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Il manierismo in Europa: artisti italiani all'estero - Francesco Ridolfi

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<strong>Il</strong> <strong>manierismo</strong> <strong>in</strong> <strong>Europa</strong>: <strong>artisti</strong> <strong>italiani</strong> all’estero<br />

In un periodo di così forte maturazione di idee e di pr<strong>in</strong>cipi come il R<strong>in</strong>ascimento<br />

italiano, così ricco di <strong>in</strong>dividualità significative <strong>in</strong> tutti i campi, <strong>in</strong> un tempo che va<br />

giustamente considerato il coronamento di sforzi profondi per una nuova<br />

coscienza dell’uomo, era fatale che il secolo XVI non rappresentasse quel che<br />

venne detto il secolo d’oro dell’arte italiana, ma <strong>in</strong>vece un secolo nello stesso<br />

tempo ricchissimo e travagliato; un periodo che si raccoglie sempre più <strong>in</strong><br />

ambienti di civiltà <strong>artisti</strong>ca raff<strong>in</strong>ata e sontuosa, ma che <strong>in</strong>travede, talvolta<br />

soffrendone, nuove correnti di pensiero e d’arte, alle quali gli elementi del<br />

R<strong>in</strong>ascimento non giovarono più a dare forma <strong>artisti</strong>ca. Profonde crisi spirituali<br />

pervadono il secolo; le parole di Girolamo Savonarola sembrano lasciare profonda<br />

<strong>in</strong>fluenza sulle coscienze degli uom<strong>in</strong>i; molti <strong>artisti</strong>, da Botticelli a Michelangelo,<br />

mostrano non più soltanto l’impegno dell’artista di fronte al proprio mondo da<br />

creare, ma un’austera personalità che si ripiega su se stessa nel pensiero di una<br />

“necessità” religiosa, acutamente emotiva e nuova.<br />

Appare la pensosa maturazione di un secolo che da un lato vedeva portato alla<br />

massima altezza l’ideale della bellezza, della grandiosità, del fasto, e dall’altro si<br />

ripiegava sui problemi della vita, della scienza, della religione. Quel che era stato<br />

sicuro dom<strong>in</strong>io del mondo sensibile nel ‘400, portato alla gioia quasi matematica<br />

e astratta da un Leon Battista Alberti o da un Piero della Francesca, non sembra<br />

bastare più; Leonardo sta al limite delle possibilità <strong>artisti</strong>che, al conf<strong>in</strong>e tra l’arte,<br />

la scienza e la contemplazione filosofica. Le proporzioni comuni non soddisfano<br />

più, si aspira al gigantesco <strong>in</strong> architettura, <strong>in</strong> scultura, nelle colossali<br />

composizioni pittoriche. Tuttavia numerose e profonde vene di mal<strong>in</strong>conia<br />

pervadono l’arte del ‘500 che sembra perciò def<strong>in</strong>ibile nella sua essenza come il<br />

massimo sforzo di superamento dei limiti umani, col segreto timore della<br />

impossibilità di questo atto eroico che si compie appunto coi soli “mezzi“ umani;<br />

ecco Michelangelo creare con l‘opera sua il simbolo più alto della tendenza<br />

esaltatrice dell’umanità, ripiegarsi con i suoi eroi nella coscienza dell’impossibilità<br />

di rompere con mezzi umani la barriera che sbarra il passo alla verità div<strong>in</strong>a.<br />

Mentre Leonardo vuole accostarsi al mondo visibile senza pregiudizi religiosi<br />

mediante l’esperienza dei fenomeni naturali dei quali nota le analogie, studiando<br />

con spirito libero le cause comuni, Michelangelo, al contrario, è l’uomo pensoso<br />

dei problemi religiosi e morali, che trascende la bellezza apparente del mondo e<br />

si concentra nelle visioni dello spirito; così, se le sue ansie morali riprendono<br />

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motivi medioevali, egli tende ad elevarli però al livello di un pensiero umanistico<br />

che comprende cristianesimo e classicità.<br />

Tra il 1492 e il ’94 con la morte di Lorenzo il Magnifico e la discesa di Carlo VIII <strong>in</strong><br />

Italia si rompeva l’equilibrio degli stati <strong>in</strong> Italia e <strong>in</strong> <strong>Europa</strong>; com<strong>in</strong>ciava l’epoca<br />

delle grandi fratture ideologiche e politiche e delle guerre per la supremazia nel<br />

cont<strong>in</strong>ente tra Francia e Spagna prima, tra Spagna e stati tedeschi poi, con le<br />

aspre implicazioni successive dell’Inghilterra e dell’Austria. Si rompeva allora<br />

tragicamente l’unità europea, mettendo <strong>in</strong> questione l’autorità stessa, sia pur<br />

simbolica, del Sacro Romano Impero; si spezzava con la Riforma l’unità civile che<br />

legava da più di un millennio tutto il cont<strong>in</strong>ente, si rivoluzionavano e si<br />

<strong>in</strong>asprivano le battaglie con lo sviluppo delle armi da fuoco. Corrispondente era la<br />

crisi ideologico-politica con la concezione del Machiavelli e dei seguaci; quella<br />

economica con la decadenza del predom<strong>in</strong>io fiorent<strong>in</strong>o e veneziano e con la f<strong>in</strong>e<br />

delle monete a circolazione europea e mediterranea; quella f<strong>in</strong>anziaria con l’eclissi<br />

dei banchi mercanteschi di fronte allo sviluppo dei traffici attraverso l’Atlantico e<br />

l’organizzazione delle grandi banche <strong>in</strong>ternazionali.<br />

Dal 1492 al 1527, anno dello spaventoso sacco di Roma, sembra scatenarsi un<br />

terremoto distruttivo della civiltà r<strong>in</strong>ascimentale italiana ed europea, sembrano<br />

crollare le colonne stesse della città, come scrivevano gli storici del tempo; era<br />

un’apocalisse, sentita angosciosamente negli anni seguenti da Tommaso Moro, da<br />

Erasmo da Rotterdam, dal Reuchl<strong>in</strong>.<br />

Ma quel cataclisma apriva la via ad un nuovo capitolo della civiltà, prima con le<br />

conseguenze ricche delle scoperte geografiche, poi con la rivoluzione copernicana<br />

e galileiana, con il r<strong>in</strong>novamento profondo delle scienze attraverso lo<br />

sperimentalismo, con la ripresa religiosa attraverso le opere e il pensiero di spiriti<br />

grandi come Teresa d’Avila o Carlo Borromeo, con il rafforzamento della scuola e<br />

dell’educazione, con la sistemazione degli assetti politici nell’equilibrio dei grandi<br />

stati europei.<br />

<strong>Il</strong> Manierismo è il movimento <strong>artisti</strong>co che nasce <strong>in</strong> pieno C<strong>in</strong>quecento da questa<br />

situazione di crisi e da un’irrequieta <strong>in</strong>soddisfazione per la civiltà figurativa<br />

maturata al pr<strong>in</strong>cipio del secolo e dà luogo ad un’arte turbata e piena di<br />

contraddizioni, erede dei tormenti di Leonardo e Michelangelo, che utilizza le<br />

forme classiche <strong>in</strong> uno spirito che non è più il loro.<br />

<strong>Il</strong> substrato del Manierismo è soprattutto di orig<strong>in</strong>e <strong>in</strong>tellettualistica e consiste <strong>in</strong><br />

una tendenza verso la concettosità, il “capriccio”, la disarmonia, l’irrazionale, il<br />

fantastico, tanto da preludere al Barocco. La crisi degli ideali umanistici porta alla<br />

cultura della maniera; un evidente disorientamento è nella concezione tradizionale<br />

della natura e della storia, è tutta la gerarchia dei valori che vacilla e con lei il<br />

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sistema concatenato a sfere concentriche su cui poggia la cosmologia e perf<strong>in</strong>o<br />

l’ord<strong>in</strong>e sociale. <strong>Il</strong> mito della “r<strong>in</strong>ascita” assume alternativamente i contorni<br />

caustici dell’ironia o quelli, evanescenti ed evasivi, dell’utopia; è la stessa<br />

“normatività” dell’Antico ad essere messa <strong>in</strong> dubbio; il sistema proporzionale-<br />

prospettico e la sua pretesa di riflettere l’omogeneità della materia è<br />

cont<strong>in</strong>uamente messo alla prova, spesso è <strong>in</strong>tenzionalmente confutato.<br />

Al concetto umanistico di “forma”, come segno immanente della realtà, la Maniera<br />

oppone quello della Metamorfosi, che <strong>in</strong>s<strong>in</strong>ua il dubbio sulla stessa realtà delle<br />

cose. Della natura come dell’arte si svalutano gli attributi universali mentre si<br />

ricercano con avidità i casi eccezionali, devianti, le stranezze, le mostruosità.<br />

La realtà naturale appare talvolta come un enigma governato dal caso, da leggi<br />

imperscrutabili; il mondo mostruoso e <strong>in</strong>quietante irrompe perf<strong>in</strong>o nella<br />

architettura di edifici, si fa stilizzazione biomorfa <strong>in</strong> Ammannati e Buontalenti,<br />

produce esseri deformi che si affacciano dalle pareti di casa Zuccari, Serlio<br />

codifica un “ord<strong>in</strong>e bestiale”. Con le “grottesche” italiane, con i nordici “Rollwerk” e<br />

“Beschlagwerk”, con l’ ”estilo mostruoso” spagnolo dilaga una decorazione<br />

fantastica e metamorfica.<br />

Questo è l’aspetto più evidente e orig<strong>in</strong>ale della “Maniera”; la cultura che le dà vita<br />

non è però vuota esteriorità, essa riflette l’atteggiamento tipico della temperie<br />

spirituale tardo-r<strong>in</strong>ascimentale, come lo scavo psicologico, il senso m<strong>in</strong>uto della<br />

realtà circostanziata, la ricerca di una dimensione <strong>in</strong>teriore, il sentimento<br />

drammatico della vita e della propria esistenza <strong>in</strong>dividuale, la frustrazione e lo<br />

slancio eroico, la religiosità tormentata: tutti tradotti <strong>in</strong> quella poetica del<br />

“difficile” che implica una padronanza non comune della tecnica.<br />

Create nell’ambiente delle corti e per un pubblico di pr<strong>in</strong>cipi e di colti e raff<strong>in</strong>ati<br />

aristocratici, dei quali riflettono i gusti fastosi e gli ideali estetici e di<br />

comportamento, le opere degli <strong>artisti</strong>, che vennero <strong>in</strong> seguito <strong>in</strong>dicati come<br />

manieristi, appaiono caratterizzate dal culto quasi ossessivo dello stile e della<br />

eleganza formale, della ricerca di varietà e complessità, da un estremo<br />

virtuosismo esecutivo, dall’aspirazione ad un’artificiosa bellezza. Appassionati di<br />

temi allegorici, i manieristi miravano soprattutto a sorprendere e a stupire,<br />

prediligevano soggetti <strong>in</strong>soliti ed eruditi, adottavano prospettive strane e ardite e<br />

accordi di colore <strong>in</strong>consueti; la loro arte che si <strong>in</strong>dirizzava ad un’elite fu<br />

essenzialmente un’arte di corte, raff<strong>in</strong>ata.<br />

Nella seconda metà del secolo XVI la “maniera moderna” diventa la l<strong>in</strong>gua ufficiale<br />

del potere e della religione; nell’età dell’assolutismo e della Controriforma<br />

prendono forma generi <strong>artisti</strong>ci dest<strong>in</strong>ati a durare: il ritratto cortigiano (con<br />

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Bronz<strong>in</strong>o, Pontormo e Band<strong>in</strong>elli), la statua equestre e l’allegoria sacra e profana<br />

(con Giambologna e l’Ammannati).<br />

Lo stretto legame notato <strong>in</strong> periodo r<strong>in</strong>ascimentale tra opere <strong>artisti</strong>che e scritti<br />

sull’arte si allenta <strong>in</strong> periodo manieristico, col diffondersi di una trattatistica<br />

(Lomazzo e Zuccari), non più basata su criteri scientifici, che sposta l’accento dal<br />

modello naturale al modello <strong>artisti</strong>co, cioè alla “maniera” dei grandi maestri del<br />

R<strong>in</strong>ascimento. La ricerca di una codificazione di regole per la creazione <strong>artisti</strong>ca,<br />

che trova il suo sbocco storico nella nascita delle accademie e un riflesso nel<br />

rigorismo dogmatico della Controriforma, conduce a uno spiccato<br />

<strong>in</strong>tellettualismo, a sostituire alla concretezza del fare <strong>artisti</strong>co il predom<strong>in</strong>io di un<br />

fattore concettuale, l’ ”idea” (Zuccari). <strong>Il</strong> dibattito sull’arte è tolto agli <strong>artisti</strong> e<br />

passa ai “dotti”, ai professori del disegno, all’ambiente ufficiale dell’accademia,<br />

dove si elabora quella teoria classicista, dest<strong>in</strong>ata ad essere prevalente lungo due<br />

secoli, Seicento e Settecento. Sul f<strong>in</strong>ire di questo secolo l’<strong>in</strong>tento teorico prende il<br />

sopravvento e conduce ad astratte formulazioni che riducono di fatto il<br />

classicismo a discipl<strong>in</strong>a didattica. Nel 1598 viene tradotto <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese il trattato del<br />

Lomazzo sulla pittura e il suo <strong>in</strong>flusso si nota nel trattato di N. Hilliard.<br />

<strong>Il</strong> Manierismo storicamente si configura per la prima volta a Firenze per merito di<br />

un gruppo di pittori, tutti di altissima qualità <strong>artisti</strong>ca, Beccafumi, Pontormo,<br />

Rosso Fiorent<strong>in</strong>o, Bronz<strong>in</strong>o, tra il 1520 e il ‘30 (Domenico Beccafumi espresse uno<br />

stile personale, aspro di contorni e dai colori agri e sulfurei, percorsi da lame di<br />

luce; il Pontormo sviluppò un l<strong>in</strong>guaggio di eleganze grafiche e coloristiche dalla<br />

sofferta tensione critica e spirituale; il Bronz<strong>in</strong>o è celebre per i ritratti dall’aulica<br />

preziosità; per Rosso Fiorent<strong>in</strong>o vedi oltre). Un’altra corrente manieristica è quella<br />

che nasce a Roma con Giulio Romano, e prosegue a Mantova dove egli lavora al<br />

servizio dei Gonzaga, confluendo qui nel Manierismo emiliano, la cui massima<br />

personalità è quella del Parmigian<strong>in</strong>o. La decorazione ad affresco del Palazzo del<br />

The a Mantova (1524-’35), opera di Giulio Romano, dallo stile eloquente e<br />

drammatico, percorso da forme sconvolte e ombre bitum<strong>in</strong>ose, divenne uno dei<br />

paradigmi della cultura manieristica europea.<br />

I maestri emiliani come il Parmigian<strong>in</strong>o, Dosso Dossi, Nicolò dell’Abate,furono<br />

suggestionati dal colore dei veneziani ma anche dalle <strong>in</strong>venzioni formali di Firenze<br />

e Roma (Per il Correggio vedi lez. n.18).<br />

<strong>Francesco</strong> Mazzola detto il Parmigian<strong>in</strong>o riuscì a tradurre <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i orig<strong>in</strong>ali i<br />

moduli stilistici r<strong>in</strong>ascimentali; le sue opere sono tese al raggiungimento di<br />

un’eleganza formale supremamente aristocratica, quasi astratta nei suoi<br />

caratteristici allungamenti delle figure.<br />

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Sebastiano del Piombo assimilò la maniera romana dell’epoca; alla misuratezza<br />

veneziana si sostituisce nel periodo passato a Roma un gesticolare movimentato,<br />

al colorismo vivace un’opacità di gusto michelangiolesco; nei ritratti l’artista si<br />

affidò a un lum<strong>in</strong>ismo irreale e <strong>in</strong>tellettualistico.<br />

