Lezione XV - Il Rinascimento artistico; sua ... - Francesco Ridolfi
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<strong>Il</strong> <strong>Rinascimento</strong> <strong>artistico</strong><br />
<strong>Il</strong> pieno <strong>Rinascimento</strong> <strong>artistico</strong> si ha nel primo ‘400 fiorentino; esso investe tutte<br />
le arti con la triade Brunelleschi, Donatello e Masaccio, attingendo il massimo<br />
equilibrio tra visione naturalistica e sistematico ossequio all’antichità classica,<br />
permettendo così di svincolarsi dalla tradizione stilistica medioevale. Al rigore,<br />
alla drammaticità espressiva del tardo Gotico, agli indefiniti e agitati slanci dello<br />
spirito germanico si sostituisce il gusto di un’estrema armonia formale, propria<br />
dei Greci e dei Romani; la serena staticità si contrappone al movimento di un<br />
inquieto divenire, il pensiero logico alla commozione mistica. <strong>Il</strong> <strong>Rinascimento</strong><br />
nelle arti figurative si distingue per il perseguimento di tre fondamentali linee di<br />
ricerca: la rappresentazione del vero, il recupero dell’Antico e il controllo<br />
scientifico delle misure attraverso lo strumento della prospettiva.<br />
Nuovi procedimenti e nuovi valori sono inaugurati dall’architettura religiosa (con il<br />
prevalere della cupola) e da quella profana, volte entrambe alla ricerca di ritmi<br />
spaziali e di armonia costruttiva. Importanza fondamentale ebbe il “De<br />
architectura” di Vitruvio, l’unica opera veramente tecnica sull’architettura che,<br />
salvata durante il Medioevo nelle biblioteche dei monasteri, sia giunta fino a noi<br />
dall’antichità classica; fin dal tempo di Carlomagno esercitò una concreta<br />
influenza sugli architetti, ma è solo col <strong>Rinascimento</strong> che si giunse a una <strong>sua</strong> reale<br />
riscoperta e a uno studio assiduo delle sue regole che determinarono un<br />
cambiamento del gusto, coincidendo esse con le nuove aspirazioni ad un ordine e<br />
ad una simmetria di valore “classico”; ricordiamo che il “De architectura” fu<br />
stampato per la prima volta a Venezia nel 1486 ed ebbe molte edizioni, nel 1521<br />
apparve una versione italiana, nel 1543 una tedesca ad opera di Walter Rivius, nel<br />
1547 una francese, nel 1602 una spagnola e nel 1692 fu pubblicata un riduzione<br />
inglese fatta sulla base della traduzione francese del Perrault (1673). Fu nel secolo<br />
<strong>XV</strong> che la teoria delle proporzioni cessò di essere un espediente tecnico o una<br />
prassi costruttiva propria degli architetti; si tornò a stabilire un diretto rapporto<br />
tra tecnica e natura, tra uomo (microcosmo) e universo (macrocosmo) e<br />
soprattutto si tornò a fondare sulle proporzioni il concetto stesso del bello.<br />
La classicità è necessariamente presa a modello: nel segno di una ritrovata o<br />
ravvivata coscienza della storia, si afferma un nuovo e più profondo senso della<br />
vita attuale; l’uomo si considera nella <strong>sua</strong> realtà, si riallaccia ai suoi precedenti e<br />
in ugual misura si guarda intorno, osserva ciò che lo circonda, cerca di attuarsi<br />
nella <strong>sua</strong> completezza. Tutto ciò conduce fatalmente a esprimersi con un ritorno<br />
all’arte classica, creazione di un chiaro pensiero logico e di un profondo senso<br />
della realtà.<br />
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<strong>Il</strong> <strong>Rinascimento</strong> rinnegò la tradizione “bizantina” non in nome di una verità nuova<br />
(come aveva fatto l’arte cristiana), ma in nome di una verità ritrovata nell’antico,<br />
in nome di valori ideali offuscati dall’”età oscura”. E poiché la poetica umanistica<br />
dominerà il campo dal <strong>XV</strong> all’inizio del XIX secolo, in questo lungo periodo non si<br />
parlerà più di tradizione, ma soltanto dell’ ”antico”, cioè di una perfezione ideale,<br />
di un’età d’oro esistita e alla quale è necessario rifarsi.<br />
Si esalta così la figura dell’artista e della <strong>sua</strong> attività creativa; nasce di<br />
conseguenza la concezione nuova dell’arte: al Medioevo che vedeva nell’artista il<br />
produttore di oggetti materiali, l’Umanesimo contrappone una visione dell’artista<br />
come ideatore di forme, dell’arte come attività concettuale e umana avente in sé<br />
la propria giustificazione e il proprio fine (vedi lez. n.13).<br />
Le arti (pittura, scultura, architettura) sono promosse al rango di “artes liberales”<br />
contro la tradizione medioevale che le annoverava tra le “artes mechanicae”;<br />
questo affermò Leon Battista Alberti quando attraverso le sue opere teoriche<br />
intese dare un fondamento scientifico all’operare <strong>artistico</strong>, ponendo le arti sullo<br />
stesso piano della filosofia e della letteratura. Nel trattato ”De pictura” (1436),<br />
dedicato al Brunelleschi, che nel 1410 aveva definito le regole della prospettiva,<br />
l’Alberti presenta la codificazione della concezione del primo <strong>Rinascimento</strong><br />
fiorentino per cui l’arte non è più imitazione naturale ma conoscenza della natura,<br />
fondata sul nuovo concetto della prospettiva raggiunta scientificamente (il che fa<br />
dell’Alberti uno dei fondatori della geometria proiettiva) con le regole della<br />
corretta costruzione prospettica. Si passa con lui da una ricerca scientifica, attuata<br />
sporadicamente nel secolo XIV in opere pittoriche con schemi geometrici e<br />
formule empiriche, ad una problematica artistica; attraverso la prospettiva si<br />
afferma il concetto stesso dell’uomo come centro dell’universo, si creano scene e<br />
figure di profonda umanità in ambienti ritmicamente spaziati.<br />
Nella storia artistica italiana del <strong>XV</strong> secolo la rappresentazione del mondo visibile<br />
secondo prospettiva è l’elemento unificante di tutte le espressioni figurative.<br />
Marsilio Ficino afferma che le arti, se vogliono sfuggire all’approssimazione ed<br />
attingere la perfezione, devono porre le basi nell’ ”ordo mathematicus”. Questo<br />
nuovo rigore scientifico, oltre ad elevare pittura, scultura e architettura da arti<br />
meccaniche ad arti liberali, rappresenta anche un avanzamento sociale degli artisti<br />
che da artigiani e tecnici diventano uomini di scienza; e matematica, geometria e<br />
musica sono ora considerate premesse teoriche indispensabili per la formazione<br />
dell’artista.<br />
Gli artisti del <strong>Rinascimento</strong> erano pienamente convinti che la matematica fosse la<br />
vera essenza del mondo fisico e che l’universo fosse tutto ordinato e spiegabile in<br />
termini geometrici, profondamente influenzati dalla allora recuperata filosofia dei<br />
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greci; essi divennero anche i più dotti e attivi matematici teorici. L’indagine sulla<br />
prospettiva si affermò con i pittori Masaccio, Piero della Francesca, Paolo Uccello,<br />
ecc., e con gli scultori Donatello e Ghiberti; il termine “prospectiva” è entrato nel<br />
linguaggio comune a indicare la ”scienza della rappresentazione”, talvolta<br />
accompagnata dagli aggettivi “pingendi” o “pratica”, per distinguere la nuova<br />
disciplina da quella che per secoli era stata oggetto di studio di filosofi, ossia la<br />
“scienza della visione” di origine greca, conosciuta nel Medioevo come<br />
”perspectiva communis” o “naturalis”, un’intuizione visiva che studiava il<br />
fenomeno della visione come fatto fisico.<br />
Nel “De prospectiva pingendi” (1474) Piero della Francesca pone l’esigenza teorica<br />
di trasformare le osservazioni empiriche in “vera scientia”, cioè in dimostrazioni<br />
matematiche; egli si rende conto che le deformazioni che subiscono le figure<br />
quando il nostro occhio le guarda sottostanno a delle leggi matematiche precise e<br />
determinabili; il descrivere un oggetto non a partire dall’oggetto stesso ma dai<br />
vari modi secondo i quali è possibile osservarlo, l’idea cioè di dare maggiore<br />
importanza alle leggi di rappresentazione, è l’idea più originale e moderna che<br />
ispira tutto il trattato.<br />
Tra i puri teorici domina la personalità di Luca Pacioli, autore del “De divina<br />
proportione”, pubblicato nel 1509; egli applica i principi geometrici alla<br />
architettura e allo studio delle proporzioni del corpo umano, chiama il rapporto<br />
tra un segmento e la <strong>sua</strong> sezione aurea (parte dello stesso media proporzionale<br />
tra l’intero e la rimanenza) “proporzione divina” e vuole metterlo a fondamento<br />
della perfezione estetica di un edificio e dello stesso corpo umano; così nel<br />
canone della figura umana di Leonardo l’ombelico divide l’altezza totale secondo<br />
la sezione aurea. <strong>Francesco</strong> di Giorgio Martini, Piero della Francesca e Luca Pacioli<br />
furono attivi alla corte di Urbino, dove si formò con Luciano Laurana l’ideale<br />
geometrico dall’estrema purezza, irradiandosi poi fino ad influenzare tutte le<br />
scuole del <strong>Rinascimento</strong>.<br />
Nel 1505 il francese J. Pelerin (Viator) scrisse un trattato sulla prospettiva,<br />
rifacendosi ai testi dell’Alberti: “Les Italz tiennent la palme” - così egli affermò, il<br />
primo a diffondere nel nord il rapporto arte - scienza, ormai consolidato in Italia.<br />
Nel 1506 il Dürer si recò a Bologna per farsi insegnare non la pratica ma “la<br />
conoscenza teorica delle leggi della prospettiva” che poi esporrà nel suo libro<br />
sulle ombre portate; egli si può considerare il maggiore diffusore oltralpe della<br />
scienza prospettica italiana.<br />
Nella penisola iberica l’influsso delle teorie italiane si avverte nel trattato di F. de<br />
Hollanda, portoghese, seguace di Michelangelo, e attivo a Roma nel 1538; l’autore<br />
si basa su Vitruvio, Dürer e Pomponio Gaurico.<br />
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Per quanto riguarda l’estetica rinascimentale, Leon Battista Alberti teorizza la<br />
concezione del “bello” come forma ideale che si identifica con il disegno, e da<br />
questa concezione deriverà la subordinazione del colore al segno, propria della<br />
pittura fiorentina; con lui si afferma la tesi del primato dell’ideazione<br />
sull’esecuzione. Con la visione neoplatonica, rappresentata artisticamente dalla<br />
linea botticelliana, il ritmo ascensionale delle figure, presente nell’arte gotica, si fa<br />
lirico, confermandosi come essenza mentale, ideativa dell’artista.<br />
Nella “Hypnerotomachia Poliphyli” (1499), trattato di <strong>Francesco</strong> Colonna, molto<br />
diffuso in Europa, che costituì un’ampia fonte di temi allegorici per le arti, si ha il<br />
riepilogo delle teorie umanistiche di “estetica”; l’identificazione dell’arte come<br />
operazione mentale, ammirazione per l’antichità e suo superamento da parte<br />
dell’artista moderno.<br />
<strong>Il</strong> recupero dell’individualità dell’artista, l’affermazione di un suo nuovo ruolo<br />
sociale, l’elevata considerazione delle arti in generale, sono i cardini su cui poggia<br />
la grande fioritura di testi sull’arte nel <strong>Rinascimento</strong>; l’esigenza di dare all’operare<br />
<strong>artistico</strong> un fondamento teorico e una base scientifica si esprime in numerosi<br />
trattati. Nel 1452 l’Alberti, archeologo e urbanista sotto Niccolò V a Roma, scrisse<br />
il trattato “De re aedificatoria”, sul modello del testo di Vitruvio; egli non fu tanto<br />
un” inventore” e un “costruttore” come il Brunelleschi, ma attuò nell’architettura<br />
(fatto sociale per eccellenza) la <strong>sua</strong> concezione umanistica del mondo e della<br />
storia. Ricordiamo che l’opera fu pubblicata a Strasburgo nel 1511 e nel ’41, a<br />
Parigi nel ’40 e nel ’43. <strong>Il</strong> trattato dello stesso Alberti “De pictura” uscì a Basilea<br />
nel 1540. Nel 1464 l’artista scrisse il “De statua”; nel ’47 ne uscì a Basilea<br />
un’edizione tedesca a cura del Rivius; questo stesso nel ’43 aveva scritto un<br />
trattato basato sull’Alberti e sul Serlio (vedi lez. n.19). Altri trattati scrissero<br />
<strong>Francesco</strong> di Giorgio Martini (Architettura civile e militare), il Filarete (il suo fu il<br />
primo trattato teorico di architettura in volgare, 1461), il Grapaldi (Architettura,<br />
’94). La teoria artistica del ‘400 culmina nella personalità di Leonardo da Vinci; il<br />
suo trattato sulla pittura (1498), inestimabile fonte di conoscenza e di ispirazione<br />
per tutti gli storici e artisti successivi, esercitò grande influsso sul Durer; nel 1651<br />
apparve a Parigi con le illustrazioni di N. Poussin. Leonardo tratta del primato<br />
delle arti e sostiene la superiorità della pittura; questa è senz’altro scienza<br />
naturale e mezzo di conoscenza e attraverso di essa si ha esperienza<br />
dell’universo, l’unica esperienza che conduca al sapere. Egli anticipa così di oltre<br />
un secolo la rivoluzione del concetto di scienza. L’antico e la maniera dei maestri<br />
non hanno per Leonardo che scarso interesse: al centro della <strong>sua</strong> poetica è la<br />
natura; egli immagina uno stile pittorico che comprenda a un tempo la forma<br />
plastica e l’atmosfera.<br />
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Opere importanti, diffuse anche all’estero, furono “De sculptura” di Pomponio<br />
Gaurico che tratta della fisiognomica, indicante il carattere specifico di ogni parte<br />
del corpo (l’autore fu anche in Germania e nei Paesi Bassi) e “Emblemata” di<br />
Andrea Alciato che tratta di aspetti dell’iconografia rinascimentale (simbolo e<br />
allegoria); essa si rifà all’opera del Colonna sull’origine e la moda degli emblemi,<br />
derivata a <strong>sua</strong> volta dal libro VIII dell’”Architettura” dell’Alberti in cui parla dei<br />
geroglifici. Nel 1556 Pietro Valeriano pubblicò a Basilea “Hierogliphica…”, un<br />
trattato di grande mole.<br />
In altre forme si viene intanto elaborando un primo sistema di “storia dell’arte”,<br />
costruita attraverso il filone della vita degli artisti, dai “Commentari” del Ghiberti<br />
alle celebri “vite” del Vasari (1550); lo sviluppo dell’arte italiana è visto come<br />
frutto delle grandi personalità creatrici, da Cimabue a Michelangelo. L’interesse è<br />
puntato sullo schema generale del percorso storico (rinascita, progresso e<br />
perfezione dell’arte) e sul ”modello“ stilistico della biografia. <strong>Il</strong> testo del Vasari<br />
ebbe enorme fortuna e divenne modello per analoghe trattazioni in epoca<br />
successiva all’estero oltre che in Italia; si ispirarono ad esso C. van Mander,<br />
pittore fiammingo, durante il suo soggiorno a Roma e a Firenze (sec. <strong>XV</strong>I) e J. von<br />
Sandrart, mentre nel trattato del Peacham abbiamo la traduzione di alcune “Vite” e<br />
ad esse si rifece anche il trattato in spagnolo del Carducci (Carducho).<br />
Quanto abbiamo detto della derivazione dall’antichità può essere facilmente<br />
verificato nella storia dell’architettura.<br />
Con Filippo Brunelleschi si inizia la tradizione, durata per più di quattro secoli,<br />
degli artisti che stimano indispensabile compiere la propria educazione sui<br />
classici a Roma; egli va nel 1402 nella città delle rovine con Donatello e fruga,<br />
scopre, misura, adora in umiltà. Tutti in seguito fecero come lui. Nelle proporzioni<br />
d’un capitello o d’una trabeazione del Foro si cercano con fede assoluta le leggi<br />
eterne della bellezza. Quel che gli artisti nuovamente impararono dall’antichità<br />
furono alcune particolari forme che si potrebbero dire lessicali e grammaticali<br />
(colonne, basi, capitelli, mensole, rosoni, motivi d’ornamenti, ecc.) che tuttavia<br />
non erano mai stati completamente dimenticati; e quando il Brunelleschi creò i<br />
primi monumenti dell’architettura quattrocentesca, essi gli nacquero strettamente<br />
congiunti agli edifici romanici di Firenze. Nello stesso tempo l’artista si fece<br />
