguer prima della<br />

morte di Nino Rovelli, e dunque ne<strong>gli</strong> anni 1989-1990.<br />

Tirando le somme sul punto specificamente riferito alla "ipotesi <strong>tra</strong>nsazione" in sé, reputa il Tribunale che ne<br />

sia emersa con chiarezza la assoluta marginalità concreta, posto che i contatti con un collaboratore della<br />

fami<strong>gli</strong>a Rovelli non ebbero alcun seguito, né lo stesso Arcuti (che aveva inteso richiamare l'attenzione del<br />

Quirinale sui problemi di immagine e di credibilità, anche all'estero, dipendenti dall'andamento della causa)<br />

venne mai ricevuto da Francesco Cossiga. Insomma, questi contatti - che forse è persino eccessivo in tal<br />

modo denominare - durarono lo spazio di un mattino, anche perché risulta evidente come nessuna delle parti<br />

in causa vi fosse effettivamente interessata; e peraltro, su un piano più specifico, non risultano neppure<br />

accertati con sufficiente chiarezza i tempi di tali abboccamenti, posto che Arcuti li colloca prima della morte<br />

di Nino Rovelli, mentre Sergio Berlinguer li riferisce, senza essere più preciso, all'anno 1991. Ma - ed è quel<br />

che qui maggiormente interessa - dalle fonti di prova acquisite risulta sconfessata la prospettazione di<br />

Renato Squillante circa un interessamento di Francesco Berlinguer alla subito abortita vicenda <strong>tra</strong>nsattiva:


nessuno dei testimoni sentiti lo conferma, e Sergio Berlinguer (ossia colui che avrebbe chiesto a Squillante<br />

di indicare a Rovelli il nome del fratello) ha negato la circostanza. Inoltre, tornando al piano dei tempi, si è<br />

visto come i contatti telefonici in esame si debbano collocare a partire dal mese di gennaio 1992, ossia in un<br />

periodo assolutamente incompatibile con il racconto di Arcuti, ma, a ben vedere, anche con quello di<br />

Berlinguer, che colloca <strong>gli</strong> avvenimenti nel 1991.<br />

Concludendo sul punto, il Tribunale evidenzia il silenzio di Felice Rovelli, che pesa in suo danno (ed in<br />

danno del coimputato) ancor più delle testimonianze ora esaminate: se, come vuole far credere Squillante,<br />

Berlinguer telefonava in modo quasi ossessivo a Rovelli al solo scopo di convincerlo a conferir<strong>gli</strong> mandato<br />

professionale per gestire le <strong>tra</strong>ttative per una composizione bonaria della lite, ci si deve chiedere perché mai<br />

Felice, al Pubblico Ministero che lo è andato ad interrogare in carcere al fine di specificamente contestar<strong>gli</strong><br />

le dichiarazioni accusatorie di Berlinguer, non abbia subito spiegato la finalità - assolutamente lecita - dei<br />

suoi contatti con Francesco Berlinguer. In poche, parole, non si comprende perché - se fosse vera l'ipotesi<br />

difensiva- per tutti questi anni e<strong>gli</strong> non abbia reso alcuna dichiarazione sul punto, lasciando che le "calunnie"<br />

del Berlinguer lo <strong>tra</strong>volgessero insieme a Renato Squillante.<br />

La risposta è, per il Tribunale assai semplice: i contatti <strong>tra</strong> i personaggi, come sopra de-scritti, non avevano<br />

nulla a che vedere con soluzioni s<strong>tra</strong>giudiziali della causa, a meno che in questa espressione non si vo<strong>gli</strong>ano<br />

includere anche i tentativi occulti di interferenza, del tipo di quelli descritti dal Berlinguer. La versione<br />

esposta da Squillante nel suo esa-me dibattimentale non è nulla più un mero espediente difensivo, una tesi<br />

costruita a tavolino, partendo da qualche dato concreto (la visita di Arcuti al Quirinale, il rapporto di<br />

parentela stretta <strong>tra</strong> Francesco Berlinguer ed uno dei funzionari più vicini al Presidente Cossiga) che si è<br />

tentato - del tutto legittimamente, s'intende - di adattare, senza successo, alle risultanze processuali, e di<br />

ingigantire per fornire una alternativa al racconto del teste d'accusa.<br />

Un teste con il quale bisogna pur fare i conti, anche nell'ottica propugnata dalla difesa: ed allora il Tribunale<br />

si chiede perché mai Berlinguer avrebbe dovuto tacere un suo tentativo (forse non troppo elegante, ma<br />

certamente non costituente reato) di "inserirsi" in un grande contenzioso - forse il più grande in assoluto -<br />

che <strong>gli</strong> avrebbe potuto portare prestigio, notorietà e lauti guadagni, per lanciarsi nella esposizione di fatti che<br />

lo avvicinavano pericolosamente a condotte di sicura rilevanza penale, calunniando in modo del tutto<br />

gratuito Rovelli e Renato Squillante, e comunque dando di sé una immagine non proprio cristallina, per<br />

avere mantenuto stretti contatti con persone che <strong>gli</strong> avevano rivolto richieste di tal fatta.<br />

Insomma, la tesi difensiva non è credibile in sé ed in quanto smentita dalle risultanze processuali; al<br />

con<strong>tra</strong>rio, il racconto del teste Berlinguer appare oggettivamente riscon<strong>tra</strong>to proprio dall'esame dei tabulati<br />

telefonici, come già si anticipava, eloquenti nell'indicare quella successione di contatti fra persone, guarda<br />

caso, tutte a vario titolo collegate (per lo più in modo occulto) alla causa IMI-SIR. Ma c'è di più: è lo stesso<br />

Felice Rovelli, nel suo primo interrogatorio, ad incautamente accennare ai <strong>rapporti</strong> con Squillante inerenti la<br />

causa: di fronte alla domanda se conoscesse il magis<strong>tra</strong>to, così rispondeva: "Sì, la prima volta l'ho visto<br />

nell'anno 1987, se non ricordo male mi fu presentato da mio padre di sfuggita, io mi trovavo nel suo ufficio<br />

a Lugano dove appunto in quel momento vi era Renato Squillante. Quando mio padre è morto il dott.<br />

Squillante si è fatto sentire per condo<strong>gli</strong>anze ed io, qualche mese dopo, trovandomi a Roma,<br />

presumibilmente per incon<strong>tra</strong>re il Prof. Are, andai a trovare Squillante a casa per una breve visita. In<br />

quest'occasione come in altre che si sono succedute ne<strong>gli</strong> anni successivi (1991, 1992) ho avuto modo di<br />

discutere con lui di alcuni aspetti della vicenda della causa IMI. Sapevo che il dott. Squillante era amico<br />

dell'avv. Pacifico e se non ricordo male in uno dei miei incontri con il magis<strong>tra</strong>to era presente anche<br />

Pacifico. In sostanza, <strong>gli</strong> incontri che io ho avuto con il dott. Squillante non erano altro che visite di<br />

cortesia".<br />

Come dire che - sia pure in un'ottica totalmente difensiva - è lo stesso Rovelli ad evocare discussioni con<br />

Squillante, pro<strong>tra</strong>ttesi nel tempo (e si citano proprio <strong>gli</strong> anni 1991 e 1992) concernenti la causa civile; ed è lo<br />

stesso Rovelli ad evocare la presenza anche del coimputato Pacifico ad uno di questi incontri. E come non<br />

pensare, ancora una volta, ai tabulati, dai quali risulta che, nel corso della stessa giornata. Rovelli chiama sia<br />

Squillante che Pacifico, e queste chiamate si intersecano con quelle <strong>tra</strong> Berlinguer e Squillante (così ad<br />

esempio avviene il 15, il 17 ed il 28 gennaio, e l'11 febbraio 1992)?<br />

Dunque, stabilito che i personaggi coinvolti nella vicenda erano legati dal comune denominatore di tentare<br />

un avvicinamento con un giudice della Corte di Cassazione e che, dunque, quel (e solo quel) significato<br />

hanno i contatti sopra riepilogati, rimane da valutare la testimonianza dibattimentale Berlinguer. Ad-onta<br />

delle proteste difensive circa la calunniosità del racconto del teste, è opinione del Collegio che il Berlinguer<br />

non solo non abbia formulato false accuse contro <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>, ma che in dibattimento abbia palpabilmente


tentato di ammorbidire alcuni <strong>tra</strong>tti del racconto al chiaro scopo di minimizzare l'accaduto per alleggerire la<br />

loro posizione.<br />

Del resto, le premesse di questo atteggiamento sono en<strong>tra</strong>te nel processo sia per bocca dello stesso teste, sia<br />

per iniziativa della difesa. E' infatti documentato l'intervento, nel corso delle indagini, di persone es<strong>tra</strong>nee al<br />

fatto, ma comuni conoscenti di Berlinguer e Squillante (si <strong>tra</strong>tta del professor Dario Spallone) nei confronti<br />

delle quali il teste si è trovato in comprensibile imbarazzo, per avere accusato una persona tanto stimata,<br />

determinandone la sottoposizione a misura cautelare: ed ecco allora facilmente spiegati i tentativi maldestri<br />

di prendere le distanze da quanto all'epoca dichiarato, ricorrendo alla giustificazione (spesso evocata nei<br />

Tribunali) del modo incalzante in cui il Pubblico Ministero aveva condotto l'interrogatorio (e come poteva<br />

essere altrimenti, visti i dati emersi dalla acquisizione dei tabulati?), alla ammissione di avere detto<br />

"inesattezze", in conseguenza dello stress per le domande accusatene, alla promessa di "correggerle" in<br />

dibattimento, ristabilendo la verità. Insomma, il teste Berlinguer non ha il coraggio di un leone, e lo si è visto<br />

con chiarezza nel corso dell'esame dibattimentale, ove erano tangibili il suo imbarazzo e la sua difficoltà per<br />

essere "costretto" a dire la verità: dunque, come si diceva, pur mantenendo fermo il succo del racconto<br />

(l'essere stato invitato a prendere contatto con Simonetta Sotgiu per "perorare" le ragioni dei Rovelli, contro<br />

i quali si stava accanendo una "iniqua" campagna di stampa, dietro compenso di ben cinquecentomilioni di<br />

lire) e<strong>gli</strong> lo ha "addolcito" con i riferimenti all'invito alla imparzialità ed alla serenità di giudizio, allo stato di<br />

ansia del giovane Rovelli, che doveva essere rassicurato, ai bonari inviti di Squillante ("...non c'è niente di<br />

male...se si chiede che si giudichi con imparzialità... per dar<strong>gli</strong> una mano"); in poche parole, cercando di<br />

smorzare, più nei toni che nei contenuti, più nei detta<strong>gli</strong> che sul punto cen<strong>tra</strong>le, le categoriche dichiarazioni<br />

del 1997, avendo sempre cura (anche per tutelare se stesso) di negare propri personali contatti con Cesare<br />

Previti, oggettivamente documentati dai tabulati telefonici. A ben vedere, un atteggiamento non dissimile ha<br />

connotato la sua condotta anche nel fatto che ci interessa: di fronte ad una richiesta di chiaro sapore illecito<br />

e<strong>gli</strong> (forse in ciò spinto dalla autorevolezza di Renato Squillante o dalla comune appartenenza ad ambienti di<br />

potere della Capitale) non ha saputo respingere, da subito, esplicitamente e con fermezza, la proposta, ne ha<br />

tantomeno ritenuto di avvertire il giudice oggetto dei ten-tativi di avvicinamento. Ha preferito tenere i propri<br />

interlocutori un po'in sospeso, forse facendo intendere - o facendo sperare - una possibile adesione alla<br />

proposta: solo co-sì infatti trovano spiegazione i ripetuti contatti telefonici (anche di sua iniziativa) che non<br />

avrebbero avuto ragion d'essere in caso di una sua secca risposta negativa. Ed anche i suoi contatti con il<br />

giudice Sotgiu - contatti i quali, come emerge dai tabulati sono significativamente assai frequenti nei giorni<br />

che interessano, per pòi decisamente diradarsi nei giorni successivi - appaiono spiegabili con questo<br />

atteggiamento non chiaro e netto: pur avendo deciso di non dire nulla all'interessata, ha intensificato i<br />

contatti con lei (e ciò poteva avvenire senza ingenerarle sospetti, visti i <strong>rapporti</strong> di amicizia) forse sperando<br />

di poterle inconsapevolmente "s<strong>tra</strong>ppare" qualche confidenza che potesse tornare utile a Rovelli, magari per<br />

intuire o prevedere quali potessero essere <strong>gli</strong> orientamenti della Corte sulla questione di legittimità<br />

costituzionale che la difesa dell'IMI aveva in extremis chiesto ai giudici di sollevare.<br />

In questo senso, può apparire suggestivo ricordare che la stessa Sotgiu ha raccontato di avere ricevuto, il 30<br />

gennaio, una lettera anonima, con la quale si affermava di sapere che la Corte avrebbe deciso in senso<br />

favorevole all'IMI: un anonimo che non ha avuto alcun seguito - in quanto la destinataria si limitò a<br />

cestinarlo, senza farne parola ai colleghi - ma che richiama qualche analogia con quanto avverrà l'anno<br />

successivo, in re- lazione all'appunto redatto dal Presidente Corda.<br />

Comunque, anche nella versione più "edulcorata", la richiesta di colloquio fatta a Ber-linguer <strong>tra</strong>disce con<br />

assoluta chiarezza l'illiceità del fine, poiché davvero incredibile risulta la richiesta di far giungere al giudice<br />

l'invito ad essere imparziale, promettendo, quale compenso, la non irrilevante somma di cinquecento milioni<br />

di lire. Se questa è la chiave di lettura de<strong>gli</strong> avvenimenti e dei contatti che, nella assoluta segretezza, si<br />

verificano "a latere" della ormai famosa udienza del 29 gennaio 1992 e del suo epilogo con la pubblicazione<br />

dell'ordinanza del 12 febbraio 1992, devono essere ora <strong>tra</strong>tte alcune conclusioni sui soggetti che vi<br />

partecipano, sulla loro veste e sul loro ruolo nell'ambito del più ampio disegno corruttivo oggetto dell'ipotesi<br />

d'accusa.<br />

Come il Tribunale ha in parte già dimos<strong>tra</strong>to, la sentenza con la quale la Corte d'appello decideva sulle cause<br />

riunite (sull'an, a seguito dell'annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione, sul quantum in<br />

grado d'appello) è stata oggetto di un accordo corruttivo, stretto da Nino Rovelli per il <strong>tra</strong>mite dei tre<br />

intermediari Attilio Pacifico, Giovanni Acampora e Cesare Previti, con il giudice Vittorio Metta. Questi,<br />

come si dirà, riceve fin dal 1990 (anno in cui la causa viene mandata in decisione, con sentenza depositata il


26 novembre) una parte del compenso illecito, via via depositato, in contanti, sui conti correnti accesi presso<br />

istituti bancari italiani a nome suo o di suoi stretti congiunti.<br />

Ritiene il Tribunale (come già sopra evidenziato) che, fino a questo momento, i familiari di Nino Rovelli<br />

fossero sostanzialmente es<strong>tra</strong>nei alle pratiche illecite del loro congiunto, uomo accen<strong>tra</strong>tore, autoritario e<br />

deciso a vincere ad ogni costo la causa con l'IMI. Sofferente di problemi cardiaci. Rovelli senior - prima di<br />

essere sottoposto ad un intervento chirurgico del quale i medici non nascondono le possibilità di esito<br />

infausto - rivela alla mo<strong>gli</strong>e Primarosa l'esistenza di un suo debito nei confronti di Attilio Pacifico,<br />

invitandola ad onorarlo nel caso <strong>gli</strong> fosse accaduto qualcosa di grave.<br />

Proprio in questo momento si verifica, a giudizio del Collegio, la successione "iure ereditario" di Primarosa<br />

Battistella e di Felice Rovelli nelle obbligazioni illecite assunte dal capostipite con i tre intermediari e, per il<br />

loro <strong>tra</strong>mite, con i pubblici ufficiali, essendo processualmente accertata la conoscenza, da parte de<strong>gli</strong> eredi,<br />

dell'ammontare del debito di Nino e, soprattutto, la sua causale. In evidente e conclamato collegamento con<br />

l'esito positivo della causa civile ed in corrispondenza percentuale (nella misura del 10%) con la somma che<br />

l'IMI era stato condannato a pagare (al netto della imposta di successione) nel 1994 i tre intermediari<br />

ricevono le somme di cui alla imputazione, su conti esteri, direttamente provenienti da una società (Pitara<br />

stiftung) avente sede in Liechtenstein, appositamente costituita dal legale dei Rovelli, Rubino Mentsch.<br />

Ma pochi mesi dopo la morte di Nino Rovelli, è documentato in atti un primo <strong>tra</strong>sferimento finanziario<br />

(dalla società svizzera Dorian Investments, facente capo sempre alla fami<strong>gli</strong>a Rovelli) di un miliardo di lire<br />

in favore del conto “Pavoncella” presso la Banca del Sempione di Lugano, riferibile a Pacifico. Da questo<br />

conto, con le modalità che si analizzeranno a tempo debito, verranno prelevati 450 milioni di lire in contanti,<br />

mentre due somme di eguale importo (133 milioni di lire) verranno quasi contestualmente bonificati al conto<br />

“Rowena” di Renato Squillante e al conto “Mercier” di Cesare Previti, rispettivamente in data 26 giugno<br />

1991 e 2 lu<strong>gli</strong>o 1991.<br />

Questi dati documentali vengono qui sinteticamente ripresi per richiamare l'attenzione sul fatto che, quando<br />

iniziano le manovre di avvicinamento del giudice Sotgiu, fra alcuni de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> sono già intervenuti<br />

<strong>rapporti</strong> finanziari, in quanto Rovelli ha bonificato a Pacifico una somma, in parte finita sui conti di Previti e<br />

Squillante, mentre Metta ha ricevuto e depositato sui propri conti, anche Nino Rovelli vivente, qualche<br />

centinaio di milioni di lire. E, per converso, le persone che Rovelli chiama dal 9 gennaio al 12 febbraio 1992<br />

o che comunque sono in contatto fra loro nello stesso periodo - con differenti modulazioni quantitative -<br />

sono coloro che hanno ricevuto denari provenienti dal vincitore della causa. Solo a titolo di esempio, vanno<br />

rimarcate le risultanze dei tabulati per due giornate importanti:<br />

- il 29 gennaio (giorno in cui si tiene l'udienza nel corso della quale viene eccepito il mancato deposito<br />

della procura speciale), Berlinguer chiama Squillante in orario corrispondente grossomodo con la<br />

chiusura dell'udienza; poi, in rapida successione, Pacifico chiama Squillante e, subito dopo, Acampora;<br />

poi ancora Pacifico chiama Squillante e, pochi minuti dopo, il magis<strong>tra</strong>to è chiamato da Previti; in ora<br />

serale Rovelli chiama Pacifico ed infine, dopo le ventidue, Berlinguer chiama Squillante.<br />

- Il 12 febbraio 1992 (giorno in cui è pubblicata la decisione della Suprema Corte) Rovelli chiama, nel<br />

corso della giornata, tre volte Pacifico, Acampora e Squillante. Come già si accennava, non mancano,<br />

nel periodo de quo, contatti <strong>tra</strong> Pacifico, Acampora ed il giudice Metta, nonché un contatto <strong>tra</strong><br />

Berlinguer e Cesare Previti. Il dato quantitativo dimos<strong>tra</strong>, nella specie, un differente ruolo svolto<br />

nell’occorso dai vari <strong>imputati</strong>: all'evidenza, il contatto è stato gestito in prima persona da Squillante, con<br />

il costante intervento di Pacifico (letteralmente tempestato di telefonate da Rovelli); Acampora viene<br />

evidentemente tenuto informato nei momenti più importanti (il 29 gennaio ed il 12 febbraio) sia da<br />

Pacifico, sia da Rovelli; Previti en<strong>tra</strong> direttamente in contatto con Squillante in un giorno<br />

importantissimo (il 29 gennaio) e, pochi giorni dopo, con colui al quale era stato chiesto un "intervento"<br />

sul giudice della causa.<br />

In questo segmento dell'attività corruttiva spicca, oltre a quella di Rovelli, corruttore in erba, ma attivissimo,<br />

preoccupato com'era che "l'asso nella manica", scoperto con tanta arguzia dal Professor Are, si <strong>tra</strong>sformasse<br />

in un "due di picche" in caso di rimessione de<strong>gli</strong> atti alla Corte costituzionale, la figura di Renato Squillante.<br />

Si <strong>tra</strong>tta di un importante magis<strong>tra</strong>to romano, inserito ad alto livello non solo nell'ambiente giudiziario - era<br />

stato per anni capo dell'Ufficio Istruzione e poi, con l'avvento del nuovo codice di procedura penale, capo<br />

dell'Ufficio dei giudici per le indagini preliminari - ma anche in quello politico della capitale, avendo<br />

ricoperto incarichi di prestigio, quali quello di componente della CONSOB e di consulente giuridico della<br />

Presidenza della Repubblica. Un magis<strong>tra</strong>to che partecipava ad eventi mondani, anche in terra s<strong>tra</strong>niera e che


- come dice Stefania Ariosto e come e<strong>gli</strong> stesso ammette - era strettamente legato a due avvocati del foro di<br />

Roma, Attilio Pacifico e Cesare Previti; un magis<strong>tra</strong>to che - come dicono i documenti acquisiti per via<br />

rogatoriale - gestiva imponenti ricchezze, occultate su conti aperti presso banche della Confederazione<br />

Elvetica, precipitosamente prelevate in contanti, chiuse in valigia, e fatte sparire alle prime avvisa<strong>gli</strong>e delle<br />

attività investigative della Procura della Repubblica di Milano.<br />

La teste Ariosto lo descrive come elemento di punta di una lobby affaristico - giudiziaria, sostanzialmente<br />

capeggiata da Cesare Previti - coadiuvato, anche nella parte finanziaria, da Attilio Pacifico - in grado di<br />

influire, mediante una rete di <strong>rapporti</strong> gestiti at<strong>tra</strong>verso la corresponsione di compensi illeciti, sull'andamento<br />

delle cause (ed in quel periodo storico ve n'erano di assai rilevanti dal punto di vista de<strong>gli</strong> interessi in gioco)<br />

in essere presso la sede romana.<br />

Se, come dicono <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> e come sostengono con vigore i difensori, la Ariosto è una spudorata<br />

calunniatrice, bisogna ammettere che, nel caso IMI- SIR (del quale, beninteso, ella non ha detto alcunché)<br />

ha avuto un eccezionale colpo di fortuna, dal momento che la realtà probatoria fin qui analizzata ha offerto<br />

un quadro perfettamente in grado di essere inserito nel generale affresco da lei <strong>tra</strong>tteggiato.<br />

Di un rapporto pregresso di Squillante con Nino Rovelli è lo stesso Felice che parla, facendolo risalire<br />

almeno al 1987, quando lo incontrò presso l'ufficio del padre a Lugano; dopo la morte di Nino, il primo<br />

contatto telefonico documentato con Rovelli junior risale al 24 lu<strong>gli</strong>o 1991, ossia in epoca precedente alla<br />

designazione di Simonetta Sotgiu quale componente del collegio della causa civile (l'interessata afferma di<br />

averne avuto notizia al suo rientro dalle ferie estive del 1991 e la ricollega alla "fuoriuscita" dal processo del<br />

Presidente Montanari Visco, raggiunto - anch'e<strong>gli</strong> - da lettera anonima).<br />

Ancora precedente è il già citato <strong>tra</strong>sferimento bancario di 133 milioni di lire in favore di Squillante,<br />

proveniente, secondo l'impostazione accusatoria pienamente confermata dal dibattimento, dalla cosiddetta<br />

"prima provvista Rovelli".<br />

In sede di arringa finale, la difesa di Squillante ha insistito sul dato cronologico del preteso compenso<br />

illecito, argomentando che il magis<strong>tra</strong>to non poteva essere stato retribuito in anticipo,ossia ancor prima che<br />

si sapesse che del collegio giudicante avrebbe fatto parte un giudice "raggiungibile" at<strong>tra</strong>verso Francesco<br />

Berlinguer.<br />

Reputa il Tribunale che, al con<strong>tra</strong>rio, questo elemento vada a rafforzare l'impostazione accusatoria proprio<br />

con riferimento alla sua figura ed al suo effettivo ruolo nella vicenda: e<strong>gli</strong> infatti, non è stato contattato e<br />

retribuito per il semplice (per quanto importante) intervento sul giudice Sotgiu bensì, in epoca precedente,<br />

era già inserito nel generale progetto corruttivo (i cui contorni specifici si andavano via via delineando in<br />

dipendenza delle vicende processuali) avendo e<strong>gli</strong> offerto, in forma anticipata e generale, le proprie capacità<br />

di influenza, pene<strong>tra</strong>zione e dunque, di interferenza, sull'esito della causa in favore del privato corruttore,<br />

una offerta per la quale, nel giugno del 1991 (allorquando, comunque, la causa Imi-Sir era già pendente in<br />

Cassazione), era già stato in parte retribuito e per la quale percepirà, dopo il passaggio in giudicato della<br />

sentenza e l'irrogazione di circa 68 miliardi di lire ai tre avvocati, ulteriore e più sostanzioso compenso (cfr.<br />

capitolo movimenti finanziari Imi-Sir).<br />

Prima di chiudere il discorso su Renato Squillante, il Tribunale non può fare a meno di affrontare quella<br />

parte della lunga vicenda IMI - Rovelli approdata all'Ufficio da lui diretto fin dal 24 aprile 2002, data nella<br />

quale il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma presentava al Giudice per le indagini preliminari<br />

richiesta di archiviazione, relativamente alla denuncia con la quale il presidente dell'IMI ipotizzava, nei<br />

confronti di ignoti, la avvenuta sot<strong>tra</strong>zione del fascicolo processuale della procura alle liti per il ricorso in<br />

cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Roma.<br />

Poiché nel capo di imputazione non risultano elevati specifici addebiti relativi a condotte di interferenza, da<br />

parte del giudice Squillante, su magis<strong>tra</strong>ti addetti al suo Ufficio che si sono occupati della questione, i<br />

difensori ne hanno <strong>tra</strong>tto considerazioni favorevoli all'imputato; in sostanza, osserva la difesa, se fosse vero<br />

che Squillante si era "venduto" ai Rovelli, e<strong>gli</strong> avrebbe certamente operato in senso a loro favorevole proprio<br />

quando era maggiormente in grado di esercitare, direttamente e concretamente, la propria influenza, ossia<br />

nei confronti dei giudici per le indagini preliminari cui il procedimento è stato di volta in volta assegnato.<br />

A<strong>gli</strong> atti del dibattimento risulta invece - sostiene la difesa - che e<strong>gli</strong> si astenne dall'intervenire in tal senso.