La via veneziana all’arte, aperta da Giovanni Bell<strong>in</strong>i, era sostanzialmente autonoma<br />

rispetto ai fondamenti teorici della cultura figurativa tosco-romana. La pittura<br />

veneziana del C<strong>in</strong>quecento, fondata sulla sufficienza dei valori cromatici e<br />

lum<strong>in</strong>osi, può ridurre al m<strong>in</strong>imol’importanza di quella struttura concettuale di<br />

base che è il disegno; più importante per gli <strong>artisti</strong> veneziani è il rapporto<br />

privilegiato dell’occhio con il Vero e qu<strong>in</strong>di l’atteggiamento sperimentale nei<br />

confronti del colore e della luce.<br />

Tiziano Vecellio <strong>in</strong>torno al 1540 si accostò al <strong>manierismo</strong> dell’Italia centrale che si<br />

era <strong>in</strong>filtrato anche a Venezia; si ha allora il prevalere momentaneo nella sua<br />

pittura di forme scultoree <strong>in</strong>trecciate <strong>in</strong> movimenti contorti e conclusi; superata<br />

poi la crisi manieristica, nelle ultime opere raggiunse una grandissima libertà<br />

formale nell’espressione di uno spiritualismo profondo e complesso.<br />

Jacopo T<strong>in</strong>toretto fu fortemente <strong>in</strong>fluenzato dalla maniera michelangiolesca con<br />

t<strong>in</strong>te violentemente <strong>in</strong> contrasto con le ombre, luci fantastiche, d<strong>in</strong>amicità della<br />

composizione, ricchezza del panneggio che prelude al barocco.<br />

Paolo Veronese studiò il <strong>manierismo</strong> romano-emiliano; le sue solide e costruite<br />

composizioni, affollate di personaggi e architetture, hanno colori splendenti ma<br />

freddi e def<strong>in</strong>iti, il massimo colore col massimo di luce, dall’ispirazione serena di<br />

alto valore poetico.<br />

La pittura di Giorgio Vasari è tributaria dell’era manieristica fiorent<strong>in</strong>a, ma trae<br />

spunti da Raffaello e Michelangelo, con opere dall’enunciazione decorativa.<br />

I fratelli Taddeo e Federico Zuccari, dall’arte erudita e pomposa, furono seguaci<br />

del <strong>manierismo</strong> romano, dal grande spirito decorativo.<br />

Luca Cambiaso ebbe <strong>in</strong>fluenze venete e caravaggesche; la tela “Cristo davanti a<br />

Caifa” si può considerare l’<strong>in</strong>negabile prototipo dei suggestivi ”notturni” a lume di<br />

candela (che avranno fortuna <strong>in</strong> seguito), severe meditazioni sul tema della luce<br />

impiegata con effetti di <strong>in</strong>tima religiosità.<br />

Federico Barocci (sec. XVI-XVII) sulla tradizione dei grandi del ‘500,<br />

particolarmente di Raffaello e Correggio, avviò quell’<strong>in</strong>nesto di un <strong>manierismo</strong><br />

patetico che prelude al barocco.<br />

“Credevano i nostri pr<strong>in</strong>cipi <strong>italiani</strong>, prima ch’essi assaggiassero i colpi delle<br />

oltremontane guerre, che a un pr<strong>in</strong>cipe bastasse sapere negli scritti pensare<br />

un’acuta risposta, scrivere una bella lettera, ornarsi di gemme e d’oro, dormire e<br />

mangiare con maggior splendore degli altri… né si accorgevano i mesch<strong>in</strong>i che si<br />

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preparavano ad esser preda di chiunque li assaltava” (N. Machiavelli). La<br />

riflessione del Segretario fiorent<strong>in</strong>o viene spesso utilizzata come epigrafe di<br />

un’epoca che vide le corti italiane toccare il vertice della raff<strong>in</strong>atezza e dello<br />

splendore mentre <strong>in</strong>combevano la sottomissione politica e la sconfitta militare.<br />

Dopo il 1527, anno del Sacco di Roma, si ebbe la diaspora degli <strong>artisti</strong>, e nella<br />

seconda metà del secolo il Manierismo si diffuse <strong>in</strong> tutta <strong>Europa</strong>, frazionandosi <strong>in</strong><br />

numerosi episodi m<strong>in</strong>ori. <strong>Il</strong> passaggio del movimento fuori d’Italia avvenne<br />

attraverso la Francia, dove si trovarono a lavorare a Fonta<strong>in</strong>ebleau, la dimora del<br />

re, molti <strong>artisti</strong> (vedi oltre): di qui la diffusione dei modelli <strong>italiani</strong> nel resto di<br />

<strong>Europa</strong>.<br />

Esam<strong>in</strong>iamo ora lo stile manieristico <strong>in</strong>trodotto nelle pr<strong>in</strong>cipali scuole <strong>artisti</strong>che<br />

d’<strong>Europa</strong>.<br />

Per affermare il proprio prestigio <strong>Francesco</strong> I, “veuf de son rêve d’Italie, se fait une<br />

Italie française”; volendo ricreare qualcosa delle amate ville lombarde, <strong>in</strong>tese dar<br />

vita ad una corte che potesse competere <strong>in</strong> ricchezza e splendore con quelle<br />

italiane. A dirigere i lavori di decorazione del suo castello di Fonta<strong>in</strong>ebleau,<br />

situato <strong>in</strong> un luogo ameno, fu chiamato da Venezia Giovan Battista di Jacopo,<br />

detto Rosso Fiorent<strong>in</strong>o (maître Roux), che, giunto <strong>in</strong> Francia nel 1530, volle presso<br />

di sé altri <strong>artisti</strong> <strong>italiani</strong>; vi andarono dal ’30 Luca Penni, e dal ’34 il Primaticcio,<br />

ambedue allievi del Parmigian<strong>in</strong>o, pittore che attraverso loro <strong>in</strong>fluenzò<br />

profondamente la pittura francese. Venne a lavorarvi il Cell<strong>in</strong>i e più tardi vi<br />

passarono il Serlio e il Vignola e molti altri, così che Fonta<strong>in</strong>ebleau, secondo il<br />

Vasari, “pareva una seconda Roma”.<br />

<strong>Il</strong> Rosso, <strong>in</strong>ventando una nuova decorazione a stucco, seppe dar vita <strong>in</strong> pochi anni<br />

a un attivissimo cantiere, addestrando squadre di pittori a fresco, <strong>in</strong>tagliatori e<br />

stuccatori; dip<strong>in</strong>se il padiglione detto di Pomona e altri ambienti dal 1533 (di tutto<br />

ciò rimane la galleria di <strong>Francesco</strong> I, lunga 60 metri, decorata con 12 partimenti di<br />

stucco che <strong>in</strong>corniciano scene storiche e mitologiche, modelli ornamentali di<br />

bizzarra <strong>in</strong>venzione, pitture di straord<strong>in</strong>aria orig<strong>in</strong>alità e fantasia, con temi<br />

caratterizzati da un’amabile erudizione, che costituiscono l’apologia del sovrano).<br />

L’ornamentazione tanto <strong>in</strong>vadente rivela angoscia e straord<strong>in</strong>aria liberazione della<br />

forma; la sua produzione di bozzetti e disegni dall’ispirazione orig<strong>in</strong>ale,<br />

impetuosa e appassionata, trascritta con un grafismo nervoso ed espressivo, dai<br />

contorni frastagliati, doveva trasformare per sempre l’arte francese; ciò si avverte<br />

già nella grafica dell’allievo L. Thiry, dalla l<strong>in</strong>ea nervosa. G. Dumoutier, con il<br />

maestro dal 1537 al ’40, decoratore e autore di vetrate, ha lasciato dei modelli le<br />

cui figure vivaci escono dall’universo fantastico del Rosso; egli è il capostipite di<br />

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una d<strong>in</strong>astia di ritrattisti le cui opere denotano la raff<strong>in</strong>atezza e lo spirito del<br />

R<strong>in</strong>ascimento.<br />

Ricordiamo che gli <strong>in</strong>cisori francesi Milan, Chartier e Boyv<strong>in</strong> trassero <strong>in</strong>cisioni dalle<br />

opere del Rosso.<br />

Lavorarono nel castello due squadre, una alle dipendenze del Rosso,<br />

nell’appartamento del re, con <strong>Francesco</strong> di Pellegr<strong>in</strong>o (dal ’34 al ’36), stuccatore,<br />

autore anche di una serie di <strong>in</strong>cisioni <strong>in</strong> legno, di un libro di modelli <strong>in</strong> francese,<br />

con ornati ripresi dall’arte islamica; furono con loro Luca Penni, Andrea Seron, tre<br />

<strong>artisti</strong> francesi e due fiamm<strong>in</strong>ghi. L’altra squadra, nell’appartamento della reg<strong>in</strong>a,<br />

diretta dal Primaticcio (dal 1534), era composta da Domenico Fiorent<strong>in</strong>o, Lorenzo<br />

Nald<strong>in</strong>i (detto il Guazzetto o Regnaud<strong>in</strong>), Bartolomeo da S. M<strong>in</strong>iato e Girolamo<br />

Della Robbia che decorò la “porta aurea”. Altri <strong>italiani</strong> al servizio della corte dal<br />

1531 furono Scibec da Carpi, <strong>in</strong>tagliatore, Domenico de Rota, operaio <strong>in</strong> moreschi,<br />

Simone da Bari, scultore <strong>in</strong> marmo, Andrea da Genova, <strong>in</strong>gegnere, Matteo del<br />

Massaro, doratore e orefice, maestro Guido, ornatista.<br />

Nel 1540 muore il Rosso (ricordiamo che per <strong>Francesco</strong> I fece quadri e disegni per<br />

archi di trionfo, mascherate, oreficerie, ecc.che gli valsero onorificenze e privilegi;<br />

per il contestabile di Montmorency un “Cristo rimpianto”).<br />

La direzione dei lavori a Fonta<strong>in</strong>ebleau fu assunta dal Primaticcio nelle opere di<br />

pittura e di stucco; dal 1541 collaborarono con lui <strong>Francesco</strong> Caccianemici, Gian<br />

Battista Bagnacavallo, il Serlio, il Vignola e più tardi Antonio Fantuzzi, detto<br />

Antonio da Trento; tra gli aiuti francesi citiamo Maitre de Flore. il Primaticcio<br />

term<strong>in</strong>ò la galleria di <strong>Francesco</strong> I, decorò la sala e il gab<strong>in</strong>etto con i miti di Danae<br />

e Semele (distrutti), il vestibolo dietro la porta aurea (dal ’35 al ’44, con<br />

composizioni mitologiche di cui restano i disegni), le camere del re e della reg<strong>in</strong>a<br />

(resta il cam<strong>in</strong>o con il tondo di Venere e Adone <strong>in</strong> una f<strong>in</strong>e cornice di stucchi), la<br />

grotta dei p<strong>in</strong>i con il bugnato e le cariatidi.<br />

Dal 1540 al ’70 fu decorata (e <strong>in</strong>augurata da Enrico II) la galleria di Ulisse (con 15<br />

travate, la volta, lunga 150 metri, era divisa <strong>in</strong> otto gruppi, da c<strong>in</strong>que a nove<br />

quadri ciascuno, per un totale di 161 pitture), con stucchi eseguiti sempre dal<br />

Primaticcio e dai suoi aiutanti e allievi, tra i quali il più celebre fu Nicolò<br />

dell’Abate, francesizzato <strong>in</strong> Labbé, chiamato da Enrico II nel ’52. Con lui il<br />

Primaticcio nel 1558 affresca per C. Clausse la cappella del castello di Fleury (con<br />

stucchi di Paolo Ponzio o maitre Ponce); i due dip<strong>in</strong>gono anche nell’Hotel Ferrare,<br />

di fronte a Fonta<strong>in</strong>ebleau, nella cappella dei Guisa (’56-’57) e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e a Meudon.<br />

Dopo un breve ritorno <strong>in</strong> Italia, il Primaticcio è di nuovo a Fonta<strong>in</strong>ebleau, con 125<br />

pezzi e calchi di marmi romani, teste, torsi, figure gettate <strong>in</strong> bronzo (con l’aiuto<br />

del Nald<strong>in</strong>i e di <strong>artisti</strong> francesi) <strong>in</strong> una fonderia creata appositamente; Arianna,<br />

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Laocoonte, Ercole, Venere di Cnido, Apollo del Belvedere, lo sp<strong>in</strong>ario, ecc.,tutte<br />

queste figure popolarono i giard<strong>in</strong>i della reggia, fra i quali famosi furono quello<br />

detto il grande e quello di Diana cacciatrice. La sala da ballo, costruita sotto<br />

Enrico II, fu l’ultima impresa del Primaticcio con l’aiuto di Nicolò dell’Abate.Nel<br />

1736 Luigi XV demolì molti ambienti del padiglione di Pomona e la galleria di<br />

Ulisse (i soggetti sono noti attraverso i disegni orig<strong>in</strong>ali e le stampe di T. van<br />

Thulden; gli episodi dell’Odissea erano 58 e l’<strong>in</strong>sieme decorativo ebbe lodi dal<br />

Pouss<strong>in</strong> e meritò alcune copie del Rubens). Notevole era anche la camera di<br />

madame d’Etampes (1541) con stucchi e affreschi, trasformata da Luigi XV <strong>in</strong> una<br />

scal<strong>in</strong>ata.<br />

<strong>Il</strong> Primaticcio fa un altro viaggio <strong>in</strong> Italia, sei anni dopo il primo, per acquistare<br />

marmi; al ritorno è <strong>in</strong>caricato da Enrico III di dirigere la manifattura degli arazzi, è<br />

nom<strong>in</strong>ato abate di Sa<strong>in</strong>t Mart<strong>in</strong> e sopr<strong>in</strong>tendente alle Belle Arti; <strong>in</strong> quella bottega,<br />

da cui escono arazzi dalla decorazione fantastica e vivace, egli si occupa della<br />

tappezzeria; dà i disegni nello stesso tempo per le maioliche e numerosissime<br />

stampe per oggetti di oreficeria, per le famose pietre <strong>in</strong>cise dal Massaro (vedi lez.<br />

n.27).<br />

Egli esprime grazia e virtuosismo straord<strong>in</strong>ari, sensualità e gioia di creare; disegna<br />

molto, lasciando ai suoi allievi l’esecuzione dei bozzetti; per quanto riguarda la<br />

tecnica, preferisce la sanguigna di un rosso chiaro e brillante che contribuisce a<br />

divulgare, ne fa uso mirabile con lumeggiature di biacca.<br />

Come architetto è autore della “porte dauph<strong>in</strong>e o del battistero”, della facciata<br />

dell’ala detta “de la belle chem<strong>in</strong>ée”, del cortile della fontana; fece i disegni per il<br />

monumento al Lorra<strong>in</strong>e, eroe di Marignano, eseguito da Domenico Fiorent<strong>in</strong>o,<br />

detto del Barbiere, il progetto della cappella del castello di Anet a croce greca con<br />

cupola ispirata al Bramante, per la sepoltura dei Valois. <strong>Il</strong> Primaticcio esercitò una<br />

vera dittatura nelle arti; si dovrà attendere f<strong>in</strong>o al Le Brun (sec. XVII) per trovare un<br />

altro artista capace di esercitare un’<strong>in</strong>fluenza decisiva sull’arte francese.<br />