portatore di una nuova tecnica, appresa sui monumenti antichi che gli permisero<br />
di voltare la grande cupola di S. Maria del Fiore senza bisogno di armature, ma<br />
soprattutto di una nuova ideologia: con lui infatti l’architetto non è più il<br />
capomastro medioevale, ma è il progettista, il creatore, in grado di risolvere con il<br />
suo lavoro intellettuale, in sede di progettazione, tutti i problemi della<br />
costruzione. Questo enorme salto qualitativo non sarebbe stato possibile al<br />
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Brunelleschi senza l’elaborazione di un fondamento teorico, quell’invenzione della<br />
prospettiva per la quale già i contemporanei lo esaltarono come iniziatore di una<br />
nuova era; il nuovo metodo di misurazione razionale dello spazio permise di<br />
creare un’architettura a misura d’uomo, in cui ogni parte sia armonicamente<br />
coordinata e proporzionata al tutto.<br />
Nel 1432 arriva a Roma Leon Battista Alberti; la <strong>sua</strong> “Descriptio urbis Romae”<br />
(1434) è il primo studio sistematico per una ricostruzione della città antica;<br />
l’Alberti non solo rintracciò, come il Brunelleschi, nel proporzionamento degli<br />
edifici romani la base della progettazione architettonica, ma da essi desunse una<br />
ricca tipologia strutturale e decorativa.<br />
Ricordiamo che l’amore per l’antichità spinse l’umanista Pomponio Leto a fondare<br />
l’accademia di archeologia, la prima del genere, nel 1465 a Roma.<br />
Si è parlato in scultura di un “realismo” quattrocentesco; in realtà gli statuari<br />
impararono dai classici a interpretare e a disciplinare questo ”reale” secondo uno<br />
stile misurato e chiaro, quello stesso dell’architettura, legato all’uomo che innalza<br />
a valore di simbolo. Gli scultori ora, come i pittori, cominciano a dare opere<br />
autonome, cioè non legate a decorazioni o destinazioni, ma create per il puro<br />
godimento della bellezza. Donatello, maggiore rappresentante del classicismo<br />
umanistico fiorentino, ne superò al tempo stesso i limiti stilistici e culturali;<br />
l’ispirazione classica fu da lui sempre rivissuta con straordinaria libertà e<br />
spregiudicatezza, in dialettico e vivo rapporto con la realtà umana e storica di<br />
Firenze e del suo popolo; nella <strong>sua</strong> opera matura e tarda Donatello seppe cogliere<br />
i sintomi della crisi degli ideali dell’Umanesimo, lasciando un’eredità di problemi<br />
nuovi che in modo diverso affronteranno Leonardo e Michelangelo.<br />
In pittura con Masaccio si svilupparono le tendenze plastiche di Giotto,<br />
svincolandosi dalle calligrafie del gotico internazionale; il suo stile è caratterizzato<br />
da una perfetta armonia di forma-colore, da un senso spaziale di accento<br />
realistico, con figure di una umanità “eroica” nella nobiltà di una profonda<br />
coscienza morale, saldamente ancorata alla vita.<br />
Ricordiamo in particolare quei pittori del secolo <strong>XV</strong> che influirono in maniera<br />
determinante su alcune personalità artistiche straniere: lo stile di Piero della<br />
Francesca è una sintesi tra la luminosità cromatica e una sublime misura dello<br />
spazio dalle arcane rispondenze geometriche (la prospettiva fu il principio<br />
essenziale del suo linguaggio); gli impassibili personaggi si legano in perfetta<br />
simbiosi con le architetture e gli sfondi di paese.<br />
Melozzo da Forlì immise nelle sue figure un più cordiale slancio di vita, attenuò<br />
l’astratta bellezza geometrica del suo maestro Piero, sostituendola con forme<br />
inquadrate in solenni impianti architettonici.<br />
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Domenico Ghirlandaio fu un notevole cronista della vita del suo tempo.<br />
<strong>Il</strong> Pinturicchio ebbe soprattutto un fastoso talento ornamentale, dotato di uno<br />
ispirate all’arte antica, di alta potenza drammatica nella modellazione dei corpi.<br />
spiccato senso narrativo.<br />
Andrea Mantegna creò forme di organica plasticità, di costruzione prospettica<br />
dello spazio; evocò un sogno di “eroica“ grandezza in immagini direttamente<br />
Antonello da Messina unì l’idealismo prospettico e plastico della tradizione<br />
italiana con il naturalismo minutamente realistico di quella fiamminga.<br />
Passando a considerare lo stile che caratterizza il ‘500, diciamo che l’architettura<br />
ebbe come punto di partenza quello stesso del secolo precedente, lo studio dei<br />
monumenti antichi, ma riuscì ad accostarsi in pieno al senso delle proporzioni dei<br />
Romani e al loro gioco di masse e di volumi. In confronto, mentre il ‘400 serbò<br />
sempre una snellezza e leggerezza che l’architettura aveva acquistato nello sforzo<br />
di assimilare e dominare alcuni elementi gotici e amò sempre una fioritura<br />
ornamentale, il ‘500 invece rifiutò la decorazione abbondante e restituì agli ordini<br />
classici, secondo gli esempi romani, la funzione costruttiva che essi avevano<br />
perduto; si tese a stabilire negli edifici equilibri e gerarchie di parti superiori e<br />
inferiori, centrali e laterali. L’architettura del ‘500 ci appare come una grandiosa<br />
composizione di masse profonde, espressa, sotto regole geometriche, in forme di<br />
vasta e solenne plasticità (come in Bramante). Michelangelo impresse nelle proprie<br />
costruzioni la visione scultorea dei pieni e dei vuoti, e nella nuova basilica<br />
vaticana il proprio “spirito eroico”, trasformando la pianta bramantesca come un<br />
colossale organismo plastico culminante nella cupola nella quale si raccoglie<br />
dinamicamente la tensione di tutte le membrature.<br />
La scultura del ‘500 muove naturalmente dallo studio attento della statuaria<br />
antica, i cui monumenti da poco scoperti (Apollo, Laocoonte, Torso del Belvedere,<br />
ecc.) appaiono come esemplari di perfezione assoluta; nasce la concezione che il<br />
vertice dell’arte è la rappresentazione del corpo umano nudo; inoltre le masse<br />
statuarie sono ora ordinate secondo vari piani direttivi (non più come nel ‘400 con<br />
intenzione di frontalità); ora con la loro ricchezza di intersezioni e di<br />
congiungimenti e con la varietà dei contrapposti e contrasti tra le membra che<br />
essi favoriscono, creano quasi una nuova umanità. La nuova concezione si<br />
realizza pienamente con Michelangelo.<br />
Nel secolo <strong>XV</strong>I gli ideali figurativi proposti nel secolo precedente giunsero a<br />
completa maturazione; si accentuò la tendenza al raggiungimento di un’armonia e<br />
di una perfezione formale che non possono che essere chiamate classiche, ma la<br />
cui misura non è strettamente esemplata sugli esempi dell’antichità, servendo<br />
questi solo come materiale di studio e di ispirazione.<br />
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In complesso il passaggio dal primo <strong>Rinascimento</strong> a quello maturo è segnato dalla<br />
conquista di una assoluta unità nella composizione che si attua in un pieno<br />
possesso dello spazio e contemporaneamente da una più grande complessità e<br />
ricchezza di motivi.<br />
Entro questi schemi la pittura del ‘500 immise quei contenuti che<br />
corrispondevano ai nuovi ideali umanistici, basati sulla esaltazione della dignità<br />
terrena dell’uomo. Si completa l’affermazione dell’individualità , già portata in sé<br />
a maturarsi dall’uomo del Medioevo (si pensi all’Ulisse dantesco); la figura del<br />
condottiero diviene simbolica, perciò nella pittura e nella scultura prende sviluppo<br />
la ritrattistica fine a se stessa, così come la medaglia e il monumento onorario;<br />
questa individualità prepotente in tutti i campi determina il fenomeno della<br />
universalità del genio; l’artista è completo e la scienza viene considerata un’arte<br />
essa stessa.<br />
<strong>Il</strong> centro <strong>artistico</strong> principale si sposta da Firenze a Roma dove grandi pontefici<br />
sentono in pieno il valore universale di artisti come Michelangelo e Raffaello; dopo<br />
il pontificato di Leone X e Giulio II, la città divenne oltre che il centro del<br />
Cristianesimo anche il centro universale dell’arte. <strong>Il</strong> <strong>Rinascimento</strong>, di origine<br />
classica e toscana, dall’armonia delle proporzioni, si manifesta a Roma in forme<br />
nuove e grandiose, e solo a Roma trova l’energia e l’autorità per diventare<br />
linguaggio europeo, universale, cioè come il nome stesso di Roma.<br />
Michelangelo e Raffaello attuano in sensi opposti quello che era stato da secoli<br />
l’ideale figurativo dei fiorentini: un mondo solidamente costruito da forme<br />
definite e di assoluta chiarezza, alla cui sommità stessero la figura e lo spirito<br />
dell’uomo.<br />
E se il primo solleva la propria aspra umanità a una vita eroica, sovrumana, il<br />
secondo, creando anch’egli un universo a propria immagine e somiglianza, fa<br />
invece discendere la divinità nella <strong>sua</strong> “humanitas” e per essa la trasfigura. La <strong>sua</strong><br />
qualità fondamentale è una limpida e misurata armonia , equilibrio di proporzioni,<br />
spaziate simmetrie, classica euritmia, bellezza ideale. <strong>Il</strong> classicismo romano trovò<br />
la <strong>sua</strong> massima espressione pittorica nelle Stanze (Scuola d’Atene) in Vaticano.<br />
Per Leonardo il discorso è diverso: la <strong>sua</strong> novità sta nel chiaroscuro, non più<br />
sottomesso alla linea e al colore, ma elemento primo della composizione; la<br />
natura, intensamente studiata, è immersa nello “sfumato”.<br />
In Emilia domina la figura del Correggio che trae suggestioni dallo sfumato<br />
leonardesco, arrivando a uno stile in cui la delicata liricità dell’ispirazione e la<br />
dolce luminosità dei colori contribuiscono alla creazione di un’atmosfera in cui<br />
sono immersi i paesaggi e le figure.<br />
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Venezia sembra trovare nel ‘500 l’esempio perfetto di forma artistica, atta ad<br />
interpretare il suo mondo sontuoso, esotico e sognante; l’arte pittorica veneta, al<br />
contrario di quella fiorentina dal gusto linearistico, si spiega nel trionfale canto<br />
del colore e della tonalità, moderna innovazione. Con Giorgione infatti prende<br />
l’avvio una pittura nella quale elemento primo della rappresentazione artistica<br />
diviene il colore che col graduarsi della quantità di luce da esso contenuta diventa<br />
capace di esprimere il rilievo delle forme: queste assumono colori morbidi e<br />
lievitanti nell’atmosfera che diventa così armonicamente fusa. La pittura tonale<br />
giorgionesca ebbe forte influenza sul giovane Tiziano che vi si esercitò da par<br />
suo. A questa pittura veneziana guarderanno quegli artisti dei secoli seguenti,<br />
fino al XIX, portati alle atmosfere fatte di toni caldi, scintillanti di luce, come per<br />
esempio il Watteau.<br />
Nel secolo <strong>XV</strong>I il nuovo gusto <strong>artistico</strong> richiama in Italia artisti e studiosi venuti a<br />
entusiasmarsi della gloria antica e a conoscere le meraviglie della civiltà nuova;<br />
artisti italiani si recano all’estero, apportando i primi germi della nuova arte.<br />
<strong>Il</strong> nuovo stile, diffondendosi, consentì un rinnovamento delle tradizioni artistiche<br />
locali nella felice sintesi dei temi e degli stili indigeni con i perfetti modelli italiani.<br />
A. Dürer, nutrito in Italia di cultura artistica veneziana e <strong>artistico</strong>-scientifica<br />
leonardesca, usa in anticipo su tutti il corrispettivo termine tedesco di rinascita,<br />
Wiederwachsung, collocandone l’inizio, dopo mille anni di oscurità, in Welschen<br />
landen, cioè in Italia, dove egli stesso se ne è fatto tramite al di là delle Alpi.<br />
Occorreva un lungo apprendistato per liberarsi della “maniera barbara” - come la<br />
definì lo storico e pittore fiammingo Van Mander - e appropriarsi dei canoni della<br />
bellezza propria degli italiani, basati sulla meditata scelta tra ciò che di meglio è<br />
presente nella natura insieme alle più armoniose e perfette forme dell’arte.<br />
Nella diffusione delle nuove correnti artistiche, interessi dinastici e politici ebbero<br />
una parte notevole; mercanti e banchieri italiani che avevano rapporti commerciali<br />
con gli altri paesi contribuirono in larga misura.<br />
L’arte incontra il mecenatismo; si mette al servizio di una ricca élite alto-borghese<br />
che trova la <strong>sua</strong> rappresentanza politica e i suoi modelli culturali nella famiglia<br />
Medici e in particolare nella personalità colta e spregiudicata di Lorenzo il<br />
Magnifico (1449-’92). Si sviluppa anche il mecenatismo privato: il mercante<br />
fiorentino Giovanni Rucellai asseriva di possedere “in casa nostra più cose di<br />
scultura e di pittura… di mano dei migliori maestri che siano stati da buon tempo<br />
in qua, non solo in Firenze ma in Italia”, intendendo molti dei suoi più grandi<br />
contemporanei.<br />
Dalla seconda metà del ‘400 appare con il rapporto committente - artista una<br />
nuova figura, quella del mercante d’arte; con il diffondersi del collezionismo il<br />
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mercato d’arte si era fatto più ricco di contrattazioni; i frequenti spostamenti degli<br />
oggetti da una raccolta all’altra, da un paese all’altro, avevano determinato il<br />
sorgere della speculazione; l’interesse commerciale per le cose d’arte era ormai<br />
destinato ad assumere uno sviluppo molto accentuato.<br />
Riesumato nella Firenze del ‘400 da Lorenzo il Magnifico e poi adottato<br />
universalmente, fu il nome dell’ edificio, dedicato alle muse, destinato a raccolta<br />
di opere d’arte. Già nel Medioevo l’accentramento della ricchezza nelle mani di<br />
pochi potenti favorì le raccolte di oggetti d’arte: primi nuclei dai quali, poi, col<br />
favore della cultura umanistica e del mecenatismo, strumento di prestigio politico<br />
delle famiglie più cospicue, trassero origine le raccolte del <strong>Rinascimento</strong>.<br />
Gli ambienti nei quali gli oggetti erano raccolti si chiamarono ”gabinetti”. Nel<br />
Natale 1471 Sisto IV, donando al popolo romano le opere d’arte raccolte nel<br />
Campidoglio, iniziava l’era delle pubbliche collezioni. La raccolta capitolina fu la<br />
prima ad avere un apposito palazzo.<br />
Tra i primi a costituire raccolte di opere d’arte furono i Medici. Ricchissime furono<br />
le collezioni: Gonzaga a Mantova, dei Montefeltro a Urbino, Estense a Modena,<br />
Farnese a Parma, ecc.<br />
Nel ‘500 le grandi conquiste dell’arte italiana ebbero altre conseguenze nella<br />
evoluzione del mecenatismo; i potenti di tutta Europa cominciarono a<br />
comprendere il prestigio che potevano trarre dal favorire le arti e presto si misero<br />
a competere con gli italiani. <strong>Francesco</strong> I, Massimiliano d’Asburgo e Carlo V<br />
contribuirono a introdurre un’idea la cui importanza doveva poi farsi sentire per<br />
molti secoli; proteggendo gli artisti un principe può procacciare gloria non solo a<br />
se stesso ma anche al suo paese.<br />
La penetrazione degli indirizzi artistici italiani nei paesi stranieri fu in genere<br />
accompagnata da movimenti paralleli in altri campi della cultura. L’esigenza di<br />
aggiornamento, voluta anche dai grandi committenti delle corti d’oltralpe,<br />
rendeva indispensabile il viaggio di studio in Italia che diveniva, al momento del<br />
ritorno in patria, un eccellente viatico per assicurarsi successo e fama. Importanza<br />
ebbero anche i movimenti religiosi; pure dopo l’avvento della Riforma alcuni stati<br />
italiani, come Venezia, mantennero le relazioni diplomatiche con l’Europa<br />
settentrionale e costituirono, in particolare per l’Inghilterra, un importante tramite<br />
con la cultura italiana.<br />
<strong>Il</strong> processo di assimilazione delle idee rinascimentali segue linee differenti nei<br />
diversi paesi; in alcuni, come la Spagna, la Francia e l’Ungheria, i motivi nuovi<br />