Ricostruendo in fatto <strong>gli</strong> accadimenti relativi alla sorte della denuncia presentata dall’IMI, dai documenti<br />

acquisiti (cfr. prod. PM, in faldone 28) si rileva quanto segue:<br />

- in data 24 aprile 1992 il dott. Pietro Giordano, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale<br />

di Roma, sulla scorta dell'attività di indagine svolta, chiedeva al Giudice per le indagini preliminari di<br />

voler disporre l'archiviazione del procedimento, iscritto per l'ipotesi di cui all'alt. 490 c.p., per essere<br />

rimasti ignoti <strong>gli</strong> autori del reato;<br />

- con decreto depositato il 13 lu<strong>gli</strong>o dello stesso anno il giudice dott. Vincenzo Rotundo disponeva, con<br />

procedura "de plano", l'archiviazione del procedimento, ma con la diversa formula dell'infondatezza<br />

della notizia di reato;<br />

- la persona offesa Luigi Arcuti proponeva, in data 23 lu<strong>gli</strong>o 1992, ricorso per cassazione avverso tale<br />

decreto (non si può fare a meno di notare come, per un curioso gioco del destino, l'atto di impugnazione<br />

nell'interesse dell'IMI sia stato depositato personalmente da uno dei difensori de<strong>gli</strong> odierni <strong>imputati</strong>);<br />

- la Corte di Cassazione, sezione V, con sentenza in data 1° aprile 1993, annullava con rinvio il decreto<br />

impugnato, affermando che "il g.i.p., a fronte di una richiesta di archiviazione per essere rimasti ignoti<br />

<strong>gli</strong> autori del reato denunciato non può disporne l'archiviazione per il titolo, affatto diverso,<br />

dell'infondatezza della notitia criminis, poiché, così operando, verrebbe a privare la persona offesa di<br />

quei diritti e garanzie processuali (facoltà di ottenere Ravviso della richiesta del PM, diritto di fare<br />

opposizione, proponendo investigazioni suppletive ed elementi di prova, diritto di partecipare<br />

all'udienza in camera di consi<strong>gli</strong>o, di presentare memorie in cancelleria e di essere sentita) previsti nel<br />

procedimento di archiviazione c.d. ordinario e non invece in quello contro ignoti";<br />

- tornato il fascicolo al G.I.P., questo lo <strong>tra</strong>smetteva al PM, perché provvedesse a<strong>gli</strong> incombenti di cui<br />

all'art. 408 c.p.p., ritenendoli in concreto applicabili;<br />

- non intendendo aderire a tale indicazione, il PM insisteva nella già formulata richiesta di archiviazione<br />

per essere rimasti ignoti <strong>gli</strong> autori del reato: il G.I.P. dichiarava inammissibile la richiesta e, di nuovo,<br />

<strong>tra</strong>smetteva <strong>gli</strong> atti al PM;<br />

- il Procuratore della Repubblica proponeva ulteriore ricorso per Cassazione, contestando l'illegittima<br />

regressione del procedimento;<br />

- con sentenza in data 26 dicembre 1993 la Corte di Cassazione, sezione V, annullava il provvedimento<br />

del Giudice per le indagini preliminari, con rinvio allo stesso giudice precisando che, dopo il precedente<br />

annullamento, "al GIP non restava che uniformarsi alla sentenza di annullamento per ciò che<br />

concerneva ogni questione di diritto con essa esplicitamente o implicitamente decisa";<br />

- il giorno 8 maggio 1995 il PM reiterava le richieste di archiviazione;<br />

- con decreto in data 13 maggio 1996 il G.I.P. nuovamente disponeva l'archiviazione del procedimento<br />

per infondatezza della notizia di reato;<br />

- avverso tale decreto proponeva ancora ricorso per Cassazione l'IMl e, con sentenza in data 6 febbraio<br />

1997, la Corte di Cassazione, ancora una volta, pronunciava annullamento con rinvio del decreto<br />

impugnato, con questa secca formulazione finale: "l'ordinanza impugnata va dunque annullata, con<br />

rinvio de<strong>gli</strong> atti al medesimo giudice, il quale, nel nuovo giudizio di rinvio, si atterrà anche al principio,<br />

già formulato e sin qui disatteso, secondo cui deve ritenersi inibito al GIP, investito di una richiesta di<br />

archiviazione per mancata individuazione de<strong>gli</strong> autori del reato, disporre l'archiviazione medesime per<br />

infondatezza della notizia di reato";<br />

- infine, la vicenda si chiudeva, sul versante romano, con la <strong>tra</strong>smissione de<strong>gli</strong> atti alla Procura della<br />

Repubblica di Milano, la quale aveva oramai iniziato le indagini - con la richiesta di applicazione di<br />

misure cautelari - a carico de<strong>gli</strong> attuali <strong>imputati</strong>.<br />

Esaminato come testimone, Vincenzo Rotundo, ossia il primo giudice che, nell'ambito dell'Ufficio diretto da<br />

Squillante ebbe ad occuparsi della vicenda, ha riferito (cfr. udienza 21 maggio 2001) che, data l'importanza<br />

del procedimento e la delicatezza della questione giuridica da affrontare - e<strong>gli</strong> infatti intendeva disporre<br />

l'archiviazione con formula diversa da quella chiesta dal PM- aveva avuto alcuni colloqui con il capo<br />

dell'Ufficio: "parlammo più di problemi tecnici, e una cosa ricordo, che con<strong>tra</strong>riamente poi a quello che io<br />

feci, nell'ipotesi in cui io avessi deciso per un'archiviazione per infondatezza, come io feci. Squillante<br />

consi<strong>gli</strong>ava, cosa di cui in un certo senso è stato il motivo della riforma poi della Cassazione, se non ricordo<br />

male, perché io poi non l'ho più seguito... e consi<strong>gli</strong>ava la camera di consi<strong>gli</strong>o, consi<strong>gli</strong>ava di fare la<br />

camera di consi<strong>gli</strong>o, cosa che io invece ritenni di non fare essendo... avendo già dato ampia possibilità alle<br />

parti... di interloquire a mio avviso pienamente".


Ad esplicita domanda della difesa, che <strong>gli</strong> chiedeva se avesse <strong>tra</strong>tto in qualche modo l'impressione che<br />

Squillante volesse favorire la parte Rovelli, il teste così rispondeva: "Lo escludo nella maniera più assoluta.<br />

Non ci sarebbero stati più di un colloquio".<br />

Infine, il teste precisava che non aveva più seguito il procedimento in quanto era stato collocato "fuori<br />

ruolo", essendo stato chiamato dal professore Mezzanotte (già difensore della SIR nell'incidente di<br />

legittimità costituzionale sollevato in fase di Cassazione) quale proprio assistente alla Corte Costituzionale,<br />

incarico che ancora ricopriva al momento del suo esame dibattimentale.<br />

Nel corso del proprio esame dibattimentale, Renato Squillante minimizzava i propri contatti con il giudice<br />

Rotundo in relazione al procedimento penale nato su denuncia IMI: "... questa cosa me la ricordo perché<br />

me n'è venuto a parlare Vincenzo Rotundo, però io ricordo soltanto che evidentemente me ne ha parlato<br />

perché si era visto accolto il ricorso con<strong>tra</strong>rio da parte della Cassazione sulla sollecitazione alla stessa<br />

Cassazione da parte del Pubblico Ministero. Però dopo che tutto questo era avvenuto, mai dico mai<br />

Rotundo a me ha parlato prima di questa decisione. Se è venuto da me, e mi ricordo che effettivamente mi<br />

fece un discorso di questo genere, tutto ciò deve essere avvenuto nel tempo successivo alla sua archiviazione<br />

quando, accolto il ricorso del Pubblico Ministero avverso la sua archiviazione dalla Cassazione, <strong>gli</strong> atti<br />

furono restituiti e dunque finirono all'altro GIP abbinato, secondo le regole prefissate".<br />

Alla domanda della difesa Rovelli, intesa a sapere se i Rovelli (o chi per loro) <strong>gli</strong> avessero mai chiesto di<br />

interessarsi a questo fascicolo, l'imputato rispondeva in questo modo: "Assolutamente no, avvocato, non lo<br />

sapevo manco io... Ma mai nella vita! Mai nella vita!".<br />

E'opinione del Tribunale che dalla vicenda in esame (nella sua assoluta ed eclatante peculiarità) non si<br />

possano <strong>tra</strong>rre le considerazioni favorevoli all'imputato auspicate dalla difesa: sul piano della "informazione"<br />

circa lo sviluppo del procedimento, Squillante non aveva alcun bisogno di porre in essere condotte attive<br />

(anche se il teste non è stato precisissimo sulla domanda relativa alla iniziativa dei colloqui tecnici con il<br />

dirigente) visto che era lo stesso giudice incaricato che lo teneva informato sui problemi da affrontare e,<br />

soprattutto, sui propri orientamenti. In particolare, l'imputato (e la sua negazione sul punto non va oltre la<br />

dichiarazione meramente difensiva) era stato informato in anticipo sul fatto che il giudice propendesse per la<br />

soluzione della infondatezza della notizia di reato, ossia quella di fatto più funzionale a<strong>gli</strong> interessi della<br />

parte Rovelli. Di certo, Squillante non ebbe ad esprimere perplessità (perché il teste non le ha riferite) sul<br />

vero problema tecnico, ossia sulla possibilità per il GIP di pronunziare decreto di archiviazione con formula<br />

diversa da quella oggetto della richiesta del PM; perplessità che forse avrebbero avuto un certo fondamento<br />

se si considera il fatto che - a differenza di quanto ha affermato il teste Rotundo, i cui ricordi, a questo punto,<br />

non appaiono freschissimi- le reiterate sentenze di annullamento da parte della Corte di legittimità (alle quali<br />

l'Ufficio GIP insisteva nel non uniformarsi) investivano proprio questo aspetto.<br />

Dunque, l'imputato, in un certo senso, non ha avuto neppure la necessità di esercitare la propria influenza,<br />

avendo di fronte a sé un giudice già ben orientato a pronunciarsi - con una soluzione tecnica in seguito<br />

reiteratamente giudicata illegittima dalla Corte di Cassazione - nel senso più favorevole alla fami<strong>gli</strong>a<br />

Rovelli.<br />

Anzi, si può dire di più, poiché è oggettivo che sull'asse Pubblico Ministero - Giudice per le indagini<br />

preliminari - Corte di Cassazione si è sviluppato un "braccio di ferro" piuttosto inusuale, durato nel corso<br />

de<strong>gli</strong> anni, francamente di portata tale (non tanto per l'importanza della vicenda sottostante, ma per il<br />

conflitto <strong>tra</strong> uffici) da non poter non essere presente, nelle sue varie fasi, a Squillante, soprattutto se, come<br />

sostenuto da Rotundo, fin dall'inizio vi fu coinvolto.<br />

Invero, ciò che rende la vicenda processuale peculiare non è il fatto che la Corte di Cassazione abbia<br />

considerato illegittima la prima decisione del G.I.P. (che ciò rien<strong>tra</strong> nella normale dinamica processuale, a<br />

seguito di diverse interpretazioni delle norme) bensì il fatto che la stessa Corte, nelle sue successive<br />

pronunzie, abbia ripetutamente stigmatizzato il mancato uniformarsi del G.I.P. al principio di diritto<br />

impugnato, ufficio del G.I.P. che ha ribadito con pervicacia lo stesso orientamento "cassato" dalla Suprema<br />

Corte.<br />

Insomma, quasi un conflitto dell'Ufficio GIP con la Procura della Repubblica, da un lato, e con la Corte di<br />

Cassazione, dall'altro; una situazione talmente singolare da non potere essere sfuggita all'attenzione (e<br />

all'approvazione) del capo dell'Ufficio.<br />

IL COSIDDETTO "EPISODIO CORDA"


Come si è già visto <strong>tra</strong>ttando dello sviluppo della causa IMI - SIR, la Corte Costituzionale aveva dichiarato<br />

l'inammissibilità della questione sollevata in ordine all'art. 369 c.p.c., in sostanza rimettendo alla<br />

interpretazione della Suprema Corte la soluzione del quesito che le era stato devoluto. La causa era stata<br />

quindi riassunta avanti la Corte di Cassazione, con udienza fissata per il 16 marzo 1993; il collegio era<br />

presieduto dal dottor Mario Corda, e giudici erano i consi<strong>gli</strong>eri Bibolini, Morelli, Borre e Ruggiero. Risulta<br />

altresì da<strong>gli</strong> atti che il Presidente designato aveva chiesto al Primo Presidente, Antonio Brancaccio,<br />

l'autorizzazione a rinviare la causa di qualche giorno, per esigenze legate alla prevedibile durata della<br />

discussione orale dei sedici ricorsi a ruolo per quella udienza; l'autorizzazione era stata concessa, con<br />

provvedimento del 24 febbraio 1993, e l'udienza rinviata al 25 marzo successivo.<br />

Nelle more, giungeva però alla Suprema Corte (indirizzata al Presidente Brancaccio ed a tutti i componenti<br />

del collegio giudicante, con timbro postale di spedizione in data 9 marzo 1993) una lettera anonima nella<br />

quale l'estensore, in sostanza, diceva di essere in possesso di un manoscritto del Presidente Corda nel quale<br />

questi invitava i giudici a modificare il consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di deposito della<br />

procura speciale, e tutto ciò allo scopo di emettere una sentenza favorevole all'IMI.<br />

Il 18 marzo 1993 Mario Corda presentava al Primo Presidente dichiarazione di astensione, immediatamente<br />

accolta con provvedimento in calce in pari data, con il quale altresì si disponeva che la causa venisse <strong>tra</strong>ttata<br />

dal collegio precostituito, con la presidenza del dottor Ruggiero e la sostituzione del giudice astenuto con la<br />

dottoressa Milani.<br />

La <strong>tra</strong>ttazione del procedimento venne ulteriormente rinviata all'udienza del 27 mag-gio 1993, ed il<br />

presidente Ruggiero venne sostituito, su sua richiesta, con Giuseppe Salafia.<br />

A tale data la Corte assegnò la causa in decisione ma, prima del deposito della sentenza, era pervenuto un<br />

(ennesimo) esposto anonimo che recava in allegato l'originale della procura speciale del Presidente dell'IMI<br />

ai suoi difensori, s<strong>tra</strong>ppata nel margine sinistro e ta<strong>gli</strong>ata all'angolo destro. Preso atto di questa rilevante<br />

novità il Presidente Salafia aveva riconvocato in camera di consi<strong>gli</strong>o la Corte, che deliberava - con<br />

provvedimento in data 8 giugno, depositato in cancelleria il giorno successivo - di disporre la comparizione<br />

delle parti per il giorno 8 lu<strong>gli</strong>o.<br />

In data 14 lu<strong>gli</strong>o 1993 era depositata la sentenza con la quale la Suprema Corte definitivamente dichiarava<br />

inammissibile il ricorso dell'Istituto Mobiliare Italiano avverso la sentenza della Corte d'Appello di Roma in<br />

data 26 novembre 1990.<br />

In un così breve lasso temporale, dunque (dal marzo al giugno 1993), ben due a dir poco eclatanti anomalie<br />

colpiscono il già "tormentato" iter della causa IMI - Rovelli: un esposto anonimo induce il presidente Corda<br />

a presentare dichiarazione di astensione (subito accolta dal Primo Presidente) e, quando la causa era ormai<br />

passata in decisione, un ennesimo anonimo fa recapitare ai supremi giudici l'originale "mutilato" della<br />

procura speciale che non era risultata allegata al fascicolo.<br />

Il Tribunale, sulla base dei documenti acquisiti - in particolare i tabulati telefonici nonché le agende<br />

seques<strong>tra</strong>te presso lo studio dell'avvocato Pacifico - ritiene dimos<strong>tra</strong>ta anche quella frazione dell'ipotesi<br />

accusatoria che ascrive alle manovre illecite de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> <strong>gli</strong> eventi anomali ora riassunti, che hanno<br />

pesantemente influito sul corso della causa e sul suo esito finale.<br />

Si ricorderà che, nell'analizzare l'"episodio Berlinguer", il Collegio ne sottolineava la formidabile<br />

importanza anche quale chiave di lettura di avvenimenti successivi, che con il medesimo presentano<br />

marcatissime analogie, sul piano dei fatti e su quello delle risultanze probatorie: anche qui siamo di fronte ad<br />

un intervento esterno tendente a condizionare un giudice della causa (che viene addirittura "eliminato", così<br />

come "eliminato" era stato il Presidente Carlo Minniti), anche qui troviamo lettere anonime, anche qui<br />

spunta la figura di un "outsider" (in questo caso si <strong>tra</strong>tta del collaboratore amminis<strong>tra</strong>tivo della Corte di<br />

Cassazione, Nicola Meccariello); e, non ultimo, anche qui vi è un commento interno alla causa versante<br />

occulto de<strong>gli</strong> eventi, rappresentato dai frenetici e più che significativi contatti <strong>tra</strong> <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>.<br />

La ricostruzione dei fatti non può che iniziare dal racconto dei protagonisti togati (purtroppo non tutti,<br />

poiché i consi<strong>gli</strong>eri Borre e Ruggiero sono deceduti prima dell'inizio dell'attività di indagine) in definitiva le<br />

vittime di queste segrete manovre.<br />

Diamo subito la parola al Consi<strong>gli</strong>ere Morelli: "... l'impressione che ancora adesso conservo è... diciamo, di<br />

una certa manipolazione di cui eravamo stati fatti oggetto: in sostanza, questo Collegio pilotato da questa<br />

sostituzione; è ovvio che la sostituzione di un collega incide virtualmente sulla decisione, soprattutto quando<br />

si <strong>tra</strong>tta di decisioni così sul filo del rasoio... non si può dire quale sarebbe stata la decisione... se non ci<br />

fosse stata quella sostituzione probabilmente avrebbe potuto anche essere diversa... il fatto che l'ordine


naturale del giudizio fosse stato alterato con questo gioco di sostituzioni era indubbiamente qualcosa che<br />

lasciava sconcertati... una sensazione di beffa" (cfr. ud.4 maggio 2001, p.25).<br />

E ciò il teste racconta dopo avere dichiarato che i due scritti anonimi, nei commenti di alcuni dei destinatari,<br />

erano chiaramente apparsi come ascrivibili ad un'unica mano, sia dal punto di vista grafico, sia per il<br />

linguaggio usato, sia, e non da ultimo, per i contenuti: dunque, un pesantissimo intervento esterno di<br />

interferenza in quello che il teste giustamente chiama "l'ordine naturale del giudizio"; una alterazione nella<br />

composizione del collegio giudicante che, come ha ben spiegato il teste (e come ben sa chi svolge attività<br />

giurisdizionale) va molto al di là del mero aspetto aritmetico relativo alla formazione di maggioranze su<br />

punti della decisione. E', questa, una interferenza profonda, idonea ad alterare anche l'andamento della<br />

discussione in camera di consi<strong>gli</strong>o, all'interno della quale ciascuno dei componenti porta molto più di un<br />

voto: porta il proprio baga<strong>gli</strong>o culturale, le proprie specifiche competenze tecniche, la propria sensibilità;<br />

tutti elementi che, insieme, concorrono nella formazione della volontà collegiale.<br />

Vale a questo punto la pena di ricostruire le modalità at<strong>tra</strong>verso le quali "l'ignoto estensore" ha incassato<br />

comodamente il risultato voluto, vale a dire l'estromissione dal processo del Presidente Mario Corda<br />

(esaminato all'udienza del 23 aprile 2001).<br />

Questi, specificamente delegato dal Presidente della I Sezione Civile Giancarlo Montanari Visco (come si<br />

ricorderà anch'e<strong>gli</strong> vittima di ignota mano) a presiedere il collegio, si accingeva a prendersi la "patata<br />

bollente" (così l'interessato l'ha definita) e aveva analizzato la argomentazioni di parte IMI tendenti a<br />

chiedere alla Corte una rivisitazione di consolidati orientamenti giurisprudenziali sul punto relativo alla<br />

decadenza per la allegazione di documenti previsti a pena di inammissibilità: una "patata bollente", ha<br />

spiegato Corda, passata alla Corte di Cassazione dalla stessa ordinanza della Corte Costituzionale, nella<br />

quale si faceva riferimento alla esplorazione di alternative in chiave ermeneutica.<br />

Corda quindi si studia la questione e (cosa che non <strong>gli</strong> è vietata, come si spiegherà più avanti) si prospetta<br />

delle possibili soluzioni; visto che nel collegio vi sono giudici che non risiedono in Roma (Bibolini viveva a<br />