Tra i suoi collaboratori Luca Penni, morto a Parigi nel 1556, è probabilmente<br />

l’autore di cartoni di arazzi con vasti paesaggi, di grande eleganza (Storie di<br />

Diana). Niccolò dell’Abate possedeva un gran talento per la pittura di paesaggio e<br />

si dedicava a scene di genere, affrescò la cappella del castello di Beauregard<br />

presso Blois, lavorò a Parigi nei palazzi Soubise, Tolosa e <strong>in</strong> quello reale, nella Ste<br />

Chapelle (vedi oltre); la sua pittura si impose per il vigore stilistico e dette molto<br />

ad A. Caron. Altri pittori attivi a Fonta<strong>in</strong>ebleau furono Prospero Fontana, Giulio<br />

Camillo dell’Abate, figlio di Niccolò, e Ruggero dei Ruggeri che successe al<br />

Primaticcio nel 1571 nella direzione dei lavori; questi ultimi due <strong>artisti</strong> svolsero<br />

attività solo <strong>in</strong> parte nel castello poiché ebbero l’<strong>in</strong>carico da Enrico IV di decorare<br />

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gli altri castelli <strong>in</strong> cui di volta <strong>in</strong> volta dimorava. Ricordiamo che il Ruggeri, detto<br />

Rugery, lasciò affreschi sulla leggenda d’Ercole a Fonta<strong>in</strong>ebleau dove morì nel<br />

1596.<br />

Nicolò e Giulio Camillo dell’Abate furono anche <strong>in</strong>caricati di fornire i modelli degli<br />

arredi della festa per l’<strong>in</strong>gresso solenne di Carlo IX a Parigi nel 1571. Dei francesi<br />

che lavorarono sotto il Primaticcio citiamo Badouyn e Caron, pittore di corte di<br />

Cater<strong>in</strong>a de’ Medici, lo scultore P. Bontemps; gli <strong>in</strong>cisori Delaune e Androuet du<br />

Cerceau divulgarono i motivi del maestro.<br />

Nel 1540 si recò a Parigi Benvenuto Cell<strong>in</strong>i, scontata la prigionia <strong>in</strong> Castel<br />

Sant’Angelo; <strong>Francesco</strong> I gli assegnò una pensione e gli offrì come dimora e<br />

offic<strong>in</strong>a delle sale del Petit Nesle ove l’artista si <strong>in</strong>stallò signorilmente con<br />

lavoranti <strong>italiani</strong>, francesi e tedeschi; tra i suoi allievi e collaboratori troviamo<br />

Ascanio de Mari, Paolo Tacconi, detto Paolo Romano e il francese E. Delaune.<br />

Smanioso di sempre maggiori successi, il Cell<strong>in</strong>i <strong>in</strong>iziava più lavori di quelli<br />

richiesti e non f<strong>in</strong>iva <strong>in</strong>vece quelli più importanti; eseguì per il re la famosa saliera<br />

d’oro e smalto (ora a Vienna) e la n<strong>in</strong>fa bronzea con il cervo, prima collocata a<br />

Fonta<strong>in</strong>ebleau e poi ad Anet, esempi di grazia raff<strong>in</strong>ata, resa con l’arabesco<br />

s<strong>in</strong>uoso della l<strong>in</strong>ea, alla quale aspiravano gli scultori manieristi del tempo. Ma<br />

nemmeno a Parigi l’artista visse senza dispute e contese; ivi ebbe a urtarsi per<br />

ragioni di concorrenza con il Primaticcio; sdegnato dagli <strong>in</strong>trighi, non ricevendo<br />

danaro dal re, ritornò <strong>in</strong> Italia nel 1545. Dopo la sua partenza l’offic<strong>in</strong>a cont<strong>in</strong>uò a<br />

lavorare con Lorenzo Nald<strong>in</strong>i, Girolamo della Robbia, che per Fonta<strong>in</strong>ebleau<br />

fece”un grand tond en terre cuite et esmaillée”, collocato nel portale, Domenico<br />

Fiorent<strong>in</strong>o che vi lavorò dal ’33 al ’50 ed eseguì decorazioni <strong>in</strong> stucco e statue per<br />

il giard<strong>in</strong>o, Paolo Ponzio che eseguì sculture anche per il castello di Meudon.<br />

Ora sotto il Primaticcio, f<strong>in</strong>o al ’70, non è più il Petit Nesle del Cell<strong>in</strong>i, ma il Grand<br />

Nesle, una grande scuola-bottega di oreficeria e scultura che cont<strong>in</strong>ua f<strong>in</strong>o al ’72.<br />

Concludiamo la parte riguardante i pittori e scultori <strong>italiani</strong> <strong>in</strong> Francia, ricordando<br />

che Lorenzo Nald<strong>in</strong>i scolpì gli angeli di S. Germa<strong>in</strong> l’auxerrois, e collaborò alla<br />

tomba di Enrico II a S. Denis; morì a Parigi nel ’70. <strong>Francesco</strong> de’ Rossi, detto il<br />

Salviati, chiamato dal card<strong>in</strong>ale di Lorena lavorò nel castello di Dampierre, creando<br />

un altro piccolo centro manieristico; dip<strong>in</strong>se una “Discesa dalla Croce” per la<br />

chiesa dei celest<strong>in</strong>i a Parigi, e l’ ”Incredulità di s.Tommaso” per Fonta<strong>in</strong>ebleau.<br />

Nannoccio della Costa seguì il card<strong>in</strong>ale Tournon <strong>in</strong> Francia dove dal 1540 dip<strong>in</strong>se<br />

per parecchi anni.<br />

Fu a Parigi per qualche tempo lo scultore Angelo Montorsoli, allievo di<br />

Michelangelo.<br />

320


Intorno al 1540 l’arrivo di teorici e architetti <strong>italiani</strong> come il Vignola e il Serlio<br />

contribuisce a sviluppare un’architettura volta al R<strong>in</strong>ascimento romano dalle<br />

forme classiche (simmetria e decorazione a bassorilievo).<br />

Al periodo romano del Vignola è connesso, auspice il Primaticcio, quel lavoro di<br />

riproduzione <strong>in</strong> gesso e <strong>in</strong> bronzo di antiche statue per abbellire il parco di<br />

Fonta<strong>in</strong>ebleau, lavoro con il quale è <strong>in</strong> relazione l’andata dell’architetto <strong>in</strong> Francia,<br />

dove stette dal ’41 al ’43 al servizio di <strong>Francesco</strong> I. Sebastiano Serlio, chiamato dal<br />

re col titolo di architetto capo nel ’41, trascorse <strong>in</strong> Francia il resto della sua vita, a<br />

Parigi e a Lione; cont<strong>in</strong>uò a scrivere il trattato di architettura che aveva <strong>in</strong>iziato nel<br />

’37, grandioso contributo di idee, diffusissimo <strong>in</strong> <strong>Europa</strong>. In esso confluiscono<br />

tradizione classicista romana, concezione pittorica veneta, esuberanza figurativa<br />

della scuola di Fonta<strong>in</strong>ebleau; fu molto studiato, diventando una vera m<strong>in</strong>iera di<br />

spunti.Ricordiamo che nel ’45 a Parigi furono pubblicati il I e il II libro di<br />

geometria e prospettiva, nel ’47 il V sulla forma degli edifici religiosi, nel ’51 a<br />

Lione il libro extraord<strong>in</strong>ario sulle porte, il VII libro fu pubblicato postumo nel ’75.<br />

Jacopo Strada, antiquario di Massimiliano II d’Asburgo, acquistò tutti i manoscritti.<br />

<strong>Il</strong> Serlio morì a Fonta<strong>in</strong>ebleau nel ’55.<br />

Delle sue opere architettoniche ricordiamo il portico della Cour ovale nel castello<br />

di Fonta<strong>in</strong>ebleau, il portale del Grand Ferrare (il primo degli “hotels particuliers”);<br />

egli progettò la cappella degli orafi a Parigi, il “college” per il card<strong>in</strong>ale de<br />

Tournon, di cui resta solo il portale; progettò il castello di Roussillon, quello di<br />

“Rosmar<strong>in</strong>o” a Lione, la facciata del palazzo episcopale di Auxerre. Ma soprattutto<br />

nell’imponente castello di Ancy-le-Franc il Serlio crea una pietra miliare di tutta<br />

l’architettura europea, s<strong>in</strong>tesi di due culture; per la Francia egli è un capostipite,<br />

un testimone capitale del nazionalismo <strong>in</strong> architettura. In questa costruzione<br />

troviamo una decorazione che alcuni attribuiscono al Primaticcio, numerose<br />

grottesche; anche il castello di Beauregard è nello stile del Serlio.<br />

Possiamo affermare che gli <strong>artisti</strong> <strong>italiani</strong> imposero <strong>in</strong> Francia il nuovo stile,<br />

segnando la f<strong>in</strong>e del Medioevo; la fioritura del gusto manieristico fu sicuramente<br />

favorita dalla sopravvivenza, manifestatasi f<strong>in</strong>o ad allora, del gotico, tanto che la<br />

pittura francese non conobbe la fase classica del primo R<strong>in</strong>ascimento italiano.<br />

<strong>Il</strong> successo della scuola di Fonta<strong>in</strong>ebleau fu immediato; si r<strong>in</strong>novò completamente<br />

l’iconografia, con l’<strong>in</strong>troduzione della mitologia e del nudo, si r<strong>in</strong>novò la tecnica.<br />

La “maniera” con la predilezione per le forme allungate, s<strong>in</strong>uose, <strong>in</strong>trecciate, per i<br />

cartigli e le decorazioni a grottesche, per le oscure allegorie, con il gusto per le<br />

forme estetizzanti, dalla sensibilità pagana e colta, trovò ben presto larga<br />

diffusione; molto richiesti furono i soggetti erotici, di un gusto estremamente<br />

raff<strong>in</strong>ato, cortigiane, donne al bagno, amori degli dei, tutte opere che<br />

321


appartengono appunto a quella cultura figurativa, il maggior tributo pagato nel<br />

‘500 da un paese europeo alla cultura italiana.<br />

Intorno al palazzo di Fonta<strong>in</strong>ebleau sorsero laboratori di arazzieri, studi di<br />

scultori, ebanisti, <strong>in</strong>cisori, dove lavoravano <strong>in</strong>sieme <strong>italiani</strong>, francesi, fiamm<strong>in</strong>ghi,<br />

formando una vera scuola di Belle Arti. L’arte della corte francese ne accettò<br />

l’estetica astratta e <strong>in</strong>tellettualistica, trovò risonanza <strong>in</strong> ogni genere di attività<br />

<strong>artisti</strong>ca <strong>in</strong> pittura, con Clouet, Cous<strong>in</strong>, Limos<strong>in</strong>, Var<strong>in</strong>, <strong>in</strong> scultura con Goujon e<br />

Pilon, nei tessuti, nell’oreficeria, nella ceramica, nelle vetrate, negli smalti, negli<br />

apparati per le feste di corte, nell’arazzeria (basterà citare la serie di arazzi nel<br />

museo di Vienna, eseguiti su cartoni tratti dagli affreschi della Galleria di<br />

<strong>Francesco</strong> I da allievi del Primaticcio).<br />

In particolare F. Clouet si rifece al nuovo stile nei dip<strong>in</strong>ti storici e mitologici; J.<br />

Cous<strong>in</strong> il vecchio nei dip<strong>in</strong>ti, nelle <strong>in</strong>cisioni e nei cartoni per arazzi, da lui eseguiti,<br />

espresse l’alto livello tecnico e il raff<strong>in</strong>ato gusto decorativo, ripresi anche da suo<br />

figlio J. Cous<strong>in</strong> il giovane; L. Limos<strong>in</strong> eseguì con Nicolò dell’Abate una pala per la<br />

Ste Chapelle, <strong>in</strong> smalto su rame, con storie di Cristo e i ritratti di Enrico II e<br />

Cater<strong>in</strong>a de’ Medici; J. Goujon collaborò nel 1547 all’illustrazione della prima<br />

edizione francese del Vitruvio di J. Mart<strong>in</strong> (il suo repertorio iconografico <strong>in</strong><br />

scultura, figure femm<strong>in</strong>ili dalle membra affusolate, <strong>in</strong> pose eleganti e capricciose,<br />

risale <strong>in</strong> pieno agli esempi lasciati dal Rosso, dal Primaticcio e dal Cell<strong>in</strong>i); G. Pilon<br />

ebbe come base l’eleganza delle decorazioni a stucco del Primaticcio; Q. Var<strong>in</strong> fu<br />

il primo maestro di N.Pouss<strong>in</strong> che visitò Fonta<strong>in</strong>ebleau, studiandone il nuovo stile.<br />

L’esempio del Primaticcio è stato decisivo per T. Dubreuil, Dumée, Honnet, Bunel<br />

e A. Dubois ( Bosschaert), tutti della seconda scuola di Fonta<strong>in</strong>ebleau,al tempo di<br />

Enrico IV; M. Frem<strong>in</strong>et, <strong>in</strong> Italia dal 1592 al 1603, subì prima l’arte di Michelangelo<br />

e poi di Caravaggio, lavorando <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e a Fonta<strong>in</strong>ebleau.<br />

Artisti di tutta <strong>Europa</strong> seguirono la moda lanciata dalla residenza reale; tra i<br />

fiamm<strong>in</strong>ghi citiamo H. Francken che vi lavorò, r<strong>in</strong>novando la sua maniera<br />

classicista a contatto con le opere del Primaticcio e di Nicolò dell’Abate. Anche nel<br />

secolo XVII molti furono i pittori che vi si trattennero, studiando la “maniera” e le<br />

opere dei maestri <strong>italiani</strong> (Leonardo, Raffaello, Andrea del Sarto, ecc.), il nucleo di<br />

quel che venne detto “il gab<strong>in</strong>etto del re <strong>Francesco</strong> I” e poi del Louvre; passarono<br />

per Fonta<strong>in</strong>ebleau, tra i tanti, oltre il Pouss<strong>in</strong>, Rubens, i due fratelli Franck di<br />

Anversa, L. de Heer, G. Cock, A. Bloemart che, prima attratto dai manieristi, si<br />

accostò poi allo stile caravaggesco.<br />

Tra gli altri <strong>artisti</strong> francesi del periodo manieristico citiamo J. Bouchier (sec. XVI-<br />

XVII) che a Roma imitò lo stile del Cavalier d’Arp<strong>in</strong>o, e J. H. d’Arles che lavorò nella<br />

villa Lante di Bagnaia per il card<strong>in</strong>ale Farnese.<br />

322


In Inghilterra la corrente manieristica si diffuse con Bartolomeo Pegni e Nicola da<br />