furono direttamente importati da artisti italiani; in altri casi si ebbe il processo<br />
inverso, per esempio con il Durer e con il fiammingo Mabuse. Tale processo fu<br />
212
irto di difficoltà, specialmente là dove esisteva già una robusta tradizione locale di<br />
architettura gotica o di pittura naturalistica.<br />
Occorre a tal punto precisare che il primo aspetto dell’arte italiana, accolto con<br />
successo nei paesi stranieri, fu lo stile decorativo tipico dell’Italia settentrionale e<br />
in particolar modo della Lombardia, in cui le strutture e i moduli rinascimentali<br />
vengono assorbiti e spesso quasi annullati dalla ricca ornamentazione policroma e<br />
dai rilievi. In un secondo tempo si diffonde la tecnica dello stucco; il suo grande<br />
ritorno come decorazione architettonica avviene trionfalmente nell’ambito del<br />
genio di Raffaello, allorché il suo allievo, Giovanni da Udine, riscopre la tecnica<br />
usata dagli antichi romani; si studiano le “grottesche”, quel particolare tipo di<br />
decorazione parietale, derivante da quello della Domus aurea di Nerone (le<br />
cosiddette grotte), costituite da fantastiche forme vegetali miste a figurette umane<br />
o animali, per lo più immaginari, in un insieme capricciosamente bizzarro e<br />
innaturale, ed eseguite a stucco e ad affresco. Le grottesche passarono anche alla<br />
scultura, raggiungendo finezza estrema di esecuzione. Giovanni da Udine, autore<br />
degli stucchi nelle Logge di Raffaello in Vaticano e a Villa Madama, dopo il sacco<br />
di Roma lavorò a Venezia , contribuendo alla diffusione dello stile romano in Alta<br />
Italia.<br />
Questo gusto si propagò anche in Germania; i rilievi di stucco, alternati a dipinti di<br />
grottesche, si inserirono per opera di maestranze quasi esclusivamente italiane<br />
nella tipica pesantezza del <strong>Rinascimento</strong> architettonico locale; esempi interessanti<br />
del come venissero interpretate le decorazioni raffaellesche si trovano nella<br />
Residenza di Monaco e nella casa dei Fugger ad Augusta (vedi lez. n.19).<br />
E ritroviamo in tutta l’Europa orientale questa circolazione di elementi di tecnica e<br />
di stile, dovuta quasi sempre ad artisti italiani, rivissuta però nelle forme di quel<br />
<strong>Rinascimento</strong> attardato. In Boemia, ad esempio, attorno alla metà del ‘500 se ne<br />
hanno interessanti manifestazioni nella decorazione di una sala del castello di<br />
Bucovice, improntata a squisite preziosità di sapore manieristico e, sotto certi<br />
aspetti, pre-barocco; negli ornati di Kratochville (Kurzweill), o nel camino del<br />
castello di Nelahozeves (Mulhausen) che ripete una tipologia sorta nel Veneto.<br />
Da questo stesso periodo gli stucchi, i motivi ornamentali ad affresco e la<br />
decorazione pittorica con figure in grandi composizioni rientrano nel movimento<br />
che si dirà manieristico (vedi lez. n.19), diffuso ad opera di artisti italiani dalla<br />
scuola di Fontainebleau, piuttosto che in una concezione stilistica propriamente<br />
rinascimentale. Sul finire del ‘500 l’intento teorico prende il sopravvento sul<br />
classicismo e conduce ad astratte formulazioni che lo riducono di fatto a<br />
disciplina didattica; in Francia invece i sostenitori del gusto aulico contro la più<br />
emozionata arte fiamminga identificano nel classicismo, introdotto da teorici e<br />
213
artisti italiani, l’universalità stessa dell’arte, la perfetta espressione dei supremi<br />
ideali del grande e del sublime. Più tardi, nel secolo <strong>XV</strong>III, il razionalismo<br />
illuministico fonderà sul classicismo la propria estetica , in antitesi all’arbitrio<br />
fantastico dell’arte barocca.<br />
L’elenco delle opere eseguite all’estero da artisti non italiani nei secoli <strong>XV</strong> e <strong>XV</strong>I e<br />
fondato sulla piena comprensione dello spirito del <strong>Rinascimento</strong> italiano e<br />
sull’alto idealismo formale classico non è molto lungo; in architettura citiamo il<br />
palazzo di Carlo V a Granada, opera di P. de Machuca, il chiostro di Tomar in<br />
Portogallo, opera di D. de Torralva, un paio di edifici di Ph. Delorme in Francia; in<br />
molti altri, nelle diverse parti d’Europa, si notano influssi solo parziali; in pittura<br />
troviamo le opere di P. Berruguete e alcuni dipinti del Durer, nel disegno i ritratti<br />
di J. Clouet, ecc. Per il resto lo stile italiano che gli artisti europei sentirono più<br />
congeniale fu, nella prima fase, quello invalso in Lombardia, dove sopravviveva<br />
una forte componente gotica, e nella seconda, il Manierismo che era in parte in<br />
polemica con lo stile rinascimentale. Per tutto il ‘400 in Francia, in Germania e<br />
nelle Fiandre la posizione sociale dell’artista seguita ad essere quella medioevale<br />
e così il gusto gotico persisterà a lungo; esemplare a questo riguardo la vicenda<br />
della grande pittura fiamminga che non è accompagnata da nessuna riflessione<br />
teorica lontanamente paragonabile a quella degli umanisti fiorentini, non si pone<br />
problemi scientifici e persegue un ideale di bellezza nel quale convergono il<br />
naturalismo lirico proprio del gotico, l’amore per il lusso, comune all’aristocrazia<br />
borgognona e ai mercanti fiamminghi, e il misticismo.<br />
Nel ‘500 si ebbe la diffusione delle teorie artistiche del <strong>Rinascimento</strong> fiorentino.<br />
Primo documento di tale diffusione possiamo considerare un poema del francese<br />
Lemaire de Belges, primo poeta umanista di Francia (1505): esso contiene un<br />
elogio di Donatello e di Marsilio Ficino.<br />
Per ordine di tempo la prima nazione che richiamò artisti italiani e opere d’arte<br />
dall’Italia fu la Spagna.<br />
Lo scultore Giuliano Fiorentino, detto il Facchino, fu attivo a Valenza, menzionato<br />
tra il 1418 e il ’24, come Julià lo Florentì; è forse da identificare con Giuliano di<br />
Giovanni da Poggibonsi, aiuto del Ghiberti nella porta del battistero di Firenze.<br />
L’opera principale è costituita da sei dittici, dodici rilievi di alabastro, per il coro,<br />
con storie del Vecchio e del Nuovo Testamento, nella cappella del S. Càliz della<br />
cattedrale.<br />
Lapi Geri, scultore fiorentino, è autore del frontale del retablo nella cattedrale di<br />
Manresa.<br />
Dello Delli, pittore, ancora legato ai modi tardogotici, nel 1445 è a Salamanca al<br />
servizio di Giovanni II, lavora al polittico della cattedrale e alla predella,<br />
214
dipingendo in 53 pannelli 20 figure di profeti; affresca il “Giudizio universale”<br />
nell’abside, lavora nel convento di s. Isabella d’Ungheria a Cantalapiedra e nella<br />
cattedrale di Valenza. <strong>Il</strong> fratello Sansone nel 1446 è a Siviglia, nel ’50 ad Avila<br />
dove esegue il retablo nella cappella di s. Stefano della cattedrale, collabora con<br />
Dello a Salamanca; dal ’62 è di nuovo ad Avila, lavorando nella cappella di s.<br />
Giovanni della cattedrale, nelle chiese di s. Maria e di s. Antonio, nella porta degli<br />
Apostoli, nel chiostro del “Noli me tangere”.<br />
Nel 1472 Paolo di San Leocadio, <strong>Francesco</strong> Pagano da Napoli e maestro Riccardo,<br />
recatisi al seguito del cardinale Rodrigo Borgia, affrescano il presbiterio della<br />
cattedrale di Valenza nel ’84 Paolo si impegna per altri lavori nella stessa<br />
cattedrale; nel 1501-’05 esegue il grande altare della collezione di Gandìa<br />
(“Passione e vita della Madonna”); nel ’11 vari altari nella stessa città; nel ’13 il<br />
capitolo di Valenza gli commissiona tredici grandi tele per gli sportelli dell’organo<br />
che dipinge con il figlio Filippo.<br />
Tra il <strong>XV</strong> e il <strong>XV</strong>I secolo troviamo a Barcellona Pietro Cavaro, pittore; qualche<br />
decennio più tardi Pietro Paolo Alberghi.<br />
<strong>Il</strong> Vasari ci dice che anche Andrea Sansovino fu in Spagna; a lui si attribuisce la<br />
tomba del cardinale nella cattedrale di Toledo (1493) o forse è di Andrea Bregno o<br />
di Domenico Fancelli; certamente è un’opera importata dall’Italia o lavorata in<br />
Spagna da mano italiana.<br />
Domenico Fancelli non sarebbe divenuto l’alfiere del <strong>Rinascimento</strong> nella scultura<br />
spagnola se non avesse avuto la straordinaria ventura di entrare nelle grazie di<br />
don Inigo Lopez de Mendoza, conte di Tendilla, che, inviato nel 1486 dai re<br />
cattolici in Italia per comporre la pace tra il papa Innocenzo VIII e la corte<br />
aragonese di Napoli, aveva soggiornato a Firenze, ospite di Lorenzo il Magnifico.<br />
<strong>Il</strong> conte scelse il Fancelli la cui fiorente bottega, dedita prevalentemente all’arte<br />
funeraria, godeva di un indiscusso prestigio e gli affidò l’incarico di eseguire il<br />
monumento funebre per il fratello Diego, arcivescovo di Siviglia, da collocare nella<br />
cappella di Nostra Signora de la Antigua in cattedrale. <strong>Il</strong> Fancelli acquistò a<br />
Carrara nel 1502 cinquantacinque carrate di marmo bianco, trasferite via mare a<br />
Genova, dove egli scolpì le varie parti del monumento da lui stesso montato nel<br />
’10 nella cattedrale di Siviglia; nel centro, sulla parete, al di sopra dell’urna con il<br />
giacente Diego Hurtado de Mendoza, appaiono tre rilievi della Vergine, di s. Anna<br />
e della Resurrezione, e nel registro inferiore i ritratti dei due fratelli<br />
dell’arcivescovo, committenti dell’opera; nel timpano è raffigurata l’Assunzione;<br />
sotto l’urna due rilievi, la Temperanza e la Giustizia, affiancano l’epitaffio, volto in<br />
latino dall’umanista italiano Pietro Martire, precettore alla corte dei re cattolici. Per<br />
suggerimento del conte di Tendilla il Fancelli ebbe dalla corte spagnola una<br />
215
committenza ben più prestigiosa, quella del sepolcro per l’infante don Juan, da<br />
erigersi nella chiesa di S. Tomàs ad Avila; nel 1511 l’artista si recò a Granada dove<br />
ebbe modo di studiare i ritratti del principe, nel ’12 ritornò a Carrara per<br />
l’acquisto del marmo e l’esecuzione del sepolcro che fu installato l’anno seguente<br />
nella chiesa del convento di S. Tomàs. Esso si erge, candido e solenne, nel centro<br />
del transetto, ai piedi dell’altare maggiore; il letto funebre, riccamente ornato, su<br />
cui giace il principe, è su un basamento le cui pareti sono decorate da motivi<br />
simmetrici, con santi nei tondi centrali, affiancati da figure allegoriche; magnifici<br />
grifoni si slanciano impetuosi dagli angoli.<br />
<strong>Il</strong> Fancelli ricevette poi dal re Ferdinando la commissione per il sepolcro che<br />
doveva accogliere le sue spoglie e quelle della moglie Isabella, defunta nel 1504.<br />
Per questo motivo egli ritornò a Carrara dove nel ’14 acquistò venticinque carrate<br />
di marmo; il monumento fu compiuto in tre anni ed installato personalmente<br />
dall’autore nella cappella reale della cattedrale di Granada. Esso è più ampio di<br />
quello dell’infante ad Avila, dovendo contenere due figure giacenti; nelle pareti<br />
inclinate sono rappresentati s. Giacomo e s. Giorgio che cavalcano focosi destrieri<br />
e nelle nicchie a conchiglia figure di santi; seduti agli angoli del basamento, i<br />
dottori della Chiesa vegliano il sonno dei re cattolici, i cui volti anche in questo<br />
caso sono stati idealizzati secondo i canoni estetici dell’artista. Nel 1518 gli eredi<br />
del cardinale Ximenes de Cisneros commissionarono a Fancelli il sepolcro di<br />
marmo di Carrara da collocare nella chiesa del collegio di S. <strong>Il</strong>defonso ad Halcalà<br />
de Henares; nello stesso anno il re Carlo I ordinò allo scultore il sepolcro per i<br />
suoi genitori, Filippo di Borgogna e Giovanna la Pazza, ancora in vita, da collocare<br />
nella cappella reale della cattedrale di Granada accanto a quello dei nonni,<br />
Ferdinando e Isabella. Nel frattempo l’artista assume con Antonio Fonseca,<br />
tesoriere generale del regno, l’impegno per le tombe destinate al Pantheon della<br />
famiglia del committente a Coca (Segovia); mentre si accinge a rientrare in Italia<br />
per dare inizio a tutte queste opere, lo scultore muore a Saragozza nel 1519. Tra<br />
le altre opere si ricordano: dieci statue di terracotta (perdute), quattro<br />
acquasantiere, vendute dallo scultore alle cattedrali di Valenza e Toledo (solo due<br />
rimaste nel transetto della cattedrale toledana).<br />
Al conte di Tendilla, come abbiamo visto, e a suo fratello, cardinale don Pedro<br />
Gonzalez de Mendoza che fondò il collegio di S. Croce a Valladolid, ben presto<br />
focolaio di studi e di arte rinascimentale, si deve l’introduzione dello stile italiano<br />
in Castiglia; il marchese del Cenete, figlio naturale del cardinale, portò dall’Italia i<br />
marmi del cortile e della scala per il castello di La Calahorra: furono fatti venire<br />
636 balaustre, 200 tavole di marmo nero, 150 mensole, 72 grandi pezzi vari, un<br />
portale, dei capitelli, zoccoli, lavorati a Genova. Michele Carlone, scultore e<br />
216
architetto, in Spagna nel 1509 con i fratelli Bernardino e Antonio, costruisce in tre<br />
anni il castello; alle sue dipendenze sono anche dei “magistri antelami”,<br />
provenienti dalla zona di Lugano, Pietro della Verda da Gandria, Baldassarre da<br />
Carnevale, Antonio Pilacorte da Carona, esperti nel lavorare il marmo. Per<br />
accelerare i tempi di costruzione vengono ingaggiati altri sette artisti, quattro<br />
lombardi (Egidio, Giovanni e Baldassarre de la Verda da Gandria, Pietro Antonio de<br />
Curto) e tre genovesi (Pantaleone Caciari, Pietro Bacioni e Oberto Carampi). Tutti<br />
lavorarono la pietra arenaria del luogo; oltre l’abbondante materiale già lavorato,<br />
fatto venire dall’Italia (1510), altri contratti si fecero a Carrara con Bartolomeo<br />
Pelliccia e Gabriele dei Bretoni; amministratore dell’impresa fu Martino<br />
Centurione, mercante genovese.<br />
Una famiglia di scultori molto importante è quella dei Gagini, oriundi di Bissone;<br />
dalla loro bottega, al ponte dei Coltellari a Genova, sono uscite le opere che,<br />
diffondendosi all’estero nei secoli <strong>XV</strong> e <strong>XV</strong>I (soprattutto in Francia e in Spagna),<br />
hanno contribuito all’affermazione del gusto rinascimentale italiano. All’inizio del<br />
‘500 i Gagini si associano all’altra grande famiglia di scultori, gli Aprile di Carona,<br />
e insieme operano in Spagna; la società dà così origine alla più importante<br />
“bottega di scultura” esistente in Europa.<br />
Nel 1520 il marchese di Tariffa, di passaggio a Genova nel viaggio di ritorno dalla<br />
Terrasanta, ordina alla bottega dei Gagini due monumenti funerari, l’uno per il<br />
padre Pedro Enriquez che sarà eseguito dagli Aprile, e l’altro per la madre<br />
Caterina de Ribera, eseguito da Pace Gagini. A completare il Pantheon dei<br />
marchesi di Tariffa concorrono Pietro Aprile, Antonio e Bernardino Gagini che<br />
scolpiscono allegorie, dieci statue e tombe, oggi tutte sistemate nella cappella<br />
dell’università di Siviglia. Molte altre opere sono attribuite ai Gagini in Spagna (la<br />
Madonna del latte, la Madonna dell’hospital de la Sangre e la Madonna in<br />
alabastro policromo a Barcellona, la pala di marmo bianco nella cappella di<br />
Escalas della cattedrale di Siviglia). Nel 1524 Giovanni Antonio Aprile, con Antonio<br />
della Scala, scolpisce la tomba del vescovo Ruiz, installato da Bernardino Gagini<br />
nella chiesa della Penitenza a Toledo. Nel 1532 con Pier Angelo della Scala gli<br />
Aprile eseguono il complesso monumentale (altare, trittico e tombe di famiglia)<br />
dei marchesi d’Ayamonte (il contratto fu stipulato nel 1525 per il tramite di Nicolò<br />
Cattaneo) per il convento di S. <strong>Francesco</strong> a Siviglia. Nel casello di Calahorra Pietro<br />
Aprile e Antonio Gagini eseguirono il boccale della cisterna; Pietro fece inoltre un<br />
barchile per il giardino del marchese del Zaneto a Calliguri di Granada; ordinarono<br />
dei lavori il duca d’Alba e il marchese de la Algaba.<br />