Vedano al Lambro, in provincia di Milano, Ruggiero a Napoli), e che quindi con alcuni di loro vi sono<br />

scarse occasioni di incontro al di fuori dei giorni d'udienza, mette per iscritto le proprie riflessioni; fotocopia<br />

personalmente il manoscritto, infila le copie in tante buste quanti sono i consi<strong>gli</strong>eri e, con l'aiuto della<br />

cancelliera Francesca Tatti, lascia nella casella personale di ciascuno dei giudici del collegio le buste -<br />

chiuse - contenenti l'appunto.<br />

La cancelliera, esaminata come teste (cfr. ud. 23 aprile 2001) ha ricordato un episodio particolare, riferito al<br />

consi<strong>gli</strong>ere Ruggiero: il magis<strong>tra</strong>to si trovava in cancelleria, in compagnia di un collega (ma la teste non ha<br />

saputo indicare di chi si <strong>tra</strong>ttasse) e teneva in mano l'appunto del presidente Corda; la Tatti non ebbe modo<br />

di udire la parole pronunziate, ma dai gesti del Ruggiero aveva dedotto che e<strong>gli</strong> avesse "preso male" l'invio<br />

ai giudici, da parte di Corda, del manoscritto.<br />

Dal canto suo, il Consi<strong>gli</strong>ere Morelli, esaminato sul punto, ha dichiarato di avere trovato la propria copia<br />

dell'appunto nella casella e di averla letta solo sommariamente, in quanto aveva subito inteso <strong>tra</strong>ttarsi di<br />

questione in diritto da lui già conosciuta e studiata in tutte le sue implicazioni, d'altro canto, aveva già avuto<br />

un colloquio diretto con il presidente Corda.<br />

Giancarlo Bibolini, relatore designato fin dall'epoca antecedente all'invio de<strong>gli</strong> atti alla Corte Costituzionale,<br />

ha dichiarato di avere trovato la "relazione" in busta chiusa nella propria casella; di averla presa ed averla<br />

aperta solo una volta tornato a casa; non escludeva, pur non essendone certo, che Corda <strong>gli</strong> avesse<br />

preannunziato l'arrivo del manoscritto.<br />

Il diretto interessato, Mario Corda, ha spiegato in modo assai lineare il proprio comportamento nell'occorso:<br />

rilevato che la difesa dell'IMI in sostanza chiedeva un mutamento giurisprudenziale in ordine<br />

all'interpretazione dell'art.369 c.p.c., prima di valutare questo importante aspetto occorreva in via anticipata<br />

"saggiare" le possibilità di un acco<strong>gli</strong>mento del ricorso, aveva quindi avuto un colloquio con il Consi<strong>gli</strong>ere<br />

relatore, il quale <strong>gli</strong> aveva indicato due punti relativi alla questione di merito del ricorso, che dovevano a suo<br />

parere essere approfonditi.<br />

Aveva quindi studiato approfonditamente la questione processuale e, in vista della discussione in camera di<br />

consi<strong>gli</strong>o, <strong>tra</strong>tteggiato ai colleghi del collegio giudicante quali potessero essere a suo giudizio le soluzioni al<br />

problema.<br />

Ad onta di quanto sostengono i difensori (che si sono sforzati, senza successo, di dimos<strong>tra</strong>re, l'inopportunità,<br />

se non addirittura l'illiceità, dell'iniziativa del Presidente Corda) l'anomalia di questa vicenda non sta nella<br />

condotta del presidente Corda, ma si verifica in un momento successivo, ossia quando lo scritto esce dalla<br />

ristrettissima cerchia dei legittimi destinatari, per arrivare in mani diverse, evidentemente interessate


all'esito della causa, che lo hanno usato nel modo che sappiamo e con il chiaro intendimento di ottenere la<br />

sostituzione di un Presidente non gradito.<br />

In sostanza, un più che lecito interloquire riservatamente <strong>tra</strong> membri di un collegio giudicante anche prima<br />

ed al di fuori del sacrale momento della discussione in camera di consi<strong>gli</strong>o (ci si augura che nessuno, almeno<br />

fra coloro che frequentano le aule di giustizia, sia convinto che i giudici di un collegio non abbiano fra loro<br />

diversi momenti di approfondimento e di confronto) si è <strong>tra</strong>sformato in anomalia del processo solo ed<br />

esclusivamente nel momento in cui il contenuto di que<strong>gli</strong> scambi di idee è, questo sì illegittimamente,<br />

<strong>tra</strong>pelato all'esterno.<br />

Benché a giudizio del Tribunale queste considerazioni possano essere qualificate come ovvie e banali, un<br />

chiarimento netto e deciso si impone, onde con<strong>tra</strong>stare con la necessaria fermezza le argomentazioni svolte<br />

dalle difese sul punto, introdotte da una serie di domande ai testimoni più disparati (dai più qualificati, come<br />

i Presidenti Scanzano e Salafia, fino alla Cancelliera Tatti) sulla esistenza o meno di una "prassi" relativa<br />

allo scambio di appunti <strong>tra</strong> giudici, sulla "corposità" di tali appunti, sulla loro estensione, sul loro<br />

approfondimento, sull'essere <strong>gli</strong> stessi suggestivi e meno di soluzioni giuridiche.<br />

In quest'ottica distorta, i difensori sono arrivati al punto di mettere in serio imbarazzo la cancelliera Tatti,<br />

cercando di fare en<strong>tra</strong>re nella sua deposizione valutazioni di merito sull'iniziativa di Mario Corda, che<br />

sarebbe "vietata", in quanto sintomatica di una forma di "pressione" su<strong>gli</strong> altri componenti del Collegio.<br />

Orbene, pensare che qualsiasi giudice ma, di più, Consi<strong>gli</strong>eri di cassazione del valore di coloro che erano<br />

addetti alla I Sezione civile potessero avvertire come "indebita pressione" il contenuto di uno scritto<br />

proveniente dal presidente del collegio, è cosa che fa sorridere, quando si pensi alle dichiarazioni del<br />

Consi<strong>gli</strong>ere Morelli, il quale non solo ha adombrato, nel corso della propria deposizione, una differente<br />

soluzione alla quale e<strong>gli</strong> stava pensando (inerente alla proposizione, in seconda battuta, di una nuova<br />

questione di legittimità costituzionale), ma così si è espresso: "Tutto quello che viene dai colleghi del<br />

collegio è per definizione es<strong>tra</strong>neo a pressione, è un contributo che può essere dato il giorno prima, il<br />

giorno dopo; quindi, sapere quello che pensa il collega è un modo per mettere a fuoco le idee".<br />

Il Tribunale non ha nulla da aggiungere, sul punto, se non di essere, per propria esperienza professionale,<br />

diretto testimone di tali affermazioni.<br />

Ma c'è di più: sempre at<strong>tra</strong>verso le parole della Tatti - ed il suo specifico ricordo di una reazione stizzita del<br />

Consi<strong>gli</strong>ere Ruggiero di fronte all’'"appunto Corda" - le difese sono giunte ad ipotizzare che quest'ultimo<br />

magis<strong>tra</strong>to (ormai defunto, e quindi non più in grado di confermare, né smentire alcunché) potesse essere<br />

l'autore del famoso esposto anonimo a Brancaccio, at<strong>tra</strong>verso il quale e<strong>gli</strong> sarebbe giunto alla "eliminazione"<br />

di un Presidente dal quale si era sentito, proprio in forza del famigerato appunto, illegittimamente "spinto"<br />

verso una certa decisione.<br />

Come nel caso, già analizzato, della vicenda del Presidente Minniti, si <strong>tra</strong>tta di una pura illazione, oltreché<br />

priva di un serio aggancio nelle carte del processo (nessun altro, oltre la Tatti, ha parlato di questa irritazione<br />

di Ruggiero e, ben vedere, la ricostruzione è frutto della deduzione della teste più che della sua percezione<br />

delle parole pronunziate dal giudice) ingiustamente e gratuitamente lesiva dell'onorabilità del Consi<strong>gli</strong>ere<br />

Ruggiero, persona della quale nulla è dato sapere se non, come ricordano i suoi colleghi, che e<strong>gli</strong> "non<br />

voleva mai fare un passo in più rispetto a quanto <strong>gli</strong> consentissero le proprie forze"; e quando Brancaccio lo<br />

designa Presidente in sostituzione dell'astenuto Corda, e<strong>gli</strong> declina, onestamente ammettendo - dato il carico<br />

di lavoro arre<strong>tra</strong>to - di non essere in grado di dirigere la discussione in veste di presidente.<br />

Ebbene, il Tribunale non vede come, alla luce delle riepilogate risultanze probatorie, si possa giungere ad<br />

addebitare ad un magis<strong>tra</strong>to una condotta tanto infamante quale quella del ricorso alle lettere anonime, per di<br />

più in danno di un collega; e va da sé come una simile ricostruzione ometta di considerare la successiva<br />

lettera anonima la quale, nella percezione dei protagonisti della vicenda, era senz'altro alla prima collegata.<br />

Questa ricostruzione non è nulla più di un mero espediente difensivo, tendente a ricondurre questa brutta<br />

vicenda nell'ambito di dinamiche interne al collegio giudicante, descrivendo, da un lato, un presidente che<br />

esercita indebite pressioni sui membri del suo collegio, e, dall'altro, un giudice che, percepite le pressioni,<br />

non sa trovare niente di me<strong>gli</strong>o se non liberarsene inviando una lettera anonima al Primo Presidente della<br />

Corte di Cassazione.<br />

Premesso che è assai facile gettare fango su chi non può più essere chiamato a testimoniare, il Tribunale non<br />

può non osservare come il descritto espediente difensivo miri a dis<strong>tra</strong>rre il Tribunale da tutte le naturali<br />

considerazioni circa il "cui prodest", ossia quale fosse il soggetto veramente interessato ad influire - ed<br />

attrezzato per farlo - con tali modalità sull'iter giudiziario della causa. La risposta non può che venire, ad<br />

avviso del Collegio, dall'analisi dei <strong>rapporti</strong> personali fra <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> nel periodo che interessa, tenendo


sempre sullo sfondo l'intrecciarsi fra loro di segrete relazioni finanziarie in epoca anteriore e successiva ai<br />

fatti in esame.<br />

Dallo sviluppo delle agende seques<strong>tra</strong>te presso lo studio dell'avvocato Pacifico emerge la figura di colui che<br />

sopra si è qualificato come un "outsider", ossia Nicola Meccariello, all'epoca coadiutore giudiziario in<br />

servizio presso l'Ufficio Massimario della Suprema Corte. Uno sguardo complessivo alle agende (cfr., per<br />

una ricostruzione generale, la deposizione del teste Brunetti, ud. 29 gennaio 2001) dimos<strong>tra</strong> immediatamente<br />

che tale dipendente del Ministero della Giustizia era in costante contatto con Attilio Pacifico, al quale, ne<strong>gli</strong><br />

anni dal 1991 al 1993, telefonava quasi tutti i giorni, ed anche più di una volta al giorno.<br />

Per maggiore efficacia espositiva, pare opportuno elencare le annotazioni riguardanti Meccariello (o<br />

Mencariello, ma si <strong>tra</strong>tta della stessa persona) a partire dalla fine di gennaio 1993:<br />

- il 22 gennaio 1993: Meccariello domani telefona per dare notizie, fatti riferire<br />

- il 25 gennaio 1993 ore 11,15: Meccariello<br />

- il 25 gennaio 1993 ore 9: l'udienza 16 marzo 1993<br />

- il 26 gennaio 1993 ore 9,55: Meccariello "Corda, Morelli, Bibolini, Milani, Borre"<br />

- il 5 febbraio 1993: telefonerà il signor Meccariello per lasciare messaggio<br />

- il 12 febbraio 1993 messaggi Meccariello: è rimasto tutto come l'ultima volta<br />

- il 23 febbraio 1993 ore 16,25: Meccariello tutto invariato<br />

- il 1 marzo 1993 ore 9,40, Meccariello in ufficio 686002109<br />

- il 1 marzo 1993 ore 11,40: Meccariello<br />

- il 17 marzo 1993 ore 17,15: Meccariello<br />

- il 18 marzo 1993 Meccariello<br />

- il 22 marzo 1993: ore 11,05 Meccariello<br />

- il 23 marzol993 ore 11,10: Meccariello<br />

- il 29 marzo 1993 ore 11,25: Meccariello<br />

- 1'8 aprile 1993 ore 9: Meccariello<br />

- il 22 aprile 1993 ore 9,20: Meccariello (da richiamare in ufficio)<br />

- il 4 maggio 1993 ore 10: Meccariello<br />

- il 4 maggio 1993 ore 12,05: Meccariello<br />

- il 4 maggio 1993 ore 19,05: Meccariello<br />

- il 6 maggio 1993 ore 9,15: Meccariello<br />

- il 6 maggio 1993 ore 17,30: Meccariello (tutto come prima)<br />

- il 7 maggio 1993 ore 10,30: Meccariello<br />

- il 27 maggio 1993: Meccariello il numero di discussione di una pratica; telefonerà alle 9,30, farlo<br />

richiamare dopo un'ora<br />

- il 27 maggio 1993 ore 9,20: Meccariello è l'unico in tutta la giornata;<br />

- il giorno 8 giugno 1993 ore 11,20: Meccariello se può passare o può chiamare nel pomeriggio, è in<br />

ufficio.<br />

Un esame più analitico delle annotazioni dimos<strong>tra</strong> poi quale fosse l'oggetto di tali continui contatti: il giorno<br />

30 gennaio 1992 (come si ricorderà il 29 gennaio si era tenuta l'udienza in esito alla quale venne eccepita la<br />

mancanza della procura speciale) Meccariello chiama Pacifico lasciando<strong>gli</strong> il seguente messaggio: "non ci<br />

sono novità"; ancor più inequivocabili le annotazioni del 25 gennaio 1993 (9.00 Meccariello: "L'udienza 16<br />

marzo 1993") e del 26 gennaio 1993 (9,55 Meccariello = Corda, Morelli, Bibolini, Milani, Borre): si <strong>tra</strong>tta,<br />

senza alcun dubbio, della composizione del collegio che avrebbe dovuto, all'udienza del 16 marzo 1993,<br />

<strong>tra</strong>ttare e decidere il ricorso IMI-SIR.<br />

Il 12 febbraio 1993 Meccariello lascia a Pacifico questo messaggio: "E' rimasto tutto come l'ultima volta"; di<br />

analogo tenore i messaggi del 23 febbraio 1993 ("16,25 Meccariello = tutto invariato") e del 6 maggio<br />

1993:"17,30 Meccariello (tutto come prima)".<br />

Le informazioni del Meccariello erano attese dall'avvocato Pacifico, visto che, il 27 maggio 1993, e<strong>gli</strong><br />

lasciava alle segretarie dello studio questa disposizione: "Meccariello: il numero di discussione di una<br />

pratica; telefonerà alle 9,30, farlo richiamare dopo un'ora"; puntualmente, alle 9,20, Pacifico riceve<br />

l'informazione che attendeva: "è l'unico in tutta la giornata".<br />

I <strong>rapporti</strong> fra Pacifico e l'impiegato sono così stretti che Meccariello lo avverte che sarà per qualche giorno<br />

assente dall'ufficio, specificando il proprio recapito telefonico privato: "9,25 Meccariello in questi giorni<br />

7616541 è a casa".


Esaminato come teste (cfr. udienza 29 gennaio 2001, pp.35 ss.), l'interessato ammette di avere in<strong>tra</strong>ttenuto,<br />

in quel periodo, un rapporto, per così dire "particolare" con l'avvocato Pacifico, pur dicendosi disposto "in<br />

amicizia" a comportarsi in modo analogo con altri avvocati che ne facessero richiesta; ha ammesso che tale<br />

rapporto consisteva in informazioni sull'andamento della causa IMI- Rovelli, pur precisando che si <strong>tra</strong>ttava<br />

di informazioni non riservate ed accessibili a chiunque.<br />

Su precise domande, ha spiegato che le esigenze di informazione del proprio interlocutore erano relative alla<br />

data d'udienza, all'ordine di <strong>tra</strong>ttazione delle cause ed ad eventuali mutamenti nella composizione del<br />

collegio giudicante, giustificando quest'ultima informazione con la possibilità ("... come accade di solito"!)<br />

che un giudice si ammalasse e venisse sostituito.<br />

Ancora, su specifiche domande relative alla sua conoscenza con i legali che ufficialmente seguivano la causa<br />

(Are, Giorgianni, Irti, Punzi, lannone) rispondeva negativamente, in sostanza dichiarando che il solo legale<br />

ad avere chiesto informazioni su quel processo era Attilio Pacifico, che, come è noto, non era mai stato<br />

nominato né dalla SIR, né tantomeno dall'IMI.<br />

A dispetto della propria dichiarata disponibilità a fornire informazioni (anche al di fuori de<strong>gli</strong> orari d'ufficio<br />

ed utilizzando la propria utenza telefonica privata) a chiunque ne facesse richiesta, Meccariello, richiesto dal<br />

Tribunale, non sapeva tuttavia indicare altri avvocati con i quali avesse in<strong>tra</strong>ttenuto simili <strong>rapporti</strong> di<br />

"cortesia", né, d'altro canto, ha saputo ricordare altre cause - oltre a quella in questione - per la quale<br />

Pacifico fosse tanto interessato ad avere informazioni quasi quotidiane. Infine - ed il dato induce a qualche<br />

amara riflessione sui tempi in cui viviamo - il teste ha ammesso di avere ricevuto in omaggio, at<strong>tra</strong>verso<br />

l'interessamento di Attilio Pacifico, quattro inviti ad assistere in studio alle regis<strong>tra</strong>zioni del programma<br />

televisivo "La corrida", <strong>tra</strong>smesso dalle reti Mediaset; <strong>gli</strong> inviti erano poi stati utilizzati dai suoi due fi<strong>gli</strong>,<br />

appena ventenni, e da due loro amici.<br />

Come si evince dalle annotazioni sull'agenda di Pacifico in data 10 febbraio 1993 e 17 marzo 1993, de<strong>gli</strong><br />

inviti si era occupato lo studio dell'avvocato Cesare Previti, nella persona del collaboratore "tuttofare" Marco<br />

lannilli, che lo ha confermato in dibattimento.<br />

All'imputato Pacifico, nel corso dell'esame dibattimentale, sono state chieste spiegazioni sui motivi per i<br />

quali si mos<strong>tra</strong>va tanto interessato a conoscere - praticamente "in diretta" - l'iter della causa avanti la Corte<br />

di cassazione. E<strong>gli</strong> (cfr. ud.20 settembre 2002,p.33 ss.) così rispondeva:"Felice Rovelli dopo che aveva<br />

accertato che il padre aveva in me una fiducia così grande da rilasciare addirittura l'impegno per il fi<strong>gli</strong>o e<br />

la mo<strong>gli</strong>e di pagarmi questa cifra... e ha saputo che c'era questo contatto e questo rapporto così stretto,<br />

essendo un ansioso e avendo trovato una persona che aveva un tipo di espressioni, di carattere molto<br />

cordiale, come credo di essere stato almeno nel passato io, si rivolgeva a me per questi tipi di<br />

informazioni... qui il Collegio probabilmente poteva essere composto da un Presidente e da alcuni<br />

magis<strong>tra</strong>ti che potevano, che ne so, interpretare certe cose di quella causa, di quel giudizio, e per cui<br />

voleva sapere queste cose".<br />

Al Pubblico Ministero, che <strong>gli</strong> faceva presente come la fami<strong>gli</strong>a Rovelli fosse assistita da legali di<br />

primissimo piano ed autorevolissimi cattedratici ai quali Felice avrebbe a buon diritto potuto rivolgersi,<br />

l'imputato obiettava: "... io ho un rapporto umano, di cordialità, con Felice Rovelli, che non aveva né il<br />

professor Are, né Giorgianni, che era sempre s<strong>tra</strong>impegnato e che lui non può chiamare... ecco il motivo, io<br />

credo".<br />

In parole più semplici: siccome i due citati professori (... non se n'abbiano a male <strong>gli</strong> interessati...) erano sì<br />

giuristi di chiara fama, ma non molto simpatici e assai impegnati, Felice aveva necessità di seguire<br />

l'evoluzione della causa at<strong>tra</strong>verso Attilio Pacifico, il quale, oltre ad essere "persona di fiducia" del defunto<br />

padre, era anche simpatico e cordiale: il che, come è noto, non guasta, soprattutto quando si <strong>tra</strong>tta di gestire<br />

cause di risarcimento plurimiliardarie.<br />

La pochezza di questa spiegazione si commenta da sé e rende quasi superfluo argomentare oltre, se non per<br />

ricordare quanto Felice Rovelli e Pacifico siano stati attivi (insieme a Renato Squillante) quando si <strong>tra</strong>ttava<br />

di avvicinare un componente del primo collegio giudicante che si occupò in Corte di cassazione, della causa<br />

IMI- SIR: a tal punto erano interessati all'iter del processo, da avere promesso ben cinquecento milioni di<br />

lire ad un amico ed ex compagno di liceo di uno dei giudici.<br />

Ed allora, vi era l'assoluta necessità - dopo che la Corte costituzionale aveva rimesso la "patata bollente"<br />

nelle mani della Cassazione - di conoscere con congruo anticipo la composizione del nuovo collegio, e non<br />

solo per i motivi che lo stesso Pacifico si è lasciato sfuggire, ossia per conoscerne <strong>gli</strong> orientamenti.<br />

Fin qui, si potrebbe obiettare, nulla di male: è frequente che <strong>gli</strong> avvocati si informino sulla composizione del<br />

collegio, per poterne apprezzare in anticipo il maggior rigore su alcune questioni in diritto ovvero,


semplicemente, per valutare le specifiche competenze tecniche dei singoli componenti. Se non fosse che, nel<br />

caso di specie, il controllo sulla composizione del collegio era continuo, quasi che ci si aspettasse, da un<br />

giorno all'altro, il sopravvenire di una "malattia" (come ipotizzato dal Meccariello) o comunque di un<br />

"impedimento" (come poi avvenuto) che ne determinasse un mutamento.<br />

E comunque, ciò che era l'anno precedente avvenuto, con i tentativi di avvicinamento di Simonetta Sotgiu,<br />

consente di affermare che, ancor più a monte, l'interessamento per la composizione del collegio, lungi<br />

dall'essere suggerita da considerazioni prudenziali sulla naturale morbilità dei giudici, come di tutti <strong>gli</strong> esseri<br />

umani, aveva certamente lo scopo di esplorare - magari ancora contando sulla figura, autorevole e assai<br />

conosciuta ne<strong>gli</strong> ambienti giudiziari romani, di Renato Squillante - eventuali possibilità di avvicinamento. I<br />

dati disponibili non consentono di dire se tale eventualità sia stata esplorata e con che esito; certo è che<br />

Pacifico e Rovelli si erano assicurati un capillare e minuzioso controllo su ciò che avveniva nelle stanze<br />

della Corte di Cassazione e tale dato, oggettivo ed incontrovertibile sulla base dei documenti in atti, deve<br />

essere letto in una con ciò che altrettanto oggettivamente accadde: ossia che uno dei giudici "sotto controllo"<br />

avesse messo nero su bianco alcune riflessioni riservate a<strong>gli</strong> altri giudici; che queste osservazioni lo<br />

rendessero, guarda caso, inviso ai Rovelli, per avere e<strong>gli</strong> pensato di suggerire la rivisitazione del tema della<br />

decadenza dal deposito della procura alle liti; che il contenuto di queste osservazioni sia uscito dalla sfera<br />

dei legittimi destinatari e in seguito utilizzato, in forma anonima, per tacciare di parzialità il Presidente<br />