Modena che avevano lavorato a Fonta<strong>in</strong>ebleau. Federico Zuccari ritrasse a Londra<br />

la reg<strong>in</strong>a Elisabetta.<br />

Filippo II di Spagna volle rivaleggiare con <strong>Francesco</strong> I, ripetendo per l’Escoriale ciò<br />

che il sovrano francese aveva fatto per Fonta<strong>in</strong>ebleau, chiamando molti <strong>artisti</strong><br />

<strong>italiani</strong>. Per la costruzione del reale monastero di S. Lorenzo presso Madrid<br />

(Escoriale) <strong>in</strong> memoria della vittoria di S. Qu<strong>in</strong>t<strong>in</strong>o, con il palazzo e il sepolcreto<br />

dei sovrani spagnoli, Filippo II chiese i disegni anche a Galeazzo Alessi; il progetto<br />

scelto fu quello di Juan de Toledo che aveva studiato a Napoli e a Roma. I lavori<br />

com<strong>in</strong>ciarono nel 1563, dopo un esame del progetto da parte di <strong>Francesco</strong><br />

Paciotto, <strong>in</strong>caricato per questo dal sovrano; nel ’67 alla morte dell’architetto<br />

successe nella direzione dei lavori Giovan Battista Castello, anche pittore e<br />

scultore, detto il bergamasco, la cui opera più importante è la scala pr<strong>in</strong>cipale del<br />

monastero tra la chiesa e il palazzo ( egli andò <strong>in</strong> Spagna nel ’62 con lo scultore<br />

G. Becerra, morì a Madrid nel ’69).<br />

<strong>Il</strong> grande edificio quadrilatero di m.207.61, con torri angolari, dall’aspetto severo,<br />

ha nel cortile pr<strong>in</strong>cipale la basilica, coperta da cupola e fiancheggiata da due alti<br />

campanili, opera di Juan De Herrera (già aiuto di Juan de Toledo e successore del<br />

Castello), ispirata nella pianta a croce greca al S. Pietro del Bramante, affiancata da<br />

un chiostro; per essa l’autore si attenne ai disegni del Paciotto. <strong>in</strong>feriormente si<br />

apre una cripta ottagonale (Pantheon del re); un’aggiunta quadrata sul lato<br />

orientale è formata dal palazzo reale e dalla cappella maggiore (vedi anche lez.<br />

n.31).<br />

Quando Filippo II assunse il titolo di re del Portogallo, nom<strong>in</strong>ò Filippo Terzi,<br />

allievo del Vignola, architetto militare e maestro dei lavori reali; con lui sorse a<br />

Lisbona una scuola di architettura, equivalente a quella dell’Escoriale e si diffuse il<br />

nuovo stile, povero e austero, della Controriforma. Oltre al palazzo reale di<br />

Lisbona, distrutto dal terremoto del 1755, il Terzi edificò molte opere nella stessa<br />

città e <strong>in</strong> altre del Portogallo (vedi appendice), ma il suo capolavoro è il chiostro di<br />

Filippo II a Tomar nel castello dei Cavalieri, dalla squisita eleganza palladiana.<br />

Tra i manieristi <strong>italiani</strong> attivi <strong>in</strong> Spagna ricordiamo Leone Leoni, scultore, <strong>in</strong>cisore,<br />

medaglista; favorito di Carlo V che lo colmò di privilegi, <strong>in</strong>vitato <strong>in</strong> Spagna, vi si<br />

reca nel 1556 con il figlio Pompeo ed esegue le seguenti opere:il busto <strong>in</strong> bronzo<br />

di Carlo V che dom<strong>in</strong>a il Furore, le statue di Filippo II, di Maria d’Ungheria,<br />

dell’imperatrice Isabella, ritratti condotti dal vero durante i soggiorni alle corti di<br />

Augusta (’51) e Bruxelles (’49 e ’56); i busti <strong>in</strong> marmo del duca d’Alba, di donna<br />

Maria e di Carlo V, i quadri <strong>in</strong> marmo ”L’imperatore Carlo V” e ”L’imperatrice<br />

323


Isabella”, con la collaborazione del figlio Pompeo, la statua “Donna Leonora”<br />

d’Austria. Nello stesso periodo troviamo Jacopo Nizzola da Trezzo, detto Jacopo<br />

da Trezzo, orefice e architetto, conosciuto a Milano da Filippo II nel ’48; fu nei<br />

Paesi Bassi nel ’55 e <strong>in</strong> Spagna nel ’59; qui morì nel ’89.<br />

Pompeo Leoni seguì il padre nei viaggi alla corte imperiale e collaborò con lui a<br />

più riprese, sovr<strong>in</strong>tendendo alla sistemazione e alla rif<strong>in</strong>itura delle sue opere nella<br />

capitale; protetto da Filippo II, partecipò alle decorazioni (con gigantesche statue<br />

modellate su archi di trionfo) per le nozze del sovrano e di Anna d’Austria (1570)<br />

ed eseguì con Jacopo Trezzo e Giovan Battista Comane il sepolcro di Giovanna<br />

d’Austria per le “Descalzas reales” di Madrid, quello del card<strong>in</strong>ale Esp<strong>in</strong>osa a<br />

Segovia, <strong>in</strong> marmo e diaspro (1577).<br />

Nel 1579 con Jacopo Trezzo, Giovan Battista Comane e con l’Herrera si impegna,<br />

anche a nome del padre, per l’esecuzione del grande retablo dell’altare maggiore<br />

dell’Escoriale; il contratto affida a Herrera il disegno architettonico, a Leone e a<br />

Pompeo Leoni quattordici statue, alte due metri, e il crocifisso, a Jacopo Trezzo il<br />

tabernacolo e al Comane l’impianto generale. <strong>Il</strong> compenso è fissato <strong>in</strong> 20000<br />

ducati; l’opera fu compiuta dal ’79 al ’91, le statue di bronzo furono fuse a Milano<br />

nell’offic<strong>in</strong>a dei Leoni (Leone è certamente autore dei modelli <strong>in</strong> cera e <strong>in</strong> creta, il<br />

figlio Pompeo opera come fonditore e cesellatore); vi lavorarono anche il figlio di<br />

questi, Michele, lo scultore Gian Ambrogio de Ferrari, autore delle statue di S.<br />

Andrea, S. Giacomo e S. Giovanni, i fratelli Pogg<strong>in</strong>i, scultori e medaglisti, Millan de<br />

Vimercate e il cesellatore Baldassarre Mariano.<br />

<strong>Il</strong> retablo si compone di uno zoccolo e tre corpi architettonici sovrapposti(toscano,<br />

ionico e cor<strong>in</strong>zio), coronati da un tempietto di ord<strong>in</strong>e composito, il tabernacolo,<br />

compiuto <strong>in</strong> sei anni da Jacopo Trezzo, attorniato da un portico circolare con otto<br />

colonne cor<strong>in</strong>zie, tutto <strong>in</strong> cristallo di rocca, diaspro e pietre preziose.<br />

Sistemato il retablo, Pompeo con l’aiuto del Millan mette mano dal 1591 al ’98 ai<br />

due grandiosi gruppi per i cenotafi di Carlo V e Filippo II <strong>in</strong>sieme con alcuni<br />

personaggi delle loro famiglie (dieci statue) ai lati dell’altare maggiore della<br />

basilica dell’Escoriale; modella poi nove statuette per il convento di S. Filippo,<br />

esegue il retablo della chiesa di Atocha, chiama dall’Italia Baldassarre Mariano,<br />

Domenico Guidotti e Antonio Marogia; segue la corte a Valladolid e riceve<br />

l’<strong>in</strong>carico di eseguire con la collaborazione di altri scultori le statue dei duchi per<br />

il convento di S. Paolo e le statue per il retablo della chiesa di S. Diego, le cui<br />

pitture sono opera di Bartolomeo e V<strong>in</strong>cenzo Carducci, e altre statue <strong>in</strong> S. Michele.<br />

Pompeo esegue <strong>in</strong>oltre a Zamora la tomba di Antonio de Sotelo, <strong>in</strong> alabastro, a<br />

Salas il sepolcro dell’<strong>in</strong>quisitore Valdès, a Parrachès la statua di S. Agost<strong>in</strong>o<br />

sull’altare dell’abbazia, la croce (<strong>in</strong> cristallo e argento) nella chiesa di S. Maria a<br />

324


Med<strong>in</strong>a del Campo, ad Aranjuez la statua di Filippo II, il busto dell’<strong>in</strong>fanta<br />

Margherita e quello di Leonora; la statua di C. de Rosas nella chiesa parrocchiale<br />

di Lerma, le statue oranti dei marchesi di Posa nella chiesa di S. Paolo a Palencia, il<br />

sepolcro di <strong>Francesco</strong> de Eraso a Siguenza, a Madrid nell’accademia di S. Fernando<br />

il Crocifisso della Vittoria, nel convento Carboneras S. Girolamo e S. Paola; <strong>in</strong> vari<br />

musei della città sono conservati “I quattro evangelisti”e i busti di Filippo II (<strong>in</strong><br />

marmo, <strong>in</strong> bronzo e <strong>in</strong> alabastro). Opere della sua scuola sono a S. Vicente de<br />

Barquera e a Viso del Marqués (per l’opera di Leone e Pompeo Leoni medaglisti<br />

vedi lez. n.25; per l’opera dei Trezzo e dei Miseroni <strong>in</strong> Spagna vedi lez. n.27).<br />

Ricordiamo <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e che la famosa raccolta di schizzi, disegni e appunti di Leonardo<br />

da V<strong>in</strong>ci, proprietà di Pompeo Leoni, fu acquistata da Carlo I d’Inghilterra, dietro<br />

consiglio di Arundel, e attualmente si trova nelle collezioni reali di W<strong>in</strong>dsor.<br />

Giovanni Antonio Sormani, scultore di camera di Filippo II, lavora all’Alcazar di<br />

Madrid (tre cam<strong>in</strong>etti <strong>in</strong> diaspro), a La Granja e all’Escuriale dove risulta con il<br />

Bonanome fornitore di marmi e di sculture provenienti dall’Italia (fa venire 600<br />

carichi di marmo per il palazzo e la basilica); con il fratello Giulio lavora <strong>in</strong>sieme ai<br />

due Leoni alla tomba del grande <strong>in</strong>quisitore Valdès a Salas. Giovan Battista<br />

Bonanome, scultore di camera di Filippo II, lavorò al Pardo, a La Grana, a Segovia,<br />

all’Escuriale, ad Aranjuez, a Toledo, con la collaborazione del fratello Giovanni<br />

Antonio e del figlio Nicola. Battista Portigiani lavorò a Madrid e a Toledo.<br />

Giovan Battista Caravaglio eseguì due busti e statue di sante per il monastero<br />

dell’Escuriale. Pietro Castello (sec. XVI-XVII) eseguì decorazioni <strong>in</strong> marmo e <strong>in</strong><br />

bronzo per il retablo dell’altare maggiore della basilica, lavoro lasciato <strong>in</strong>compiuto<br />

dal fratello Giovanni Battista. Tra gli scultori attivi all’Escuriale troviamo anche<br />

Biagio da Urb<strong>in</strong>o; ricordiamo <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e che nel trascoro della basilica si ammira il<br />

Cristo <strong>in</strong> croce di Benvenuto Cell<strong>in</strong>i.<br />

Numerosi pittori furono chiamati da Filippo II e dai suoi successori per decorare<br />

con affreschi e tele gli ambienti dell’Escuriale e altre residenze reali.<br />

Giovan Battista Castello, direttore dei lavori nel ’67, dopo avere affrescato con il<br />

figlio Fabrizio, Niccolò Granello, Gian Maria e <strong>Francesco</strong> da Urb<strong>in</strong>o l’<strong>in</strong>terno del<br />

Real Alcazar di Madrid, con la collaborazione di <strong>Francesco</strong> Diana, doratore, e di<br />

Pietro Milanese, stuccatore, e dopo aver dip<strong>in</strong>to nella Torre vecchia di Madrid con<br />

Romolo C<strong>in</strong>c<strong>in</strong>nato, esegue le pitture lungo lo scalone pr<strong>in</strong>cipale dell’Escuriale.<br />

Qui, dopo la sua morte nel ’69, Niccolò Granello, nom<strong>in</strong>ato pittore di camera del<br />

re, dip<strong>in</strong>ge le volte del presbiterio e del coro della basilica, le volte della biblioteca<br />

e della sacrestia (con grottesche e dorature) con la collaborazione di Fabrizio<br />

Castello, la cella del priore con <strong>Francesco</strong> da Urb<strong>in</strong>o; con Gian Maria da Urb<strong>in</strong>o,<br />

autore anche della doratura del retablo della cattedrale di Burgos, affresca il<br />

325


soffitto del vestibolo dell’ appartamento della reg<strong>in</strong>a; è poi collaboratore di Orazio<br />

Cambiaso (vedi oltre).<br />

Lavorarono all’Escuriale Pellegr<strong>in</strong>o Pellegr<strong>in</strong>i il giovane, <strong>Francesco</strong> Potenziano,<br />

attivo anche a Saragozza e a Barcellona, e Stefano Angel<strong>in</strong>i che eseguì affreschi<br />

nel chiostro degli evangelisti.<br />

Eseguirono alcune tele per l’Escuriale Antonio e V<strong>in</strong>cenzo Campi.<br />

Pittrici di corte furono Sofonisba Anguissola, per quattordici anni a Madrid,<br />

<strong>in</strong>segnante di disegno della reg<strong>in</strong>a Isabella di Valois, autrice dei ritratti del<br />

sovrano, della reg<strong>in</strong>a e del pr<strong>in</strong>cipe Carlos; furono valenti ritrattiste anche Lav<strong>in</strong>ia<br />

Fontana e Cater<strong>in</strong>a Cantoni.<br />

Dal 1567 è <strong>in</strong> Spagna il già citato Romolo C<strong>in</strong>c<strong>in</strong>nato, detto Romulo Florent<strong>in</strong>o,<br />

segnalato a Filippo II dall’ambasciatore di Spagna a Roma; giunto a Madrid con<br />

Patrizio Cascese (Caxès), dopo essersi segnalato con molte tele, affresca nella<br />

Torre vecchia di Madrid, poi nel palazzo del duca del Infantido a Guadalajara,<br />

dove lavorano come ebanisti e <strong>in</strong>tagliatori Alfonso e Bartolomeo Cer<strong>in</strong>o, e come<br />

marmisti Giovan Battista e Domenico Milanese; dal ’71, nom<strong>in</strong>ato pittore di<br />

camera del re, all’Escuriale dip<strong>in</strong>ge per l’altare il “Martirio di s. Maurizio”, nel coro<br />

affresca scene di s. Lorenzo.<br />

Cesare Arbasia con Fabrizio Castello, con i fratelli Giovan Battista, <strong>Francesco</strong> e<br />

Stefano Perola nel ’77 è a Malaga dove affresca la cappella maggiore della<br />

cattedrale e quella dell’”Incarnazione” e dip<strong>in</strong>ge il trittico dell’altare maggiore; a<br />

Cordova nel ’83 affresca nella cattedrale con la collaborazione di Giovan Battista<br />

Perola, due anni dopo dip<strong>in</strong>ge il sagraro nuovo della cattedrale e lavora al palazzo<br />