E’ poi la volta del palazzo arabo del marchese di Tarifa, 24 colonne, una fontana<br />
con delfini, un portale, medaglioni, oggi riutilizzati per la casa di Pilato in Siviglia.<br />
217
Antonio Maria Aprile con Antonio di Novo scolpisce nella <strong>sua</strong> bottega di Siviglia<br />
nel 1529 gli ornamenti destinati alla biblioteca della casa di Colombo, tra cui un<br />
portale. Si ha pure notizia di forniture di colonne da parte dello stesso Aprile e<br />
Bernardino Gagini per l’Alcazar di Siviglia. Infine alla scuola degli Aprile sono<br />
attribuiti i sepolcri di Alonso Carrillo e del fratello nella cappella di S. <strong>Il</strong>defonso<br />
della cattedrale di Toledo.<br />
Jacopo Torni o Jacopo Fiorentino, detto l’Indaco il vecchio, nel 1519 si reca in<br />
Spagna con Pedro Machuca, l’architetto venuto in Italia per un periodo di studio,<br />
con il fratello <strong>Francesco</strong>, e si stabilisce a Granada dove dirige la squadra di pittori,<br />
tagliatori di pietra e falegnami che lavorano nella cattedrale alla installazione<br />
dell’organo e delle porte della sagrestia; nel ’20 dipinge la cassa dell’organo. Con<br />
il Machuca esegue la pala della croce destinata ad inquadrare il famoso trittico di<br />
Dirk Bouts; esegue il fregio con medaglioni nella cappella del Gran Capitano, gli<br />
stalli del coro (con Martin Bello), la statua della Madonna e altre decorazioni sopra<br />
l’arco d’ingresso della cappella reale (con il fratello <strong>Francesco</strong>), un Cristo in legno<br />
nel convento dell’Angelo Custode, il gruppo della sepoltura (ora nel museo di<br />
Carlo V); Jacopo a Jaèn scolpisce il Cristo del Corpus in legno policromo nella<br />
chiesa della Maddalena; a Murcia il portale della sagrestia della cattedrale, gli<br />
ornamenti statuari e le decorazioni, gli stalli del coro e con il fratello <strong>Francesco</strong> un<br />
presepio in rilievo; a Villena nell’attuale casa municipale la pila battesimale (lavora<br />
in questa città anche come architetto).<br />
<strong>Francesco</strong> Torni, detto l’Indaco il giovane, dal ’19 al ’22 lavora nel castello di<br />
Velez Blanco, per il quale si ricorse ad operai italiani, con la collaborazione di<br />
Martino da Milano, con il quale esegue anche il fonte battesimale nella cattedrale<br />
di Granada e a Siviglia le sculture in marmo nel coro del duomo; infine a Murcia<br />
progetta la torre dell’orologio (ricordiamo che il bellissimo castello di Velez Blanco<br />
fu in seguito demolito; i soffitti a cassettoni, le ceramiche, le porte di noce<br />
scolpite, il finissimo arredamento, i blocchi marmorei, i ricchi pavimenti, le scale,<br />
tutto lavorato in Italia con marmo di Carrara, furono acquistati nel secolo XIX da<br />
un ricco signore che li fece impiegare in uno dei suoi palazzotti vicino Parigi).<br />
Pietro Torrigiani nel 1520 abbandona l’Inghilterra e si presenta a Granada; nel ’25<br />
è a Siviglia dove modella un busto di Isabella di Portogallo; il Vasari gli attribuisce<br />
opere di terracotta per il monastero di S. Girolamo di Buenavista. A Siviglia è<br />
conservata una Vergine con bambino (in terracotta policroma).<br />
Lo spagnolo B. Ordonez nel 1519 succede a Domenico Fancelli nell’esecuzione<br />
delle opere commissionate; nello stesso anno si trasferisce a Carrara, portando<br />
con sé Vittorio Cogono, Giovanni Rossi da Fiesole e Simone Bellalana, detto<br />
Mantovano, che già dal ’15 lavoravano con lui a Barcellona negli stalli del coro<br />
218
della cattedrale. A Carrara vengono assunti altri collaboratori: Marcuccio Bernardi,<br />
Pietro da Carrara, Pandolfo Fancelli (cugino di Domenico), <strong>Francesco</strong> da Como,<br />
<strong>Francesco</strong> e Nicola Ghetti, Astolfo e Giovanni da Firenze, Franchino della Torre,<br />
Domenico Vanelli, Pietro Mantovano, Giovannino Nelli, Tomeo da Menco,<br />
<strong>Francesco</strong> di Filippo Mastri, Domenico Ghare, Pietro Aprile, Bersagli, Girolamo da<br />
Santacroce e Giangiacomo da Brescia, Adamo Wibaldo e Tommaso Fornà, in totale<br />
con i tre collaboratori, venuti da Barcellona, 24 persone.<br />
Nel 1520 l’Ordoñez muore; il sepolcro di Filippo di Borgogna e di Giovanna la<br />
Pazza, progettato da Domenico Fancelli ed eseguito poi dall’Ordoñez, viene<br />
rifinito da Giovanni da Fiesole, Simone Bellalana, Vittorio Cogono e Domenico<br />
Ghare e consegnato a Granada nel ’21. La tomba del cardinale Cisneros,<br />
progettata dal Fancelli, terminata da Pietro Aprile, Giangiacomo da Brescia e<br />
Girolamo da Santacroce, è collocata nella cappella ad Alcalà nel ’24; le tombe dei<br />
Fonseca (don Alonso e la madre), disegnate dal Fancelli, sono eseguite da Pietro<br />
Aprile e Marcuccio Bernardi e giungono a Coca nel ’33. Simone Bellalana e<br />
Giovanni da Fiesole terminano la tomba del vescovo di Burgos, abbozzata<br />
dall’Ordoñez; il secondo lavora anche a Granada, così come Giuseppe Sangronis.<br />
Dell’arte di Ordoñez dobbiamo dire che la maniera del Fancelli venne modificata<br />
nelle sue ultime opere da influssi michelangioleschi; egli visse diversi anni a<br />
Napoli e a Genova oltre che in Toscana.<br />
Celebre fu Giovanni Moretto (Juan de Moreto); diffuse l’arte degli scultori<br />
lombardi, lavorò a Tarascona con Nicola Lovato; nel 1521 a Jaca fu “maestro<br />
architetto”. Nella cappella di S. Michele della cattedrale eseguì in collaborazione<br />
con C. Joly il retablo, con statue di s. Rocco, s. Giuseppe, s. Paolo e s. Cristoforo;<br />
nel ’25 a Saragozza (con il Picart) fece il retablo dell’ ”Ecce homo” nella chiesa di<br />
S. Filippo, quello nella chiesa di S. Michele, gli stalli del coro nella basilica del Pilar<br />
(con l’Obrey e il Lovato), nel ’30 eseguì il retablo della chiesa di La Almolda, nel<br />
’38 quello della chiesa di S. Sebastiano a Borja. Suoi sono anche quelli di s.<br />
Michele Arcangelo nella parrocchiale di Ibdes, della Ermita de la Virgen a<br />
Moncayo, della cappella de los Concillos nella cattedrale e della cappella della<br />
Visitazione a Tarazona, e infine quello di Valladolid (ora nel museo). A Plasencia il<br />
Moretto lavorò nella chiesa del Salvador, eseguì il busto di s. Anna nella<br />
parrocchiale di Tauste, fece lavori anche per le chiese di Alquezar, Alcaniz,<br />
Belchite, Calnergo, Hijar, Mora, Roda, Sallent de Galleco. <strong>Il</strong> figlio Pietro lavorò a<br />
Barrozar, Anorbe, Orobia e Saragozza.<br />
Molti altri scultori italiani operarono in Spagna nel secolo <strong>XV</strong>I: <strong>Francesco</strong><br />
Camilliani nel palazzo di Abadia (Caceres), Giovanni Marigliano da Nola, autore<br />
della tomba di don Ramon Folch da Cardona nella chiesa di Bellpuig; Clemente<br />
219
Virago che eseguì scudi ed armi nobiliari; Antonio Fiorentino che progettò e fece<br />
la cancellata de la Antigua nella cattedrale di Siviglia e il Paso de la Semana Santa;<br />
ricordiamo inoltre Bonifacio Bernardino, Giuseppe Carlone, Pietro Castello, Andrea<br />
e Gaspare de Luca, Giovan Battista Franconio, Giovanni da Lugano, Michele<br />
Fiorentino. Tra gli architetti troviamo Antonio Sillaro e Giuseppe Valeriani, anche<br />
pittore.<br />
Sotto Carlo V le influenze italiane in Spagna raggiunsero il massimo sviluppo; egli<br />
infatti ebbe una grande preferenza per l’arte rinascimentale italiana, come<br />
dimostrano la <strong>sua</strong> amicizia per Tiziano e le numerose commissioni fatte ad artisti<br />
italiani (Ricordiamo che per la Spagna Tiziano dipinse complessivamente undici<br />
ritratti di Carlo V, tredici di Filippo II, tre della regina Isabella, uno della sorella di<br />
Filippo II). Nel 1537 andò a Granada Nicolò da Corte, eseguì lavori sulla facciata<br />
del palazzo di Carlo V nell’Alhambra (tra cui la statua della Fama per il portale) e<br />
quattro pannelli di marmo; forse lavorò a Salamanca nel palazzo del duca d’Alba e<br />
a Gabia fece il retablo della parrocchiale, a Granada eseguì anche la fontana del<br />
Pilar.<br />
Per gli artisti italiani attivi al tempo di Filippo II si rimanda alla lezione sul<br />
Manierismo.<br />
L’influsso dei modi quattrocenteschi italiani sui pittori spagnoli si avverte già in R.<br />
da Osona il vecchio che segna il passaggio a Valenza dall’influenza fiamminga a<br />
quella italiana, evidente nell’uso della luce e nell’ambientazione architettonica<br />
delle scene. Influssi si avvertono anche nella pala d’altare della cattedrale di Lèon,<br />
nella Spagna settentrionale, (seconda metà del secolo <strong>XV</strong>) accanto a quelli<br />
borgognoni.<br />
Molti pittori spagnoli si formarono in Italia nel corso dei secoli <strong>XV</strong> e <strong>XV</strong>I. Pedro<br />
Berruguete operò a Urbino verso il 1477, influenzato da Piero della Francesca e<br />
Melozzo da Forlì; A. del Rincòn di Guadalajara, completamente italianizzante, fu<br />
educato nella bottega del Ghirlandaio; negli ultimi anni del ‘400 J. De Pereda subì<br />
influenze del Pinturicchio; Jacopo da Valenza studiò con Antonello da Messina<br />
prima in Sicilia e poi a Venezia (sec. <strong>XV</strong>-<strong>XV</strong>I). F. Yanez de la Almedina e F. Llanos<br />
ripetono modi lombardi e dell’Italia centrale; essi furono alla scuola di Leonardo e<br />
forse parteciparono all’esecuzione del cartone della battaglia d’Anghiari; tornati in<br />
patria nel 1506, crearono opere determinanti per lo sviluppo della pittura a<br />
Valenza in senso rinascimentale.<br />
Tra gli scultori spagnoli del secolo <strong>XV</strong>I citiamo D. Forment, seguace di Donatello;<br />
Alonso Berruguete, allievo di Michelangelo; D. de Siloe, di formazione<br />
completamente italiana, avendo lavorato a Napoli con l’Ordoñez.<br />
220
Dopo la conquista di Granada (1492) vennero costruite in Spagna numerose<br />
chiese i cui architetti si ispirarono al nuovo gusto, come la cattedrale di S. Cruz a<br />
Valladolid, la nuova cattedrale di Salamanca e quella di Segovia; così pure forme<br />
rinascimentali si ritrovano nel cortile del collegio della stessa cattedrale di<br />
Valladolid, nella casa Lonja a Siviglia, nel castello di Sabiote.<br />
Per primo si diffuse lo stile bramantesco (primo <strong>Rinascimento</strong> spagnolo), come è<br />
evidente nelle cattedrali di Malaga, Jaen, Cadice, nella scala monumentale della<br />
cattedrale di Burgos; nella cattedrale di Granada D. de Siloe unisce elementi della<br />
tradizione gotica con elementi “romani” (l’opera avrà un grande influsso<br />
sull’architettura plateresca in Andalusia). A. de Covarrubias nella cappella della<br />
cattedrale di Toledo subì l’influsso di Michelangelo, attento a un classicismo<br />
interpretato prevalentemente nella chiave del maestoso.<br />
Nel sontuoso palazzo fatto costruire da Carlo V a lato dell’Alhambra di Granada,<br />
opera del Machuca, lo schema planimetrico, l’ordine rustico, la loggia ad arco, gli<br />
slittamenti dell’ordine rinviano alla maniera di Giulio Romano e quindi ai temi<br />
bramanteschi e raffaelleschi. Frattanto F. de Villalpaldo, architetto e scultore,<br />
diede grande impulso alla diffusione dell’arte italiana in Spagna, anche con la<br />
traduzione del III e del IV libro dell’ ”Architettura” del Serlio.<br />
Nella seconda metà del secolo si inizia l’altra fase del <strong>Rinascimento</strong> in Spagna; per<br />
J. De Toledo e J. De Herrera vedi lezione sul Manierismo.<br />
Francisco Becerra, aperto agli influssi romani, portò i modi rinascimentali in<br />
Messico (cattedrale di Puebla) e in America meridionale (chiesa di S. Domingo a<br />
Quito, cattedrali di Cuzco e Lima).<br />
In Portogallo il <strong>Rinascimento</strong> italiano arriva per il tramite di alcuni scultori<br />
francesi; esso agisce moderando la straordinaria libertà di forme, il pittoresco<br />
apparato decorativo dello stile manuelino.<br />
Andrea Contucci, detto il Sansovino, secondo il Vasari fu in Portogallo dal 1492 al<br />
1500. Nessuna opera può essere assegnata alla <strong>sua</strong> mano con sicurezza, mentre è<br />
possibile riconoscere la <strong>sua</strong> diretta influenza nel “San Girolamo” e nel “San<br />
Giovanni Battista” della chiesa di S. Marco in Coimbra.<br />
Sono numerose le terrecotte invetriate che possiamo assegnare alle officine<br />
robbiane; alcune di queste sculture vennero direttamente commissionate nella<br />
stessa Firenze al tempo di re Manuel (1495-1521), come i tondi che erano inseriti<br />
nel portale della chiesa della “Madre di Dio” a Lisbona o il tondo con due putti che<br />
sorreggono lo stemma reale. A Giovanni della Robbia è attribuita una statua in<br />
terracotta invetriata raffigurante ”San Girolamo” nella chiesa ”Dos Jeronimos” a<br />
Belèm. Rivelano mano italiana la tomba della chiesa di S. Domenico a Lisbona, il<br />
sarcofago di G. Brandam nella chiesa di S. <strong>Francesco</strong> a Oporto (opere del <strong>XV</strong>I<br />
221
secolo); il pulpito di S. Croce a Coimbra ha una mirabile decorazione in puro stile<br />
rinascimentale; il paliotto d’altare nella chiesa “da luz” a Lisbona è attribuito al<br />
Mosca (sec. <strong>XV</strong>I), così come le “Storie di s. Girolamo” nel transetto della chiesa del<br />
convento di Belem. Nella basilica di Batalha lavorarono lo scultore in legno Pietro<br />
Tacca (dal 1549 al ’61) e i pittori Antonio e <strong>Francesco</strong> Tacca, ricordati dai<br />
documenti tra il ’32 e il ’66.<br />
Gusto italiano presentano a Lisbona il portale della chiesa della Madonna di Loreto<br />
e il chiostro del convento della Madre di Dio; a Sintra il portale presso il palazzo<br />
reale; a Coimbra la “porta speciosa” della cattedrale vecchia, la cappella del<br />
Sacramento e il chiostro del Carmine; a Viana do Castelo la chiesa della<br />
Misericordia, la facciata della chiesa di S. Domenico e il portale di S. Sebastiano; a<br />
Lagos il portale della chiesa “do compromisso maritimo”; a Evora, il centro<br />
<strong>artistico</strong> portoghese più italianizzante, il portale del cimitero, la facciata del<br />
convento della Grazia in stile michelangiolesco, il chiostro e il portale di questa<br />
chiesa e quello di S. Chiara; a Tavira il portale della chiesa della Misericordia, a<br />
Caminha la chiesa parrocchiale, a Braga il palazzetto. A Thomar l’influsso<br />
tipicamente fiorentino è palese nella chiesa della Concezione, mentre quello<br />
romano è presente nella cappella absidale del convento dei “Jeronimos”.<br />
Tra i pittori rinascimentali ricordiamo Antonio Fiorentino che affrescò la “Sacra<br />
conversazione” nella chiesa di S. <strong>Francesco</strong> a Oporto ed eseguì il ritratto di re<br />
Giovanni.<br />
Nel 1536 fu inviato a Safri in Africa come architetto militare per il Portogallo<br />
Garcia da Bologna.<br />
Tra gli artisti portoghesi che studiarono o si formarono in Italia citiamo A. Pires<br />
d’Evora e F. de Hollanda, pittore e scrittore, noto soprattutto per il suo trattato<br />
della pittura antica (1547-’49), lode appassionata del classicismo; l’autore aveva<br />
soggiornato a Roma ed era stato allievo di Michelangelo. Al trattato seguono<br />
quattro dialoghi nei quali intervengono l’autore, Vittoria Colonna e Michelangelo,<br />
delle cui idee sull’arte il testo è interessante testimonianza; ricordiamo che il de<br />
Hollanda lasciò di Michelangelo anche un prezioso ritratto miniato.<br />
L’Ungheria sembra avere avuto piuttosto tempestivamente contatti con la cultura<br />
italiana; il condottiero Filippo Buondelmonti degli Scolari, detto Pippo Spano,<br />
conte e governatore di Temesvar, divenne uno dei consiglieri più intimi del<br />
sovrano, edificò fortezze ai confini dello stato, combattè con successo per diciotto<br />
volte contro turchi e veneziani; un fratello fu governatore della Valacchia, un<br />
cugino vescovo di Varadino. Pippo aveva cominciato la carriera in Buda come<br />
garzone nella bottega dei Pecchia, una famiglia fiorentina trapiantatasi già nel<br />
secolo XIV per il commercio della seta; uno degli antesignani della cultura<br />
222