Corda; che la dichiarazione di astensione di quest'ultimo, presentata ad un con<strong>tra</strong>riato Brancaccio, abbia<br />

avuto acco<strong>gli</strong>mento seduta stante.<br />

Insomma: abbiamo, da un lato, una continua "osservazione" - chiesta da Rovelli a Pacifico ed attuata<br />

quantomeno <strong>tra</strong>mite Meccariello - della I Sezione Civile e, dall'altro, un intervento esterno, che solo un<br />

eufemismo può consentire di qualificare "di disturbo", tale da creare i presupposti per una dichiarazione di<br />

astensione da parte del Presidente del Collegio, poi accolta. E, guarda caso, il giudice estromesso aveva<br />

proposto alla riflessione dei suoi giudici argomenti e soluzioni tecnico - giuridiche sfavorevoli ai Rovelli. Si<br />

riaffacciava dunque la prospettiva che l'asso nella manica potesse <strong>tra</strong>sformarsi in un due di picche: di lì a<br />

pochi giorni, la "mina" di nome Mario Corda era agevolmente "disinnescata".<br />

Insomma, le due attività "occulte" corrono su binari paralleli, ed una è funzionale all'al<strong>tra</strong>: ne può dirsi che il<br />

costante controllo e monitoraggio sui collegi e sui loro componenti - ovvero sulle notizie "in anteprima"<br />

su<strong>gli</strong> orientamenti dei giudici - si sia limitato alle fasi del giudizio di Cassazione svoltesi ne<strong>gli</strong> anni 1991<br />

(episodio Berlinguer) e 1992 (episodio Corda). Le annotazioni sulle agende di Pacifico e l'accertamento dei<br />

suoi continui contatti con Meccariello ne hanno dato, per l'episodio de quo, una sorta di <strong>tra</strong>smissione<br />

"minuto per minuto", sia pure in differita; tuttavia, per le fasi precedenti (ed anche per quelle successive)<br />

l'esistenza e l'efficacia della rete informativa si desumono da<strong>gli</strong> esiti - sempre positivi per parte Rovelli -<br />

dell'attività di interferenza. Così, una "mirata" informazione sulle perplessità di Carlo Minniti in ordine alla<br />

perizia sul valore della SIR ha portato alla sua "rimozione" di fatto dal Collegio giudicante del Tribunale di<br />

Roma; proseguendo, allorquando la Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza della Corte<br />

d'Appello sull'an debeatur, la parte Rovelli era en<strong>tra</strong>ta in possesso di una minuta ancora non collazionata<br />

dall'estensore e dunque, prima della pubblicazione da parte della Suprema Corte: come s'è visto, questa<br />

circostanza è dimos<strong>tra</strong>ta dal fatto che l'appunto anonimo - redatto da Acampora, in possesso di Pacifico e<br />

"copiato" da Metta - reca una citazione letterale di un passo di quella sentenza non ancora depurato da un<br />

refuso evidentemente intervenuto in sede di dattiloscrittura ("riformata" in luogo di "ritenuta").<br />

E l'attività di "spionaggio" non si è fermata neppure dopo la sentenza con la quale, il 14 lu<strong>gli</strong>o 1993, la Corte<br />

di Cassazione dichiarava l'improcedibilità del ricorso dell'IMI: su quella autentica "miniera" di indizi che è<br />

l'agenda di Attilio Pacifico troviamo, la seguente annotazione: "7 .12.1993 -11.10 Castello - il terzo del<br />

collegio è Apice e non Marziale".<br />

E <strong>gli</strong> investigatori non hanno dovuto compiere eccessivi sforzi per comprendere che anche quella<br />

composizione di un organo giudiziario riguardava la controversia IMI-SIR: l'IMI aveva presentato alla Corte<br />

d'Appello di Roma ricorso per la sospensione della esecuzione; l'udienza era stata fissata, appunto, per il 7<br />

dicembre 1993; il 30 dicembre successivo era depositata ordinanza con la quale la Prima Sezione della Corte<br />

dichiarava inammissibile l'istanza; il collegio giudicante era così composto: Presidente Antonio Cassano,<br />

Consi<strong>gli</strong>eri Umberto Apice e Giovanni Settimj. Quest'ultimo, esaminato all'udienza del 5 aprile 2002<br />

dichiarava che, all'epoca dei fatti, era consi<strong>gli</strong>ere presso la Prima Sezione della Corte d'appello di Roma, ed<br />

era spesso inserito nel collegio del Presidente Cassano, insieme al collega Marziale; Ricordava che Umberto<br />

Apice aveva eccezionalmente fatto parte di quel collegio, proprio per sostituire quest'ultimo.<br />

Anche il teste Apice confermava la circostanza, (cfr udienza 26 marzo 2001) precisando che Marziale era<br />

stato chiamato a far parte della Commissione esaminatrice del concorso per uditori giudiziari.


Anche il diretto interessato (cfr. udienza 16 marzo 2001) confermava, precisando che, con il provvedimento<br />

di nomina del Consi<strong>gli</strong>o Superiore della Magis<strong>tra</strong>tura, e<strong>gli</strong> era stato, come sempre accade, esonerato dal<br />

lavoro giudiziario sin dal maggio del 1993; ciò dunque, aveva reso necessaria la sua sostituzione.<br />

Grazie alle risultanze dei tabulati telefonici, è stato altresì possibile identificare l'autore della comunicazione<br />

relativa al collegio, annotata sull'agenda di Pacifico: si <strong>tra</strong>tta di Salvatore Castello, cancelliere all'epoca in<br />

servizio presso la Corte d'appello di Roma, e<strong>gli</strong>, già sottoposto ad indagini per i medesimi fatti (e dunque<br />

esaminato ai sensi del- l'art.210 c.p.p. all'udienza del 12 febbraio 2002) ha ammesso - e del resto i citati<br />

tabulati erano assai eloquenti - di avere in<strong>tra</strong>ttenuto un rapporto alquanto stretto con l'avvocato Pacifico, che<br />

aveva anche incaricato di seguire proprie personali vicende legali.<br />

Specificamente interrogato in ordine alla citata annotazione, il Castello affermava di non ricordare alcunché,<br />

ma di non escludere di avere fornito questa indicazione per cortesia nei confronti di Pacifico, visto che si<br />

<strong>tra</strong>ttava di informazioni pubbliche ed accessibili a chiunque ne avesse interesse.<br />

Sempre alla stregua delle risultanze dei tabulati telefonici, dichiarava di avere <strong>rapporti</strong> anche con lo studio<br />

di Cesare Previti, ed in particolare con il collaboratore Marco Iannilli.<br />

Dunque, anche dopo che la sentenza firmata da Vittorio Metta era divenuta irrevocabile - ma, è appena il<br />

caso di notare, prima che l'IMI vi desse esecuzione, pagando ai Rovelli la somma di quasi mille miliardi di<br />

lire - Attilio Pacifico si attiva per seguire, passo dopo passo, <strong>gli</strong> sviluppi della causa che, per lui, valeva<br />

oramai trenta miliardi di lire e altrettanto valeva per <strong>gli</strong> amici Previti e Acampora.<br />

Tornando al punto, per allontanare da<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> la paternità dell'episodio relativo alla astensione di Mario<br />

Corda, occorrerebbe dare dignità logica - prima ancora che di convergenza con <strong>gli</strong> altri indizi - ad una<br />

ipotesi che di logico non avrebbe alcunché, immaginando una persona, diversa da Felice Rovelli e da questi<br />

assolutamente indipendente, che fosse tuttavia tanto interessata ad un esito della causa in favore della SIR al<br />

punto da attivarsi per ottenere notizie su<strong>gli</strong> "orientamenti" dei giudici e, avutele, le abbia utilizzate nel modo<br />

che sappiamo. Tutto ciò dopo che lo stesso Rovelli aveva tentato di influire su uno dei componenti del<br />

collegio precedentemente costituito e mentre costui, con le modalità che si sono sopra analizzate, si<br />

assicurava un costante monitoraggio sui nominativi de<strong>gli</strong> attuali giudici.<br />

L'assurdità di una simile ipotesi non ha neppure bisogno d'essere dimos<strong>tra</strong>ta, tant'è che neppure le difese vi si<br />

sono avventurate, proponendo invece uno scenario in cui uno de<strong>gli</strong> anonimi (ma non il secondo, rimasto<br />

senza spiegazione) <strong>tra</strong>eva origine da una irritazione ed un malcontento tutti interni alla ristretta cerchia del<br />

collegio giudicante. Ebbene: miseramente fallito questo tentativo della difesa di annullare la portata<br />

indiziaria della vicenda, scaricandone per intero il peso sul defunto giudice Ruggiero, rimane sul tappeto una<br />

sola conclusione compatibile con lo sviluppo storico della vicenda e con i dati documentali: le manovre che<br />

hanno condotto all'uscita dal processo del giudice Corda sono da ascrivere all'attività occulta de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>,<br />

in nome e per conto della fami<strong>gli</strong>a Rovelli, con il concorso di altri appartenenti alla amminis<strong>tra</strong>zione<br />

giudiziaria, rimasti ignoti, che hanno violato i doveri del proprio ufficio nell'interesse di una delle due parti<br />

in causa.<br />

Come si dimostrerà a tempo debito, dalla seconda provvista Rovelli - per intenderci, quella finale, con la<br />

quale la parte vittoriosa nella causa salderà il debito a suo tempo con<strong>tra</strong>tto da Nino Rovelli con i tre avvocati<br />

- mancano parecchi denari, prelevati in contanti, dei quali si sono perdute le <strong>tra</strong>cce: denari certamente<br />

utilizzati anche per remunerare coloro i quali, con le condotte che si sono analizzate, hanno determinato<br />

l'esito della vertenza giudiziaria. Resta ora da verificare - per dare compiuta chiusura al quadro indiziario di<br />

questo frammento della lunga attività di corruzione - se, in contemporanea con il "filo diretto" <strong>tra</strong> Pacifico e<br />

Meccariello, i tabulati telefonici e le agende dell'onnipresente Attilio Pacifico registrino un intensificarsi dei<br />

contatti fra <strong>gli</strong> attuali <strong>imputati</strong> paragonabile a quello riscon<strong>tra</strong>to nei giorni dell'episodio Berlinguer.<br />

La risposta è decisamente positiva ed induce ad una prima, semplice riflessione: come si è già detto nella<br />

parte relativa ai <strong>rapporti</strong> fra <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> in generale, sia coloro che, nella ipotesi accusatoria, assumono la<br />

veste di intermediari della attività corruttiva, sia i giudici, hanno in sostanza sempre sostenuto - nelle<br />

differenti posizioni processuali -l'autonomia del rapporto con ciascuno de<strong>gli</strong> altri: in altre parole, Previti,<br />

Pacifico ed Acampora, pur ammettendo ciascuno stretti legami con <strong>gli</strong> altri, hanno sempre negato di essere<br />

reciprocamente a conoscenza dei <strong>rapporti</strong> di debito-credito che li legavano, tutti in via squisitamente<br />

personale, al defunto Nino Rovelli e, per sue disposizioni sul letto di morte, ai suoi eredi. Allo stesso modo,<br />

Squillante, pur legatissimo a Previti e Pacifico, dice di non avere mai parlato con costoro dei suoi <strong>rapporti</strong><br />

con Felice (ma sull'agenda di Pacifico il 9 lu<strong>gli</strong>o 1993, compaiono in successione, queste annotazioni:<br />

"18.10 Rovelli" "X Renato-Rovelli numero macchina e albergo") e viceversa. Vittorio Metta, che su questo<br />

tema come su altri decisivi nel processo, è stato avaro di dichiarazioni, nelle proprie scarne ricostruzioni ha


descritto come autonoma la propria conoscenza con Acampora, Pacifico e Previti, giustificandola (o, per<br />

me<strong>gli</strong>o dire, non giustificandola) come s'è detto.<br />

Questo apporto dichiarativo de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> si scon<strong>tra</strong> però con un dato documentale tanto ricorrente da far<br />

escludere che si <strong>tra</strong>tti di una semplice coincidenza: in alcune giornate particolari, guarda caso, <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong><br />

risultano tutti in contatto <strong>tra</strong> loro.<br />

E'accaduto per l'episodio Berlinguer ed accade per l'episodio Corda.<br />

Facciamo qualche esempio: il 9 marzo è data importante: la lettera anonima reca il timbro in quella data,<br />

l'udienza era fissata per il 16 marzo, ed il 18 marzo Brancaccio sigla il provvedimento di sostituzione di<br />

Mario Corda.<br />

Guardiamo l'agenda di Attilio Pacifico:<br />

- 9,50 Previti (quella operazione che doveva fare l'ha fatta stamattina ed è abbastanza urgente);<br />

- 10,30 Studio Acampora<br />

- 12,15 Acampora 0041227891366.<br />

Il giorno precedente (8 marzo) alle ore 8,41, Pacifico chiama Squillante.<br />

Il giorno successivo (10 marzo) alle ore 11,11 Previti chiama Metta e pochi minuti dopo (ore 11,26) chiama<br />

Squillante.<br />

Ma ancor più emblematico è quanto avviene il 16 marzo 1993.<br />

Queste le annotazioni sull'agenda:<br />

- ore 12 Consigl. Metta - messaggio = studio Previti (l'aw. Prev. desidera parlare con l'avv. Pac.)<br />

- ore 18 Previti (richiama)<br />

- ore 18,10 studio Previti<br />

- ore 18,25 aw. Previti<br />

e queste le risultanze dei tabulati telefonici:<br />

- ore 16,16 Pacifico chiama Squillante durata 54 secondi<br />

- ore 17,52 Metta chiama Previti durata 99 secondi<br />

- ore 17,53 Previti chiama Pacifico durata 41 secondi<br />

- ore 17,56 Metta chiama Previti durata 36 secondi<br />

- ore 18,20 Previti chiama Pacifico durata 145 secondi<br />

- ore 20,30 Previti chiama Pacifico durata 342 secondi<br />

- ore 20,37 Previti chiama Pacifico durata 59 secondi<br />

- ore 20,38 Previti chiama Pacifico durata 15 secondi.<br />

S'è già detto nella parte generale come debba ritenersi provato il possesso e utilizzo, da parte di Vittorio<br />

Metta e non della fi<strong>gli</strong>a Sabrina, dell'apparecchio cellulare intestato a Carletti Fioravante e come sia<br />

processualmente pacifica l'intestazione fittizia a Tifi Paolo (marito della segretaria personale di Cesare<br />

Previti) di due apparecchi cellulari in realtà sempre in uso all'imputato.<br />

Ciò suggerisce alcune considerazioni su quanto avvenuto nel pomeriggio del 16 marzo: la chiamata delle ore<br />

17,52, in partenza dal cellulare di Carletti è diretta allo studio Previti di via Cicerone ed ha durata superiore<br />

al minuto e mezzo; alle 17,53 dal cellulare in uso a Previti parte la chiamata allo studio Pacifico, che ha<br />

durata di 41 secondi. Tre minuti più tardi è di nuovo il cellulare Carletti a chiamare lo studio Previti per 36<br />

secondi.<br />

L'incrocio di questi dati autorizza a ritenere provato che Previti (evidentemente presente presso il proprio<br />

studio) sia stato dapprima chiamato da Metta e, mentre la conversazione era in corso, abbia e<strong>gli</strong> stesso<br />

chiamato lo studio Pacifico: insomma, più che in rapida successione fra loro, questi contatti paiono essere,<br />

almeno in parte addirittura contemporanei e riguardano un giudice della causa IMI - SIR (evidentemente<br />

ancora interessato allo sviluppo della causa e due de<strong>gli</strong> avvocati i quali, dopo il passaggio in giudicato della<br />

sentenza emessa da quel giudice in favore dei Rovelli, saranno destinatari di somme che pare eufemistico<br />

definire esorbitanti. Il tutto non in giorno qualsiasi, bensì nel giorno in cui avrebbe dovuto tenersi l'udienza<br />

avanti la Corte di cassazione e due giorni prima della sostituzione del Presidente Corda, ossia quando l'ormai<br />

nota lettera anonima era giunta ai destinatari.


E non manca, nel panorama di quella giornata, anche il non certo casuale intervento di Renato Squillante,<br />

ossia di quel magis<strong>tra</strong>to che, l'anno precedente aveva tentato - con le modalità già esaminate - di avvicinare<br />

uno dei giudici della causa e che aveva già ricevuto da Rovelli, per il <strong>tra</strong>mite di Pacifico, un piccolo anticipo<br />

di più sostanzioso compenso.<br />

Ad ulteriore e definitiva riprova che qualcosa in questi giorni sta per accadere (e questo qualcosa non può<br />

che essere legato alla causa Rovelli, unico denominatore comune capace di unire fra loro tutti <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>)<br />

basta analizzare le risultanze documentali relative alle giornate immediatamente precedenti e successive al<br />

fatidico 16 marzo.<br />

Dall'agenda di Attilio Pacifico del 15 marzo 1993:<br />

- ore 16,10 Acampora al 3314578 (per anc.20 minuti) dopo in studio<br />

- ore 16,55 Studio Acampora<br />

- ore 17,30 Studio Previti<br />

- ore 17,55 Rovelli<br />

del 17 marzo 1993:<br />

- ore 11,30 M. lannilli: conferma per il 20 marzo alle 4 persone nome Meccariello<br />

- 19,15 ingresso princip. Cinecittà, posto riservato, uomini giacca e cravatta (richiamare per dare l'OK)<br />

- ore 17,15 Meccariello del 18 marzo 1993 (come si ricorderà, si <strong>tra</strong>tta del giorno in cui viene presentata e<br />

subito accolta la dichiarazione di astensione del presidente Corda);<br />

- ore 9,20 Studio Acampora<br />

- ore 10,00 Meccariello<br />

del 19 marzo 1993:<br />

- ore 11,50 avv. Acampora<br />

- ore 17,25 studio Previti (richiamare)<br />

- ore 17,55 Rovelli (urgente bisogno di parlare).<br />

Dai tabulati telefonici:<br />

- 12 marzo 1993 ore 20,20 Pacifico chiama Squillante<br />

- 13 marzo 1993 ore 11,34 Pacifico chiama Squillante<br />

- 14 marzo 1993 ore 20,08 Previti chiama Squillante<br />

- i17 marzo 1993 ore 9,22 Previti chiama Metta<br />

- 17 marzo 1993 ore 17,14 Previti chiama Squillante<br />

- 18 marzo 1993 ore 17,36 Pacifico chiama Squillante<br />

- 19 marzo 1993 ore 19,06 Previti chiama Squillante<br />

- 19 marzo 1993 ore 20,01 Pacifico chiama Squillante<br />

- 19 marzo 1993 ore 20,09 Pacifico chiama squillante<br />

Solo pochi giorni dopo si collocano ben quattro contatti telefonici <strong>tra</strong> Previti e Felice Rovelli:<br />

- il 22 marzo 1993 ore 19,30 Rovelli chiama Previti<br />

- il 22 marzo 1993 ore 19,52 Rovelli chiama Previti<br />

- il 22 marzo 1993 ore 22,35 Previti chiama Rovelli<br />

- il 24 marzo 1993 ore 12,37 Rovelli chiama Previti.<br />

Frattanto, proseguono i contatti di Rovelli con Pacifico e Squillante:<br />

- il 23 marzo 1993 ore 11,06 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 23 marzo 1993 ore 12,55 Rovelli chiama Pacifico<br />

- il 24 marzo 1993 ore 17,26 Rovelli chiama Squillante.


Dunque anche nell'episodio Corda, come nella vicenda Berlinguer, si regis<strong>tra</strong> un perfetto coordinamento<br />

delle comunicazione <strong>tra</strong> <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>, che, anche in questo caso, si intensificano e divengono totali (ossia<br />

coinvolgendoli tutti, nessuno escluso) in concomitanza con eventi assolutamente cruciali per la causa, come<br />

quello ora esaminato, in cui attendeva di racco<strong>gli</strong>ere i frutti della massiccia azione informativa messa in atto<br />

da tempo sui giudici della Corte di cassazione, giungendo all'esito più confacente, in questo momento, a<strong>gli</strong><br />

interessi della parte Rovelli, "l'eliminazione" dal processo di un giudice che aveva rappresentato un ostacolo<br />

(forse l'ultimo) verso l'acquisizione della autorità di giudicato alla sentenza frutto di patto corruttivo, quella<br />

estesa (rectius, sottoscritta) da Vittorio Metta.<br />

CONCLUSIONI<br />

Dopo avere analizzato nel detta<strong>gli</strong>o tutta l'imponente mole delle risultanze processuali relative ai <strong>rapporti</strong> <strong>tra</strong><br />

<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> - partendo dalle loro stesse dichiarazioni, passando at<strong>tra</strong>verso i tabulati telefonici e le agende - è<br />

giunto momento di raggruppare tutte le conclusioni che si sono andate via via formulando, potendo, ora,<br />

dare una risposta all'interrogativo formulato all'esordio del capitolo, allorquando ci si era soffermati sui toni<br />

e sui contenuti della lettera che Angelo Rovelli inviò al fi<strong>gli</strong>o all'indomani della sentenza della Corte<br />

d'Appello di Roma in ordine alla causa Imi-Sir, emessa da un collegio nel quale era relatore il Consi<strong>gli</strong>ere<br />

Vittorio Metta. Non senza, però, avere ripreso e ricordato le osservazioni svolte a proposito di alcuni<br />

particolarissimi "documenti", la maggior parte dei quali rinvenuti e seques<strong>tra</strong>ti nel corso della perquisizione<br />

svolta presso lo studio legale dell'avvocato Attilio Pacifico, in Roma, ed uno, consistente in due smilze<br />

paginette dattiloscritte, prodotto da Giovanni Acampora nel corso di un interrogatorio reso nel lontano 1996.<br />

Si <strong>tra</strong>tta, dunque, di documenti che si trovano a<strong>gli</strong> atti da anni, fin dalle battute iniziali delle indagini<br />

preliminari; e tuttavia, su di essi il dibattimento non si è mai soffermato, anche perché Metta, Rovelli e<br />

Battistella non hanno reso l'esame e Acampora non ha inteso rispondere a domande sulla vicenda Imi-Sir per<br />

la quale è stato giudicato separatamente; quando se ne è parlato (cfr. esame Pacifico), lo si è fatto<br />

tangenzialmente, considerandoli le parti, tutti unitariamente alla stregua di atti del procedimento civile, come<br />

se fossero copie di atti di parte, copie di memorie, copie di ordinanze, copie di sentenze.<br />

Ma non era così.<br />

Certo, Pacifico aveva veramente presso il suo studio parecchie copie de<strong>gli</strong> atti di causa, così come li aveva<br />

Acampora, il quale, insieme all'appunto poc'anzi citato, aveva prodotto una bozza ed una versione<br />

"definitiva" dell'atto di citazione in riassunzione depositato dai legali di Nino Rovelli dopo il primo<br />

annullamento in Corte di cassazione della sentenza sull'an debeatur. Ma en<strong>tra</strong>mbi erano custodi e depositari<br />

di ben altri documenti, scritti su carta semplice, non recante l'intestazione di questo o quello studio legale,<br />

senza il sigillo della Repubblica Italiana che compare sulle intestazioni delle ordinanze o delle sentenze,<br />

fìnanco senza una sigla o una firma.<br />

A questo punto si potrebbe pensare ciò che ha tentato di sostenere Acampora nel già citato interrogatorio:<br />