Bazàn a Viso.<br />

Luca Cambiaso, detto Luchetto, giunge a Madrid nel 1583 con il figlio Orazio,<br />

Lazzaro Tavarone, Bernardo Castello di Genova, Giovan Battista Paggi, lo scultore<br />

Gaspare de Luca e il figlio di questi Andrea, essendo stato <strong>in</strong>vitato da Filippo II<br />

dopo la morte di Giovan Battista Castello, il bergamasco; dip<strong>in</strong>ge molte tele per<br />

l’Escuriale ed esegue gli affreschi nelle volte del presbiterio e del coro della<br />

basilica, su quelli di Granello e Fabrizio Castello, e altri nello scalone pr<strong>in</strong>cipale<br />

del monastero, con i suoi aiuti. Luca Cambiaso ebbe anche il merito di <strong>in</strong>segnare<br />

l’uso della penna che s<strong>in</strong>tetizza atteggiamenti e forme e dà variazione alle<br />

composizioni, sottol<strong>in</strong>eandole nell’aspetto volumetricocon un sommario e<br />

<strong>in</strong>telligente impiegodella macchia di nero di seppia (bistro) molto leggera. Orazio<br />

Cambiaso, nom<strong>in</strong>ato pittore del re, è <strong>in</strong>caricato nel 1584 da Filippo II di dip<strong>in</strong>gere<br />

<strong>in</strong>sieme ad altri la galleria dell’appartamento della reg<strong>in</strong>a; la sala delle battaglie,<br />

con la volta, di vastissima estensione, viene affrescata da lui, Niccolò Granello,<br />

Lazzaro Tavarone, Fabrizio Castello; gli stessi decorano le volte delle sale<br />

326


capitolari del monastero con la collaborazione di <strong>Francesco</strong> da Urb<strong>in</strong>o e Giovanni<br />

da Orl<strong>in</strong>o (grottesche).<br />

Come successore del Cambiaso giunge nel 1585 Federico Zuccari con i fratelli<br />

V<strong>in</strong>cenzo e Bartolomeo Carducci (Carducho), Tiberio Ronchi, Andrea Carrari,<br />

Bernard<strong>in</strong>o Veneziano, Antonio Ricci; nom<strong>in</strong>ato pittore di camera di Filippo II, lo<br />

Zuccari lavora all’Escuriale, dip<strong>in</strong>gendo molte tele, ma la sua pittura ad affresco<br />

non è gradita al re che fa cancellare molte scene nel chiostro, tranne<br />

l’”Annunciazione”, sostituendole con quelle di Pellegr<strong>in</strong>o Tibaldi e fa rimuovere dal<br />

retablo il “Martirio di s. Lorenzo”, collocandovi <strong>in</strong>vece quello del Tibaldi.<br />

Questi, chiamato nel 1586 da Filippo II a Madrid per sostituire lo Zuccari, vi<br />

rimase f<strong>in</strong>o al ’96, lavorando come pittore di camera del re all’Escuriale; eseguì i<br />

grandiosi affreschi nella volta della biblioteca, nel presbiterio della basilica e nel<br />

chiostro con Bernard<strong>in</strong>o dell’Acqua, Girolamo da Urb<strong>in</strong>o, Girolamo Pellegr<strong>in</strong>i<br />

(trentatré affreschi ritoccati <strong>in</strong> seguito da Bartolomeo Carducci e Romolo<br />

C<strong>in</strong>c<strong>in</strong>nati); per la stessa residenza reale dip<strong>in</strong>se numerose tele e lavorò anche<br />

all’Alcazar.<br />

Bartolomeo Carducci eseguì dip<strong>in</strong>ti per l’altare maggiore dell’Escuriale, lavorò<br />

nella parrocchiale di Valladolid con Fabrizio Castello, nel palazzo del Pardo e <strong>in</strong><br />

altre località della Spagna.<br />

V<strong>in</strong>cenzo Carducci, pittore di corte, eseguì la tela sull’altare maggiore del<br />

convento di Guadalupe, affrescò la cappella del Santissimo nella cattedrale di<br />

Toledo e la sacrestia con Eugenio Cascese, la cupola della cappella del palazzo del<br />

Pardo; dip<strong>in</strong>se molte tele per la certosa di El Paular e numerose altre sparse <strong>in</strong><br />

chiese e palazzi di Spagna.<br />

Patrizio Cascese disegnò l’altare maggiore di s. Filippo Reale, eseguì stucchi e<br />

affreschi nella Galleria della reg<strong>in</strong>a del palazzo del Pardo (1608) con V<strong>in</strong>cenzo<br />

Carducci, Giulio Cesare Sem<strong>in</strong>i e Fabrizio Castello; pubblicò una traduzione <strong>in</strong><br />

spagnolo del trattato di architettura del Vignola; il figlio Eugenio, suo<br />

collaboratore al Pardo, lavorò a Ciudad Real, a Torrelaguna, nel convento di S.<br />

<strong>Francesco</strong> a Madrid.<br />

Diego da Urb<strong>in</strong>o dip<strong>in</strong>se tele per la cattedrale di Burgos, per la chiesa di Colmenar<br />

Viejo e di El Esp<strong>in</strong>ar, per il Parral di Segovia, per la chiesa parrocchiale di Villoria<br />

(Salamanca), per il convento delle “Descalzas reales” di Madrid; la sua opera più<br />

nota è la serie di pitture eseguite per le cappelle della basilica dell’Escuriale.<br />

Antonio Tempesta affrescò la volta di una loggia del palazzo del Buen Retiro a<br />

Madrid.<br />

Filippo Ariosto a Saragozza dip<strong>in</strong>se una serie di ritratti dei re di Navarra e di<br />

Aragona (1586-’88).<br />

327


Alessio Matteo (Matteo Perez o da Lecce) lavorò nella cattedrale di Siviglia e nella<br />

chiesa di S. Michele, <strong>in</strong> quella di Santiago el Viejo; si recò poi a Lima <strong>in</strong> Perù dove<br />

affrescò nella cappella della “Mercede” e nel convento degli agost<strong>in</strong>iani (vedi<br />

oltre).<br />

Verso la f<strong>in</strong>e del secolo furono <strong>in</strong> Spagna Giovan Battista Lavagna, Fabrizio<br />

Santafede, Felice Castello, figlio di Fabrizio, Costant<strong>in</strong>o de’Servi e Giovanni<br />

Narducci.<br />

Molti furono i pittori spagnoli <strong>in</strong>fluenzati dall’arte italiana. La scuola “romanista”<br />

ebbe tra i suoi esponenti maggiori V. Masip, seguace di Raffaello e del Pordenone<br />

(per il suo tramite questa corrente si diffuse a Valencia); suo figlio Vicente, detto<br />

Juan de Juanes, si rifece anche alla tradizione manieristica di derivazione<br />

leonardesca, così come L. Morales. In ambiente romano si formarono J. De<br />

Anchieta, educatosi ai modi michelangioleschi, e P. Machuca. P. Campaña, nome<br />

ispanizzato di P. de Kempeneer, fiamm<strong>in</strong>go, fu attivo <strong>in</strong> Italia e <strong>in</strong> Spagna; la sua<br />

pittura muove dalla grandiosità vibrante del primo Raffaello per approdare a un<br />

<strong>manierismo</strong> mosso e vibrante che diffuse a Siviglia. Lo stesso fece L. de Vargas,<br />

vissuto a lungo a Roma, a contatto con la cerchia di Pier<strong>in</strong> del Vaga, suo maestro,<br />

del Salviati e del Vasari. Ispirata ai pr<strong>in</strong>cipi manieristici è anche la pittura di F.<br />

Pacheco, maestro di A. Cano e Velasquez. A Roma studiarono Gaspar Becerra che<br />

fu <strong>in</strong>fluenzato da Michelangelo, e Alonso Sanchez Coello che prese a modello<br />

nella ritrattistica il Tiziano, cui si ispirarono notevolmente anche G. Pantoja e J.<br />

Navarrete, detto ”el mudo”, formatosi soprattutto a Venezia.<br />

Dobbiamo dire che i pittori spagnoli all’Escuriale poterono ricevere nuovi<br />

<strong>in</strong>segnamenti grafici, quelli dei disegni toscani del tardo Manierismo, fluenti nei<br />

saggi di composizione ad <strong>in</strong>chiostro, bistro e biacca, molto liberi, aggrovigliati a<br />

volte, ed altre molto rif<strong>in</strong>iti, come dei veri modell<strong>in</strong>i, tecnica portata dal gruppo di<br />

Federico Zuccari; negli studi dei particolari è frequente l’uso della matita nera e<br />

rossa, specialmente nei ritratti.<br />

<strong>Il</strong> grande El Greco acquistò a Venezia il gusto per il colore; a contatto con il<br />

T<strong>in</strong>toretto assorbì modi drammatici e manieristici, soggiornò nella città lagunare<br />

tra il 1565 e il ’70, ebbe occasione di lavorare accanto a Tiziano. Una lettera di<br />

Giulio Clovio al card<strong>in</strong>ale Alessandro Farnese documenta la presenza del pittore a<br />

Roma nel ’70; egli frequentò il Muziano, Taddeo Zuccari, Giovanni de Vecchi e A.<br />

Blocklandt, allora a Caprarola, studiando e ripercorrendo le pr<strong>in</strong>cipali vicende<br />

dell’arte italiana del C<strong>in</strong>quecento, da Raffaello a Michelangelo, f<strong>in</strong>o alle tendenze<br />

arcaistiche, orientandosi verso un l<strong>in</strong>guaggio acceso e fantastico; <strong>in</strong>torno al ’73<br />

fece ritorno a Venezia, rimanendovi f<strong>in</strong>o al ’76, quando si trasferì <strong>in</strong> Spagna.<br />

328


Inf<strong>in</strong>e citiamo P. Orrente (sec. XVI-XVII), conoscitore e ammiratore dell’arte dei<br />

Bassano.<br />

Dobbiamo <strong>in</strong>oltre ricordare che le collezioni della casa reale nelle quali<br />

abbondavano le opere del R<strong>in</strong>ascimento italiano costituirono, tanto quanto i<br />

viaggi,una feconda lezione e una fonte perenne di <strong>in</strong>fluenze e <strong>in</strong>segnamenti per<br />

gli <strong>artisti</strong> spagnoli.<br />

Concludiamo con il nome di un altro pittore greco, Belisario Corenzio, che fu a<br />

Napoli, dove morì nel 1640; attivissimo frescante, lasciò nelle chiese cittad<strong>in</strong>e<br />

opere di gusto manieristico, che icordano anche il T<strong>in</strong>toretto.<br />

<strong>Il</strong> Manierismo si diffuse anche <strong>in</strong> Austria, <strong>in</strong> Germania, <strong>in</strong> Boemia e nei Paesi Bassi.<br />

Giulio Lic<strong>in</strong>io fu al servizio della corte di Vienna, eseguì due ritratti di<br />

Massimiliano II e uno di Ferd<strong>in</strong>ando I; fu poi pittore di corte a Presburgo<br />

(Bratislava o Posonio, città che dal 1541 al 1784 fu capitale del regno d’Ungheria);<br />

qui eseguì affreschi nella cappella di corte dal 1563 al ’65, lavoro condotto a<br />

term<strong>in</strong>e da Ulisse Macciol<strong>in</strong>i, affrescò anche nel castello di Kaiser-Ebersdorf<br />

(1589) e nel Nuovo di Vienna (1592). Pietro Ferabosco dip<strong>in</strong>se nei castelli di Praga<br />

e Presburgo; Giovan Battista Fontana nel 1562 con il fratello Giulio affrescò la<br />

cappella del castello di Kaiser-Ebersdorf; Domenico Pozzo nel ’63 dip<strong>in</strong>se la sala<br />

del palazzo prov<strong>in</strong>ciale di Praga e la cassa dell’organo del duomo; suo fratello<br />

Girolamo nel ’69 dip<strong>in</strong>se un andito nel convento degli agost<strong>in</strong>iani a Vienna con<br />

Battista Salò; Giovan Battista Ferro fu prima a Vienna, poi a Praga e a Presburgo,<br />

qu<strong>in</strong>di <strong>in</strong> Polonia. Ricordiamo ancora, presso la corte di Vienna, Antonio Floriani,<br />

<strong>Francesco</strong> Terzi (1554), Giulio Riccio (1574), Giorgio Masco (tra il 1582 e il 1584).<br />

Tra gli scultori troviamo Giuseppe de Vico che lavorò al Castello Nuovo e <strong>in</strong> quello<br />

di Kaiser-Ebersdorf, Matteo Negron, Annibale Fontana, famoso anche come<br />

<strong>in</strong>cisore di gemme.<br />

Ricordiamo che Jacopo Strada dal 1555 al ’88 fu antiquario imperiale a Vienna e a<br />

Praga; per un quarto di secolo tutta l’arte a Vienna passò sotto il suo controllo;<br />

egli fu con Niccolò Stoppi l’uomo di fiducia e il consigliere privato di Rodolfo II,<br />

grande collezionista di opere d’arte.<br />

Nelle altre pr<strong>in</strong>cipali città austriache fu <strong>in</strong>tensa l’attività degli <strong>artisti</strong> <strong>italiani</strong>.<br />

Nel 1557 Leonardo Cesario affrescò il soffitto del palazzo comunale di Graz e fece<br />

dei ritratti; scultore <strong>in</strong> legno, <strong>in</strong>tagliò sei bassorilievi per il duomo di Gurk <strong>in</strong><br />

Car<strong>in</strong>zia. Domenico Pozzo, passato da Vienna a Graz, dal ’55 al ’70 fu al servizio<br />

dell’arciduca Carlo, affrescò una sala del castello e altre nel convento di corte e<br />

dip<strong>in</strong>se varie pale d’altare. Baldassarre Gr<strong>in</strong>eo affrescò alcune sale del castello; per<br />

lo stesso arciduca Teodoro Ghisi dip<strong>in</strong>se molti quadri e term<strong>in</strong>ò gli affreschi del<br />

castello di Södl<strong>in</strong>g; Giulio Lic<strong>in</strong>io decorò una cappella del duomo.<br />

329


Ricordiamo <strong>in</strong>oltre attivi a Graz Giacomo da Monte, ritrattista di corte, Giovanni da<br />

Nono, Zenobio Tramezz<strong>in</strong>o, scultori, Ottavio Zanuoli, architetto e pittore, di cui<br />

conosciamo tre ritratti di arciduchi della corte.<br />

Nella cappella del castello di Strechau presso Graz è forse opera di <strong>italiani</strong> la<br />

decorazione ad affresco del soffitto.<br />

Giovanni Antonio de Verda, maestro muratore, dal 1558 tenne cave di pietra<br />

presso Graz; <strong>in</strong>torno al ’80 si trasferì a Klagenfurt dove costruì varie case e<br />

ottenne anche il titolo di architetto della città (’81); accusato di assumere troppi<br />

lavori, fu posto sotto <strong>in</strong>chiesta ma fu prosciolto da ogni accusa, nel ’86 fu<br />

accusato di favorire gli <strong>artisti</strong> <strong>italiani</strong>; stanco dell’ambiente ostile, si ritirò a Graz e<br />

prese parte ai lavori di decorazione nel mausoleo di Seckau (‘87). La cappella di<br />

questo sepolcro dell’arciduca Carlo II nel duomo è opera di Alessandro de Verda<br />

che vi lavorò con ventiquattro collaboratori <strong>italiani</strong> dal ’76 al ’88; egli subì un<br />

processo da parte delle autorità di Graz che lo accusarono di esagerate spese. Le<br />

sculture, il grande sarcofago di marmo, e gli stucchi del mausoleo sono di<br />

Sebastiano Carlone che vi lavorò da ’89 al 1612; la pala d’altare è di Teodoro<br />