inascimentale in Ungheria, protettore di artisti, padrone di vastissime terre, fece<br />
costruire 180 chiese, un ospedale a Lippa, un palazzo ad Ozora, una cappella<br />
sepolcrale ad Albareale; ad Ozora fece arrivare l’acqua dal lago Balaton, forando<br />
un monte.<br />
L’architetto toscano Manetto Ammannatini, fatto venire dallo Scolari con lo<br />
scultore in legno Pellegrino delle Tarsie, diresse la costruzione dei castelli e delle<br />
chiese; dopo la morte dello Scolari passò al servizio di re Sigismondo, divenendo,<br />
oltre che direttore dei lavori, uomo di fiducia del re.<br />
Alla corte dello Scolari lavorò anche Masolino da Panicale; arrivato in Ungheria nel<br />
1425, affrescò per lui ad Albareale, a Lippa, e forse a Temesvar; probabilmente<br />
dipinse anche a Vesprino per il vescovo Branda Castiglione e fu infine a Buda alla<br />
corte di re Sigismondo. Tutti i suoi affreschi andarono perduti durante l’invasione<br />
turca. Alla morte del sovrano che era stato incoronato a Roma dal papa nel 1430<br />
e aveva avviato i contatti con l’arte italiana, successe Mattia Corvino che regnò dal<br />
1458 al ’97 ed ebbe un’ammirazione sconfinata per la cultura italiana. Anche per<br />
il tramite della regina Beatrice, <strong>sua</strong> sposa, figlia di Ferdinando d’Aragona, re di<br />
Napoli, egli fu in diretto contatto con i grandi centri artistici italiani. A lui Angelo<br />
Poliziano donò tutta una collezione di preziosi manoscritti; il re comprendeva<br />
l’arte come il suo più gran diletto e in questa visione di bellezza riunì alla <strong>sua</strong><br />
corte i maggiori artisti del tempo. Ebanisti, scultori, architetti, copisti, storici,<br />
scienziati giunsero a Buda, e in maggior numero vennero dall’Italia, anzi erano<br />
tanti gli artisti italiani in Ungheria che ”ovunque si sentiva l’armoniosa cadenza<br />
italiana”. Da Lorenzo il Magnifico Mattia Corvino ricevette due bassorilievi in<br />
bronzo del Verrocchio, rappresentanti Alessandro Magno e Dario; lo stesso<br />
scultore eseguì una fontana marmorea per incarico del re. Ludovico il Moro inviò il<br />
Caradosso, con l’incarico di portare un Bacco e altri oggetti d’arte.<br />
Furono chiamati dal sovrano gli architetti Aristotele Fieravanti (o Fioravanti) che<br />
trascorse alcuni mesi a Buda nel 1467 al servizio della corte come ingegnere<br />
militare (gli si attribuisce un ponte sul Danubio), Ambrogio di Cappo, Antonio da<br />
Pallanza, Pier Antonio de Suigo, Lorenzo de Canturio, Cristoforo de Panigatis.<br />
Architetti anonimi italiani innalzarono per lui il palazzo di Visegrad (ora distrutto),<br />
luogo di custodia della corona ungherese, tale da eguagliare i più bei palazzi<br />
italiani, definito dal legato pontificio ”un paradiso terrestre”. Mattia Corvino<br />
incaricò poi l’architetto, scultore e intagliatore fiorentino Chimenti Camicia<br />
(Clemente di Leonardo) di ricostruire, ampliandolo, il castello di Buda in forme<br />
rinascimentali; il Camicia vi lavorò dal 1480 al ’94, ebbe alle sue dipendenze<br />
numerosi connazionali, tra i quali ebanisti e intagliatori di legno.<br />
223
Giovanni Dalmata, scultore e architetto, fu chiamato dal re nel 1481, stette circa<br />
dieci anni in Ungheria, fu onorato a corte; gli sono attribuiti due ritratti in<br />
bassorilievo del re e della regina, parti scultoree del castello di Visegrad e sculture<br />
nella cattedrale di Vàcz.<br />
Benedetto da Maiano, scultore e intagliatore, lavorò a Buda per il re come scultore<br />
in legno, in terracotta e in marmo (di questa <strong>sua</strong> attività in Ungheria parla il<br />
Vasari).<br />
Dai pochi frammenti rimasti della decorazione della reggia di Buda emerge che gli<br />
scultori chiamati alla corte di Mattia Corvino erano tutti di alto livello. Sappiamo<br />
che alcuni frammenti scultorei sono di opere fatte da Giovanni Ricci da Sala,<br />
autore anche della “Madonna” di Visegrad, città in cui lavorò maggiormente.<br />
Capolavoro dello stile rinascimentale è la fontana figurata di marmo rosso,<br />
eseguita nel 1480-’85 da un maestro italiano. Le opere di costruzione regia<br />
subirono un arresto dopo la morte del re (1490); furono riprese durante il regno<br />
di Ladislao II nel ’97 e durarono fino al 1505.<br />
<strong>Il</strong> Camicia, dopo un breve periodo passato a Firenze, riprese la direzione dei lavori<br />
a Buda fino all’ultimo periodo della <strong>sua</strong> vita; il Vasari ci dice che morì (dopo il<br />
1505) per l’eccessivo lavoro fatto per il re: ”Costruì palazzi, giardini, fontane,<br />
templi, fortezze ed altre molte muraglie d’importanza, con ornamenti, intagli,<br />
palchi lavorati ed altre simili cose”. Nel castello, distrutto dai turchi, vi erano<br />
cortili porticati, sontuosi ambienti interni, una biblioteca monumentale, grandi<br />
statue di bronzo e fontane.<br />
Tra i grandi pittori ricordiamo Ercole de’ Roberti che dipinse per il re (1487);<br />
Filippino Lippi che inviò al re un “Cenacolo”, una “Madonna” e altri quadri e fece il<br />
disegno di una pianeta; Antonio del Pollaiolo che disegnò il tappeto del trono (ora<br />
nel castello di Galgoc); su disegno del Botticelli fu tessuto il paramento della<br />
messa conservato a Nagyszeben (oggi Sibiu); alcuni quadri di Berto Linaiolo,<br />
dipinti a Firenze, furono portati dal Camicia al sovrano e destarono molta<br />
ammirazione.<br />
<strong>Il</strong> cardinale Ippolito I d’Este, nipote di Beatrice d’Aragona, divenuto primate<br />
d’Ungheria, chiamò artisti italiani a Strigonia (Esztergom) e fece innalzare<br />
monumenti di carattere rinascimentale nel palazzo vescovile e nella cattedrale.<br />
<strong>Francesco</strong> Francia eseguì per lui una splendida croce, ornata di nielli e rilievi<br />
(croce apostolica del regno), oggi nella cattedrale.<br />
Tommaso Bakòcz, primate d’Ungheria nel 1500, a Strigonia, divenuto il centro di<br />
cultura più importante della stessa corte, fece costruire nel ‘07 da un maestro<br />
della scuola di Giuliano da Sangallo una cappella che da lui prese il nome,<br />
224
incorporata nel 1823 nella nuova cattedrale; egli si valse dell’opera di pittori e<br />
scultori italiani.<br />
<strong>Il</strong> Pinturicchio disegnò la pianeta che il cardinale fece ricamare in Italia (oggi nel<br />
museo di Strigonia); Alberto Fiorentino, seguace di Filippino Lippi, eseguì gli<br />
affreschi della cappella (si è conservato il frammento delle “Quattro virtù”);<br />
mirabile esempio di arte rinascimentale è l’altare, opera di Andrea Ferrucci, della<br />
scuola di Giuliano da Sangallo, eseguita a Firenze, con gli ornati scolpiti da<br />
Giovanni Fiorentino. Lo stesso Ferrucci inviò una fontana di marmo al re Ladislao<br />
II e un tabernacolo a Pècs. Giovanni Fiorentino, chiamato in Ungheria e in Polonia<br />
dal 1510 al ’17, eseguì una vasca battesimale di marmo rosso a Granvaradino; a<br />
Menijo si conservano un suo portale, un fonte battesimale firmato e un ciborio.<br />
Vincenzo da Ragusa eseguì i portali delle chiese di Berevice, Hethars e Kiszeben<br />
ed un ciborio per la chiesa di Hethars; sono di fattura italiana il ciborio del<br />
vescovo Nagyzevry nella chiesa parrocchiale di Pest, gli stalli di pietra nel coro<br />
della chiesa di Nyrbator, il tabernacolo di Pecs. Del 1512 è la cappella Lazòr di<br />
Alba Julia, riccamente ornata di statue; ai primi anni del secolo si possono datare<br />
alcuni monumenti sepolcrali dall’ornato rinascimentale, con le figure dei defunti<br />
intese come ritratti (pietre tombali di J. Zapolya a Szepeseshely, e di I. Perenyi a<br />
Toketerebes). In Ungheria e in Polonia operò lo scultore <strong>Francesco</strong> Italico.<br />
Tra i pittori italiani in Ungheria nel secolo <strong>XV</strong>I troviamo Bernardo da Lugano che<br />
decorò a Bartfa la cappella di S. Egidio e introdusse la tecnica del graffito,<br />
decorando i bastioni della città; soprattutto nel nord del paese, a Szepes e a<br />
Saros, ornati a graffiti sono presenti in castelli, chiese e campanili. Ricordiamo<br />
anche Raffaello da Gallieno, il Visino e Giovanni Antonio da Pordenone che lavorò<br />
alla corte di re Giovanni Zapolya in Transilvania e ottenne nel 1535 la nobiltà<br />
ungherese; in questa regione motivi ornamentali italiani sono nei soffitti a<br />
cassettoni dipinti.<br />
Nel secolo <strong>XV</strong>I tra gli architetti fu celebre Pietro Ferabosco, anche come pittore e<br />
scultore; grande architetto militare, provvide alla costruzione e al consolidamento<br />
di molte fortezze. I sovrani chiamarono schiere di ingegneri militari dall’Italia per<br />
le difese dei confini contro la minaccia turca; la dominazione ottomana dal 1526<br />
al 1686 su due terzi del territorio ungherese arrestò l’evoluzione artistica nelle<br />
zone centrali, compresa Buda. Le regioni settentrionali e occidentali, sotto la<br />
dinastia degli Asburgo, rimasero invece in contatto con l’arte italiana attraverso<br />
Vienna e Praga, fonti del <strong>Rinascimento</strong> nell’Europa centrale. Nel secolo <strong>XV</strong>I furono<br />
ricostruiti da architetti italiani i castelli secondo il nuovo stile, così come molte<br />
chiese e palazzi distrutti. Un Italus trasformò il castello di Szamosujvar per il<br />
cardinale Giorgio Martinuzzi; un Alessio edificò a Bartfa un palazzo che aveva<br />
225
“fenestras ytalicales”; fece molti lavori Giovanni Maria Speciecasa (Giovanni Maria<br />
da Napoli o Johannes Maria Italus). <strong>Il</strong> castello più grande dell’alta Ungheria è<br />
quello di Nagylicse con un arioso cortile porticato di chiara origine italiana (1571-<br />
1605). In questa regione si affermarono forme nuove come i muri coronati da<br />
cornicioni, di origine veneta; a Frics, Kèsmark, Eperjes, Betlhenfalva, ecc. si<br />
costruirono palazzi sotto l’influsso dell’architettura veneziana.<br />
In Slovacchia, sotto la corona magiara, furono costruiti a Levoca (Locse) in stile<br />
rinascimentale il palazzo comunale, la casa dei Thurzò e altre case private; le<br />
decorazioni in stucco della casa dei Thurzò furono eseguite da stuccatori anonimi<br />
italiani.<br />
In Transilvania, a Cluy (Koloszvar) operarono all’inizio del secolo <strong>XV</strong>I, oltre a<br />
numerosi scalpellini venuti dall’Italia, gli scultori e architetti Giovanni Fiorentino,<br />
Domenico da Bologna, Antonio Castello, Agostino Serena che dettero luogo a uno<br />
stile detto “rinascimentale fiorito” a contatto con il decorativismo locale; influssi<br />
dell’Italia settentrionale si ritrovano a Gherla, a Cris, ecc. Simone da Milano,<br />
architetto regio, nel 1568 dirigeva i lavori del castello di Munkacz (Mukacevo) in<br />
Transcarpazia, che costruiva con operai italiani.<br />
Alessandro da Vedano fu “magister muratorum regius”; i suoi discendenti, fissatisi<br />
nella regione, divennero i nobili Vedano che parteciparono attivamente alla vita<br />
dello stato; egli lavorò con Niccolò da Milano al castello di Sarospatak (1570),<br />
opera cominciata da Felice da Pisa anni prima, gli ornamenti della torre e la<br />
bellissima loggia rivelano influssi lombardi del primo <strong>Rinascimento</strong>.<br />
<strong>Il</strong> nuovo stile ispirò molti artisti ungheresi; J. Aquila segnò per primo i caratteri<br />
nuovi nella pittura, colonie di pittori si formarono a Siena e a Ferrara nel <strong>XV</strong><br />
secolo, come Michele Pannonio che lavorò per Borso d’Este nell’ambiente del<br />
ferrarese Cosmè Tura. Tommaso di Cluy si ispirò nelle sue tavole a Gentile da<br />
Fabriano, influssi umbri sono nella “Visitazione” di Csegold (sec. <strong>XV</strong>) e nell’altra<br />
della cattedrale di Kassa (sec. <strong>XV</strong>I); seguace dei modelli fiorentini si rivela il<br />
maestro ungherese della “Madonna di Bathory” (1526).<br />
La Polonia già nel secolo XIV, sotto Ladislao II Jagellone, attraverso le colonie<br />
italiane del Mar Nero era entrata in più stretti rapporti commerciali con gli italiani<br />
che cominciavano ad affluire entro i suoi confini; aveva, infatti, relazioni con<br />
Genova, Firenze, Venezia e Milano. A Cracovia i contatti si fecero più intensi<br />
all’inizio del ‘500 quando cominciò ad affermarsi il gusto rinascimentale.<br />
L’esempio di Mattia Corvino, re d’Ungheria, protettore di artisti italiani, fu ripreso<br />
in Polonia, quando il principe Sigismondo, futuro re, si recò in visita presso il<br />
fratello Ladislao, succeduto sul trono d’Ungheria a Mattia, ed ebbe modo di<br />
vedere quanto era stato realizzato a Buda da architetti, scultori e pittori italiani.<br />
226
Conseguenza di tale visita, avvenuta poco prima del 1500, fu l’assunzione al<br />
servizio dei sovrani polacchi di alcuni artisti italiani, in quel momento attivi in<br />
Ungheria. <strong>Il</strong> matrimonio tra Sigismondo I, che regnò dal 1506 al ’48, e Bona Sforza<br />
diede impulso decisivo al diffondersi dell’arte italiana in Polonia e determinò un<br />
più diretto contatto con l’Italia.<br />
A Cracovia fu dal 1507 ricostruito il castello reale sul Wavel ad opera di Franciscus<br />
Italus (<strong>Francesco</strong> da Firenze) che eseguì la parte occidentale ed il porticato di<br />
ingresso; continuò <strong>Francesco</strong> della Lora, autore del cortile amplissimo a tre piani,<br />
con la collaborazione di sei compagni fiorentini. Al suo posto subentrò nel 1517<br />
Bartolomeo Berecci (o Berrecci) di Pontassieve. Questi, chiamato in Polonia per il<br />
tramite del primate G. Laski, ambasciatore in Ungheria, era tra gli artisti italiani<br />
che lavoravano a Strigonia per T. Bakocz; giunse a Cracovia nel 1516 per la<br />
costruzione della cappella jagellonica, mausoleo reale, contiguo alla cattedrale. La<br />
<strong>sua</strong> bottega contava una ventina di collaboratori, decoratori, lapicidi, stuccatori,<br />
ecc. tra i quali erano Filippo da Fiesole, Antonio da Fiesole, Nicolò Castiglioni da<br />
Firenze, Giovanni Cini, Bernardino Zanobi de Gianotis, Gian Maria Mosca (il<br />
Padovano) e Galeotto Guicciardini. Le sculture della cappella (una statua di<br />
Sigismondo I, sei figure di santi a tutto tondo, sei tondi in rilievo con i quattro<br />
evangelisti e David e Salomone) presentano diversità di stile. <strong>Il</strong> Berecci<br />
probabilmente fornì tutti i modelli e scolpì la figura del sovrano. La cappella a<br />
pianta centrale con cupola di stile lombardo, ornata d’intagli in pietra di Giovanni<br />
Cini, è considerata uno dei capolavori del <strong>Rinascimento</strong> fiorentino (nell’interno<br />
della cupola è scritto: Bartholomeo Florentino opifice).<br />
Contemporaneamente il Berecci attendeva alla ricostruzione del castello reale sul<br />
Wavel; i portali delle nuove ali sono dovuti alle maestranze dell’architetto; l’opera<br />
fu ultimata nel 1536 (ricordiamo che nel 1609 Giovanni Maria Bernardoni ricostruì<br />
una parte distrutta).<br />
Queste due importanti costruzioni fecero testo presso i signori del luogo che vi si<br />
ispirarono per i loro palazzi a Baranòw, Goluchòw, Krasiczyn, Mir, Kòrnik;<br />
nell’architettura ecclesiastica si diffonde largamente (se ne contano circa 200) la<br />
cappella funeraria a pianta quadrata con cupola, derivata da quella jagellonica.<br />
Sotto la direzione del Berecci furono eseguiti dal Cini e dal Gianotis il baldacchino<br />
del monumento gotico del re Ladislao nella cattedrale e l’altare di Zator (ora nel<br />
castello). <strong>Il</strong> Berecci eseguì altri lavori a Cracovia, a Tarnòw, a Wola, ebbe incarichi<br />
civili; architetto fu anche suo figlio Sebastiano.<br />
Antonio da Fiesole, collaboratore del Berecci, ebbe in seguito proprie maestranze<br />
composte di architetti e scultori con allievi polacchi; morì a Cracovia nel 1542.<br />
227
Giovanni Cini (Joannes de Senis), architetto e scultore di Settignano, si trasferì in<br />
Polonia nel 1519, chiamato da <strong>Francesco</strong> della Lora; lavorò sotto il Berecci fino al<br />
1529 e acquistò grande fama; in seguito fu in società con il de Gianotis e Filippo<br />