Nino Rovelli (perché è di quel periodo che si <strong>tra</strong>tta) aveva i suoi avvocati, illustri professori e luminari del<br />

diritto, e tuttavia, da uomo tutto proteso verso l'affermazione dei propri diritti, che riteneva violati, aveva<br />

inteso, con discrezione, consultare altri professionisti e farsi consi<strong>gli</strong>are da loro. In modo occulto, però, per<br />

non urtare la sensibilità dei suoi avvocati "storici", che lo avevano da sempre seguito nei burrascosi <strong>rapporti</strong><br />

con l'IMI e con il "costituendo" consorzio.<br />

Nulla di illecito dunque, neppure la sostanziosissima "parcella", aleatoriamente agganciata all'esito della<br />

causa, che poi si rivelò multimiliardaria.<br />

Ma, come si è visto, non è così.<br />

Come si è già ampiamente dimos<strong>tra</strong>to anche mediante la riproduzione del "testo a fronte", i documenti dei<br />

quali si parla, ad una attenta lettura, si sono rivelati, nei toni, nella terminologia, nella impostazione, ben<br />

diversi da pareri, consi<strong>gli</strong>, critiche o suggerimenti sulle argomentazioni da utilizzare o sui percorsi da seguire<br />

per sostenere al me<strong>gli</strong>o le ragioni della SIR e del suo creatore: erano bozze di consulenza tecnica d'ufficio<br />

per la valutazone della SIR; erano riflessioni sulla opportunità che il risarcimento riconosciuto in primo<br />

grado venisse ridotto in appello "per ragioni di immagine", infine, erano le linee guida della sentenza estesa<br />

da Vittorio Metta sia nella parte sull'an che nella parte sul quantum debeatur, dall'imputato massicciamente<br />

riprese (con qualche mi<strong>gli</strong>oramento stilistico) nella stesura della motivazione.<br />

E ciò, è appena il caso di ripeterlo, chiude e sigilla ermeticamente un cerchio che era già chiuso sulla base di<br />

tutti <strong>gli</strong> altri elementi, che qui si vo<strong>gli</strong>ono solo ricordare a volo d'uccello: l'esistenza di una struttura esterna<br />

dotata di notevoli capacità informative - un dipendente della Corte di cassazione telefonava a Pacifico quasi<br />

quotidianamente, per informarlo della composizione del collegio giudicante e poi, per dir<strong>gli</strong> che "non c'erano


novità"; un dipendente della Corte d'Appello di Roma <strong>gli</strong> telefonava per informarlo che era intervenuta una<br />

sostituzione di un giudice in un altro collegio - e pronta ad en<strong>tra</strong>re in azione quando si palesava il "rischio"<br />

che qualche giudice si mettesse di <strong>tra</strong>verso sulla s<strong>tra</strong>da di Rovelli verso una vittoria giudiziaria che voleva "a<br />

tutti i costi", come è ac-caduto per Carlo Minniti, prontamente inviato ad una inesistente, ma inderogabile,<br />

riunione al Ministero di Grazia e Giustizia (allora si chiamava così) sol perché aveva manifestato qualche<br />

dubbio proprio su quella consulenza d'ufficio; come è accaduto per Mario Corda, pericolosissimo<br />

propugnatore di proposte giurisprudenziali innovative quando Felice Rovelli era convinto che la vittoria<br />

fosse ormai vicina, ed efficacemente indotto all'astensione da chi voleva assicurato un controllo capillare<br />

su<strong>gli</strong> orientamenti dei componenti del Collegio.<br />

E che dire poi del conclamato e provato, per via testimoniale, tentativo di "influenza" su di un giudice della<br />

Cassazione, dietro promessa del compenso di cinquecento milioni di lire al vecchio amico che l'avrebbe<br />

dovuta contattare?<br />

Tutto ciò mentre, sotterraneamente, correvano incessanti telefonate <strong>tra</strong> <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>, giudici ed avvocati,<br />

quasi ossessive quando si <strong>tra</strong>ttava di date importanti per la causa; tutto ciò mentre i giudici in contatto con<br />

<strong>gli</strong> avvocati ricevevano da questi somme estero su estero, come Squillante, ovvero, come Metta,<br />

depositavano con ragionieristica regolarità sui conti correnti decine e decine di milioni venuti dal nulla (cfr.<br />

capitoli " disponibilità di Metta " e " movimenti finanziari Imi-Sir e Monddaori ".<br />

Ed allora, per la causa IMI SIR s'è detto tutto: il defunto Rovelli, grazie ai buoni uffici de<strong>gli</strong> intermediari,<br />

aveva dapprima interferito sulle conclusioni dei periti nominati dal Tribunale e, in Corte d'Appello, era<br />

arrivato a comprarsi il giudice relatore, che mistificando, occultando, <strong>tra</strong>visando i dati processuali all'interno<br />

della discussione in Camera di Consi<strong>gli</strong>o, era riuscito ad assegnar<strong>gli</strong> un risarcimento da cifre di bilancio di<br />

uno Stato. Ecco "l'andare a Roma" che, veramente, aveva dato i suoi frutti.<br />

Improvvisamente, il grande corruttore muore e lascia alla vedova ed al primogenito una eredità composita,<br />

fatta di un enorme patrimonio familiare e di una altrettanto enorme "aspettativa" circa l'esito di una causa,<br />

per vincere la quale aveva veramente fatto di tutto, vieppiù impegnandosi per cifre importanti con i tre<br />

intermediari che, fino a quel momento, l'avevano con successo condotto per mano nelle stanze de<strong>gli</strong> uffici<br />

giudiziari romani. S<strong>tra</strong>no modo di onorare la memoria del defunto padre e marito, quello de<strong>gli</strong> attuali<br />

<strong>imputati</strong> Primarosa Battistella e Felice Rovelli: la prima, prona ai voleri del consorte, si impegna<br />

incondizionatamente (e solo lei poteva farlo, essendo l'unica erede) a sborsare ai tre legali l'illecito<br />

compenso promesso, anzi, inviandone quasi subito un anticipo.<br />

Il secondo - che, forse, vivente il padre, aveva espresso qualche perplessità sulla vicenda - si mette subito<br />

all'opera per proseguire degnamente l'attività corruttiva del genitore, e lo fa in maniera scomposta, assillante,<br />

poco prudente, perché lascia tante <strong>tra</strong>cce: prima, fra tutte, la testimonianza di Francesco Berlinguer.<br />

Come già si accennava nel corso del capitolo, per quanti sforzi abbiano fatto nel dibattimento, i tre<br />

intermediari non sono riusciti a dimos<strong>tra</strong>re l'autonomia del rapporto di ciascuno con Nino Rovelli prima, e<br />

con i suoi eredi poi.<br />

Ma questo fallimento della linea difensiva non deve essere addebitato ad insufficienze della difesa tecnica o<br />

ad una malaccorta gestione delle risultanze processuali: la verità è che si <strong>tra</strong>ttava di una dimos<strong>tra</strong>zione<br />

impossibile, perché erano troppi, e troppo pregnanti, <strong>gli</strong> elementi con<strong>tra</strong>ri.<br />

I tre compaiono sempre insieme sulla scena del processo: quando si presentano a<strong>gli</strong> eredi per rivendicare il<br />

credito; quando ne accettano, senza batter ci<strong>gli</strong>o e senza garanzie, il pagamento all'esito della causa (e come<br />

poteva essere diversamente?); quando sono in contatto <strong>tra</strong> loro e con i giudici; quando, infine, ricevono<br />

l'illecito compenso sui loro conti svizzeri.<br />

Ed il copione, lo si è già detto, si è ripetuto quando era ancora in corso la "stesura" (abbiamo visto con quali<br />

modalità) della sentenza IMI Rovelli, allorquando al Metta viene assegnata un'al<strong>tra</strong> causa di eccezionale<br />

importanza, ed alla quale Cesare Previti è fisiologicamente interessato, perché riguarda la Fininvest, e perché<br />

ha già svolto attività difensiva "occulta" allorquando la causa era approdata al Tribunale di Milano.<br />

Qui, rispetto all'altro processo civile, è tutto più semplice, perché non vi è un lungo iter da seguire e sul<br />

quale intervenire, controllandone tutte le possibili numerose "devianze". Qui non ci sono perizie d'ufficio, ne<br />

sdoppiamento di giudizi sull'an e sul quantum, con conseguente "proliferazione" dei collegi giudicanti da<br />

controllare.<br />

Qui siamo in sede di impugnazione di un lodo arbi<strong>tra</strong>le; qui basta che il giudice, già vendutosi la prima<br />

volta, si venda anche la seconda, e riesca a "guidare" (con i <strong>tra</strong>visamenti, <strong>gli</strong> occultamenti, le mistificazioni<br />

delle quali era già stato capace) il ragionamento dei colleghi in camera di consi<strong>gli</strong>o. Ed anche qui, le<br />

anomalie non si contano: <strong>tra</strong>visamenti e con<strong>tra</strong>ddittorietà nella motivazione, anticipazioni da fonti più che


autorevoli sull'esito del giudizio, una sentenza di 168 pagine scritta a tempo di record e dattiloscritta fuori<br />

dalle sedi istituzionali; più copie, diverse, della sentenza, in circolazione e financo prodotte in dibattimento.<br />

Alla fine, più di quattrocento milioni in contanti arrivano al giudice, dopo movimentazioni bancarie estere, a<br />

partire dai conti riconducibili al gruppo imprenditoriale al quale la sentenza d'appello aveva "consegnato" la<br />

Mondadori; movimentazioni del tutto anomale (e anche qui prive di qualsiasi supporto documentale), alle<br />

quali i protagonisti (sempre loro) non hanno saputo dare una causa lecita.<br />

Intorno, un ambiente dove vengono riservatamente intessuti <strong>rapporti</strong>, se non illeciti, quantomeno<br />

deontologicamente discutibili: le agende di Attilio Pacifico sono piene di nomi di magis<strong>tra</strong>ti e di numeri<br />

telefonici delle loro private abitazioni; dalle rogatorie bancarie emergono conti esteri, riconducibili a giudici<br />

(Verde, Zucchini, Vinci), movimentati da Pacifico e sui quali affluisce danaro non sempre giustificato;<br />

emergono, infine, <strong>rapporti</strong> bancari diretti <strong>tra</strong> Previti ed i magis<strong>tra</strong>ti Squillante e Verde. Sullo sfondo, davvero<br />

sullo sfondo, la voce di Stefania Ariosto, che da conto della " lobby giudiziaria" organizzata da Previti e che<br />

tanti riscontri ha avuto nel presente dibattimento.<br />

COME LI RICOSTRUISCE STEFANIA ARIOSTO<br />

E' stata descritta dalla difesa de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> - soprattutto da quella di Cesare Previti - come una spudorata<br />

bugiarda, una calunniatrice prezzolata ed eterodiretta, occultamente "gestita", per mesi, dalla Guardia di<br />

Finanza e dalla Procura della Repubblica di Milano, per fini diversi da quello della ricerca della verità<br />

nell'ambito del processo penale.<br />

Per iniziativa della stessa difesa, nel corso del dibattimento si sono acquisite non solo prove relative alle<br />

circostanze indicate dalla Ariosto, ma anche specifici elementi in ordine a quella che può essere definita la<br />

"genesi" di queste dichiarazioni, ovverosia il percorso cronologico, storico, fattuale, persino psicologico,<br />

at<strong>tra</strong>verso il quale questa donna si è determinata a spontaneamente presentarsi avanti i magis<strong>tra</strong>ti milanesi<br />

per apportare quel contributo probatorio che si andrà ad analizzare nel detta<strong>gli</strong>o. Ne è scaturito un quadro<br />

articolato, ma tutt'altro che complesso, il quale, lungi dall'accreditare le gravissime illazioni difensive di una<br />

gigantesca calunnia orches<strong>tra</strong>ta nei mesi dal marzo al lu<strong>gli</strong>o 1995, si compone invece con assoluta linearità,<br />

consentendo di evidenziare una prima fase (dal marzo al giugno 1995) in cui l'Ariosto aveva assunto la veste<br />

di informatore della polizia giudiziaria ai sensi dell'alt. 202 c.p.p., ed una seconda (iniziata nel lu<strong>gli</strong>o dello<br />

stesso anno) in cui la fonte confidenziale aveva deciso di palesarsi, venendo quindi interrogata dal Pubblico<br />

Ministero in qualità di persona informata sui fatti e, successivamente, dal Giudice per le indagini preliminari<br />

in sede di incidente probatorio.<br />

Premesso che la teste nulla sa e nulla ha detto circa <strong>gli</strong> specifici fatti di corruzione giudiziaria oggetto di<br />

questo e di altro dibattimento, il Tribunale ritiene la sua testimonianza comunque rilevante - in quanto<br />

descrittiva di un contesto di <strong>rapporti</strong> personali fra alcuni de<strong>gli</strong> attuali <strong>imputati</strong> - quale ulteriore, sia pure non<br />

decisivo, elemento di prova, che va ad aggiungersi ad una imponente mole indiziaria, già di per sé esaustiva,<br />

cir-ca l'esistenza dei patti corruttivi ipotizzati dall'accusa nei confronti de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>.<br />

Cominciando dal nucleo essenziale delle dichiarazioni della teste, è possibile così sintetizzare il contenuto<br />

del contributo di cui all'incidente probatorio (cfr. udienze 25, 30, 31 maggio, e 1° giugno 1996, in faldone<br />

23, dibattimento):<br />

Aveva conosciuto Cesare Previti ne<strong>gli</strong> anni Ottanta, at<strong>tra</strong>verso Giorgio Casoli, magis<strong>tra</strong>to, amico di fami<strong>gli</strong>a<br />

fin da<strong>gli</strong> anni Settanta. Era diventata buona amica di Previti, che la invitava spesso a casa per ricevimenti e<br />

cene o colazioni, e che le aveva confidato di avere a disposizione fondi illimitati messi a disposizione da<br />

Silvio Berlusconi per corrompere magis<strong>tra</strong>ti. Aveva ricevuto tali confidenze non in una sola e precisa<br />

occasione, ma Previti aveva spesso fatto riferimento a questi fatti illeciti nel periodo in cui maggiormente<br />

ebbe a frequentarlo, vale a dire ne<strong>gli</strong> anni'86, '87 e '88. Quando aveva iniziato la relazione sentimentale con<br />

Vittorio Dotti - presentatele proprio da Previti nel settembre 1988 - la sua frequentazione con l'imputato si<br />

era decisamente diradata. Facendole tali confidenze, Previti aveva precisato esservi un gruppo di magis<strong>tra</strong>ti<br />

corrotti, oltre a Renato Squillante - del quale la teste parlerà con maggiori detta<strong>gli</strong> - dei quali però non<br />

sapeva indicare i nomi, in quanto Previti non era mai stato preciso sul punto. Indicava però alcuni nomi di<br />

magis<strong>tra</strong>ti che le era capitato di incon<strong>tra</strong>re a casa Previti nelle occasioni in cui era stata invitata: Carnevale,<br />

Brancaccio, Mancuso, Sammarco, Verde, Valente, Mele e Izzo.<br />

In genere, la teste affermava di avere visto consegnare denaro da Previti e dal suo "collaboratore" Pacifico al<br />

solo Squillante; Previti le aveva anche detto che dall'inizio de<strong>gli</strong> anni ottanta Squillante era il "collettore"


delle tangenti, ossia colui il quale si occupava di distribuire danaro <strong>tra</strong> <strong>gli</strong> altri giudici; aggiungeva che,<br />

probabilmente. Previti aveva anche accennato ai processi ai quali Squillante si era interessato, ma<br />

certamente ora non era in grado di ricordarli. Nulla sapeva dire di preciso su<strong>gli</strong> altri magis<strong>tra</strong>ti, se non ciò di<br />

cui alle generiche affermazioni di Previti, secondo il quale scopo di questa "lobby" era quello di corrompere<br />

i giudici nell'interesse di aziende coinvolte in contenziosi giudiziari.<br />

La teste raccontava due episodi specifici ai quali aveva assistito, concernenti dazioni di denaro direttamente<br />

a Renato Squillante: uno di questi si era verifìcato durante una colazione a casa Previti, alla quale avevano<br />

partecipato Squillante, Pacifico ed altri magis<strong>tra</strong>ti; la teste ricorda d'essere stata l'unico ospite di sesso<br />

femminile e che si <strong>tra</strong>ttava di una colazione al tavolo. Ad un certo punto s'era alzata per andare alla toilette o<br />

al telefono, e, passando, aveva potuto vedere Previti, Squillante e Pacifico che erano riuniti attorno ad un<br />

tavolino accanto ad una libreria; aveva anche potuto scorgere denari sul tavolino; aggiunge che Squillante<br />

aveva detto una frase del tipo "... ci penso io...", ma non può dire perché il denaro fosse sul tavolo. Fra <strong>gli</strong><br />

altri presenti, le pare di ricordare vi fossero anche il Presidente Carlo Sammarco e Gianni Letta. Aggiunge<br />

che vi era un'atmosfera gioiosa, condivisa da tutti i presenti, e che si festeggiava una vittoria giudiziaria: non<br />

sa dire in relazione a quale causa, ma Berlusconi stesso aveva telefonato a Previti durante la riunione.<br />

Quanto alla collocazione temporale, la teste non sapeva essere precisa, ma le sembrava di ricordare si fosse<br />

nella stagione estiva, forse proprio l'estate precedente all'incontro con Dotti. Specifica che la colazione si era<br />

tenuta presso la casa di via Cicerone, che si trova al piano di sopra rispetto allo studio dell'avvocato Previti;<br />

nel corso del controesame, le difese hanno fatto presente che Previti risultava avere <strong>tra</strong>sferito la propria<br />

residenza da via Cicerone a piazza Farnese a far tempo dal gennaio 1988, e la teste, nel ribadire che il fatto si<br />

era svolto in via Cicerone, aggiungeva che, per quanto a sua conoscenza, l'appartamento di via Cicerone<br />

veniva utilizzato per pranzi e cene anche dopo il <strong>tra</strong>sferimento della fami<strong>gli</strong>a nella nuova abitazione. Infatti,<br />

con i lavori in via Cicerone, lo studio era stato ampliato sino a comprendere l'appartamento soprastante, che<br />

era stato collegato all'altro con una scala interna.<br />

Il secondo episodio si era svolto presso la sede del Circolo Canottieri Lazio, dove si tenevano le partite di<br />

calcio o calcetto alle quali partecipavano Previti, Pacifico ed alcuni magis<strong>tra</strong>ti, <strong>tra</strong> i quali anche Renato<br />

Squillante. Quella sera si era appunto svolta una partita, seguita da una cena, alla quale era stata invitata<br />

dalla signora Previti. Terminata la cena, si era avviata verso la propria auto in compagnia di Previti e<br />

Squillante che avevano parcheggiato sul lungotevere proprio vicino alla sua Fiat UNO; dopo i saluti, e<br />

mentre si accingeva ad aprire l'auto, Previti consegnava a Squillante una busta dicendo<strong>gli</strong>: "Renà, tè stai a<br />

dimentica questa..."; Squillante l'aveva presa e consegnata all'autista che era già in auto, dicendo<strong>gli</strong> di<br />

appoggiarla sul sedile posteriore. La busta era gialla e la teste l'aveva già veduta in un momento precedente,<br />

a tavola, nelle mani di Silvana Previti, la quale, dovendo andare alla toilette, l'aveva pregata di custodirla<br />

momentaneamente; si <strong>tra</strong>ttava di un comune busta gialla, non ermeticamente chiusa: tenendola in mano<br />

aveva avuto modo di vedere che la stessa conteneva denaro.<br />

Specificamente richiesta, affermava di non sapere quale fosse il motivo della consegna del denaro. Non<br />

sapeva collocare l'episodio dal punto di vista cronologico, ma affermava comunque <strong>tra</strong>ttarsi di epoca<br />

anteriore al giorno 8 settembre 1988, data in cui aveva conosciuto Vittorio Dotti.<br />

Infine, ed in generale, specificava che durante le cene (o le colazioni) si parlava spesso delle cause in corso,<br />

ma non ne ricorda alcuna; durante una vacanza in barca aveva sentito parlare della questione Mondadori, e<br />

Previti aveva detto che la "guerra di Segrate" era stata "vinta" da lui; aggiunge che nell'ambiente si diceva<br />

che Dotti era l'avvocato de<strong>gli</strong> affari leciti e Previti di quelli illeciti.<br />

Nel corso dell'esame dibattimentale (svoltosi alle udienze del 21 maggio e del 1° giugno 2001) venivano<br />

ovviamente riprese sia le dichiarazioni generali sul contesto, sia quelle sui due episodi testé riepilogati.<br />

Aveva conosciuto Cesare Previti, at<strong>tra</strong>verso Giorgio Casoli ed Enrico Manca, ne<strong>gli</strong> anni 1979/1980; quando<br />

si recava in Roma per motivi di fami<strong>gli</strong>a o di lavoro, le capitava spesso di incon<strong>tra</strong>rlo. Ha avuto occasione di<br />

frequentare lo studio legale e l'abitazione, che si trovavano, all'epoca, in via Cicerone 60, al primo e secondo<br />

piano. Nello studio vi era una grande sala per le riunioni, dove erano serviti i pasti, che venivano portati dal<br />

piano superiore. Ricorda di essere stata a casa Previti due o tre volte.<br />

In tali occasioni conviviali aveva conosciuto - oltre all'avvocato Pacifico - parecchi magis<strong>tra</strong>ti, <strong>tra</strong> i quali<br />

indica Squillante, Napoletano, Priore, Marvasi, Izzo, Brancaccio e Mele.<br />

Molti fra questi avevano partecipato anche ad un viaggio a New York, per la consegna del premio da parte<br />

della associazione de<strong>gli</strong> italiani in America (NIAF) a Bettino Craxi quale "uomo dell'anno"; lo stesso Previti<br />

le aveva detto di avere pagato quel viaggio ad alcuni dei magis<strong>tra</strong>ti invitati. Prima di questo viaggio (che si<br />

colloca nell'ottobre 1988), nel corso di una colazione a casa Previti - alla quel era stata invitata - aveva<br />

assistito ad una singolare scena: essendosi alzata dal proprio posto a tavola per recarsi alla toilette, era


passata accanto ad un tavolino attorno al quale stavano Previti, Pacifico e Squillante: sul tavolino vi erano<br />

mazzette di banconote; a giudicare dal volume, si <strong>tra</strong>ttava di parecchio denaro. Visto il contesto, aveva<br />

avuto un'esitazione e, per discrezione, aveva accennato ad indietreggiare; Previti, accortosi di ciò, l'aveva<br />

rassicurata, invitandola a proseguire. Ciascuno dei tre uomini prendeva una parte del denaro, ed in<br />

particolare Previti ne consegnava una parte a Squillante.<br />

Su contestazione della difesa, la teste affermava di non ricordare se in quella occasione fosse presente<br />

Gianni Letta, che pure conosceva; ancora su contestazione, confermava la presenza del Presidente<br />

Sammarco, il fatto che si festeggiava una vittoria giudiziaria e che era intervenuta una conversazione<br />

telefonica <strong>tra</strong> Previti e Berlusconi.<br />

Il secondo episodio avviene presso la sede del Circolo Canottieri Lazio; la teste afferma di esservi stata un<br />

paio di volte, sempre invitata dai coniugi Previti; non sa dare una collocazione cronologica, neppure rispetto<br />

al primo episodio, ma si <strong>tra</strong>ttava del medesimo periodo, in ogni caso prima del viaggio ne<strong>gli</strong> Stati Uniti<br />

dell'ottobre 1988.<br />

In quell'occasione era arrivata con la sua auto, che aveva parcheggiato vicino a quella di Previti; all'uscita, al<br />

momento dei saluti, aveva notato che anche la macchina di Squillante era parcheggiata nelle vicinanze.<br />

Prima della cena, la signora Previti le aveva chiesto di custodirle la borsa mentre andava in bagno, in quanto<br />

vi era una busta che avrebbe poi dovuto dare al marito: la busta non era sigillata, sicché aveva potuto notare<br />

che all'interno vi era del denaro, come peraltro le aveva già accennato Silvana Previti.<br />