Ghisi, gli affreschi, <strong>in</strong>iziati dal Ghisi, furono ultimati da Baldassarre Gr<strong>in</strong>eo nel ’99.<br />

Anche ad Innsbruck operarono molti <strong>artisti</strong> <strong>italiani</strong>: Ludovico del Duca e Girolamo<br />

Longhi scolpirono la statua <strong>in</strong> bronzo di Massimiliano I nella chiesa di corte;<br />

<strong>Francesco</strong> Terzi, dopo avere ottenuto il titolo di pittore di corte a Vienna, passò ad<br />

Innsbruck nel 1564; qui disegnò una serie di ritratti di pr<strong>in</strong>cipi austriaci, <strong>in</strong>cisa poi<br />

da Gaspare Osello (’69), dip<strong>in</strong>se tre pale d’altare per una cappella a L<strong>in</strong>z; per i<br />

suoi meriti fu nobilitato nel ’62, verso il ’70 passò <strong>in</strong> Spagna. Giorgio Liberal,<br />

menzionato dal Vasari, dip<strong>in</strong>se per l’arciduca Ferd<strong>in</strong>ando II. Giovanni Luchesi fu<br />

architetto di corte a Praga e ad Innsbruck; qui l’arciduca lo difese dalla fortissima<br />

opposizione scatenatagli contro dagli architetti tedeschi e dalle autorità<br />

prov<strong>in</strong>ciali che lo vedevano di malocchio perché italiano; ciò accadeva spesso sia<br />

per motivi di concorrenza nel lavoro, sia per motivi di religione.<br />

Un pittore anonimo italiano nel ’70-’72 eseguì gli affreschi della fastosa sala<br />

spagnola del castello di Ambras, fatto costruire dall’arciduca, bell’esempio di<br />

architettura r<strong>in</strong>ascimentale (1565).<br />

Giovan Battista Fontana, dopo il periodo passato a Vienna, ricevette a Innsbruck il<br />

titolo di pittore di corte (’75), affrescò l’oratorio nella chiesa di corte, lo<br />

sferisterio, la cappella argentea e una sala del castello arciducale, il soffitto nella<br />

sala da pranzo del castello di Ambras; qui la sala d’armi, dip<strong>in</strong>ta dal pittore nel<br />

’81, presenta sul soffitto le costellazioni dello zodiaco e del cielo del nord.<br />

<strong>Francesco</strong> Segala, scultore, fu al servizio dello stesso arciduca. Nel ’79 Adamo<br />

Luchesi, scultore, eseguì la fontana dorata per il giard<strong>in</strong>o arciducale. Domenico<br />

330


Guarienti fece una fontana monumentale a Ohernberg e un’altra a Landeck; con<br />

altri scultori eseguì la fontana Althan a Innsbruck e fu attivo <strong>in</strong>oltre a Hall,<br />

Ambras, Rotholz , Thurneg (1587) e al Castello Nuovo di Vienna.<br />

Pietro Rosa, Geremia e Girolamo Scalabr<strong>in</strong>i e Giovan Battista Veste furono pittori<br />

di corte.<br />

A Salisburgo Elia Castello, architetto e stuccatore, creò la magnifica decorazione<br />

nel Palazzo Nuovo e quella <strong>in</strong> stucco e maiolica nella cappella di S. Gabriele<br />

(1597-1603); la bellezza è data anche da <strong>in</strong>crostazioni <strong>in</strong> marmo e mosaico.<br />

L’autore fu per molti anni capomastro alle costruzioni fatte erigere<br />

dall’arcivescovo Dietrich, disegnò il portale del palazzo del Capitolo; <strong>in</strong> seguito<br />

all’uso d che egli qui fece del mosaico di vetro, sorse a Salisburgo una fiorente<br />

<strong>in</strong>dustria di ceramiche. La tomba dell’artista è opera dei suoi fratelli Antonio e<br />

Michele.<br />

Ricordiamo <strong>in</strong>oltre che la decorazione della cappella nella chiesa dei francescani a<br />

Salisburgo è opera di stuccatori anonimi <strong>italiani</strong>.<br />

Tra i numerosi <strong>artisti</strong> chiamati <strong>in</strong> Austria nel secolo XVI troviamo <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e Jacopo<br />

Pastor<strong>in</strong>o, pittore al servizio di Massimiliano II, Antonio Postica, scultore e<br />

fonditore al servizio imperiale dal ’69 al ’71, Giovan Battista Ripa che fece un<br />

bassorilievo rappresentante Carlo V e i medaglioni <strong>in</strong>cassati nel cortile della casa<br />

Bayerhofen a Wolsberg <strong>in</strong> Car<strong>in</strong>zia, Giovan Battista Salle che fece il ritratto del re<br />

di Francia e lo consegnò a Massimiliano II (1570), Orazio Bergam<strong>in</strong>i che scolpì due<br />

statue per il monumento sepolcrale di Margherita d’Austria, Natale Veneziano,<br />

pittore, e Antonio Zoia, scultore.<br />

Passiamo alla Germania.<br />

I pittori Lazzaro e Pantaleone Calvi, <strong>in</strong>vitati dagli elettori di Sassonia e Baviera nel<br />

1544, rimasero per molti anni nelle due regioni, dip<strong>in</strong>gendo decorazioni per<br />

architetture; nel 1559 Giulio Lic<strong>in</strong>io si recò ad Augusta dove eseguì alcuni<br />

affreschi sulla facciata della casa Rehl<strong>in</strong>ger; dal 1563 al ’67 dip<strong>in</strong>se nella reggia di<br />

Monaco Andrea Vicent<strong>in</strong>o; Giovan Battista Per<strong>in</strong>i nel 1575 fu al servizio della corte<br />

di Brandeburgo, dip<strong>in</strong>se un trittico nella cappella del castello di Stett<strong>in</strong>o, città <strong>in</strong><br />

cui morì nel ’84; Stefano Pieri nel 1576 fu chiamato alla corte dell’elettore di<br />

Baviera come ritrattista; Giovan Battista Fontana nel 1580 dip<strong>in</strong>se tre pale d’altare<br />

per la cappella del castello di Günzburg <strong>in</strong> Svevia.<br />

Tra gli scultori <strong>italiani</strong> <strong>in</strong> Germania ricordiamo Antonio Nicolò Pizzi che scolpì il<br />

sepolcro del duca Guglielmo di Cleve e Berg nella chiesa di S. Lamberto a<br />

Düsseldorf, con Gilles de Rivière (o Egidio della Riviera).<br />

I centri <strong>in</strong> cui si affermò maggiormente il gusto manieristico furono Augusta <strong>in</strong><br />

Svevia, Monaco e la Baviera, Freiberg <strong>in</strong> Sassonia.<br />

331


Ad Augusta, mecenate la famiglia Fugger, furono chiamati molti <strong>artisti</strong> <strong>italiani</strong> che<br />

nella casa dei banchieri operarono con i fiamm<strong>in</strong>ghi Pieter de Witte (Candid),<br />

pittore, e Adrien de Vries, scultore, con il tedesco H. Gerhard, scultore (allievo del<br />

Giambologna a Firenze, <strong>in</strong>fluenzato anche dal Cell<strong>in</strong>i), e con l’olandese Friedrich<br />

Sustris, pittore (vedi oltre).<br />

V<strong>in</strong>cenzo Campi nel 1580 spedì <strong>in</strong> Germania c<strong>in</strong>que quadri, ord<strong>in</strong>ati da H. Fugger;<br />

per lui Alessandro Vittoria scolpì una grande tavola d’altare.<br />

Dal 1569 al ’73 Antonio Ponzano (o Ponzoni), stuccatore e pittore, e Carlo Pallago<br />

(o Pelagi), stuccatore e scultore, decorarono la biblioteca dei Fugger, collaborando<br />

con F. Sustris e H. Gerhard; partecipò all’esecuzione dell’opera anche il pittore<br />

Alessandro Scalzi, detto il padovano o padovan<strong>in</strong>o.<br />

Guglielmo V, duca di Baviera, chiamò molti di questi <strong>artisti</strong> a corte; dal 1578 al ’80<br />

il Ponzano e lo Scalzi, alle dipendenze del Sustris, affrescarono la sala dei<br />

Cavalieri e la “Narrentreppe” del castello di Trausnitz; <strong>in</strong> seguito fu chiamato<br />

anche Antonio Maria Viviani (Vian<strong>in</strong>o), genero del Sustris. Dal ’85 al ’89 fu<br />

eseguita la decorazione ad affresco del cortile delle Grotte della Residenza di<br />

Monaco, della chiesa di S. Michele e di quella di Landsberg.<br />

Contemporaneamente il Pallago, aiuto del Sustris, decorò di stucchi alcune parti<br />

del castello di Trausnitz e del castello Koller. Lo stesso scultore e altri stuccatori<br />

<strong>italiani</strong> decorarono l’Antiquarium e il cortile delle Grotte, i capitelli, la sala<br />

ottagona, lo scalone, la “sala nera” e la “Reiche Kapelle” (1607); del Pallago sono i<br />

busti imperiali e i quattro leoni <strong>in</strong> bronzo della facciata della Residenza; lo stesso<br />

eseguì con altri scultori dodici grandi statue nella sala maggiore del castello di<br />

Kircheim, e decorò di stucchi le nicchie alle pareti e le mensole; con altri scolpì<br />

quattro candelabri della balaustra <strong>in</strong> S. Michele a Monaco, le figure dei pr<strong>in</strong>cipi<br />

sulla facciata e, all’<strong>in</strong>terno, la statua del santo titolare.<br />

Per questa chiesa il Viviani dip<strong>in</strong>se due pale d’altare; lo Scalzi fece pale d’altare<br />

per la cappella di S. Leonardo a Landsberg e per la parrocchiale di Kircheim.<br />

Presso la corte bavarese troviamo agli <strong>in</strong>izi del secolo XVII i figli di Antonio<br />

Ponzano, Ottavio e Giovan Battista.<br />

Un altro piccolo centro manieristico sorse a Freiberg <strong>in</strong> Sassonia.<br />

Giovanni Maria Nosseni, architetto e scultore, allievo del Sansov<strong>in</strong>o a Firenze, nel<br />

1573 conobbe il conte von Spr<strong>in</strong>tzenste<strong>in</strong> che lo mise <strong>in</strong> contatto con Cristiano I,<br />

elettore di Sassonia; nel ’88 era a Freiberg per l’esecuzione della cripta sepolcrale<br />

dei pr<strong>in</strong>cipi nel duomo su <strong>in</strong>carico dell’elettore Augusto. L’opera, ottenuta con la<br />

trasformazione del coro del duomo, fu term<strong>in</strong>ata nel 1593. <strong>Il</strong> Nosseni <strong>in</strong>iziava nel<br />

frattempo i lavori per una villa pr<strong>in</strong>cipesca sulla Jungferubaster a Dresda, distrutta<br />

nel 1747; nel 1608 assunse la direzione dei lavori per il mausoleo del pr<strong>in</strong>cipe<br />

332


Ernesto von Schaumburg-Holste<strong>in</strong>, che lasciò nel ’13. Artista eclettico, attese a<br />

dirigere lo sfruttamento delle cave di alabastro e marmo, fece vasi, tavoli,<br />

ornamenti. Le sculture da lui eseguite per il castello di Frederiksborg e la celebre<br />

statua lignea di Nabucodonosor di Praga (1612) sono andate distrutte; sono suoi a<br />

Dresda l’altare maggiore della chiesa dell’elettrice Anna e quello della chiesa<br />

dell’elettrice Sofia e la tomba della stessa; l’artista lavorò anche a Lichtemburg e a<br />

Walheim.<br />

Carlo de Cesare, scultore e fonditore <strong>in</strong> bronzo, scolaro del Giambologna a<br />

Firenze, fu raccomandato dal maestro all’architetto Nosseni che lavorava allora al<br />

mausoleo di Freiberg. Per questo De Cesare fece dal 1580 al ’82 una serie di<br />

stucchi (putti e figure m<strong>in</strong>ori) sulle parti più alte e allo stucco ha dato poi<br />

l’apparenza del bronzo; modellò le statue di otto profeti e i monumenti del duca<br />

Enrico il Pio, dell’elettore Augusto I e delle loro mogli; fuse <strong>in</strong> bronzo le statue<br />

delle quattro virtù e un crocifisso. A Dresda si conservano un altro crocifisso e il<br />

busto del pr<strong>in</strong>cipe Cristiano I. Collaborarono alla costruzione e alla decorazione<br />

del mausoleo di Freiberg Mart<strong>in</strong>o Verta, Antonio Horsol<strong>in</strong>a, Bernardo Delmeno,<br />

<strong>Francesco</strong> del Quadrio, Pietro Menef<strong>in</strong> e Melchiorre da Trento.<br />

Centro manieristico importante fu anche la corte di Praga, dove Rodolfo II chiamò<br />

pittori <strong>italiani</strong> ( tra i quali Giovanni Contar<strong>in</strong>i) che collaborarono con il fiamm<strong>in</strong>go<br />

B. Spranger tra il 1581 e il 1611, lo svizzero J. He<strong>in</strong>tz e il tedesco H. von Aachen,<br />

formatisi a Roma, e H. Rottenhammer che aveva compiuto gli studi a Roma e a<br />

Venezia, subendo l’<strong>in</strong>flusso di Jacopo T<strong>in</strong>toretto e Paolo Veronese.<br />

Lavorò presso lo stesso imperatore Giuseppe Arcimboldi che fece un suo ritratto e<br />

dip<strong>in</strong>se varie allegorie sulle stagioni; si dedicò anche all’organizzazione di feste,<br />

mascherate, giostre; Rodolfo II prediligeva le sue bizzarre <strong>in</strong>venzioni, quasi<br />

surrealistiche.<br />

Nei Paesi Bassi il Manierismo si diffuse e si sviluppò per l’opera dei numerosi<br />

<strong>artisti</strong> venuti <strong>in</strong> Italia per studio e tornati <strong>in</strong> patria; essi, attraverso l’assimilazione<br />

e l’orig<strong>in</strong>ale elaborazione dell’arte italiana, r<strong>in</strong>novarono profondamente le scuole<br />

locali di appartenenza.<br />

M. van Heemskerk, pittore e <strong>in</strong>cisore, soggiornò a Roma dal 1532 al ’36, disegnò<br />

stupende vedute della città, studiò Michelangelo e Raffaello, oltre i monumenti<br />

antichi,diventando uno dei pr<strong>in</strong>cipali esponenti della corrente romanista. Già<br />

<strong>italiani</strong>zzante nelle prime opere, <strong>in</strong>fluenzate dal maestro van Scorel, fu <strong>in</strong>dirizzato<br />

dal soggiorno italiano verso un’accentuata terribilità michelangiolesca che ne fece<br />

il caposcuola del <strong>manierismo</strong> olandese; l’<strong>in</strong>fluenza del Pontormo e del<br />