da Fiesole, morì a Cracovia nel 1568. Tra le sue opere di scultura ricordiamo, oltre<br />
alla decorazione della cappella jagellonica (si distinguono come sue le statue dei<br />
santi Pietro, Sigismondo, Matteo, Giovanni Battista, Venceslao, i medaglioni con la<br />
Madonna e il Bambino, i busti dei profeti e degli evangelisti), i festoni sulla tomba<br />
di J. Konawski e due altari nella cattedrale, il monumento di S.Bathory, alcuni putti<br />
per il monumento funerario di Szydlowiecki a Opatow, le statue per il monumento<br />
del vescovo Olesnicki nella cattedrale di Poznàn; sappiamo che lavorò con il<br />
Mosca al monumento funerario della regina Elisabetta e a un altare per la chiesa<br />
di Vilna, lavorò anche a Varsavia, Plock, Tarnòw, Guiezno e Szydlovice.<br />
Durante il regno di Sigismondo Augusto le forme rinascimentali si diffondono<br />
dappertutto; si costruiscono secondo il nuovo stile palazzi municipali, come a<br />
Sandomierz e Pajanice; imponente è quello di Poznan con un loggiato sulla<br />
facciata principale, opera di Giovanbattista Quadrio, tutta italiana nell’insieme e<br />
nei particolari (1552). Le stesse novità presenta la sinagoga di Zòlkiew; in molte<br />
case borghesi si hanno i cortili con portici ad arcate.<br />
Gian Maria Mosca (Fabbrucci), detto il Padovano, architetto e scultore, fu chiamato<br />
dal re per il quale eseguì varie medaglie fu poi a Dresda e nel ’55 di nuovo in<br />
Polonia, fino al ’73, anno della <strong>sua</strong> morte. Sono sue opere il cenotafio del re<br />
Sigismondo, il monumento di Sigismondo Augusto nella cappella jagellonica,<br />
quello di Giovanni Tarnowski e di suo figlio nella cattedrale di Tarnòw, il<br />
tabernacolo nella cattedrale di Guiezno; a Cracovia ricordiamo anche il<br />
tabernacolo nella chiesa della Vergine Maria, i monumenti degli arcivescovi<br />
Krzyzki e Dzierzgowski, la ricostruzione del mercato dei tessuti, adornato di un<br />
attico merlato allo scopo di dissimulare l’alto tetto, infine a Tarnòw la<br />
ricostruzione in forme rinascimentali del palazzo comunale del secolo XIV.<br />
Un terzo periodo del <strong>Rinascimento</strong> in Polonia si svolge tra l’ultimo quarto del ‘500<br />
e gli inizi del ‘600. Girolamo Canavesi dal 1562 al ’74 lavorò nella chiesa dei<br />
domenicani a Cracovia; a Poznan nel duomo eseguì il sepolcro di S. Orlik, di G.<br />
Tarlo, della famiglia Gorka e del vescovo Konarski; nella chiesa dell’Assunta a<br />
Lowicz la tomba dell’arcivescovo Przerebessi. Anche il figlio Girolamo fu lapicida.<br />
Santi Gucci, nato a Firenze e morto a Pinczòw nel 1599, fu in Polonia dal ’72 con<br />
la famiglia, scultore e architetto della corte, autore di opere chiaramente già<br />
influenzate dal Manierismo (vedi lez. n.19). La regina Anna l’incaricò di eseguire la<br />
tomba propria e quella del fratello Sigismondo Augusto nella cappella jagellonica<br />
per la quale fece anche gli stalli. Al Gucci si attribuiscono il monumento sepolcrale<br />
228
della famiglia Branicki in Niepolomice, le decorazioni del palazzo di Branice<br />
presso Cracovia, il monumento di G. Tenczynski e della moglie e numerosi<br />
epitaffi; egli lavorò anche nel palazzo reale di Lobzow, nel palazzo Myszkowski a<br />
Ksiàz e a Miròw, costruì una cappella a Bejsce presso Pinczòw.<br />
Ricordiamo che nella cattedrale di Cracovia il mausoleo di Casimiro il Grande è<br />
della scuola di Ambrogio da Milano(sec. <strong>XV</strong>I). Nella cattedrale di Guiezno quattro<br />
lastre tombali della famiglia Laski, opera di Giovanni Fiorentino, furono importate<br />
dall’Ungheria per iniziativa del primate J. Laski. Troviamo inoltre tra gli scultori<br />
attivi in Polonia i tre fratelli Stagi e l’Areteli.<br />
In Slesia operò Giacomo Parr (o Paar), chiamato da Giorgio II Piast, che portò con<br />
sé dall’Italia un gruppo affiatato di aiuti, come aveva fatto Giovan Battista<br />
Quadrio; Parr introdusse poi in Svezia forme rinascimentali italiane.<br />
A Leopoli, in Volinia, dove già dal Medioevo esisteva una numerosa colonia di<br />
mercanti italiani, al tempo dell’inoltrato <strong>Rinascimento</strong> si stabilirono molti<br />
architetti italiani, tra cui Paolo Dominici Romano, Pietro di Barbona, Pietro da<br />
Lugano (Petrus Italus). Essi, conformandosi all’ambiente e alle esigenze della<br />
borghesia, imitarono i caratteri locali dell’architettura, costruendo case con i tipici<br />
attici, il palazzo reale, il palazzo “nero” e altri edifici sulla piazza del mercato; la<br />
chiesa delle benedettine ha lo stesso carattere; fusione di tratti italiani e bizantini<br />
presenta la chiesa valacca; elementi rinascimentali tipicamente italiani si hanno<br />
nella cappella dei Campiani, ricca di decorazioni, e nella chiesa dei bernardini.<br />
Tra gli stuccatori ricordiamo Bartolomeo <strong>Ridolfi</strong> che fu al servizio del castellano di<br />
Cracovia ed eseguì disegni per edifici, Battista Passerini e soprattutto il Mosca che<br />
decorò di stucchi la chiesa dei ss. Pietro e Paolo a Vilna in Lituania.<br />
<strong>Il</strong> maggiore architetto polacco del <strong>XV</strong>I secolo fu G. Slonski, discepolo di maestri<br />
italiani in Polonia.<br />
Nel 1469 Giovan Battista della Volpe, detto Ivan Friazin, coniatore di monete,<br />
venne come ambasciatore dello zar Ivan III a Roma per portare a termine le<br />
trattative di nozze con Zoe Paleologa. Nel ’72 questa principessa greca, che era<br />
stata educata a Roma e conosceva il fascino e la grandezza della curia pontificia,<br />
partiva per Mosca, diventando così anello di congiunzione tra lo spirito orientale e<br />
quello del <strong>Rinascimento</strong>. Al suo seguito vennero un Panini e un Ciceri che,<br />
russificati, diedero luogo alle famiglie russe dei nobili Panin e Cicerin.<br />
I Russi chiamavano Kreml la città fortificata che si innalza nel cuore di Mosca con<br />
le sue torri, i suoi palazzi e le sue cattedrali. Fino al secolo <strong>XV</strong> il Kreml di Mosca<br />
era in legno, una semplice palizzata su un recinto di terra; fu dopo la presa di<br />
Costantinopoli da parte dei Turchi che Mosca pretese di essere l’erede della città<br />
imperiale del Bosforo e di diventare la metropoli dei cristiani ortodossi. Per<br />
229
ealizzare questa missione storica il grande Ivan III non poteva più contentarsi del<br />
Kreml di legno; s’imponeva una cornice degna di Roma. Per ricostruire la<br />
cattedrale della Dormizione, crollata quando doveva essere gettata la cupola<br />
centrale, lo zar si rivolse agli architetti di Pskov, l’antica città dalle chiese<br />
importanti e dalla cinta di mura in pietra. Dopo il loro rifiuto, di fronte alle<br />
difficoltà dell’impresa architettonica, Ivan III inviò a Venezia un’ambasceria con a<br />
capo Tolbuzìn in cerca di un valido architetto; anche perché la consorte dello zar<br />
era ammiratrice dell’arte italiana, fu su un architetto italiano che cadde la scelta,<br />
su Aristotele Fioravanti degli Uberti che in soli cinque annidi lavoro, dal 1475 al<br />
’80, sbalordì i moscoviti, costruendo la grande cattedrale, in cui sono riuniti<br />
motivi lombardi con quelli tipici dell’arte russa. Fioravanti lavorò molto in Russia,<br />
coniò monete e fuse cannoni, costruì una fabbrica di mattoni, nel ’78 partecipò<br />
alla campagna di Ivan III contro Novgorod, innalzando un ponte sul Volchov sotto<br />
Gorodis, nel ’79 fu chiamato dai signori di Bologna perchè rientrasse, ma il<br />
principe russo gli rifiutò il permesso di partire; nel ’82 partecipò alla campagna<br />
contro Kazàn, nel ’83 chiese nuovamente di tornare in Italia ma fu arrestato, nel<br />
’85 partecipò alla guerra contro Tver a capo dell’artiglieria; ricordiamo anche che<br />
a lui si deve l’ampliamento del Cremlino di Novgorod.<br />
Nel ’85 Antonio Gilardi, detto Antonio Friazin, già a Mosca dal ’69, cominciò a<br />
costruire le mura del Kreml con la torre e la porta Tainitskaja (in seguito rifatta), la<br />
parte centrale, da cui partiva un sotterraneo segreto che conduceva al fiume. Nel<br />
’87 è la volta della torre Beklemisenskaja, opera dell’altro italiano Marco Ruffo<br />
(Marko Friazin), giunto con la prima ambasceria, e della Vodovzdnaja.<br />
Con la seconda ambasceria giunsero a Mosca nel ’90 l’architetto Pietro Antonio<br />
Solari, fonditore di cannoni, l’orefice Cristoforo con due scolari. <strong>Il</strong> Solari costruì la<br />
torre del Salvatore (Spàsskaja), come si legge in un’iscrizione incisa sulla stessa.<br />
Nel ’91 si passò anche alle opere difensive dal lato della città: Solari eresse la<br />
torre di Costantino ed Elena, la Borovitskaja, la Nikolskaja e quella dell’arsenale.<br />
Nel ’94 con la terza ambasceria giunsero a Mosca il fabbro Michele Parpaglione,<br />
Bernardino di Borgomanero, detto Pichaprede, Aloisio da Carcano (o da Milano) e<br />
Pietro, fonditore di campane.<br />
Nello stesso anno l’opera di costruzione delle mura del Cremlino fu continuata da<br />
Aloisio da Carcano, nominato architetto granducale dopo la morte di Pietro<br />
Antonio Solari, avvenuta nel ’93; egli armò anche i fossati, rafforzò le rive,<br />
correggendo il corso del ruscello Neglinnaja. I lavori terminarono nel 1516,<br />
trent’anni per quest’opera che nel secolo <strong>XV</strong>I aveva l’aspetto di un castello<br />
italiano.<br />
230
All’interno il Solari e il Ruffo costruirono nel ’87 il palazzo delle faccette (cioè la<br />
sala del trono), Granovitaja Palata, l’edificio più vicino alle forme rinascimentali.<br />
IL Kreml di Mosca è un gioiello del <strong>Rinascimento</strong> italiano, come lo sono le altre<br />
due cittadelle fortificate degli Slavi occidentali, dei Polacchi e dei Cechi, il Wavel di<br />
Cracovia e il Hradschin di Praga. L’alta cortina merlata delle mura in mattoni<br />
rosso-scuro, alta dodici metri, è aperta su cinque porte ed è irta di torri di guardia<br />
dai tetti verdi, sul tipo del castello sforzesco. Le sovrastrutture delle torri non<br />
datano dal regno di Ivan III; vennero costruite posteriormente per rimpiazzare i<br />
posti di vedetta in legno, troppo spesso distrutti dagli incendi. Lo Herbstein,<br />
ambasciatore di Massimiliano d’Asburgo e di Carlo V, nei suoi “Rerum<br />
Moscoviticarum commentarii” scriveva: “A Mosca c’è un castello di mattone cotto;<br />
le armature castrensi insieme ai palazzi del principe sono costruite - italico more<br />
- da italiani”.<br />
Nel 1503 con la quarta ambasceria giunse a Mosca una schiera di maestri ”friazin”<br />
(italiani), argentieri, fonditori e muratori, tra cui un Aloisio o Alvise da Venezia (o<br />
Aloisio Novij o Nuovo); egli completò il palazzo ducale (Terem), abitazione degli<br />
zar, cominciato nel ’99 da Aloisio da Carcano, introdusse l’uso dei cornicioni,<br />
costruì le cosiddette “camere di pietra”, situate nella vecchia corte della chiesa<br />
dell’Annunciazione; edificò entro il Cremlino dal 1505 al ‘09 la cattedrale<br />
dell’Arcangelo Michele (mausoleo dei sovrani), in cui gli elementi decorativi<br />
rinascimentali dell’Italia del nord furono adattati allo schema architettonico russo.<br />
Dal 1508 al ’11 Bon Friazin e Pietro il Piccolo (Petrok Malij o Petruccio) costruirono<br />
per ordine di Vasilij III una fortezza in pietra con tredici torri a Nizny-Novgorod<br />
(Gor’kij). Lo stesso Pietro il Piccolo ricostruì la cinta muraria del Kitaj Gorod a<br />
Mosca dal 1535 al’38, realizzata con la collaborazione della stessa popolazione.<br />
Infine ricordiamo che nel 1517 un Ivan Friazin riparò le mura cadenti del Cremlino<br />
di Pskov, lavorò a Tichvin e costruì una diga in legno sulla Pskova.<br />
Così i “maestri di muro” italiani insegnarono ai russi a cuocere i mattoni, a<br />
combinarli con la pietra bianca, a preparare una calce più compatta e aderente, a<br />
servirsi di travi e giunti di ferro per il collegamento delle mura, a usare il<br />
compasso, la squadra e impianti elevatori di nuovo tipo.<br />
La Dalmazia e l’Albania, possedimenti veneziani nei secoli <strong>XV</strong> e <strong>XV</strong>I, e con<br />
popolazione quasi tutta cattolica, furono naturalmente molto legate ad influssi<br />
italiani, in prevalenza veneti, ma in taluni casi gli ideatori furono fiorentini;<br />
Michelozzo Michelozzi, scultore e architetto del secolo <strong>XV</strong>, introdusse in Dalmazia<br />
le forme architettoniche della Toscana, trasformando a Ragusa l’antico palazzo<br />
dei Rettori. Molte opere furono realizzate da artisti nati in Dalmazia ma di origine<br />
231
e formazione culturale italiana: ricordiamo Giorgio Orsini da Sebenico, Giovanni<br />
Dalmata, <strong>Francesco</strong> e Luciano Laurana e Andrea Alessi.<br />
Nel 1479 da Venezia furono inviati a Costantinopoli presso Maometto II Gentile<br />
Bellini e Bartolomeo Bellano, avendo il sultano richiesto un pittore e uno scultore;<br />
Gentile fece il ritratto di un derviscio, opera ammiratissima dalla corte; Maometto<br />
II gli conferì la nomina a bey e ricchi doni e in seguito fu dallo stesso artista<br />
ritratto.<br />
A Malta tra il <strong>XV</strong> e il <strong>XV</strong>I secolo lavorarono i pittori Salvo d’Antonio, Antonello da<br />
Saliba, Pietro Ruzzolone, Alessandro Padovano e lo scultore Antonello Gagini,<br />
autore di importanti lavori; tra il <strong>XV</strong>I e il <strong>XV</strong>II secolo troviamo Alessio Matteo<br />
(Matteo Perez o da Lecce) e Filippo Paladini pittori. Giovanni di Valette, gran<br />
maestro dell’ordine militare di S. Giovanni, chiamò artisti italiani, tra cui molti<br />
architetti; da questi fu fondata nel 1566 secondo un piano urbanistico<br />
rinascimentale la città che da lui prese il nome di La Valletta.<br />
In Austria nel secolo <strong>XV</strong> operò il pittore Pietro Veneto che firmò nel 1440 insieme<br />
con il salisburghese Goffredo di Longau la pala d’altare per la cappella del<br />
lazzaretto di Hallein; a Maria Saal gli affreschi della loggia sono della scuola del<br />
Mantegna, quelli della navata centrale di scuola toscana.<br />
Michael Pacher, della Val Pusteria, pittore e scultore, arricchì il proprio stile<br />
tardogotico austriaco a contatto con le opere di Donatello e Mantegna (fu a<br />
Padova nel 1460), come nell’altare dell’abbazia di Neustift in cui la passionalità<br />
drammatica viene esaltata dal realismo corposo delle figure e dalla sontuosità del<br />
colore, o come nello scrigno dei francescani di Salisburgo dalla solenne<br />
monumentalità, mentre una spiccata influenza ferrarese, riscontrabile nella<br />
esasperazione della linea, caratterizza l’altare di St. Wolfgang presso Salisburgo.<br />
Simone da Tesido della Val Pusteria lavorò in Austria, subì influssi italiani,<br />
specialmente dello stile del Mantegna.<br />
<strong>Il</strong> primo stadio del <strong>Rinascimento</strong> in Austria corrisponde al regno di Massimiliano I<br />
che favorì artisti italiani, chiamandoli a corte, come Jacopo de’ Barbari e Ambrogio<br />
de Predis. Questi, collaboratore e seguace di Leonardo, fu nel 1492 a Innsbruck,<br />
al servizio di Bianca Maria Sforza, sposa dell’imperatore, dipinge il ritratto della<br />
duchessa Caterina, moglie di Sigismondo del Tirolo, e dei più importanti<br />
personaggi di corte; nel ’94 riceve l’incarico di modellare delle monete, nel 1502,<br />
dopo un rientro in Italia, esegue il ritratto dell’imperatore, nel 1506 cura con il<br />
fratello Bernardino l’esecuzione di ricchi abiti.<br />
A causa della Riforma l’architettura religiosa perde importanza e originalità,<br />
rimanendo legata a forme tardogotiche, come nella Hofkirche di Innsbruck del<br />
1553-’64 e nel duomo di Klagenfurt del 1578-’91; al contrario fiorisce<br />
232
l’architettura civile, sorgono castelli e ville, le residenze principesche come quelle<br />
di Ambras nel Tirolo e di Salisburgo si arricchiscono con elementi decorativi e<br />
forme architettoniche tipiche del <strong>Rinascimento</strong> italiano.<br />