Quest'ultima aveva dopo cena consegnato la busta al marito, il quale, mentre stavano salendo in macchina,<br />

l'aveva consegnata a Squillante, pronunziando la frase già riportata.<br />

Quella sera al Circolo vi era stata una partita di calcetto, alla quale aveva partecipato, oltre a Squillante,<br />

anche Pacifico.<br />

In generale, la teste ha ripetuto che Previti le aveva confidato di avere magis<strong>tra</strong>ti a "libro paga", intendendo<br />

con ciò riferirsi ad un sistema di reciproci favori; l'imputato aveva spesso teorizzato la costruzione di un<br />

"sistema di potere" che coinvolgesse anche altre categorie professionali, oltre a quella dei magis<strong>tra</strong>ti, come<br />

quelle dei giornalisti e de<strong>gli</strong> imprenditori. E<strong>gli</strong> amava dire che, pagando, è possibile ottenere qualunque<br />

cosa.<br />

Ribadendo affermazioni già fatte nel corso delle indagini preliminari, la teste dichiarava di non avere mai<br />

conosciuto - a parte quanto ora riferito - i nomi di questi magis<strong>tra</strong>ti; poteva solamente fare i nomi di coloro<br />

che aveva conosciuto alle riunioni di casa Previti: si <strong>tra</strong>ttava di Sammarco, Valente, Vitalone, Izzo,<br />

Napoletano, Santacroce.<br />

Ancora - sempre riprendendo dichiarazioni rese in precedenza - precisava il ruolo di Attilio Pacifico, che la<br />

teste aveva conosciuto in casa Previti ed aveva poi più volte incon<strong>tra</strong>to ne<strong>gli</strong> anni della sua frequentazione<br />

delle case da gioco, in particolare del Casinò di Campione <strong>d'Italia</strong> (1991-1993).<br />

En<strong>tra</strong>mbi <strong>gli</strong> interessati le avevano riferito che Pacifico era "il braccio destro" di Previti; avevano fra loro<br />

strettissimi <strong>rapporti</strong> anche finanziari, nel senso che Pacifico le aveva detto di avere una sorta di "mandato<br />

generale" per <strong>gli</strong> affari del coimputato, che svolgeva anche all'estero.<br />

Non sapeva dire se avesse anche una "delega" ad operare presso Efibanca, ma aveva sentito una volta Previti<br />

dire a Pacifico: "vai da Aurelio e fai quello che devi fare": si <strong>tra</strong>ttava di Aurelio Lai, presidente o direttore<br />

generale di Efibanca.<br />

Riportandoci col pensiero all'anno 1995, nel quale Stefania Ariosto si determina a fare queste rivelazioni a<strong>gli</strong><br />

inquirenti, possiamo anzitutto capire ed apprezzare la portata de<strong>gli</strong> spunti investigativi offerti nel presentare<br />

questa notizia di reato: occorreva progettare e sviluppare un'attività di indagine che potesse riscon<strong>tra</strong>re tali<br />

rivelazioni, ov vero smentirle. In quel momento, la prova d'accusa era proprio la teste Ariosto, e le in-<br />

dagini tecniche dovevano dunque fungere da verifica e supporto alle sue accuse: man mano che <strong>gli</strong><br />

accertamenti proseguivano - con l'avvio delle rogatorie internazionali, con l'acquisizione dei tabulati<br />

telefonici, con le attività sul territorio di intercettazione di conversazioni e di pedinamenti - il panorama<br />

probatorio mutava profondamente, per così dire, invertendo le proporzioni.<br />

In altre parole, <strong>gli</strong> elementi indiziari acquisiti a<strong>gli</strong> atti a seguito delle rivelazioni della teste hanno assunto, di<br />

per sé considerati, una valenza probatoria autonoma formidabile, e sono tali da sostanzialmente relegare la<br />

primigenia fonte ad elemento di contesto, per non dire di contorno. Come dire che oggi - quantomeno per i<br />

fatti di reato oggetto del presente dibattimento - l'impianto accusatorio è tale da superare senza difficoltà la<br />

"prova di resistenza": anche eliminando mentalmente dal processo la teste Ariosto - sulla quale si sono per<br />

anni concen<strong>tra</strong>ti <strong>gli</strong> sforzi e <strong>gli</strong> s<strong>tra</strong>li della difesa di Cesare Previti - la responsabilità de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> risulta<br />

dalle altre fonti di prova raccolte dal Pubblico Ministero. Prime, fra tutte, quelle documentali relative a<strong>gli</strong><br />

accertamenti bancari all'estero svolti per via rogatoriale, che hanno dimos<strong>tra</strong>to (cfr. capitoli dedicati alle


movimentazioni bancarie) l'esistenza di <strong>rapporti</strong> finanziari fra Cesare Previti ed Attilio Pacifico, da una<br />

parte, ed imprenditori usciti vittoriosi da grandi contenziosi giudiziari svoltisi presso la sede romana,<br />

dall'al<strong>tra</strong>; che hanno dimos<strong>tra</strong>to, ancora, come Attilio Pacifico fosse l'occulto gestore di segreti patrimoni<br />

esteri facenti capo a magis<strong>tra</strong>ti in servizio presso la medesima sede giudiziaria; che hanno effettivamente<br />

fatto emergere (anche at<strong>tra</strong>verso la comparazione con i tabulati telefonici) l'esistenza di una rete di <strong>rapporti</strong><br />

riservati non spiegabili (ed infatti sostanzialmente non spiegati da<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>) se non in chiave illecita, fra i<br />

giudici che hanno svolto le loro funzioni in cause di eccezionale rilevanza (non solo dal punto di vista<br />

patrimoniale) ed alcuni avvocati che delle medesime si sono occultamente occupati.<br />

In tal senso "calibrate" l'efficacia probatoria e la rilevanza delle dichiarazioni di Stefania Ariosto, il<br />

Tribunale non intende comunque sot<strong>tra</strong>rsi al compito di sottoporle ad analisi critica, anche nel solco delle<br />

innumerevoli accuse, ipotesi, illazioni, congetture, gettate sul tappeto - per la verità un po'disordinatamente<br />

ed a volte con<strong>tra</strong>ddittonamente - dalla difesa di Cesare Previti.<br />

- Stefania Ariosto sarebbe stata smentita "su tutta la linea": quando rende dichiarazioni suscettibili di<br />

verifica, tale operazione è sempre di segno negativo per la testimone.<br />

L'affermazione della difesa non corrisponde al vero, eccezion fatta per due circostanze specifiche raccontate<br />

dalla Ariosto e, fin dall'epoca delle indagini preliminari, risultate errate. Ci si riferisce, innanzitutto, alla<br />

vicenda relativa al dott. Mele ed ad un quadro appeso nel suo ufficio, quello del Procuratore della<br />

Repubblica di Roma: al Pubblico Ministero la teste aveva raccontato di averlo visto alle spalle del<br />

magis<strong>tra</strong>to nel corso di un'intervista televisiva, e le sembrava - ma aveva fin dal primo momento<br />

manifestato di non esseme certa - di avere riconosciuto un dipinto da lei stessa in precedenza regalato a<br />

Marcelle Dell'Utri. Successive verifiche avevano dimos<strong>tra</strong>to l'infondatezza della dichiarazione, <strong>tra</strong>ttandosi di<br />

un quadro di proprietà dell'Amminis<strong>tra</strong>zione, da tempo in dotazione all'Ufficio del Procuratore Capo (cfr.<br />

verbale di dichiarazioni di Vittorio Mele, acquisite con il consenso delle parti all'udienza del 6 maggio<br />

2002).<br />

Il teste aggiungeva che, comunque, l'Ariosto non l'aveva mai incluso fra <strong>gli</strong> abituali frequentatori del salotto<br />

di Cesare Previti.<br />

Il magis<strong>tra</strong>to Rosario Priore (esaminato in qualità di testimone all'udienza del 17 maggio 2002) ha riferito di<br />

avere promosso in sede civile azione di risarcimento dei danni nei confronti della teste, che aveva dichiarato<br />

di averlo incon<strong>tra</strong>to al Casinò di Montecarlo; svolti in tale sede accertamenti per via rogatoriale,<br />

l'affermazione aveva ricevuto smentita, posto che le autorità del Principato avevano fornito risposta<br />

negativa.<br />

Secondo la difesa, la teste ha mentito radicalmente anche quando ha parlato dei suoi <strong>rapporti</strong> di amicizia e<br />

di confidenza con Cesare Previti, e sulla sua frequentazione di ricevimenti tenutisi fino al 1988 presso<br />

l'abitazione di via Cicerone: dunque, una negazione totale ed assoluta, da parte dell'imputato, non solo<br />

limitata all'accusa di corruzione giudiziaria, ma spinta al punto di negare che con l'Ariosto vi fosse quel<br />

rapporto privilegiato di cui la teste parla, e che la donna abbia mai messo piede in casa Previti o al Circolo<br />

Canottieri Lazio.<br />

Orbene, sembra al Tribunale che una simile linea difensiva, sproporzionata per eccesso, finisca con<br />

l'indebolirsi da sé, in quanto si pone in insanabile con<strong>tra</strong>sto non tanto con le dichiarazioni dell'interessata,<br />

quanto su dati documentali certi e precisi, uno dei quali proveniente dallo stesso imputato.<br />

In un bi<strong>gli</strong>etto acquisito a<strong>gli</strong> atti, e datato 3 aprile 1987, Previti così si esprime: "Carissima Stefania, ti<br />

ringrazio del dono che è veramente molto, molto bello. Hai veramente esagerato, tenuto conto che il poco o<br />

molto che io posso fare per tè deriva da vincoli di affetto che prescindono da ogni e qualsiasi fatto<br />

materiale. Ancora grazie, un caloroso abbraccio. Cesare".<br />

Nel corso del suo esame dibattimentale l'imputato ha ribadito la propria linea, definendo tutte le<br />

dichiarazioni dell’Ariosto - comprese quelle sul rapporto di amicizia e frequentazione che li legava in quel<br />

periodo - come "menzogne", "balle" "baggianate": contestate<strong>gli</strong> il tenore del bi<strong>gli</strong>etto, l'imputato rispondeva<br />

di avere ricevuto in dono dalla teste - che intendeva ringraziarlo per quanto fatto presso i funzionari Efìbanca<br />

in relazione ad una sua richiesta di finanziamento - un orologio di scarso valore, ma che, lì per lì, <strong>gli</strong> era<br />

parso simpatico. L'aveva mos<strong>tra</strong>to alla mo<strong>gli</strong>e ed alla fi<strong>gli</strong>a, che invece <strong>gli</strong> avevano fatto notare la qualità<br />

scadente; aveva poi incon<strong>tra</strong>to Casoli, che aveva fatto riferimento al regalo di Stefania, pregandolo (anche se<br />

l'oggetto non era stato di suo gradimento) di mandarle un gentile bi<strong>gli</strong>etto di ringraziamento. Non si <strong>tra</strong>ttava,<br />

dunque, di un moto spontaneo, bensì di un gesto "indotto" dal Casoli; di conseguenza, le parole scritte non


corrispondevano ad un autentico sentimento di amicizia e di gratitudine, bensì ad un adempimento formale e<br />

di cortesia.<br />

Il Tribunale non intende dilungarsi oltre per dimos<strong>tra</strong>re la pochezza di tale giustificazione: le parole usate ed<br />

il tono complessivo dello scritto - certamente di pugno dall'imputato - sono tali da non consentire alternativa<br />

alcuna: nell'aprile 1987 - ossia proprio nel periodo in cui la teste colloca le proprie frequentazioni<br />

dell'imputato - <strong>tra</strong> Cesare Previti e Stefania Ariosto esisteva un autentico e non certo superficiale rapporto di<br />

amicizia. La circostanza, per la verità, è ulteriormente attestata proprio da uno dei testimoni dedotti dalla<br />

difesa di Previti - ed ottimo amico dell'imputato - a confutazione delle dichiarazioni Ariosto: si <strong>tra</strong>tta di<br />

Aurelio Lai, direttore generale di EFIBANCA. Esaminato all'udienza del 20 aprile 2002, il teste, nel<br />

confermare l'intervento dell'imputato in favore dell'Ariosto al fine di perorare, presso i vertici dell'istituto, la<br />

richiesta della donna di un ingente finanziamento per la realizzazione di un ambizioso progetto di un campo<br />

da golf alle porte di Milano, descriveva un atteggiamento dell'imputato tutt'altro che freddo o distaccato e di<br />

mera cortesia.<br />

Così si è espresso il teste: "mi disse essere sua amica e di ascoltarla perché mi doveva sottoporre un<br />

interessante piano di investimento... era un'amica alla quale teneva, persona di riguardo...".<br />

E quando Lai dice a Previti di dissuaderla dal progetto, perché prevedeva un esito non positivo della<br />

preistruttoria della pratica, l'imputato non si rassegna, e lo fa oggetto di quelle che il teste definisce senza<br />

mezzi termini "pressioni"; ed allora, "date le continue insistenze - mi dispiace dirlo, ma devo ricordarlo -<br />

dell'avvocato Previti, sembrava che avesse una particolare premura nei confronti della signora, decidemmo<br />

di dare corso ad un sopralluogo...".<br />

Alla fine, quando Lai comunica a Previti che il finanziamento non avrà luogo, chiedendo<strong>gli</strong> di informare<br />

l'amica "mi pregò di farlo io, perché <strong>gli</strong> dispiaceva farlo personalmente".<br />

Insomma, non solo parole particolarmente affettuose nella corrispondenza privata, bensì un fattivo e<br />

rilevantissimo impegno, una manifestazione di amicizia, anche all'esterno.<br />

Del resto, le agende della teste (acquisite in copia per <strong>gli</strong> anni dal 1985 al 1995; cfr. fal-done 2 prod. PM)<br />

sono letteralmente costellate di annotazioni che riguardano l'imputato, soprattutto nel periodo precedente<br />

all'ottobre 1988, anche in relazione all'affare del Golf, all'assessore Ricotti ed ai <strong>rapporti</strong> con Efìbanca sui<br />

quali ci si in<strong>tra</strong>tterrà in seguito.<br />

A meno di non voler sostenere che queste agende siano state "confezionate" ex post dalla teste allo scopo di<br />

dare una parvenza di credibilità alle proprie calunnie (una tesi, questa, timidamente adombrata dalla difesa<br />

nelle prime fasi del dibattimento, ed in seguito abbandonata) si <strong>tra</strong>tta di altro elemento a conferma de<strong>gli</strong><br />

stretti legami <strong>tra</strong> Previti e la teste, e, in generale, a chiarificazione dell'ambiente nella quale la donna era<br />

all'epoca a pieno titolo inserita: scorrendo le pagine, ci rende conto di essere di fronte ad una persona con un<br />

giro di amicizie di altissimo livello, legata al P.S.I. ed in <strong>rapporti</strong> di amicizia, oltre che con Enrico Manca,<br />

con lo stesso Bettino Craxi (vi si trovano appuntamenti, auguri di compleanno, "prime" alla Scala con Anna<br />

Craxi) ed altri membri di spicco del partito (sono frequenti i riferimenti a Pillitteri, De Michelis ed altri).<br />

L'Ariosto risulta altresì in que<strong>gli</strong> anni inserita nell'entourage Fininvest, ben prima dell'inizio della sua<br />

relazione con Vittorio Dotti: sono numerosi i richiami a Confalonieri, Dell'Utri, Silvio e Paolo Berlusconi,<br />

Galliani e Veronica Berlusconi; sono annotati i numeri privati delle residenze di Berlusconi in Milano,<br />

Roma, St. Moritz, Sardegna; risultano inviti a cene Fininvest e alla villa di Arcore per le feste di Natale.<br />

Insomma: si <strong>tra</strong>ttava di una persona legata a Cesare Previti e, più in generale, ad ambienti politici ed<br />

imprenditoriali, milanesi e romani, di primissimo piano; una persona "del giro", alla quale ben potevano<br />

essere fatte determinate confidenze e della quale, evidentemente, ci si fidava. Nell'ambito di <strong>rapporti</strong><br />

personali di questo genere, è naturale pensare che alla Ariosto potessero essere rivolti inviti per cene o<br />

colazioni, anche riservate ad una ristretta cerchia di persone: passando a quella parte di dichiarazioni<br />

riguardante l'elenco dei magis<strong>tra</strong>ti che la teste ha ricordato quali presenti ai ricevimenti, si scopre che, in fin<br />

dei conti, nessuno dei testimoni - ascoltati in dibattimento per iniziativa della difesa - ha negato radicalmente<br />

la circostanza di avere partecipato a ricevimenti, cene o colazioni offerte dall'imputato.<br />

Piuttosto, si sono riscon<strong>tra</strong>te dichiarazioni comprensibilmente (dato il contesto) ispirate dall'esigenza di<br />

circoscrivere e limitare la presenza in casa Previti e, altrettanto comprensibilmente, nessuno dei testimoni ha<br />

ricordato di avere in quelle occasioni conosciuto Stefania Ariosto.<br />

Analizziamole nel detta<strong>gli</strong>o.<br />

Il teste Roberto Napoletano (cfr. udienza 29 aprile 2002) ha dichiarato di essere stato a casa Previti, in<br />

piazza Farnese, una sola volta, dopo il viaggio NIAF, forse nel novembre 1988; era presente anche Antonino<br />

Vinci (che, titolare del conto "Ana<strong>tra</strong> ", risulterà poi legato da <strong>rapporti</strong> economici proprio con Previti e


Pacifico) con la mo<strong>gli</strong>e. Ha aggiunto di non avere "mai" incon<strong>tra</strong>to a casa Previti Stefania Ariosto, peraltro<br />

conosciuta ne<strong>gli</strong> Stati Uniti quale compagna di Giorgio Casoli.<br />

Giorgio Santacroce (cfr. ud. 29 aprile 2002), nel precisare di avere conosciuto Previti oltre vent'anni or<br />

sono, ha affermato di essere stato invitato dall'imputato circa due o tre anni prima dell'ormai famoso viaggio<br />

NIAF; in quella occasione erano presenti certamente Renato Squillante, Carlo Izzo e Giorgio Casoli; non<br />

ricorda la presenza dell'Ariosto. Anche Carlo Izzo (esaminato all'udienza del 6 maggio 2002) ha dichiarato<br />

di conoscere da tempo Previti e di essere stato invitato una sola volta a casa sua, forse in via Cicerone; ha<br />

aggiunto di non ricordare se ciò sia avvenuto prima o dopo la <strong>tra</strong>sferta americana, ritenendo tuttavia più<br />

probabile che fosse dopo.<br />

Il Pubblico Ministero contestava al teste le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari (in data 18<br />

aprile 1996), laddove aveva, senza esitazioni sul dove, né sul quando, così risposto alla medesima domanda:<br />

"Ricordo che una volta - e questo dopo il viaggio in America del 1988 - sono stato invitato a casa Previti in<br />

via Cicerone"; il teste rispondeva che, mentre all'epoca non aveva avuto dubbi, oggi <strong>gli</strong> sembrava di non<br />

essere così certo sia sulla casa di via Cicerone, sia sull'epoca successiva all'ottobre 1988. In quell'occasione<br />

non era presente Stefania Ariosto, che aveva conosciuto ne<strong>gli</strong> Stati Uniti.<br />

Anche al teste Claudio Vitalone è stata posta la medesima domanda (cfr. udienza 20 maggio 2002), e<br />

anch'e<strong>gli</strong> ha dichiarato di essere stato una sola volta invitato dall'imputato. Aveva conosciuto Stefania<br />

Ariosto tempo addietro, alla buvette del Senato, e, su domande relative alle numerose annotazioni che lo<br />

riguardano presenti sulle agende della teste, ha dichiarato che l’Ariosto aveva conosciuto anche sua mo<strong>gli</strong>e,<br />

con la quale aveva forse in<strong>tra</strong>ttenuto qualche rapporto per l'acquisto di oggetti d'antiquariato.<br />

Carlo Sammarco (cfr. udienza 16 giugno 2002) ha confermato la propria frequentazione di casa Previti,<br />

collocandola principalmente nel periodo successivo al pensionamento, avvenuto nel 1991; ha dichiarato di<br />

avere partecipato ad un ricevimento serale prima di quella data, nell'abitazione di via Cicerone.<br />

Dal verbale di dichiarazioni di Orazio Savia (acquisito ex art.238 c.p.p. con il consenso delle parti,<br />

all'udienza del 6 maggio 2002) risultano le seguenti affermazioni: il teste conosceva Cesare Previti da molti<br />

anni, ma il loro rapporto aveva acquisito caratteri di "maggiore intimità" (sono parole del teste) a partire dal<br />

1994, quando era stato nominato Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cassino. Ricordava di<br />

avere più volte incon<strong>tra</strong>to l'imputato allo stadio in occasione di partite di calcio, ed aggiungeva di essere<br />

stato una sola volta invitato a casa per una cena, nel 1994.<br />

Il Pubblico Ministero contestava una dichiarazione resa nel corso delle indagini preliminari (cfr. verbale in<br />

data 7 settembre 1996), dalla quale risultava che il motivo dell'invito a cena rivolto<strong>gli</strong> da Previti era che<br />

questi "voleva farmi vedere la nuova casa di piazza Farnese": tale precisazione, se si tiene conto del fatto<br />

che il <strong>tra</strong>sferimento dell'abitazione dell'imputato a quell'indirizzo risale al 1988, rende inconciliabile il<br />

riferimento all'anno 1994, nel quale la casa citata non poteva certo essere definita "nuova". Da ultimo. Savia<br />

aveva precisato che alla cena erano presenti anche Marvasi, con il fi<strong>gli</strong>o, ed il giudice Ivo Greco, Presidente<br />

della Sezione Fallimentare del Tribunale di Roma.<br />

Infine Giorgio Casoli (la cui testimonianza sarà oggetto di maggiore approfondimento più avanti) nel<br />

confermare senza riserve il suo risalente rapporto di amicizia con Previti e di avere più volte partecipato a<br />

ricevimenti presso l'abitazione dell'imputato, ricordava di avervi incon<strong>tra</strong>to Sammarco, Verde, Squillante,<br />

Izzo, Santacroce e Vinci. Si era <strong>tra</strong>ttato di inviti presso l'abitazione di via Cicerone, al piano superiore<br />

rispetto a quello in cui era ubicato lo studio legale. Non ricordava occasioni specifiche in cui fosse presente<br />

anche la comune amica Ariosto, ma non lo escludeva ("... ma se lo dice lei, può essere pure...", cfr. verbale<br />

di dichiarazioni acquisito ex art.238 c.p.p. all'udienza del 20 maggio 2002), aggiungendo che, dati i <strong>rapporti</strong>,<br />

l'Arrosto a casa Previti poteva esserci andata anche da sola.<br />

In conclusione, tutti (ma proprio tutti) i magis<strong>tra</strong>ti menzionati dalla teste hanno confermato di essere stati,<br />

almeno una volta (solo Casoli e Sammarco parlano di più occasioni) ospiti in.casa di Cesare Previti, anche se<br />

alcuni di loro hanno ricordi un po' appannati sul tempo e sul luogo di tali inviti.<br />

Per la verità, dato che il teste Izzo ha dichiarato di esservi stato in una sola circostanza, mal si comprendono<br />

i suoi dubbi - affiorati solo in dibattimento - soprattutto sulla indicazione dell'indirizzo: ciò si può affermare<br />

non solo in via logica e generale (se una persona è stata invitata da un'al<strong>tra</strong> in una sola occasione, dovrebbe<br />

essere facile ricordare se nella "vecchia" casa ovvero nella "nuova"), ma anche nello specifico: lo stesso<br />

imputato ed alcuni testimoni hanno fatto riferimento alle particolarità delle soluzioni architettoniche e<br />

d'arredo della residenza "nuova" (per esempio, l'antiquario Gasparrini, sentito all'udienza del 14 giugno<br />

2002, ha parlato di grandi specchi che riproducevano nell'appartamento lo scenario della piazza) la quale,<br />

non foss'altro che per la sua prestigiosissima ubicazione, anche rispetto alla precedente, non può facilmente<br />

essere dimenticata o confusa con altre.