Parmigian<strong>in</strong>o è <strong>in</strong>vece evidente nelle opere di soggetto mitologico e nelle<br />

<strong>in</strong>cisioni.<br />

333


H. Posthumus studiò a Mantova presso Giulio Romano; V. Sellaer subì prima<br />

l’<strong>in</strong>flusso di Leonardo, poi del Parmigian<strong>in</strong>o e Pier<strong>in</strong> del Vaga, allievo di Raffaello;<br />

J. S. van Calcar lavorò dal 1536 al ’37 a Venezia presso Tiziano, di cui, come<br />

ritrattista, imitò più tardi a Napoli lo stile.<br />

I centri più importanti per la diffusione del Manierismo nei Paesi Bassi furono<br />

Anversa, Liegi e Haarlem.<br />

Frans de Vriendt, detto Frans Floris, dopo un soggiorno di sette anni a Firenze e a<br />

Roma, dal 1540 lavorò ad Anversa, divenendo il caposcuola dei “romanizzanti”,<br />

sentì soprattutto l’<strong>in</strong>flusso di Michelangelo. Suo fratello Cornelis Floris II,<br />

architetto e scultore, di ritorno dall’Italia, contribuì all’affermazione di un gusto<br />

ornamentale che impiega schemi e motivi del tardo R<strong>in</strong>ascimento italiano (come<br />

nel Municipio di Anversa); diffuse nella decorazione delle facciate il tipo delle<br />

cariatidi e delle grottesche, già note però <strong>in</strong> Fiandra grazie ai cartoni degli arazzi<br />

ideati da Raffaello.<br />

L. Lombard,romanizzante, architetto e <strong>in</strong>cisore, fu <strong>in</strong> Italia dal 1537 al ’39, studiò<br />

le antichità e i maestri del primo R<strong>in</strong>ascimento, soprattutto Raffaello; tornato a<br />

Liegi, da dove fu <strong>in</strong> corrispondenza con il Vasari, vi aprì una bottega, centro di<br />

diffusione delle tendenze classiciste, basate su una ricerca di ord<strong>in</strong>e e di logica<br />

chiarezza, fece conoscere Vitruvio, si ispirò al Bramante nelle colonne b<strong>in</strong>ate e<br />

sovrapposte del portale e nella parete nord di S. Jacques (1558) a Liegi. Dalla città<br />

di Haarlem il Manierismo si diffuse con Cornelis van Haarlem, pittore, che fondò la<br />

prima accademia <strong>italiani</strong>zzante, dando <strong>in</strong>izio ad una corrente classicistica, con K.<br />

Van Mander, anche scrittore d’arte, attivo a Roma dal 1574 al ’77, e H. Goltzius,<br />

pittore e <strong>in</strong>cisore, formatosi a Roma, Firenze e Venezia, con lo studio di sculture<br />

antiche, di Raffaello e Parmigian<strong>in</strong>o (1590-’91), celebre per i disegni a carbonc<strong>in</strong>o<br />

e sanguigna, tecnica appresa presso Federico Zuccari; tutti e tre furono<br />

romanizzanti.<br />

Ecco altri <strong>artisti</strong> dei tanti che scesero <strong>in</strong> Italia nel corso del secolo XVI:<br />

M. Coxie, pittore e <strong>in</strong>cisore, fu membro dell’accademia di S. Luca a Roma e lasciò<br />

un ciclo di affreschi <strong>in</strong> S. Maria dell’Anima (1540), esempio migliore del suo<br />

romanismo e dell’<strong>in</strong>flusso raffaellesco; H. Cock, pittore e <strong>in</strong>cisore, a Roma dal<br />

1546 al ’48, si dedicò all’<strong>in</strong>cisione di monumenti, ad Anversa divenne un<br />

importante diffusore del gusto manieristico italiano e della corrente dei<br />

romanizzanti. J. Metsys il giovane fu <strong>in</strong> Italia verso il 1550 e poi a Fonta<strong>in</strong>ebleau.<br />

Pieter Brueghel il vecchio, a Roma, a Napoli e a Mess<strong>in</strong>a dal 1551 al ’53, unì alla<br />

visione fantastica fiamm<strong>in</strong>ga il classicismo italiano; dall’Italia egli riportò le<br />

impressioni più lum<strong>in</strong>ose: gli immensi spazi che si aprirono al suo sguardo, senza<br />

parlare degli uom<strong>in</strong>i, lo colpirono profondamente (K. Van Mander, suo biografo,<br />

334


scrisse pittorescamente che durante il suo viaggio l’artista aveva <strong>in</strong>ghiottito tutte<br />

le Alpi per risputarle poi <strong>in</strong> patria). A. Moor, detto Antonio Moro, olandese, fu<br />

allievo di van Scorel; determ<strong>in</strong>ante per lui fu la scoperta dell’opera di Tiziano,<br />

conosciuto forse alla dieta di Augusta, che lo <strong>in</strong>dirizzò verso una ritrattistica<br />

aulica, ma <strong>in</strong>sieme attenta alle sottili sfumature psicologiche dei volti; durante un<br />

viaggio <strong>in</strong> Italia nel 1550 ebbe modo di conoscere i ritratti di Bronz<strong>in</strong>o e di<br />

Moroni.<br />

Lambert Sustris, olandese, completò la propria formazione a Venezia alla scuola<br />

di Tiziano, con qualche riflesso del T<strong>in</strong>toretto. Alla stessa fu D. Barendsz,<br />

olandese, dal ‘55 al ’62, che dal maestro trasse la ricchezza cromatica e la vivacità<br />

espressiva. C. Cort, pittore e <strong>in</strong>cisore, romanizzante, si formò a Roma e a Venezia,<br />

anch’egli discepolo di Tiziano, dal quale fu <strong>in</strong>caricato di riprodurre a stampa i<br />

propri dip<strong>in</strong>ti; presso il grande pittore furono anche i tedeschi E. Amberger e C.<br />

Schwarz. M. de Vos, romanizzante, completò la propria formazione a Roma,<br />

Firenze e Venezia dove collaborò col T<strong>in</strong>toretto, ma subì notevolmente l’<strong>in</strong>flusso<br />

di Paolo Veronese; alla scuola del T<strong>in</strong>toretto lavorarono anche L. Toeput, detto il<br />

Pozzoserrato o Lodovico Fiamm<strong>in</strong>go, e P. Franck, detto Paolo Fiamm<strong>in</strong>go, celebre<br />

paesaggista. Visse e lavorò a Venezia dal 1570 al 1603 P. Mera. P. Aertsen,<br />

olandese, risentì della pittura di Jacopo Bassano, caratterizzata dalle gamme<br />

fredde e cangianti, con una stesura vibrante che anticipa la pittura di tocco del<br />

Seicento europeo.<br />

Frederick Sustris, figlio di Lambert, fu dal 1563 al ’68 collaboratore del Vasari a<br />

Firenze come pittore; fu attivo poi alla corte di Monaco anche come architetto,<br />

portando i modi del Manierismo italiano; i suoi quadri rivelano elementi veneti, la<br />

chiesa di S. Michele a Monaco si rifà <strong>in</strong> parte al “Gesù” del Vignola.<br />

B. Sprangher nel 1565 fu a Milano, venendo a contatto col Manierismo lombardo,<br />

dopo essere stato a Fonta<strong>in</strong>ebleau; nel ’66 soggiornò a Parma dove collaborò con<br />

B. Gatti alla Madonna della Steccata ed ebbe modo di conoscere l’arte del<br />

Correggio e del Parmigian<strong>in</strong>o; stabilitosi a Roma, lavorò per i Farnese a Caprarola<br />

(1569-’70) a stretto contatto con l’ambiente manieristico romano e fu nom<strong>in</strong>ato<br />

nel ’70 pittore papale; affrescò anche nella villa Lante a Bagnaia, ove troviamo<br />

anche dal 1575 al ’77 H. Speckaert, K. Van Mander e J. Soens, pittore di corte a<br />

Parma presso Ottavio Farnese, <strong>in</strong>fluenzato dal Correggio e dai Carracci.<br />

Fu a Roma F. den Casteel, detto <strong>Francesco</strong> Castello. P. de Witte, detto Candid, fu<br />

nel 1569 a Firenze dove eseguì cartoni per arazzi; operò anche come<br />

collaboratore del Vasari, di cui era amico, nella decorazione ad affresco della<br />

cupola di S. Maria del Fiore, fu poi a Volterra e a Roma dove affrescò nella Sala<br />

Regia <strong>in</strong> Vaticano (1572); per il suo tramite il Manierismo si diffuse a Monaco.<br />

335


Con il Vasari lavorò a Firenze nella decorazione dello studiolo di <strong>Francesco</strong> I <strong>in</strong><br />

Palazzo Vecchio il pittore J. Van Straten (Giovanni Stradano). O. van Veen (Venius),<br />

a Roma nel 1575, conobbe l’arte degli Zuccari, del Barocci, dei veneti e degli<br />

emiliani, di cui si fece tramite presso <strong>artisti</strong> come Jordaens e Rubens, suo allievo.<br />

Furono romanizzanti Mateis Brill, pittore papale, H. van der Broeck,detto Arrigo<br />

fiamm<strong>in</strong>go( che fu anche a Perugia), G. Hoefnagel che riprese le cascate di Tivoli,<br />

la campagna romana, le antichità di Roma e di Ostia, oltre che Napoli e il Vesuvio,<br />

e la piazza S. Marco a Venezia (1577). Dal 1581 lavorò <strong>in</strong> Italia Josse II Momper,<br />

celebre paesaggista; Jan Brueghel, detto dei Velluti o dei Fiori, figlio di Pieter il<br />

vecchio, fu dal 1592 al ’96 a Roma e a Milano presso il suo mecenate Federico<br />

Borromeo; F. Pourbus il giovane fu a Mantova, a Tor<strong>in</strong>o e a Napoli; D. Calvaert si<br />

formò a Bologna, dove fondò una celebre scuola, e poi fu a Roma.<br />

Dopo Scorel (lez.n.18) e gli altri appena citati, appartennero alla corrente dei<br />

romanisti F. Badens, J. De Baker, A. Blockland, J. Bos, C. van Con<strong>in</strong>xloo, G.<br />

Cougnet, M. Gast, A. Mijtens, V. Noort, H. Speckaert, T. Verhaecht, J. C. Vermeyen,<br />

S. Vrancx, A. Wijngaerde, J. van W<strong>in</strong>ghe, L. Zutman, tutti attivi a Roma; tra il secolo<br />

XVI e il XVII citiamo P. Galle, H. Hondius, P. Isaacz, M. Pepijn, W. Van Nieulandt, A.<br />

Sallaert, H. C. Vroon.<br />

Notevole pittore fu Paolo Brill, a Roma dal 1580 alla morte (1626), al servizio dei<br />

papi, chiamato dal Muziano, allora sovr<strong>in</strong>tendente alla decorazione delle Stanze<br />

vaticane, che lo <strong>in</strong>coraggiò ad una più profonda osservazione della natura <strong>in</strong> cui le<br />

montagne e le rupi fossero immag<strong>in</strong>e di un mondo selvaggio e pauroso; divenuto<br />

un celebre paesaggista, per primo cercò di dare al quadro una struttura organica<br />

secondo la maniera italiana, cioè fiancheggiando la veduta come di due qu<strong>in</strong>te,<br />

disegnando il suolo a l<strong>in</strong>ee ondulate, e cercando di dare ad ogni cosa una<br />

illum<strong>in</strong>azione uniforme; negli ultimi dip<strong>in</strong>ti risentì dell’arte dei Carracci (vedi<br />

lez.n.31). Anche F. Stella (Stellaert) lasciò vedute italiane; operarono a Roma nello<br />

stesso periodo l’olandese J.Wittewael e P. Lastman (dal 1603 al ’07).<br />

Per quanto riguarda l’<strong>in</strong>cisione, Roma nella seconda metà del ‘500 divenne il<br />

maggiore mercato europeo di stampe; famosi <strong>in</strong>cisori ed editori ne alimentarono<br />

il commercio. E. Dupérac, autore di una grande pianta di Roma a volo d’uccello,<br />

dedicata a Enrico III, A. Lafréry; H. Cock, C. Cort impiantarono aziende editoriali e<br />

crearono il vedutismo romano. Scendevano dal nord <strong>in</strong>cisori e mercanti di stampe,<br />

Aelst, Coornhert, De Passe, Jode, Matham, Muller, Novellanus, Schayk, Schoel,<br />

Turp<strong>in</strong>,ecc; Jan Sadeler <strong>in</strong>cise “Vestigia delle antichità di Roma, Tivoli,ecc.”, vedute<br />

di Roma P. Maup<strong>in</strong>, J. Bos, U. P<strong>in</strong>ard, C. Stimmer. O. van Venius, H. van Cleef, ecc.<br />

Tra gli scultori manieristi fiamm<strong>in</strong>ghi: J. C. Cobaert, detto Cope, a Roma dal 1568<br />

336


fu allievo di Guglielmo della Porta; Niccolò Mostaert, detto Niccolò fiamm<strong>in</strong>go o<br />

Niccolò Pippi o Niccolò d’Arras lavorò e morì a Roma nel 1604; Jan Wesp<strong>in</strong>, detto<br />

il Tabacchetti, nel 1587 si fissò <strong>in</strong> Piemonte, eseguendo statue di terracotta<br />

policroma. <strong>Il</strong> più celebre degli scultori fu Jean de Boulogne, detto Giambologna<br />

(sec.XVI-XVII), che lavorò per molti anni a Firenze e a Roma, subendo l’<strong>in</strong>flusso<br />

della scultura di Michelangelo, avendo tra gli allievi il tedesco H. Reichle che portò<br />

i motivi tardo–manieristici nei suoi edifici <strong>in</strong> Germania. Nello stesso periodo<br />

troviamo a Roma J. C. van Schardt (Giovanni fiamm<strong>in</strong>go).<br />

Tra gli architetti si impose Giovanni Vasanzio (Jan van Santen), olandese, allievo a<br />

Roma di Flam<strong>in</strong>io Ponzio, artista di transizione che alternò l’adesione al gusto e<br />

alla cultura manieristici con qualche presentimento barocco; il Vasanzio trasportò<br />

nell’architettura il gusto della fitta decorazione di gusto archeologico.<br />

Tra i pittori <strong>italiani</strong> del periodo che si recarono nei Paesi Bassi ricordiamo Federico<br />

Zuccari che ad Anversa fece cartoni per arazzi.<br />

<strong>Il</strong> Manierismo si diffuse anche <strong>in</strong> America del sud, attraverso l’opera di pittori<br />

spagnoli e di tre <strong>italiani</strong>, il già citato Matteo Perez, Angel<strong>in</strong>o Medoro e il gesuita<br />

Bernard<strong>in</strong>o Bitti che propagarono il nuovo gusto; venuti <strong>in</strong> contatto tra il 1575 e il<br />

1600 con altri pittori europei e locali, dettero vita a un centro di produzione a<br />

Lima <strong>in</strong> Perù, che farà sentire il suo peso per tutto il XVII e anche per il XVIII<br />

secolo. Molte città, tra cui Quito, Bogotà. Cuzco, Città del Messico, diverranno<br />

centri importanti di irradiazione del barocco italiano, re<strong>in</strong>terpretato però secondo<br />

la tradizione e gli stili locali.<br />

<strong>Il</strong> professore ha concluso la lezione accennando al fenomeno del collezionismo<br />

delle opere d’arte che, <strong>in</strong>iziato <strong>in</strong> periodo umanistico, trovò sviluppo nel<br />