Tommaso Scalabrini scolpì la fontana dorata nel giardino arciducale ad Innsbruck.<br />
<strong>Francesco</strong> Barbone lavorò alla tomba di Massimiliano I ad Innsbruck, al convento<br />
delle arciduchesse a Hall, fece la fontana nel convento di S. Croce ad Innsbruck e<br />
lavorò a Seefeld; si associò quasi sempre a Tommaso Scalabrini.<br />
E’ soprattutto con Carlo V, Ferdinando I e Massimiliano II che il nuovo stile si fa<br />
largo in Austria. Tra il 1540 e il ’60 si fortifica Vienna; i posti direttivi sono quasi<br />
tutti italiani. Pietro Ferabosco, architetto civile e militare, entra al servizio di Carlo<br />
V nel 1544, è pittore aulico di Ferdinando I (1551), progetta e affresca la porta<br />
degli Svizzeri nel castello di corte, decorata a stucco da Jacopo Spazio; per avere<br />
condotto a termine le fortificazioni verso il Danubio nel ’56 è creato nobile<br />
dall’imperatore; riedifica il castello di Kaiser-Ebersdorf, danneggiato dai turchi,<br />
trasformandolo in villa.<br />
La corte asburgica, oltre gli architetti militari di cui ha urgente bisogno ai confini<br />
dell’impero contro la minaccia turca, nel desiderio di imitare le corti italiane<br />
chiama anche architetti civili per la costruzione o la trasformazione di ville e<br />
palazzi. <strong>Il</strong> contributo italiano alla formazione del <strong>Rinascimento</strong> austriaco è<br />
decisivo; basterebbero a dimostrarlo i trecento e più artisti italiani operosi in<br />
quelle terre, elencati tra il 1550 e il ‘600 nei documenti degli archivi austriaci.<br />
Molti di certo sono rimasti anonimi: influssi nell’architettura per esempio sono in<br />
molte case con cortili all’italiana, a logge sovrapposte e con gli sporti (quella “al<br />
gambero rosso” a Graz), in numerosi palazzi (D’Averbas, dell’Ordine Teutonico,<br />
Lambert, Saurau, Schwassenberg a Graz), nei castelli Ehrenhausen, Frondsberg,<br />
Gutenberg, Hartberg, Radmannsdorf, Rosegg, Spielberg, Tannhausen, Weinburg a<br />
Graz e dintorni. Influssi più evidenti rivelano il bel palazzo Porcia a Spittal, il<br />
cortile del convento di Viktring a Klagenfurt, il cortile del palazzo comunale, il<br />
cortile Hirschegg e l’albergo della posta a Villach, le bifore e le arcate del castello<br />
di Hallensteig, il cortile del castello di Hollernburg, il castello Riegersburg, il<br />
balcone del municipio di Krems; e inoltre il palazzo Caprara e il portale della<br />
cappella del Salvatore a Vienna, decorata a grottesche, opera di un maestro<br />
lombardo del ‘500; è opera italiana la fontana monumentale di Friesach in<br />
Corinzia.<br />
Famiglie di architetti operarono nei territori austriaci nei secoli <strong>XV</strong>I e <strong>XV</strong>II;<br />
ricordiamo gli Spazio e gli Speciecasa (o forse una sola famiglia); molti di loro<br />
sono citati tra il 1531e il ’62 in Austria e in Ungheria (non meno di otto erano<br />
impiegati nelle fortezze ai confini dell’impero sotto Ferdinando I). Gli Spazio (o<br />
233
Spaz, Spatio, Spazzio, Spacio, Spazzo, Spezzo, Spezza, Spatz), originari di Lanzo,<br />
furono attivi fin oltre il secolo <strong>XV</strong>III, anche in altre parti d’Europa, così come i<br />
Carlone (Carloni dal secolo <strong>XV</strong>III), originari, un ramo di Scaria e un altro di Rovio, i<br />
Canevale (Ganeval, Kanneval); i De la Porta de Riva, i De Verda, I Taddei (Tade) di<br />
mandria e gli Allio (Lalio o Aglio) di Scaria operarono solo in Stiria e in Carinzia.<br />
Anche le corti arciducali, residenze dell’imperatore, di Graz, Innsbruck,<br />
Klagenfurt, Linz e quella arcivescovile di Salisburgo accolsero molti artisti italiani<br />
nel corso del ‘500.<br />
Domenico Allio, educato al gusto soprattutto veneto, figlio di Martino, citato come<br />
capomastro a Radkersburg verso il 1520 (il più antico membro di una numerosa<br />
famiglia di artisti, dediti soprattutto ad una attività costruttiva, sia come architetti,<br />
sia come muratori) fu chiamato nel ‘40 per ricostruire Klagenfurt, distrutta da un<br />
incendio, e fortificarla all’italiana; nel ’44 fu nominato architetto della Carinzia,<br />
lavorò a Vienna nel bastione dei domenicani; nel ’45 diresse i lavori di<br />
fortificazione di Marburg, Radkersburg, Pettau e Furstenfeld. Nel ’53 fu nominato<br />
architetto reale, due anni dopo fu eletto da Ferdinando I capo architetto delle<br />
borgate croate; nel ’58 fu nominato nobile. Le sue opere più importanti sono la<br />
ricostruzione dell’immenso castello con cisterna di cui resta la scala eretta nel ’54<br />
(a Graz con 80 connazionali), e i Landhaus, iniziato dopo il ’58 e ultimato dopo la<br />
<strong>sua</strong> morte nel ’80 da Giuseppe Vintana che, passato poi a Klagenfurt, fu destituito<br />
dalle autorità perché non volle convertirsi al protestantesimo. L’Allio fu il<br />
fondatore della scuola che sin nel tardo ‘600 continuerà a diffondere in Stiria e in<br />
Carinzia le regole da lui enunciate; acquisendo modi più plastici, si avvicinò<br />
sempre di più ai modi manieristici.<br />
In Boemia e in Moravia il <strong>Rinascimento</strong> italiano penetrò molto presto; l’ala del<br />
castello di Praga, detta di Vladislao (1483-’93) ha già tracce del nuovo gusto nelle<br />
porte e nelle finestre; nel castello moravo di Tovacoc alcune soluzioni<br />
architettoniche prendono le mosse dal palazzo di S. Marco (poi di Venezia) a<br />
Roma. Verso il 1530, quando la corona del regno di Boemia e la Moravia<br />
passarono agli Asburgo, gli architetti italiani vennero in compagnie ben<br />
organizzate, disposti a venire incontro ai desideri dei loro clienti. Sorsero edifici in<br />
splendido stile rinascimentale come il Belvedere della regina Anna nel giardino di<br />
corte dello Hradcany, residenza degli Asburgo fino alla guerra dei Trent’anni; vi<br />
lavorò dal 1536 al ‘50 Paolo della Stella, architetto e scultore, che l’imperatore<br />
Ferdinando definì “fabricae nostrae pragensis magister”, attivo anche in Polonia,<br />
morto a Praga nel ’52. Si sa che nella direzione dei lavori furono in seguito Pietro<br />
Ferabosco, Jacopo Spazio e Giovanni Maria Speciecasa. Lo stesso imperatore fece<br />
costruire nel ’55 il casino di caccia nel parco reale, decorato in stucco in modo<br />
234
mirabile da un Zoan Maria (forse Giovanni Maria Speciecasa), Giovanni Campian,<br />
Battista di Bavosa, Giovanni Lughesso; la fontana è opera di <strong>Francesco</strong> Terzi.<br />
Verso la metà del secolo Baldassarre Majo de Vomio eseguì la ricostruzione in<br />
stile rinascimentale del castello di Cesky Krumlov (Moravia); come stuccatore<br />
decorò il castello di Telc. Dal 1548 al ’60 il castello di Podebrady fu ricostruito in<br />
splendide forme da Giovan Battista Austalis (o Aostalli). Mattia Borgorelli<br />
trasformò il castello gotico di Mlada Boleslav, così come la fortezza di Prerov<br />
sull’Elba. A Bratislava, in Slovacchia, dopo l’annessione alla casa d’Asburgo, Pietro<br />
Ferabosco trasformò la fortezza gotica in residenza reale di tipo rinascimentale<br />
con la collaborazione di Jacopo Spazio; vi lavorò anche come scultore e nel ’73<br />
diresse i lavori per le feste dell’incoronazione. Anche il castello di Jinndrichùv è<br />
una splendida costruzione: la primitiva forma medioevale fu rimaneggiata<br />
completamente sotto la direzione di Antonio Cometa, Giovanni Maria Faconi,<br />
Antonio Melana, Baldassarre Majo de Vomio, Andrea Austalis de Sala e Giovan<br />
Pietro Martinelli, che vi aggiunsero un ampio cortile circondato da logge, una<br />
galleria ad arcate e una magnifica rotonda nel giardino. L’influsso italiano si<br />
avverte anche nel castello di Stern presso Praga.<br />
I lavori per la costruzione degli edifici nuovi nel castello reale di Praga furono<br />
iniziati nel 1586 su progetto di G. Gargiolli, proseguiti da Ulrico Austalis de Sala e,<br />
dopo la morte di questi nel ’97, da O. Fontana e Martino de Gamberinis (vedi lez.<br />
n.31).<br />
Ricordiamo che l’architettura religiosa in Boemia non ebbe grande sviluppo in<br />
conseguenza della nascita dell’hussitismo, per cui il peso delle istituzioni della<br />
Chiesa di Roma si spostò da Praga alla Moravia. Nel secolo <strong>XV</strong>I si affermò la<br />
Riforma protestante; importante in questo periodo è la figura di Mattia Borgorelli,<br />
le cui chiese dei Fratelli boemi a Brandeis (1541) e a Mlada Boleslav (1544) sono le<br />
prime in stile rinascimentale di tutta l’Europa centrale.<br />
Per quanto riguarda l’attività di scultori e pittori diciamo che i graffiti e gli<br />
affreschi sono generalmente opera di italiani, così come le decorazioni in stucco<br />
(per esempio quelle nella sala dell’imperatore nel castello di Bucovice).<br />
Passiamo alla Germania. Nel duomo di Magdeburgo il monumento sepolcrale<br />
dell’arcivescovo Ernesto di Sassonia (1495), opera di P. Vischer il vecchio, è<br />
l’esempio più antico dell’influenza del <strong>Rinascimento</strong> italiano nelle regioni centrali;<br />
la cassa in bronzo di san Sebaldo a Norimberga, eseguita dallo stesso con la<br />
collaborazione dei figli che compirono un viaggio in Italia, si può considerare<br />
un’opera concepita con spirito nuovo: i particolari ornamentali del reliquiario,<br />
bassorilievi, statue di apostoli, sirene e figura di Ercole, sono di gusto<br />
schiettamente italiano.<br />
235
<strong>Il</strong> <strong>Rinascimento</strong> pittorico tedesco si svolge per due vie: da una parte si attiene<br />
strettamente al genio popolare e dall’altra si giova sempre più di elementi formali<br />
dell’arte italiana. M. Grunewald operò in un centro altissimo di cultura come<br />
Isenheim, la cui fioritura fu dovuta al mecenatismo del priore del convento di S.<br />
Antonio, Guido Guerci, per la cui chiesa il pittore fece il polittico dell’altare; si<br />
avvertono nelle sue opere mature, nella monumentalità d’impianto, nella<br />
ricchezza dei passaggi chiaroscurali, nei giochi di panneggio nuove concezioni<br />
stilistiche. H. Holbein il giovane nelle pitture sulla facciata della casa del podestà<br />
di Lucerna, eseguite con la collaborazione del fratello Ambrosius tra il 1517 e il<br />
’19, rivela una approfondita conoscenza di soluzioni prospettico-illusionistiche e<br />
di motivi ornamentali caratteristici del <strong>Rinascimento</strong> padano, suggerendo l’ipotesi<br />
di un prolungato soggiorno dell’artista in Lombardia verso il 1516; ricordiamo che<br />
il costume delle facciate dipinte passò nei paesi tedeschi dall’Italia settentrionale<br />
(se ne vedono in Tirolo, in Baviera, fino in Alsazia, come nel palazzo comunale di<br />
Mulhausen). Nella ritrattistica pervenne ad una straordinaria acutezza di<br />
osservazione, a un senso di decoro e di equilibrio formale attraverso l’esperienza<br />
dell’arte italiana. H. Burgkmair, profondo conoscitore della pittura dell’Italia<br />
settentrionale, è autore di composizioni di imponente struttura, dal senso<br />
realistico della natura, dalle tonalità vicine al gusto veneziano. A. Durer compì due<br />
viaggi a Venezia, visitò Ferrara e Bologna(1494-’95 e 1505-’07), e ciò gli consentì<br />
di accostare l’arte classica e rinascimentale (Mantegna e Bellini); la<br />
rappresentazione della persona umana, la concezione prospettica dello spazio e<br />
lo studio delle proporzioni divennero i problemi centrali nell’opera dell’artista<br />
dopo il suo secondo soggiorno veneziano. Egli giunse a una felice fusione tra<br />
l’elemento nordico con il grandioso mondo formale , la magnificenza cromatica e<br />
il pathos dei suoi modelli italiani; nelle incisioni posteriori al 1495 vediamo<br />
soggetti tolti all’erudizione umanistica, reminiscenze classiche negli sfondi<br />
architettonici, nella magnificenza del paesaggio. G. Pencz, allievo del Durer,<br />
completò la propria formazione a Roma, studiando Raffaello e Giulio Romano. J.<br />
Breu il vecchio viaggiò in Italia nel 1514-’15. B. Beham fu in Italia nel 1535, morì a<br />
Bologna nel ’40; abile incisore, fu attento allo stile di M. Raimondi e Dürer. Molto<br />
legato ai modelli italiani fu A. Daucher che lavorò per i Fugger ad Augusta e si<br />
distinse come decoratore. Mostrano notevoli influssi italiani anche l’austriaco J.<br />
Seisenegger e lo svizzero D.N. Manuel, che si formò sulla pittura italiana del 400 e<br />
su Leonardo, oltre che sul Dürer.<br />
Tra i primi artisti italiani in Germania ricordiamo Adriano Fiorentino (Di Giovanni<br />
dei maestri), fonditore e medaglista, che eseguì il busto in bronzo del principe<br />
elettore di Sassonia, Federico il saggio. Jacopo de’Barbari, conosciuto dai tedeschi<br />
236
come Jacopo Walch, fu per quattro anni presso l’imperatore Massimiliano I, forse<br />
andò a Norimberga, quindi fu pittore di corte di Federico il saggio, e poi del conte<br />
Filippo di Brandeburgo; nel 1508 entrò al servizio di Gioacchino I di Brandeburgo<br />
a Francoforte sull’Oder; lavorò inoltre a Torgau, Naumburg, Weimar, Wittenberg e<br />
Dresda; fu anche incisore (lo accompagnò nei viaggi in Germania il pittore<br />
veneziano Nicoletto de’ Barbari). Grande fu la <strong>sua</strong> importanza e l’influsso sull’arte<br />
tedesca; Durer lo ammirò moltissimo, fu suo allievo il pittore H. von Kulmbach.<br />
Motivi rinascimentali si trovano in molti edifici di città tedesche; Monaco ha in<br />
molte parti aspetto di città italiana: la Frauenkirche (sec. <strong>XV</strong>) presenta le torri a<br />
cupoletta di tipo “welsch”, cioè italiano; a Gorlitz il palazzo municipale (sec. <strong>XV</strong>-<br />
<strong>XV</strong>I) ha motivi dell’Italia settentrionale; influssi si notano nel Pellerhaus di<br />
Norimberga, dalla facciata in stile veneziano. Nel periodo della Riforma<br />
Norimberga e Augusta in Svevia gareggiarono in ricchezza mercantile, in fervore<br />
per il progresso intellettuale; esisteva una condizione di fatto singolarmente<br />
favorevole all’arte, ed erano le relazioni commerciali con l’alta Italia, specialmente<br />
con Venezia, dove il fondaco dei Tedeschi facilitava gli scambi internazionali<br />
anche nel campo intellettuale. Forse in Augusta più che a Norimberga prevalse<br />
l’influenza italiana; in questa città l’italianità trovò favore nella media borghesia,<br />
mentre ad Augusta ebbe la protezione dei Fugger, famiglia di principi mercanti,<br />
massimi esponenti finanziari del mondo cattolico, ricchissimi per i loro commerci<br />
e nello stesso tempo amici dell’arte; con le loro copiose collezioni e con le<br />
fabbriche, costruite nello stile del <strong>Rinascimento</strong>, essi certamente giovarono molto<br />
alla conoscenza dell’arte italiana. I Fugger hanno un posto importante nella storia<br />
dell’arte in Germania, perché la costruzione della cappella sepolcrale di S. Anna in<br />
forme veneziane, voluta da Jacopo II Fugger, morto nel 1525, è una deliberata e<br />
consapevole scelta estetica, un giudizio di condanna della tradizione gotica allora<br />
viva in Germania; con lui incomincia la diffusione delle forme rinascimentali che<br />
suo nipote Hans doveva ulteriormente sviluppare anche attraverso l’amicizia del<br />
duca di Baviera Guglielmo V di Wittelsbach e Renata di Lorena, i cui discendenti<br />
dovevano continuare la propensione per il nuovo gusto <strong>artistico</strong>. La sala del bagno<br />
nella casa Fugger ad Augusta, di architetti anonimi italiani, fu decorata da artisti<br />
di cui si tratta nella lezione sul Manierismo. Anche per la scultura Augusta fu la<br />
porta d’ingresso del <strong>Rinascimento</strong> italiano; l’incarico di creare un sepolcreto per i<br />
Fugger nella chiesa di S. Anna (1509-’18) si tradusse per giovani scultori tedeschi<br />
in un’alta scuola della nuova arte plastica, del nuovo spirito che si manifesta sia<br />
nell’impostazione generale che nei motivi ornamentali che pittori e grafici avevano<br />
importato allora d’oltralpe.<br />
237
Ad Augusta nel 1548 si reca Tiziano Vecellio, invitato da Carlo V, accompagnato<br />
dal figlio Orazio e dal nipote Cesare; nello stesso anno incomincia il grande<br />