Sul piano cronologico, la deposizione del teste Izzo appare smentita da quella di Giorgio Santacroce, che<br />

colloca la propria presenza - unitamente a quella del collega Izzo - in periodo decisamente precedente al<br />

viaggio NIAF ("due o tre anni prima"); ancora, Casoli li ricorda en<strong>tra</strong>mbi (e Sammarco) invitati in via<br />

Cicerone, sopra lo studio. Insomma, forse le presenze di questi magis<strong>tra</strong>ti in casa Previti sono state più d'una,<br />

forse ciò è avvenuto sia prima che dopo il viaggio NIAF, forse in via Cicerone come in piazza Farnese. Ad<br />

ogni modo, a prescindere dalla maggiore o minore nitidezza del ricordo dei testimoni, il dato che<br />

processualmente si ricava dal complesso di queste deposizioni è che se - come afferma con vigore l'imputato<br />

- l'Ariosto è una impostora anche quando afferma d'essere stata ospite nella casa di via Cicerone e di avervi<br />

incon<strong>tra</strong>to magis<strong>tra</strong>ti, allora ella dispone di notevoli capacità medianiche o è, più semplicemente, baciata<br />

dalla fortuna, poiché tutti i giudici da lei indicati hanno, bene o male, confermato la loro frequentazione di<br />

casa Previti.<br />

Sostengono poi <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>, ovviamente, che l'Ariosto mente spudoratamente anche quando parla dei due<br />

episodi particolari che coinvolgono Renato Squillante: la donna non è mai stata amica di Previti, non è mai<br />

stata ospite nella di lui casa, non è mai stata al Circolo Canottieri Lazio, non vi sono mai stati passaggi di<br />

denaro <strong>tra</strong> Previti e Squillante, e men che meno in presenza della suddetta. La testimonianza della Ariosto è<br />

stata "costruita" per fini illeciti (di volta in volta individuati nella vendetta personale, o nella lotta politica,<br />

ovvero ancora nella acquisizione di vantaggi patrimoniali e non, e qualcos'altro di più) che nulla hanno a che<br />

vedere con la ricerca della verità, ed è stata "preparata", grosso modo, nella primavera del 1995, ne<strong>gli</strong> uffici<br />

della Guardia di Finanza di Milano con la "supervisione" di alcuni magis<strong>tra</strong>ti della Procura della Repubblica<br />

di questa città.<br />

Un approccio freddo e razionale a queste gravissime affermazioni difensive non può prescindere dal porsi un<br />

interrogativo assai rilevante, domandandosi se per avventura, in epoca per così dire "non sospetta", la teste<br />

non avesse ritenuto di confidare a qualche persona a lei vicina i fatti dei quali era stata testimone, certo non<br />

usuali e tali da destare più di una perplessità in qualunque persona normale.<br />

Danno risposta a questa domanda (una risposta prudente, imbarazzata, sofferta e forse incompleta) i due<br />

uomini che sono stati a lei sentimentalmente legati in periodi diversi della sua vita: Vittorio Dotti e Giorgio<br />

Casoli.<br />

Il primo è persona nota alle cronache giudiziarie, politiche e mondane sino al 1995, quando uscirà dalla<br />

scena, anch'e<strong>gli</strong> "<strong>tra</strong>volto" dall'inchiesta che ha dato origine a questo processo. Avvocato milanese di spicco,<br />

era divenuto legale di fiducia del gruppo Fininvest alla fine de<strong>gli</strong> anni Ottanta (aveva per esempio gestito<br />

"ufficialmente" tutto il contenzioso riguardante la vicenda Mondatori, soprattutto nella parte "milanese");<br />

molto legato, anche sul piano personale, a Silvio Berlusconi, aveva svolto un importante ruolo nella nascita e<br />

fondazione del soggetto politico facente capo a quest'ultimo: dopo le vittoriose elezioni politiche del 1994,<br />

era divenuto capo del Gruppo Parlamentare di Forza Italia alla Camera dei Deputati, della quale era stato<br />

altresì vicepresidente. Nella stessa formazione politica militava Cesare Previti, eletto nel 1994 senatore nelle<br />

file di Forza Italia, e nominato Ministro della Difesa nella prima compagine governativa presieduta da Silvio<br />

Berlusconi. Stefania Ariosto aveva conosciuto Dotti, proprio presentatele da Previri, nell'ottobre del 1988, e<br />

<strong>tra</strong> i due era subito nata una relazione amorosa, interrotta solo nel 1995, proprio in seguito alla decisione<br />

della donna di presentarsi a<strong>gli</strong> inquirenti per rendere le dichiarazioni delle quali s'è detto. Al Collegio non è<br />

sfuggita la congerie di pensieri, di ricordi, forse di rimpianti che deve avere affollato la mente di quest'uomo<br />

nel momento in cui s'apprestava a rendere testimonianza avanti il Tribunale, nell'ambito di un processo nel<br />

quale si discuteva di <strong>rapporti</strong> illeciti fra uno de<strong>gli</strong> altri legali del gruppo Fininvest (nonché un tempo suo<br />

collega di partito) e giudici di una causa nell'ambito della quale e<strong>gli</strong> stesso aveva svolto mandato<br />

professionale; un processo nel quale e<strong>gli</strong> apprendeva, per la prima volta, che tale Marco lannilli - impiegato<br />

factotum dello studio Previti - era stato nominato amminis<strong>tra</strong>tore della società AMEF e letteralmente<br />

"spedito" in giro per l'Europa allo scopo di impedire alle controparti del contenzioso Mondadori<br />

notificazioni di atti urgenti; un processo nel quale <strong>gli</strong> era chiesto di descrivere l'attività ed i metodi di lavoro<br />

di quest'altro legale della Fininvest, legato a Berlusconi almeno quanto lo era lui; un processo che lo<br />

"costringeva" a rievocare <strong>gli</strong> anni in cui era stato "sulla breccia", ottenendo successi professionali,<br />

prestigiose cariche politiche e una scintillante vita sociale. Un processo, infine, nel quale <strong>gli</strong> si chiedeva di<br />

confermare o smentire le accuse di colei che, per anni, era stata la sua donna.<br />

Riservando alle specifiche parti concernenti la vicenda della impugnazione del c.d. "lodo - Mondadori" il<br />

contributo probatorio del teste su quei temi, Dotti ha in dibattimento confermato che Stefania Ariosto, nel<br />

corso della loro relazione e prima dei suoi contatti con la Guardia di Finanza e la magis<strong>tra</strong>tura, <strong>gli</strong> aveva<br />

parlato della "capacità" di Cesare Previti di in<strong>tra</strong>ttenere "<strong>rapporti</strong> di confidenza con i magis<strong>tra</strong>ti" e che "ciò<br />

<strong>gli</strong> serviva per ottenere risultati professionali" (oh, pudore delle parole...). Ha aggiunto che tale


"rivelazione" non l'aveva affatto stupito, perché aveva già sentito parlare di ciò ("... mi spiace dirlo... non<br />

vo<strong>gli</strong>o essere offensivo nei confronti di Previti... ma è la verità..." ) che era una voce corrente nell'ambiente.<br />

Negava che la donna <strong>gli</strong> avesse riferito circostanze più specifiche, affrettandosi a precisare che "i due fatti"<br />

del Circolo Canottieri e del tavolino li aveva appresi successivamente, leggendoli sui giornali.<br />

Il Pubblico Ministero contestava però una differente dichiarazione resa in sede di indagini (in data 8 marzo<br />

1996), laddove alla domanda "le indicò, <strong>tra</strong> i magis<strong>tra</strong>ti destinatari di somme di denaro da parte di Previti,<br />

Renato Squillante?" aveva dato la seguente risposta: "II nome di Squillante fu fatto con riferimento a Previti<br />

in termini allusivi e non di detta<strong>gli</strong>o. Del resto, nel linguaggio colloquiale e confidenziale non c'è bisogno,<br />

perché si comprenda, dei detta<strong>gli</strong> tipici di una deposizione giudiziaria". Proseguiva il Pubblico Ministero:<br />

"Lei dal contenuto del colloquio cosa ha capito?", e la risposta è stata: "Capii che, secondo Stefania Ariosto,<br />

Squillante sarebbe stato destinatario di denaro da parte di Cesare Previti. Ovviamente io non sono a<br />

conoscenza diretta dei fatti, ma solo per averli appresi da Stefania Ariosto, e non sono quindi in condizioni<br />

di esprimere nessun giudizio sulla loro veridicità o meno".<br />

A fronte della contestazione, il teste ha confermato: "... il senso delle comunicazioni dell'Ariosto era proprio<br />

questo". Con tutte la precisazioni, la prudente presa di distanza, l'evidente imbarazzo, le scuse all'imputato,<br />

il riferimento minimizzante alle "voci correnti", la pudica scelta della terminologia, le espressioni<br />

impersonali ("il nome di Squillante FU FATTO..."), la sostanza della dichiarazioni del teste è, in fin dei<br />

conti, che la fidanzata <strong>gli</strong> aveva riferito, in epoca di molto precedente, dei <strong>rapporti</strong> illeciti di Previti con i<br />

giudici, ed in particolare con Renato Squillante.<br />

Più detta<strong>gli</strong>ata la descrizione del contesto del discorso che aveva portato Stefania, per analogia, a far<strong>gli</strong><br />

quelle confidenze: ella aveva chiesto a Previti, dati i suoi ottimi <strong>rapporti</strong> con i vertici di importanti banche,<br />

di intervenire in suo aiuto in merito ad un finanziamento per la realizzazione di un complesso edilizio con<br />

campo da golf; poiché per la realizzazione di tale impianto sportivo occorrevano autorizzazioni regionali, <strong>gli</strong><br />

aveva anche chiesto come muoversi nei <strong>rapporti</strong> con la pubblica amminis<strong>tra</strong>zione, ed in particolare con<br />

l'assessore regionale all'ambiente Ricotti. Previti, per tutta risposta, le aveva consi<strong>gli</strong>ato: "fai come me,<br />

portaje 'na borza de sordi... ". Così si era espressa la donna raccontando<strong>gli</strong> il fatto, proprio imitando la<br />

parlata di Cesare Previti; <strong>gli</strong> aveva anche detto che era stato tentato un contatto con l'assessore, col quale<br />

l'Ariosto, provando un po'di vergogna, aveva evitato di affrontare un discorso esplicito, consegnando<strong>gli</strong> un<br />

bi<strong>gli</strong>etto nel quale era scritto, più o meno: "come avvocato Previti". Dotti concludeva di non averne saputo<br />

più niente, se non che il progetto era stato abbandonato.<br />

Il racconto del teste corrisponde, persino nei detta<strong>gli</strong>, con quanto dalla Ariosto dichiarato sin dall'epoca<br />

dell'incidente probatorio: ed ecco un'al<strong>tra</strong> conferma - sia pure su un episodio avulso dal processo e perciò<br />

marginale - delle dichiarazioni della Ariosto. Per chiudere con il non facile (per lui) contributo probatorio di<br />

Vittorio Dotti, occorre ricordare un episodio, avvenuto nei primi giorni dell'agosto del 1995, quando la teste<br />

aveva da pochi giorni iniziato a rendere dichiarazioni avanti il Pubblico Ministero. Poteva essere il giorno 8<br />

(o 9) agosto, e Dotti era appena partito per una vacanza in barca con la fidanzata, quando la propria<br />

segretaria lo aveva avvisato di una chiamata da parte di Gianni Letta, il quale lo informava a sua volta che<br />

Silvio Berlusconi aveva necessità di parlar<strong>gli</strong>. Berlusconi era in partenza per le Bermuda, ma Dotti era<br />

riuscito a rin<strong>tra</strong>cciarlo da un telefono della Capitaneria di Porto; il suo interlocutore <strong>gli</strong> aveva chiesto se<br />

fosse vero che "Stefania aveva la scorta"; Dotti aveva risposto affermativamente, spiegando<strong>gli</strong> che ciò era<br />

dovuto, secondo il racconto fatto<strong>gli</strong> dalla donna, a minacce ricevute presumibilmente dall'ambiente dei<br />

"cambisti" con i quali Stefania, a causa del vizio del gioco al casinò, si era fortemente indebitata. Berlusconi<br />

<strong>gli</strong> aveva però posto una domanda specifica: "Ma non è che Stefania sta dicendo cose sul gruppo?". La<br />

domanda l'aveva colto di sorpresa e, di più, l'aveva proprio stupito, visto che, per abitudine, e<strong>gli</strong>, in generale,<br />

evitava di parlare del proprio lavoro, tanto più con la fidanzata, della quale non si fidava granché,<br />

ritenendola una che "parlava troppo"; aveva perciò rassicurato Berlusconi, proprio argomentando sul fatto<br />

che la donna non avrebbe potuto dire nulla sul gruppo, perché del gruppo nulla sapeva. Dotti aggiungeva in<br />

dibattimento che, allorquando l'aveva raggiunta ne<strong>gli</strong> uffici del Nucleo Regionale mentre l'Ariosto si<br />

apprestava a sottoscrivere il verbale di dichiarazioni avanti il Pubblico Ministero, ella l'aveva ulteriormente<br />

rassicurato sul punto, dicendo<strong>gli</strong>: "stai <strong>tra</strong>nquillo, il tuo Berlusconi non l'ho toccato".<br />

Un episodio che conferma, qualora ve ne fosse ancora il bisogno, la situazione - che solo un eufemismo può<br />

consentire di definire imbarazzante - in cui Vittorio Dotti si è dibattuto, sia nel corso delle indagini, sia -<br />

nonostante il tempo <strong>tra</strong>scorso - in sede di deposizione dibattimentale, e che è idoneo ad illuminare ed a far<br />

comprendere il tono complessivo delle sue dichiarazioni, certo non indulgenti, ne semplicemente<br />

compiacenti, nei confronti di colei che (pur fra alti e bassi ai quali il teste ha, forse poco elegantemente,<br />

alluso) era stata per anni la compagna della sua vita.


Giorgio Casoli (ex magis<strong>tra</strong>to, per anni Sindaco della città di Perugia, parlamentare dell'allora Partito<br />

Socialista Italiano e poi Sottosegretario alle Poste) ha spiegato di avere conosciuto Stefania Ariosto alla fine<br />

de<strong>gli</strong> anni Settanta, quando era giudice presso la Corte d'Assise di Milano. Aveva quasi subito istaurato con<br />

lei un rapporto intimo (il teste ha un po' esitato nel definirlo "sentimentale", ed anche qui l'eleganza non si<br />

spreca), che però era terminato ("per ragioni logistiche") non appena e<strong>gli</strong> aveva lasciato la sede milanese,<br />

per <strong>tra</strong>sferirsi a Perugia. Era però rimasto <strong>tra</strong> loro un rapporto di amicizia che, ormai, lo vedeva legato anche<br />

alla fami<strong>gli</strong>a della Ariosto: si sentivano spesso e si frequentavano, per lo più in quel di Roma; anche a<br />

seguito di insistenti domande dei difensori, il teste ha reiteratamente dichiarato che il rapporto<br />

"sentimentale" con la teste era terminato già nel 1981; fatto<strong>gli</strong> presente che qualche testimone aveva<br />

affermato come, nel "solito" viaggio NIAF del 1988, e<strong>gli</strong> la presentasse come la propria compagna, il teste<br />

confermava la propria dichiarazione, facendo altresì presente che la donna all'epoca, era forse legata a<br />

qualcun altro (per la precisione, Vittorio Dotti, conosciuto il mese precedente). Poiché i difensori hanno più<br />

volte fatto riferimento a questa circostanza come una (fra le tante) nelle quali l'Ariosto è stata smentita, il<br />

Tribunale chiarisce subito che, anche su questo punto, la testimonianza di Casoli conferma quella<br />

dell'Ariosto e, davvero, non v'è motivo alcuno per non creder<strong>gli</strong>.<br />

Stefania Ariosto, già nell'incidente probatorio, aveva dichiarato che in precedenza - forse ne<strong>gli</strong> 1988-1989 -<br />

aveva confidato a Casoli di essere a conoscenza di vicende penalmente rilevanti, che coinvolgevano<br />

magis<strong>tra</strong>ti romani (ed in particolare Squillante) e <strong>gli</strong> avvocati Previti e Pacifico. Il commento del Casoli era<br />

stato del tipo: "E' una schifezza... ". Deponendo davanti a questo Collegio, il teste così si esprimeva:<br />

"Effettivamente... ebbe a dirmi che aveva visto passaggio di denaro, di bustarelle, di una bustarella<br />

dall'avvocato Previti a Squillante... è vero che lei ebbe a dirmelo... "; "tanto è vero che io, lì per lì, le dissi<br />


inquirenti ciò che sapeva. E si <strong>tra</strong>tta di una verità - il teste la definisce in un primo momento "la sua verità",<br />

come a prenderne le distanze, e poi, senza aggettivi possessivi, semplicemente "la verità"- che pesa come un<br />

macigno sulla linea difensiva de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>, perché fornisce la prova che in anni lontanissimi dal sorgere<br />

de<strong>gli</strong> innumerevoli moventi attribuiti alla pretesa calunnia dell'Ariosto (la lotta politica contro il partito di<br />

Forza Italia, o contro quella parte di esso invisa a Vittorio Dotti, la vendetta personale contro il gruppo<br />

Fininvest per il mancato risarcimento da parte di una società assicuratrice facente capo al medesimo, la<br />

ricerca di vie <strong>tra</strong>verse per la soluzione dei suoi problemi finanziari e giudiziari) la teste aveva confidato<br />

anche a Giorgio Casoli (oltre che, forse in modo più sommario, a Vittorio Dotti) di essere a conoscenza di<br />

<strong>rapporti</strong> illeciti fra Cesare Previti ed alcuni magis<strong>tra</strong>ti e di avere personalmente assistito a consegne di<br />

denaro da questi al giudice Renato Squillante.<br />

Altro argomento sul quale i difensori hanno insistito nel sostenere che l'Ariosto sia stata completamente<br />

sbugiardata è quello che ruota intorno alle vicende Efibanca: si è detto che le dichiarazioni di Guido Passone<br />

(funzionario dell'Ufficio Legale dell'ente) aveva sin dalle indagini preliminari clamorosamente smentito la<br />

teste, spiegando che l'istituto è banca a medio termine e che, pertanto - perlomeno all'epoca dei fatti - non<br />

in<strong>tra</strong>tteneva <strong>rapporti</strong> di conto corrente. Il dato riferito al tipo di attività svolta dall'ente è vero, ma irrilevante,<br />

stante il tenore, assolutamente generico, delle dichiarazioni, rese sul punto dalla teste, che non si è certo<br />

dilungata su detta<strong>gli</strong> tecnici. Piuttosto, mette conto sottolineare alcuni dati significativi emersi in<br />

dibattimento:<br />

- un rilevantissimo rapporto <strong>tra</strong> Previti e l'Istituto, per conto del quale aveva svolto, ne<strong>gli</strong> anni, attività<br />

professionale abbastanza intensa;<br />

- parecchi ed importanti <strong>rapporti</strong> di finanziamento da parte della banca al gruppo Fininvest, come<br />

confermano i testi Lai e Carosone;<br />

- un altrettanto rilevante rapporto personale <strong>tra</strong> l'imputato ed i vertici dell'Istituto: Lai era frequentatore<br />

abbastanza assiduo sia del Circolo Canottieri Lazio, sia dell'abitazione di Cesare Previti;<br />

- <strong>rapporti</strong> personali di natura riservata concernenti la gestione, da parte di Previti, di conti esteri<br />

riconducibili ad alti funzionari dell'Istituto, quali Bertini, Ma<strong>gli</strong>o, Ciancimino, Nardi e lo stesso Lai,<br />

durati dalla fine de<strong>gli</strong> anni'70 sino al 1994, allorquando l'imputato aveva assunto cariche istituzionali e<br />

<strong>gli</strong> interessati non avevano più ritenuto opportuno lasciar<strong>gli</strong> la gestione dei loro patrimoni (cfr. dich.<br />

Lai);<br />

- collegamento della gestione di questi conti esteri con la figura dell'avvocato Pacifico ed il conto, a lui<br />

riconducibile, denominato "Pavoncella": sempre Lai ha dichiarato che, con i nominati colleghi, aveva<br />

deciso di chiudere i conti allorquando (si era nel 1996) aveva letto sui giornali i resoconti della indagine<br />

giudiziaria, rinvenendovi i nomi del banchiere Resinelli e del conto “Pavoncella”, che comparivano<br />

anche sulla documentazione relativa alle loro relazioni bancarie estere, nelle occasioni in cui Previti<br />

aveva fatto per loro rien<strong>tra</strong>re somme da quei conti;<br />

- un rapporto diretto fra Pacifico ed Efibanca, decisamente negato dall'interessato (che nel suo esame così<br />

si è espresso: "... non ho mai avuto deleghe o procure ad operare a Efibanca, perché <strong>tra</strong> l'altro Efibanca<br />

non ha una cassa... è un istituto a medio credito e <strong>tra</strong> l'altro io a Efibanca non sono mai andato nella<br />

mia vita... non so manco dove stava <strong>tra</strong> l'altro a Roma"): e se è vero che Aurelio Lai, pur ammettendo di<br />

conoscere l'imputato, ha negato di avere avuto con lui <strong>rapporti</strong> in Efibanca, non è sfuggito al Tribunale<br />

che, sull'agenda di Pacifico, in data 6 maggio 1993, si rinviene la seguente annotazione: "10,55 Guido<br />

Passone 8599232 (urgente da richiamare)".<br />

Dunque Pacifico conosceva personalmente due alti dirigenti di Efibanca.<br />

A fronte di questi dati, che rappresentano - non lo si neghi - un assetto di <strong>rapporti</strong> assai peculiare fra i<br />

protagonisti, il pensiero va, ancora una volta, alle non comuni doti della teste Ariosto che, non essendo mai<br />

stata amica di Previti, non avendone mai ricevuto le confidenze, insomma, essendosi inventata tutto di sana<br />

pianta, è andata proprio ad indicare (pur con genericità ed approssimazione della quale il Tribunale non può<br />

non dare atto) una banca i cui più alti dirigenti avevano conti bancari all'estero, gestiti da Cesare Prevm e,<br />

guarda il caso, con il passaggio per i conti di Pacifico e del suo banchiere di fiducia Dionigi Resinelli. C'è<br />

veramente di che rimanere stupefatti.<br />

E lo stupore è destinato ad aumentare quando si vadano a considerare, nel loro complesso, <strong>gli</strong> esiti delle<br />

indagini bancarie svolte at<strong>tra</strong>verso commissioni rogatorie attive dalla Procura della Repubblica di Milano,<br />

all'indomani delle dichiarazioni di Stefania Ariosto, e proprio da queste rese necessarie, aprendo scenari che


forse nemmeno <strong>gli</strong> inquirenti - a dispetto della malafede loro attribuita da<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> - si aspettavano di<br />

trovarsi davanti.<br />

Ovviamente, non è questa la sede per dilungarsi nell'analisi dei <strong>rapporti</strong> finanziari <strong>tra</strong> <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>, che sono<br />

oggetto di specifica <strong>tra</strong>ttazione: basti qui rammentare l'entità del patrimonio gestito all'estero (e, al palesarsi<br />

dell'indagine, nascosto) da Renato Squillante per il <strong>tra</strong>mite di Attilio Pacifico; al ruolo svolto da quest'ultimo<br />

su incarico di Cesare Previti (come en<strong>tra</strong>mbi ammettono) per il rientro di somme at<strong>tra</strong>verso "spalloni" o con<br />

altre modalità; alla gestione - gratuita - da parte del solito Pacifico, del conto svizzero “Master 811”, facente<br />

capo a Filippo Verde, anch'e<strong>gli</strong> indicato dalla teste <strong>tra</strong> i frequentatori dei ricevimenti in casa Previti.<br />