R<strong>in</strong>ascimento e soprattutto <strong>in</strong> periodo barocco e neoclassico (sec. XVII-XVIII-XIX).<br />

In epoca medioevale esso aveva <strong>in</strong>teressato un’elite assai ristretta e riguardato<br />

soprattutto manoscritti e oreficeria. L’Umanesimo r<strong>in</strong>novò radicalmente il<br />

collezionismo; come alle humanae litterae si attribuì, <strong>in</strong> contrasto con la mentalità<br />

medioevale, un valore formativo per l’uomo moderno, così si riconobbe lo stesso<br />

valore di educazione (humanitas) alle opere d’arte antica e qu<strong>in</strong>di alle relative<br />

raccolte. Attività pr<strong>in</strong>cipale degli umanisti fu quella di riscoprire i testi antichi, non<br />

solo codici, ma epigrafi, cammei, monete, ceramiche, statue, ecc.In queste opere<br />

si cercarono il canone e le leggi del bello.<br />

Parallelamente allo sviluppo delle Signorie e dei Pr<strong>in</strong>cipati si manifestò una fase<br />

edonistica del collezionismo. Nelle corti italiane raccogliere antichità e rarità<br />

divenne una moda; Padova e Venezia rappresentarono nel collezionismo del ‘500<br />

il riflesso di due diverse sensibilità. Centro di cultura libresca, Padova era ricca di<br />

collezioni erudite, di scienze naturali e di opere d’arte antica; le erbe, i pesci, i<br />

337


m<strong>in</strong>erali erano raccolti con lo stesso spirito. A Venezia <strong>in</strong>vece le famiglie patrizie,<br />

Contar<strong>in</strong>i, Faliero, Mocenigo, ecc., commerciando con l’Oriente, accumulavano<br />

armi, stoffe, monete, gioie, oggetti per l’arredamento, ecc.<br />

Nelle corti r<strong>in</strong>ascimentali il gusto per la curiosità e la rarità sp<strong>in</strong>geva i signori a<br />

coltivare i tipici serragli di animali rari e belve, l’alchimia e la meccanica,<br />

accumulando oggetti e strumenti di ogni genere.<br />

Cosimo I, primo granduca di Toscana, fu cultore di botanica e di chimica; fondò il<br />

giard<strong>in</strong>o di Boboli e dei Semplici.<br />

Nel segreto degli studioli e delle “wunderkammern” pr<strong>in</strong>cipi manieristi come<br />

<strong>Francesco</strong> I de’ Medici e Rodolfo II d’Asburgo coltivano un <strong>in</strong>troverso<br />

collezionismo, dove, accanto alle rarità naturali e alle “meraviglie” portate da terre<br />

lontane, sono custoditi i prodotti di un’arte sorretta da una tecnica spericolata,<br />

assillata dalla cont<strong>in</strong>ua sfida alle “leggi” della natura, dalla ricerca del mirabolante<br />

e dell’improbabile. Nascono così i trionfi di conchiglie e di coralli, le porcellane,<br />

gl’<strong>in</strong>tarsi di pietre dure, i vasi di lapislazzuli o di cristallo di rocca, i teatr<strong>in</strong>i<br />

d’automi, i modell<strong>in</strong>i meccanici.<br />

Anche i privati, come per esempio Bernardo Vecchietti, maestro del Giambologna,<br />

avevano collezioni, oltre che di dip<strong>in</strong>ti, di “naturalia”, cioè oggetti di scienze<br />

naturali, e di “artificialia”, cioè materiali lavorati; si raccolgono anche strumenti<br />

musicali.<br />

Quando Carlo V abdicò lasciando la Spagna al figlio Filippo e le terre tedesche al<br />

fratello Ferd<strong>in</strong>ando I, portò con sé nel suo ritiro a Yuste una collezione di oltre<br />

seicento quadri; tra essi facevano spicco capolavori del Tiziano. Alla morte del<br />

padre Filippo II ereditò tutte le collezioni della corona spagnola, alle quali egli<br />

aggiunsele numerose e pregevoli opere ord<strong>in</strong>ate nelle gallerie dell’Escuriale. Una<br />

notevole parte delle collezioni che Carlo V aveva dest<strong>in</strong>ato al ramo austriaco, era<br />

<strong>in</strong>tanto confluita nel castello di Ambras di proprietà diFerd<strong>in</strong>ando I; alla sua morte<br />

la raccolta passò all’imperatore Rodolfo II.<br />

<strong>Francesco</strong> I di Valois fece ogni sforzo per non essere sopravanzato da Carlo V;<br />

questa accesa lotta portò alla creazione del Louvre e della Biblioteca nazionale. Le<br />

collezioni formate da <strong>Francesco</strong> Inei palazzi di Fonta<strong>in</strong>ebleau, a Chambord, a<br />

Sa<strong>in</strong>t-Germa<strong>in</strong> e al Madrid rivelano che egli era un eccellente conoscitore dell’arte<br />

italiana e di quella fiamm<strong>in</strong>ga. Alla morte di <strong>Francesco</strong> I Cater<strong>in</strong>a de’ Medici ebbe<br />

il merito di alimentare a corte il gusto per l’arte italiana; profuse tutte le sue<br />

ricchezze nell’arredamento della personale dimora, l’Hotel de Soissons.<br />

L’<strong>in</strong>ventario compilato alla sua morte rivela lo spirito particolarmente eclettico<br />

della sovrana: 54 tappeti orientali, 74 ritratti su smalto, 100 cristalli, 476 dip<strong>in</strong>ti,<br />

4500 volumi, 776 manoscritti, oltre a un numero esorbitante di porcellane, lacche<br />

338


c<strong>in</strong>esi, bronzi, avori, medaglie, ventagli, gioielli e argenterie. La passione <strong>in</strong> breve<br />

tempo era dilagata; i “cab<strong>in</strong>ets” dei collezionisti privati francesi del ‘500 erano una<br />

via di mezzo tra gli “studioli” dei palazzi pr<strong>in</strong>cipeschi <strong>italiani</strong> e le “camere delle<br />

meraviglie” tedesche.<br />

In epoca manieristica le collezioni com<strong>in</strong>ciarono ad acquistare un più preciso<br />

valore venale. L’opera d’arte veniva apprezzata non più <strong>in</strong> sé, ma <strong>in</strong> rapporto al<br />

suo artefice; ciò avveniva nel momento <strong>in</strong> cui l’artista riusciva a liberarsi<br />

def<strong>in</strong>itivamente dalla sua condizione d’<strong>in</strong>feriorità sociale, valorizzando il genio e<br />

l’idea rispetto alla manualità. Fu lo stesso Vasari ad <strong>in</strong>trodurre il metro<br />

storiografico nell’attività del collezionista. Non solo, ma egli , teorico delle arti del<br />

disegno, oltre ad acquistare opere d’arte, formò la prima collezione di disegni dei<br />

tempi moderni. In essi, f<strong>in</strong>o allora conservati nelle botteghe come semplici<br />

strumenti di lavoro e di studio, Vasari riconobbe il valore creativo della personalità<br />

e qu<strong>in</strong>di un valore <strong>artisti</strong>co autonomo.<br />

Ricordiamo <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e che nella seconda metà del ‘500 sorsero <strong>in</strong> Italia le prime<br />

accademie, formatesi dalle compagnie medioevali dei pittori, istituzioni adibite<br />

alla formazionedegli <strong>artisti</strong>, <strong>in</strong> un momento storico assai significativo, di<br />

esaurimento degli ideali r<strong>in</strong>ascimentali attraverso il travaglio del Manierismo Edi<br />

trapasso al nuovo gusto barocco; esse erano da un lato l’espressione della mutata<br />

condizione sociale dell’artista, ormai lontano dalla formazione tecnico- artigianale<br />

della bottega, dall’altro rispondevano all’esigenza di dare all’operare <strong>artisti</strong>co un<br />

fondamento teorico e all’artista una formazione completa.<br />

Basata sulla pratica fondamentale del disegno e sull’<strong>in</strong>segnamento di materie<br />

scientifiche (anatomia, geometria, prospettiva) e letterarie (storia, filosofia,<br />

mitologia, ecc.), ovviamente questo pr<strong>in</strong>cipio (che cioè l’arte poteva essere<br />

<strong>in</strong>segnata per mezzo di regole), condusse fatalmente le accademie <strong>in</strong> uno stretto<br />

conservatorismo, con l’imposizione di modelli formali e iconografici; di pari passo<br />

si evidenziava il rapporto con le strutture politiche dom<strong>in</strong>anti, Controriforma <strong>in</strong><br />

Italia, autorità regia <strong>in</strong> Francia. La Controriforma esercitò su quelle una forte<br />

pressione per farne punto di diffusione della propria ideologia dell’arte come<br />

strumento di propaganda religiosa.<br />

L’accademia più antica è quella dell’arte del disegno, istituita a Firenze da<br />

Cosimo I Medici nel 1563 per volontà di Giorgio Vasari e sotto gli auspici del<br />

vecchio Michelangelo: l’affermazione del concetto di disegno come essenza<br />

mentale dell’arte segna il passaggio dall’<strong>in</strong>segnamento tecnico delle botteghe a<br />

quello teoretico delle accademie; viene così assumendo un carattere più<br />

normativo di obbedienza a un ideale estetico precostituito lo studio dei modelli e<br />

degli esempi classici le cui regole si trasmettono per scienza e non per pratica.<br />

339


Pochi anni dopo, nel 1568, il Vasari pubblica la seconda edizione delle Vite,<br />

l’opera dest<strong>in</strong>ata a diventare il modello della scienza storico-<strong>artisti</strong>ca. Ancora a<br />

Firenze, nel 1581, all’<strong>in</strong>terno del complesso degli Uffizi, prende forma con il<br />

progetto del Vasari il primo museo moderno d’<strong>Europa</strong>, con il lungo corridoio che,<br />

collegando Palazzo Pitti a Palazzo Vecchio, traversa l’Arno per mezzo di ampi<br />

loggiati i quali, chiusi con vetrate e ornate di statue antiche, furono denom<strong>in</strong>ati<br />

“Gallerie delle statue”: lo schema a gallerie con sale <strong>in</strong>tercomunicanti è rimasto il<br />

più diffuso, f<strong>in</strong>o a tutto il secolo scorso e il term<strong>in</strong>e è passato anche alle l<strong>in</strong>gue<br />

straniere.<br />

Nascono dunque a Firenze, nel breve giro di pochi anni, l’Accademia, la critica<br />

d’arte e il grande Museo. Sono le istituzioni fondamentali dest<strong>in</strong>ate a governare<br />

d’ora <strong>in</strong> poi, <strong>in</strong> <strong>Europa</strong> e nel mondo, il mercato e il mecenatismo e - con quelli -<br />

l’attività di pittori, scultori e architetti. Nascono <strong>in</strong> quest’epoca anche le<br />

manifatture di stato; il loro compito è di celebrare e divulgare, attraverso oggetti<br />

di grande costo e di esclusiva eccellenza, la gloria del pr<strong>in</strong>cipe e i valori simbolici<br />

della d<strong>in</strong>astia e dello Stato. Esemplari <strong>in</strong> questo senso furono l’Arazzeria medicea,<br />

servita dai migliori specialisti d’<strong>Europa</strong>, e il fiorent<strong>in</strong>o Opificio delle Pietre Dure.<br />

Con Cosimo I la signoria medicea si trasformò <strong>in</strong> pricipato e i Medici salirono <strong>in</strong><br />

parentela con le case regnanti d’<strong>Europa</strong>. Palazzo Pitti, residenza di Cosimo dal<br />

1550, allorchè Eleonora di Toledo, sua moglie, l’acquistò per trasformarlo <strong>in</strong> una<br />

autentica dimora pr<strong>in</strong>cipesca, adeguata al nuovo rango mediceo, fu <strong>in</strong>grandito e<br />

completato da Bartolomeo Ammannati; esso è diventato una splendida reggia, la<br />

prima, ricca di opere d’arte, sublime modello per tutte le sontuose dimore reali<br />

d’<strong>Europa</strong>. <strong>Il</strong> parig<strong>in</strong>o Palais Royal fu strutturato, accanto alla rue de Rivoli, nel XVII<br />

secolo con un chiaro riferimento alla dimora medicea. La storia si è ripetuta a San<br />

Pietroburgo con il Palazzo d’Inverno; a Vienna con il Palazzo Imperiale che<br />

orig<strong>in</strong>ariamente era un castello medioevale; e a Madrid con il Palacio de Oriente,<br />

edificato nel 1734. Anche il grande Palazzo reale di Monaco di Baviera, nei suoi<br />

rifacimenti degli ultimi secoli, è stato ridisegnato sulla base del modello rigoroso<br />

e regale di Palazzo Pitti.<br />

Nel 1577 sotto Gregorio XIII sorse a Roma l’accademia romana delle arti per opera<br />

di Federico Zuccari (protettore Federico Borromeo), <strong>in</strong>titolata a s. Luca, che<br />

sostituì l’università di S. Luca, il cui statuto era stato approvato da Sisto IV; gli<br />

<strong>artisti</strong> veri e propri, pittori, architetti e <strong>in</strong>cisori, vennero separati dagli artigiani,<br />

dai ricamatori e dai m<strong>in</strong>iatori che avevano lavorato <strong>in</strong> comune f<strong>in</strong> dal Medioevo; gli<br />

scultori erano già stati separati dagli scalpell<strong>in</strong>i nel 1533.<br />

Sull’esempio dell’accademia di S. Luca sorse nel 1666 l’accademia di Francia a<br />

Roma per volere di Luigi XIV, aff<strong>in</strong>ché gli <strong>artisti</strong> francesi più meritevoli si<br />

340


perfezionassero nel più importante centro <strong>artisti</strong>co europeo; nel 1784 si istituì il<br />

Prix de Rome. Essa codificò sia lo stretto legame col potere politico, sia la sua<br />

funzione determ<strong>in</strong>ante sulla gestione della cultura ufficiale, unico tramite tra<br />

<strong>artisti</strong> e committenti.<br />

<strong>Il</strong> prestigio <strong>in</strong>ternazionale raggiunto dall’accademia di S. Luca fu tale nel secolo<br />

XVIII che sul suo modello vennero istituiti o rifondati <strong>in</strong> tutta <strong>Europa</strong> accademie di<br />

Belle Arti: a Madrid (1744), Copenhagen (1754), S. Pietroburgo (1757), Dresda e<br />

Bruxelles (1762), Stoccolma e Londra (1768), Berl<strong>in</strong>o (1786). Gli stranieri tengono<br />

<strong>in</strong> gran conto l’appartenere al sodalizio romano; molti <strong>artisti</strong> entrano nel registro<br />

degli accademici o <strong>in</strong> seguito alla vittoria del premio <strong>in</strong>ternazionaledi S. Luca o per<br />

chiara fama.<br />

Concludiamo dicendo che a Firenze i Medici istituirono il primo <strong>in</strong>segnamento<br />

pubblico dell’archeologia, seguito soprattutto da <strong>artisti</strong> e antiquari.<br />

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