Ciò che qui preme evidenziare riguarda le risultanze processuali relative alla gestione, da parte di Pacifico,<br />

di conti esteri facenti capo ad altri due magis<strong>tra</strong>ti all'epoca in servizio presso <strong>gli</strong> uffici giudiziari della<br />

capitale.<br />

Nel corso dell'esame dibattimentale, il teste Maresciallo Daniele Spello (cfr. udienze 15 e 26 gennaio 2001)<br />

ha riferito, a commento di documentazione bancaria acquisita a<strong>gli</strong> atti, che presso la SBS di Lugano era<br />

risultata l'esistenza di un conto corrente, denominato "ANATRA", facente capo al magis<strong>tra</strong>to Antonino<br />

Vinci, sul quale era delegato ad operare Attilio Pacifico; a detto conto risultano pervenuti numerosi bonifici,<br />

provenienti da conti riconducibili al medesimo Pacifico. All'udienza del 7 maggio 2002 veniva esaminato, ai<br />

sensi dell'ari. 210 c.p.p. Paolo Zucchini, all'epoca dei fatti giudice presso il Tribunale di Roma e componente<br />

del collegio giudicante che, nel 1986, decise in primo grado la controversia IMI-SIR, con sentenza parziale<br />

che pronunziò solamente sull’an debeatur. Zucchini ha dichiarato che, per il <strong>tra</strong>mite di Attilio Pacifico, che<br />

conosceva da sempre, essendo en<strong>tra</strong>mbi originari di Avellino, aveva aperto un conto corrente nel Principato<br />

di Monaco, avendo intenzione, poi non coltivata, di ivi acquistare un appartamento - sottoposto ad indagine<br />

in relazione ai fatti oggetto del presente processo, nei suoi confronti era infine stato pronunziato decreto di<br />

archiviazione, acquisito a<strong>gli</strong> atti preliminarmente all'esame dibattimentale. Dunque, è provato in atti che<br />

Pacifico gestiva, in via ovviamente riservata, conti correnti esteri nell'interesse - oltre che dei co<strong>imputati</strong><br />

Verde e Squillante - anche di altri due soggetti i quali, pur es<strong>tra</strong>nei ai fatti per i quali si procede, sono uniti ai<br />

primi da un comune denominatore: quello di essere magis<strong>tra</strong>ti in servizio nella sede giudiziaria di Roma.<br />

In un quadro probatorio quale quello sin qui descritto, laddove - sia consentito ribadirlo - l'iniziale ricerca di<br />

riscontri alle dichiarazioni della Ariosto ha portato alla scoperta di ben più sostanziosi elementi, di per sé ed<br />

autonomamente dimos<strong>tra</strong>tivi di fatti specifici, al di là del contesto appena <strong>tra</strong>tteggiato dalla donna, il<br />

Tribunale potrebbe fermarsi a questo punto della riflessione, senza inseguire detta<strong>gli</strong> (che ora possono a<br />

buon diritto definirsi oziosi) sulla descrizione dell'appartamento di via Cicerone, sull'arredamento, su<strong>gli</strong><br />

ornamenti, siano essi di buono o cattivo gusto (la teste ha però ricordato una statua di donna della quale<br />

Previti magnificava le "forme" e l'antiquario Gasparrini ha parlato di una Afrodite, mentre le sue minuziose<br />

descrizioni dei locali del Circolo Canottieri non risultano smentite in atti).<br />

Come pure pare ultroneo interrogarsi sulle circostanze - riferite in modo assai generico dalla Ariosto -<br />

relative all'acquisto, da parte dell'imputato, di gioielli di pregio, dei quali avrebbe fatto dono a mo<strong>gli</strong> di<br />

magis<strong>tra</strong>ti, posto che la circostanza, ove fosse vera, non sarebbe (e comprensibilmente) ammessa da<strong>gli</strong><br />

interessati.<br />

Comunque, sono stati esaminati in dibattimento (all'udienza del 20 aprile 2002, Carlo, all'udienza del 7<br />

maggio 2002, Egidio) i fratelli Eleuteri, noti commercianti in preziosi e oggetti d'antiquariato; en<strong>tra</strong>mbi<br />

hanno dichiarato esservi <strong>tra</strong> i loro clienti anche Silvio Berlusconi, che era solito acquistare anche dieci,<br />

dodici gioielli per volta. In particolare, Carlo Eleuteri ha negato che Previti abbia mai acquistato presso il<br />

suo negozio gioielli per farne dono ai magis<strong>tra</strong>ti. Anzi, Cesare Previti avrebbe effettuato un solo acquisto: si<br />

<strong>tra</strong>tterebbe della collana raffigurata nella riproduzione fotografica prodotta dalla difesa, acquistata dal Previti<br />

per farne dono alla mo<strong>gli</strong>e. A questa collana - ed a nessun altro gioiello - sarebbe riferita l'annotazione che<br />

compare sull'agenda di Stefania Ariosto alla data del 8 marzo 1991; il prezzo era dunque quello indicato<br />

dalla teste, pari a 220 milioni di lire. Eleuteri ha dichiarato di ricordare che Previti pagò la collana circa 150<br />

milioni di lire, con uno sconto sul prezzo di listino di 70 milioni; forse un po' troppo, se è vero che, come<br />

dice il teste, Previti non era un cliente abituale, ma fece solo quell'acquisto. A questa osservazione, Eleuteri<br />

ha risposto che l'entità dello sconto dipende da vari fattori, fra i quali quello della necessità di vendere<br />

comunque l'oggetto; ha fatto altresì presente che la Ariosto - sua amica - <strong>gli</strong> aveva introdotto Previti "con<br />

calore". Più specificamente interrogato sulle modalità di pagamento - all'estero - della collana, il teste ha<br />

rifiutato di rispondere; come pure ha rifiutato di rispondere circa suoi <strong>rapporti</strong> bancari all'estero, per<br />

operazioni "di compensazione" con l'imputato Previti. Questo complesso di elementi non può che pesare<br />

negativamente sulla attendibilità del teste Eleuteri, che risulta assai legato a Previti, e per di più da <strong>rapporti</strong>


finanziari all'estero di natura chiaramente illecita, to<strong>gli</strong>endo alla sua testimonianza quel valore di secco<br />

riscontro negativo, postulato dalle difese, alle dichiarazioni di Stefania Ariosto.<br />

Il Tribunale intende invece spendere qualche parola in più sulle circostanze, evocate in esordio e tanto care<br />

alle difese (che su di esse hanno ritenuto di impostare una vera e propria "batta<strong>gli</strong>a"), relative alla "genesi"<br />

della testimonianza, ovvero al periodo in cui la donna era confidente della Guardia di Finanza, ed era<br />

denominata in codice "fonte Olbia".<br />

All'udienza del 6 maggio 2002, su concorde richiesta delle parti, il Tribunale acquisiva, al solo scopo di<br />

documentare quella fase - precedente alla presentazione della teste alla Procura della Repubblica in data 21<br />

lu<strong>gli</strong>o 1995 - una nota datata 2 maggio 2002, a firma del Tenente Colonnello Mario Ortello, del seguente,<br />

testuale tenore: "Non risultano <strong>tra</strong>smessi ad Uffici di Codesta Procura note riguardanti rivelazioni della<br />

fonte informativa, identificata in Stefania Ariosto, relative al periodo febbraio-lu<strong>gli</strong>o 1995. All'interno del<br />

fascicolo di schedario... è stata comunque rinvenuta una busta contenente . Trattasi di mere annotazioni e appunti redatti dai predetti<br />

ufficiali concernenti i <strong>rapporti</strong> in<strong>tra</strong>ttenuti con la fonte confidenziale Olbia".<br />

La nota era stata inviata alla Procura della Repubblica a seguito di ben precisa richiesta formulata da<br />

quell'Ufficio, nella stessa data, e che si <strong>tra</strong>scrive integralmente: "Deponendo in qualità di teste in data 19<br />

febbraio 2002 davanti al Tribunale di Monza, il Ten. Col. Alessandro Falerni ha dichiarato di avere<br />

<strong>tra</strong>smesso a questa Procura, nel periodo febbraio-lu<strong>gli</strong>o 1995, più note riguardanti rivelazioni che fonte<br />

informativa, idenfiticata in Stefania Ariosto, avrebbe reso allo stesso Falerni nel periodo indicato. Poiché<br />

non risulta che tali note siano mai pervenute a questo Ufficio, la preghiamo di <strong>tra</strong>smettere, ove esistenti<br />

presso il Nucleo Regionale P.T., copia delle note predette, unitamente alla documentazione che dimostri la<br />

<strong>tra</strong>smissione delle medesime a questo Ufficio, ove effettivamente la <strong>tra</strong>smissione sia stata effettuata".<br />

Dunque, una missiva ufficiale dei vertici della Guardia di Finanza milanese smentisce le affermazioni fatte<br />

dal Col. Falerni nel corso della sua testimonianza in Monza (il verbale è stato acquisito, con il consenso<br />

delle parti, all'udienza del 25 marzo 2002): dato il tempo <strong>tra</strong>scorso, evidentemente l'Ufficiale aveva un<br />

cattivo ricordo dell'evolversi de<strong>gli</strong> avvenimenti.<br />

Avvenimenti che non presentano alcuna anomalia e che possono essere ricostruiti con linearità, alla luce dei<br />

documenti acquisiti, delle testimonianze de<strong>gli</strong> Ufficiali Martino e Falerni, della stessa Ariosto:<br />

- nel mese di febbraio del 1995, Stefania Ariosto en<strong>tra</strong>va in contatto con la Guardia di Finanza nell'ambito<br />

di indagini relative alla ricezione di somme provenienti da libretti al portatore riconducibili al gruppo<br />

Fininvest;<br />

- "a latere" di questo contatto, la donna aveva riferito a<strong>gli</strong> operanti di poter fornire notizie riguardanti<br />

ingenti movimentazioni di denaro dalla Confederazione Elvetica ad ambienti romani, riconducibili a<br />

studi professionali legati al mondo politico, ma di non voler apparire formalmente;<br />

- era stata così classificata come fonte confidenziale di polizia giudiziaria (e denominata OLBIA): in tale<br />

veste, e del tutto legittimamente - visto che il Ministero de<strong>gli</strong> Interni dispone di fondi che servono<br />

proprio a questo scopo - le era stata offerta, per la sua attività, una retribuzione, che la donna aveva<br />

rifiutato;<br />

- <strong>gli</strong> incontri con <strong>gli</strong> ufficiali di P.G. furono più d'uno, anche per la necessità di conoscere più<br />

approfonditamente la fonte, allo scopo di saggiarne l'attendibilità;<br />

- di tali colloqui (ma ciò è del tutto ovvio, <strong>tra</strong>ttandosi di attività di P.G. di natura riservata e non<br />

nell'ambito di indagini preliminari) non venne mai redatto alcun verbale, come ha giustamente riferito e<br />

ribadito il teste Falerni su insistenti domande della difesa Previti;<br />

- fino a giugno, sono parole del capitano Martino (cfr. dep. Martino avanti il Tribunale di Milano, I<br />

Sezione, e avanti il Tribunale di Cles, acquisite all'udienza del 25 marzo 2002) la collaborazione "non si<br />

sostanziò in un bel niente, perché le notizie che ci dava erano difficilmente riscon<strong>tra</strong>bili, ci parlava di<br />

contatti, amicizie <strong>tra</strong> l'onorevole Previti e alcuni giudici di Roma, però mai ci disse: "Ho visto... ho<br />

fatto...". Quando ci disse: "Ho visto, ho fatto" allora dissi: "questo è il momento di iniziare a dire:<br />

"Signora mettiamo in atti questi fatti";<br />

- "veniva riferito all'A.G. quello che ci veniva detto, l'Autorità Giudiziaria ne prendeva atto, ma non<br />

veniva <strong>tra</strong>smesso rapporto, veniva riferito verbalmente: "Abbiamo UNA FONTE che ci dice questo...",<br />

ma in realtà queste notizie NON POTEVANO ESSERE UTILIZZATE per avviare indagini più<br />

pene<strong>tra</strong>nti... la disponibilità a collaborare venne fuori solo a fine lu<strong>gli</strong>o, perché venne fuori un articolo<br />

di stampa che la turbò... lei disse: "A questo punto vo<strong>gli</strong>o mettere nero su bianco le accuse a questi<br />

signori..." (sono sempre parole del teste appena citato);


- a questo punto la fonte aveva ormai deciso di palesarsi, e venne chiamato un magis<strong>tra</strong>to della Procura<br />

della Repubblica di Milano: era il 21 lu<strong>gli</strong>o 1995 e, come risulta dal verbale acquisito, in quella sede la<br />

teste ebbe qualche incertezza e non se la sentì di "mettere nero su bianco"; l'effettiva verbalizzazione<br />

delle notizie ebbe inizio solo il successivo 25 lu<strong>gli</strong>o;<br />

- a precisa domanda ("il nominativo della fonte Olbia non fu rivelato alla A.G. fino a quando l'Ariosto non<br />

diede questa disponibilità a sottoscrivere le dichiarazioni?") questa fu la risposta del teste:<br />

"Chiaramente, funziona così per tutte le fonti... "; l'affermazione, oltre che di per sé credibile e logica<br />

(posto che, per configurazione normativa ex art. 202 c.p.p., l'identità della fonte è nota solo a colui che<br />

ne racco<strong>gli</strong>e le informazioni) è anche, nel caso di specie, confermata dai documenti acquisiti ed in<br />

particolare dall'appunto in data 3 agosto 1995 del Capitano Martino, nel quale si dice che "sulla esistenza"<br />

della fonte e "su<strong>gli</strong> elementi confidati" (e, dunque, non della sua identità) era stata "verbalmente"<br />

informata l'A.G.; anche su questo punto, il con<strong>tra</strong>rio ricordo del Colonnello Falomi non è esatto.<br />

In presenza di questi dati di fatto e non dimenticando che la buona fede de<strong>gli</strong> inquirenti (così come la non<br />

colpevolezza de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong>) è sempre presunta, davvero il Tribunale non vede come si possa sostenere la<br />

tesi difensiva più volte richiamata, totalmente priva di un benché minimo fondamento, prima di tutto sul<br />

piano storico.<br />

Nella primavera del 1995, en<strong>tra</strong>ta in <strong>rapporti</strong> con Guardia di Finanza in relazione ad una specifica vicenda<br />

patrimoniale, Stefania Ariosto ha accennato a<strong>gli</strong> operanti di essere a conoscenza di gravi fatti di reato,<br />

chiarendo però di non essere disposta a formalizzare il tutto. Lineare, e conforme ai doveri della Polizia<br />

Giudiziaria, l'averle prospettato l'eventualità (del tutto legittima, siccome disciplinata dalla legge e regolata<br />

da specifiche procedure de<strong>gli</strong> organi di investigazione, che, come è noto, ne fanno un larghissimo uso) di<br />

poter esporre tali notizie senza che la sua identità venisse palesata, ossia in veste di "informatore".<br />

Il <strong>tra</strong>scorrere dei mesi, sino alla fine di giugno, era servito ai suoi interlocutori per "studiarla" e poterne<br />

apprezzare il grado di attendibilità, oltre che per attendere se le generiche affermazioni relative a <strong>rapporti</strong> fra<br />

Tizio e Caio si condensassero intorno a fatti più concreti, sui quali eventualmente impostare una profìcua<br />

attività di indagine.<br />

Nel mese di lu<strong>gli</strong>o (anche a seguito dell'uscita di un articolo giornalistico - acquisito a<strong>gli</strong> atti - pubblicato sul<br />

quotidiano "II Giorno", che descriveva in modo assai "pungente" la teste) Stefania Ariosto aveva infine<br />

maturato la decisione di uscire dall'anonimato, presentandosi al Pubblico Ministero. Nessun mistero, nessun<br />

complotto, nessuna "gestione" illecita, bensì solo un periodo nel quale - come la Polizia Giudiziaria fa con<br />

qualunque fonte confidenziale - l'identità dell'informatore era nota solo a coloro che con lui (anzi, con lei)<br />

in<strong>tra</strong>ttenevano il rapporto, per l'appunto, "confidenziale". A ben vedere, le gravissime e ripetute asserzioni di<br />

una "preparazione" della testimonianza Ariosto nelle segrete stanze ad opera de<strong>gli</strong> inquirenti manca anche di<br />

qualsiasi barlume di supporto logico: su questo punto, invero, i difensori e <strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> hanno levato alti lai,<br />

senza però mai dire, con precisione, come potesse essere avvenuta questa "preparazione".<br />

Se è vero, come questa sentenza dimos<strong>tra</strong> ampiamente, che i gravissimi elementi indiziari a carico de<strong>gli</strong><br />

<strong>imputati</strong> sono emersi a seguito delle richieste rogatoriali e delle altre indagini tecniche, tutte inizialmente<br />

svolte proprio allo scopo di verificare le accuse dell'Ariosto, allora il Tribunale non comprende in cosa sia<br />

consistita questa attività preparatoria, salvo pensare che <strong>gli</strong> inquirenti abbiano "suggerito" alla teste di<br />

parlare dei <strong>rapporti</strong> <strong>tra</strong> Previti, Pacifico e Squillante sperando che le (future) indagini bancarie all'estero<br />

potessero mos<strong>tra</strong>re lo scenario che poi hanno mos<strong>tra</strong>to.<br />

Ed ancora, se la testimonianza era stata preconfezionata, <strong>gli</strong> inquirenti avrebbero forse pensato di evitare<br />

alla Ariosto di incorrere in qualche errore, del tipo di quelli relativi al quadro del dottor Mele o alle presenze<br />

al Casinò di Rosario Priore.<br />

E comunque, come già si diceva, restano in quest'ottica insuperabili e granitici (oltre che assolutamente non<br />

"controllabili" da<strong>gli</strong> inquirenti) <strong>gli</strong> elementi, dei quali già s'è detto, desumibili dalle testimonianze di Giorgio<br />

Casoli e Vittorio Dotti, tanto per citarne solo alcuni.<br />

Qualche parola sui motivi che hanno spinto l'Ariosto a rendere testimonianza, posto che, come ben si<br />

comprende, ogni (pretesa) calunnia che si rispetti deve per forza avere un movente. La fervida fantasia dei<br />

difensori e de<strong>gli</strong> <strong>imputati</strong> ne ha gettato sul tappeto più d'uno, anche in modo con<strong>tra</strong>ddittorio: si è parlato di<br />

un interesse politico in capo ad alcuni magis<strong>tra</strong>ti del Pubblico Ministero (ma su questo il Tribunale non<br />

intende fare alcun commento); si è alluso a vendette personali della teste nei confronti della Fininvest per il<br />

mancato risarcimento di un danno da parte di una società assicuratrice legata al gruppo; si è fatto esplicito<br />

riferimento alle condizioni patrimoniali della donna ed alla sua esposizione debitoria, secondo la difesa


improvvisamente ripianatasi (ma chi le avrebbe dato il denaro? forse i magis<strong>tra</strong>ti milanesi cedendole il<br />

"quinto" dello stipendio?); infine, vi sono state allusioni alle rivalità interne al partito di Forza Italia, quasi<br />

che dietro le scelte della donna vi fosse lo "zampino" del suo compagno Dotti, che intendeva avvantaggiarsi<br />

dello scandalo che avrebbe colpito i destinatari delle sue accuse (e s'è già detto come, da un lato, fin dal<br />

primo momento, Dotti si sia ben guardato dal sostenere entusiasticamente la testimonianza della fidanzata e,<br />

dall'altro, come e<strong>gli</strong> sia stato solo e pesantemente danneggiato dalla vicenda in questione).<br />

Reputa il Tribunale che non si debba essere tanto ingenui o sprovveduti da pensare che Stefania Ariosto<br />

abbia preso quella decisione solo ed unicamente per un desiderio di giustizia, quella con la "G" maiuscola;<br />

anche se, per converso, non va dimenticato che, in que<strong>gli</strong> anni, non era poi così infrequente che persone -<br />

coinvolte a vario titolo in episodi di rilievo penale, soprattutto di corruzione politico amminis<strong>tra</strong>tiva - si<br />

presentassero spontaneamente per rivelarli a<strong>gli</strong> inquirenti.<br />

Intanto, non può tacersi come ella abbia a lungo cercato e goduto i favori del jet-set imprenditoriale e<br />

politico, di un ambiente di potere, economico e non, che la esaltava (basti vedere con quale maniacale cura<br />

scattava le fotografìe ne<strong>gli</strong> avvenimenti mondani e come le custodiva, con didascalie scritte in caratteri<br />

ricercati), e dal quale cercava di <strong>tra</strong>rre occasioni di lavoro e di guadagno a dir poco avventurose; del quale,<br />

sia pur maldes<strong>tra</strong>mente, aveva cercato di riprodurre <strong>gli</strong> schemi che in seguito avrebbe denunciato alla<br />

magis<strong>tra</strong>tura (si pensi alla vicenda Ricotti, al passaggio del bi<strong>gli</strong>etto con proposta di corruzione: "Come<br />

avvocato Previti"). Del resto, neppure la diretta interessata intende accreditare di sé un'immagine tanto<br />

"pura", quando più volte afferma (come <strong>gli</strong> stessi Ufficiali di P.G. hanno ricordato) che la "molla" che fece<br />

scattare la sua determinazione a presentare denuncia fu la pubblicazione del menzionato articolo di stampa,<br />

che ella ritenne "ispirato" da qualcuno che intendeva colpirla.<br />

Si <strong>tra</strong>tta, in effetti di un pezzo abbastanza pungente, nel quale si racconta (dipingendo un salace quadretto) la<br />

sua controversia con la società assicuratrice per la sot<strong>tra</strong>zione di un oggetto di valore dal negozio d'arte e<br />

d'antiquariato di via Montenapoleone, da lei gestito insieme al fratello. In sostanza si dice che, dapprima<br />

denunciato un fatto qualificabile come furto, l'Ariosto aveva appreso che, in mancanza di atti di violenza o<br />

minaccia, non sarebbe scattata la copertura assicurativa, prevista solamente per fatti di rapina; ed ecco che la<br />

commessa presente al momento del fatto aveva modificato la propria versione in un "seguito" di denuncia,<br />

inserendovi una condotta violenta dapprima non menzionata.<br />

La stessa teste, in dibattimento, ha senza riserve affermato che, secondo il suo modo di vedere, facendole<br />

rilievi che sostanzialmente mettevano in dubbio la veridicità della denuncia - e conscguentemente negandole<br />

il risarcimento - l'assicuratore (e dunque, sempre secondo il suo modo di vedere, il gruppo Fininvest) le<br />

aveva fatto un'ingiustizia; forse anche perché non era stato tenuto in adeguato conto il suo rapporto<br />

sentimentale con Vittorio Dotti, con il quale - come e<strong>gli</strong> stesso ricorda - si era ripetutamente lamentata.<br />

Insomma, è la stessa protagonista a rievocare come, in quel periodo, ella provasse un certo astio nei<br />

confronti di un certo gruppo di persone e di un certo ambiente, dai quali non si era sentita - sia pure per una<br />

banale, anche se non irrisoria, questione assicurativa - sufficientemente considerata e protetta, ed ai quali<br />

aveva (a torto o a ragione) attribuito la sostanziale paternità di un articolo di stampa che aveva (a torto o a<br />

ragione) ritenuto diffamatorio.<br />

Un fatto che ben può averla spinta a rendere pubbliche confidenze delle quali era stata destinataria e che,<br />

diversamente, sarebbero per sempre rimaste tali.

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