ritratto dell’imperatore a cavallo, raffigurato mentre parte per la battaglia di<br />
Muhlberg; lo ritrae poi seduto, dipinge un Cristo e una Venere dallo stesso<br />
commissionati, l’imperatrice con <strong>sua</strong> maestà, l’imperatrice sola; sempre ad<br />
Augusta Tiziano ritrae il grande elettore Giovanni Federico di Sassonia, Nicola<br />
Perrenot di Granvelle, il figlio Antonio Perrenot, Maria, regina d’Ungheria e sorella<br />
di Carlo V, Cristina di Danimarca, Maria Giacomina di Baden, Maurizio di Sassonia,<br />
Dorotea von der Pfalz, Massimiliano, re di Boemia, Emanuele Filiberto di Savoia, re<br />
Ferdinando I, l’arciduca Ferdinando, il duca d’Alba, tutti personaggi che si<br />
trovavano per la Dieta imperiale ad Augusta. Sulla via del ritorno Tiziano si ferma<br />
ad Innsbruck dove ritrae le figlie del re Ferdinando; alla fine del ’48 il pittore è a<br />
Venezia, nel novembre del ’50 è di nuovo ad Augusta, chiamato ancora da Carlo<br />
V, l’imperatore che aderì in pieno allo spirito italiano del <strong>Rinascimento</strong>,<br />
particolarmente veneziano. Tiziano ritrae ancora il principe Filippo, torna a<br />
Venezia nell’agosto del ’51. Ricordiamo che egli ebbe tra i suoi discepoli anche el<br />
Greco, influì notevolmente su Rubens, Van Dyck, Velasquez, Rembrandt, fu<br />
ammirato nel secolo <strong>XV</strong>III, per esempio da Watteau e Fragonard.<br />
Tra gli altri grandi pittori veneziani ricordiamo il Tintoretto che non andò mai in<br />
Germania ma ebbe diverse ordinazioni.<br />
Nel 1551 si reca ad Augusta Leone Leoni, scultore ed orafo; era entrato in<br />
contatto con la corte di Carlo V - per il tramite del governatore Ferrante Gonzaga<br />
- ed era stato a Spira con il principe Filippo e nel ’49 a Bruxelles presso<br />
l’imperatore; ad Augusta si incontra con Tiziano, riceve molte ordinazioni, tra cui<br />
quella della statua “Carlo V domina il Furore”, per la quale gli è accordato il titolo<br />
nobiliare dello Speron d’oro (’56); una terza visita a corte avviene a Bruxelles.<br />
Lo stile rinascimentale perdura in Augusta fino ai primi decenni del secolo <strong>XV</strong>II;<br />
l’architetto E. Holl, dopo un viaggio a Venezia e a Padova, si stabilì nella città<br />
sveva; l’influenza determinata dall’opera palladiana gli permise di arrivare a nuove<br />
soluzioni architettoniche e urbanistiche; oltre al ponte dei Carmelitani scalzi,<br />
ispirato a quello di Rialto, e all’ospedale dello Spirito Santo, il suo capolavoro<br />
viene considerato il municipio (1615-’20), il primo edificio tedesco che si attenga<br />
ai canoni classici; è mirabile il salone del secondo piano, progettato con il gusto<br />
italiano (i due lati minori hanno due file di grandi finestre sovrapposte, i lati<br />
maggiori sono ornati di nicchie con statue, il cornicione è sorretto da mensole e il<br />
soffitto è a scomparti dipinti, tutta la sala è adorna di stucchi dorati e pitture).<br />
Ludovico X di Baviera, di ritorno da Mantova, volle costruirsi la residenza di<br />
Landshut, il suo castello di città, chiamando tre artisti mantovani, Sigismondo,<br />
238
Antonio e Bernardo, allievi di Giulio Romano. L’edificio fu costruito dal 1537 al<br />
’43; gli operai erano tedeschi e italiani, in rapporto da 12 a 24 (sappiamo che<br />
questi ultimi arrivavano a Landshut in primavera e ripartivano per l’Italia in<br />
autunno). Bellissima è la sala “italiana”, con le decorazioni ad affresco e a stucco,<br />
tecnica questa portata in Germania proprio per ornare la residenza nel 1540. Belli<br />
sono anche il cortile, la saletta da bagno decorata (ricorda quella di Castel<br />
Sant’Angelo); di tipo italiano sono i soffitti a cassettoni, i pavimenti di marmo, gli<br />
stipiti delle porte, ecc. Collaborò alla costruzione Michele Beora.<br />
Alberto V di Baviera chiamò a Monaco Jacopo Strada nel 1570 per trasformare il<br />
palazzo della Residenza; l’architetto antiquario costruì in stile rinascimentale<br />
l’antiquarium e il cortile delle gotte.<br />
Notevole è anche il castello di Trausnitz presso Monaco, dal cortile con grandi<br />
logge all’italiana (vedi lez. n.19). L’ornato pittorico delle sale del piano nobile fu<br />
eseguito per i duchi Alberto V e Guglielmo V sopra modelli italiani o da artisti che<br />
studiarono in Italia. <strong>Il</strong> palazzo reale di Monaco, edificato verso il 1600 su quello<br />
preesistente, presenta nel grande cortile la facciata con doppio ordine di pilastri;<br />
per la parte decorativa vedi lezione sul Manierismo.<br />
L’affermazione dell’autorità dei principi nei confronti dell’imperatore e della<br />
borghesia cittadina determina il sorgere di numerosi castelli e residenze<br />
principesche aventi uno stile proprio nel quale l’arte tardo-gotica si mescola alle<br />
forme rinascimentali italiane; gli architetti curarono soprattutto la magnificenza<br />
delle decorazioni delle grandi sale. Motivi rinascimentali sono nel castello di<br />
Offenbach sul Meno con tre piani di loggiati sorretti da pilastri e colonne; nella<br />
loggia del palazzo comunale di Colonia, nel portone e nei pilastri del palazzo<br />
comunale di Strasburgo, nel portale e nell’ala orientale del castello di Hartenfels<br />
presso Torgau, nella porta della sala della farmacia del palazzo comunale di<br />
Hildesheim, nella sala degli specchi dell’Englisherbau di Heidelberg, progettata<br />
sull’esempio dei palazzi italiani a loggia, nel palazzo di Ottone Enrico (1556) con i<br />
giganteschi atlanti che fiancheggiano l’ingresso, con parti piacevolmente<br />
decorate, motivo ripreso dalla teoria serliana che influì su altre opere tedesche del<br />
tempo; in questa stessa città motivi italiani sono nella facciata del palazzo di<br />
Federico V; ne troviamo ancora a Neuburg sul Danubio(nel castello di Ottone<br />
Enrico), nel castello di Stoccarda (1553), e tra le residenze vescovili importanti, in<br />
quella di Frisinga (1519) e nel castello di Aschaffenburg (1605). In Germania del<br />
nord, dove gli influssi italiani penetrarono di meno, citiamo il portico del palazzo<br />
di Brema, i loggiati del cortile del castello di Plassen; in generale nelle case private<br />
e nei palazzi pubblici e principeschi (Lubecca, Brema, Danzica, ecc.) gli architetti<br />
curarono soprattutto la magnificenza della decorazione nelle grandi sale.<br />
239
Soltanto nell’ambito delle corti principesche, dopo l’affermarsi della Riforma<br />
protestante, sorsero alcune cappelle di tipo rinascimentale; la Controriforma e la<br />
diffusione dell’ordine dei gesuiti condussero a un rinnovamento dell’architettura<br />
religiosa che si modellò per lo più sulla chiesa del Gesù a Roma (vedi lez. n.31).<br />
Ricordiamo che le regioni della Germania occidentale e meridionale si mantennero<br />
fedeli al Cattolicesimo; Monaco ebbe, per la <strong>sua</strong> opposizione alle dottrine di<br />
Lutero, il nome di Roma tedesca.<br />
Ecco alcuni tra i più importanti artisti italiani attivi in Germania nel secolo <strong>XV</strong>I.<br />
Alessandro Pasqualini, chiamato dal duca Carlo Guglielmo di Julich (Renania),<br />
divenne architetto di corte nel 1549; nella <strong>sua</strong> cappella ducale vi è un’eco dei<br />
modi di Giulio Romano.<br />
Nel 1550 fu chiamato a Dresda (Sassonia) dall’elettore duca Maurizio l’architetto e<br />
scultore Giovanni Maria Mosca con altri italiani; egli fece la loggia del grande<br />
cortile del castello, eseguì la decorazione delle due torri nel cortile e la grandiosa<br />
porta principale della cappella di corte. Collaborarono <strong>Francesco</strong> Richino, Quirino,<br />
Gabriele e Orazio de Tola che decorarono a graffito (tecnica da loro portata in<br />
Germania per la prima volta) cortile e facciata del castello e con pitture e stucchi<br />
le volte della “sala di pietra”, la cappella di corte e il palazzo della cancelleria.<br />
A Dresda nei secoli <strong>XV</strong>I, <strong>XV</strong>II e <strong>XV</strong>III erano tanti i nostri connazionali da avere un<br />
loro villaggio, italienisches dorfchen; Augusto I, elettore di Sassonia, fece della<br />
città un centro culturale e <strong>artistico</strong> molto importante; egli appoggiò la linea di<br />
riavvicinamento agli Asburgo cattolici, fu tra i principi protestanti più concilianti<br />
alla pace religiosa di Augusta (1555). Uomo di vasta cultura, costituì verso il 1560<br />
nel castello della città una raccolta di pitture, primo nucleo destinato a formare,<br />
con i successivi acquisti di Augusto II e Augusto III, la famosa Galleria di Dresda.<br />
Da un documento del 1565 risulta che l’operaio tedesco riceveva 12 soldi al<br />
giorno, mentre quello italiano ne percepiva 16 (essendo più apprezzata, la mano<br />
d’opera italiana risultava più cara). I nostri costruttori, anche per questo, non<br />
sempre erano ben visti; verso il 1570 un architetto del Wurtemberg scriveva: ”Gli<br />
italiani vengono come cicogne a primavera, non amano collaborare con gli operai<br />
del luogo, e debbono essere pagati bene, per andarsene durante l’autunno con le<br />
tasche piene, lasciando i poveri maestri del luogo con la loro miseria”.<br />
Ricordiamo tra gli altri italiani chiamati a Dresda Giambattista Buonuomini,<br />
assunto come architetto civile e militare.<br />
Nel 1540 Federico II di Slesia, di ritorno dall’Italia, portò con sé artisti italiani,<br />
nonostante la forte opposizione degli artisti tedeschi di Brieg: i Parr (o Paar, ma il<br />
nome originario doveva essere Parri o de Pari) erano tra quelli. Giacomo, detto<br />
Jacopo da Milano, fu il principale architetto del castello dei Piasti (1547-’56),<br />
240
decorato a stucco da altri italiani. Cristoforo lavorò per il duca di Meclemburgo dal<br />
’58 al ’65, decorò a stucco il castello di Gustrow, con la collaborazione del fratello<br />
<strong>Francesco</strong>; Gian Battista Parr infine lavorò a Schwerin per lo stesso duca.<br />
In questo periodo svolse attività la famiglia dei Neurone: Bernardo nel ’76 fu<br />
nominato primo architetto del principe a Brieg, poi del principe di Sassonia; Pietro<br />
fu architetto capo dell’elettore di Brandeburgo. Ricordiamo infine a Berlino al<br />
servizio di questo stesso elettore <strong>Francesco</strong> Ciaramella, come architetto civile e<br />
militare. A Gottorp, presso Schleswig, lavorò per il duca Adolfo l’architetto<br />
Tommaso da Orea.<br />
Per quanto riguarda lo stile rinascimentale nella Svizzera di lingua tedesca,<br />
troviamo motivi nel palazzo Ritter a Lucerna (1557), nel municipio, nei porticati di<br />
tipo toscano della collegiata (1663), nel castello di Stockalpen a Brig (con cortili a<br />
colonne), negli interni delle chiese di Stans (1641) e di Sachseln (1672). In pittura i<br />
motivi rinascimentali provengono da Augusta, fatti conoscere soprattutto dagli<br />
Holbein.<br />
In Francia si ebbe ben presto conoscenza del rinnovamento che avveniva oltralpe.<br />
Renato d’Angiò, re di Napoli, conte di Provenza, chiamò nel 1461 <strong>Francesco</strong><br />
Laurana e Pietro da Milano che lavorarono per lui nel castello di Tarascona. <strong>Il</strong><br />
Laurana eseguì medaglie per il re sull’esempio di Pisanello; dal 1477 al ’81 fu a<br />
Marsiglia, scolpì statue di santi nella cappella di S. Lazzaro del duomo vecchio,<br />
decorata dal lombardo Tommaso Malvito, e l’altare delle Marie, e in S. Didier ad<br />
Avignone la pala d’altare ”Gesù che porta la croce”. Negli stessi anni operò in<br />
Francia Giovanni da Maiano; per Renato d’Angiò lavorò anche il Colantonio,<br />
maestro di Antonello da Messina (forse il polittico con L’Annunciazione nella<br />
chiesa della Maddalena ad Aix è suo). Nel 1468 soggiornò alla corte di Luigi XI il<br />
pittore Zanetto Bugatto; Giovanni Canavesio lavorò a S. Etienne de Tinée (cappella<br />
di S. Sebastiano) e a Peillon (affreschi nella cappella di Notre Dame des douleurs).<br />
Del pittore Ludovico Brea ricordiamo la Pietà nella chiesa di Cimiez, un polittico a<br />
Chateauneuf-de- Grasse; nel 1490 Benedetto Ghirlandaio, chiamato da Gilbert de<br />
Montpensier, colmato di doni dal re, lavorò per molti anni in Francia. Infine<br />
Giacomo I Jaquerio decorò a tempera per Amedeo VIII di Savoia la cappella del<br />
castello di Thonon.<br />
Tra i grandi pittori francesi che appresero i modi stilistici del ‘400 italiano citiamo<br />
J. Fouquet che fu a Roma, a Napoli e a Firenze; N. Froment che a Firenze risentì<br />
dello stile prospettico toscano e del linearismo senese; Maitre de Moulins che in<br />
patria colse suggestioni italiane per la scioltezza cromatica e il morbido<br />
modellato.<br />
241
<strong>Il</strong> ritorno di Carlo VIII dalla spedizione di Napoli (1497) segnò l’inizio del<br />
<strong>Rinascimento</strong> in Francia. Egli, preso dallo splendore dell’arte italiana, lieto di<br />
portare con sé “22 ouvriers et gens de métiers”, i migliori operai ”de toutes choses<br />
du monde… pour faire ouvrage à son dévis à la mode d’Italie”, fu accompagnato<br />
in Francia da artisti come Giuliano da Sangallo, Guido Mazzoni (detto il Modanino<br />
o il Paganino), Girolamo Pacchiarotti detto Girolamo da Fiesole, Bernardino da<br />
Brescia, Domenico Bernabei da Cortona (detto il Boccadoro), Alfonso Damasso,<br />
marmoraro, Pacello da Mercogliano, giardiniere, e poi intagliatori, orefici,<br />
profumieri e sarti. Abbiamo notizia del trasferimento da Napoli in Francia di<br />
“plusiers tapisseries, librairies, painctures, pierres de marbres et de porphires et<br />
autres meubles”. Sappiamo che <strong>Il</strong> re fu impressionato dalle realistiche sculture del<br />
Mazzoni viste nella chiesa di S. Anna dei Lombardi a Napoli e nominò l’autore<br />
cavaliere; nello stesso anno lo scultore eseguì il “Transito della Vergine” nella<br />
abbazia di Fécamp. E’ sulle rive della Loira, nel castello di Amboise, presso Tours,<br />
che Carlo VIII inviò le maestranze portate da Napoli e proprio in quella regione<br />
ebbe inizio il primo <strong>Rinascimento</strong> francese (nel nuovo stile è uno dei due corpi di<br />
fabbrica con torri cilindriche). Nel 1499 Luigi XII chiamò Girolamo da Fiesole (di<br />
Domenico del Coscia) che scolpì a Nantes nella cattedrale la tomba di <strong>Francesco</strong> II<br />
di Bretagna e di Margherita di Foix e nella cattedrale di Tours la tomba dei figli di<br />
Carlo VIII (con la collaborazione del Colombe) su disegni di J. Perréal, uno dei<br />
propagandisti dell’arte italiana in Francia; collaborò alla tomba del cardinale<br />
d’Amboise nella cattedrale di Rouen e al gruppo de ”La mise au tombeau” nella<br />
abbazia di Solesmes. Nel 1502 il Mazzoni lavorò con fra Giocondo, architetto,<br />
giunto a Parigi due anni prima, nel castello di Gaillon, ove fu impegnato in lavori<br />
di rifacimento insieme con vari architetti francesi, tra i quali P. Delorme e R.<br />
Leroux, che si rifecero al gusto rinascimentale. La Normandia fu uno dei più<br />
precoci focolai del nuovo stile e il centro principale fu appunto il castello di<br />
Gaillon, residenza del cardinale d’Amboise, primo esempio di dimora francese<br />
costruita all’italiana (ricordiamo che i prelati francesi presso la S. Sede non<br />
tardarono ad uniformarsi al gusto dei tempi e artisti e opere italiane anche per il<br />
loro tramite passarono in Francia); frammenti decorativi del castello sono ora al<br />
Louvre, al museo di Cluny, all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi e gli ammirevoli stalli<br />
sono nel coro di S. Denis. <strong>Il</strong> cardinale d’Amboise, primo ministro di Luigi XII,<br />
ammiratore dell’arte italiana, esaltava Mantegna il primo pittore del mondo e<br />
faceva costruire palazzi “al modo de Ytalia”. Fra Giocondo, dopo aver lavorato a<br />
Gaillon, si occupò del castello di Verger e dei ponti della Senna (sembra opera <strong>sua</strong><br />
il ponte di Notre Dame) e lasciò la Francia nel 1505. L’influenza dello stile<br />
rinascimentale si affermò dapprima negli elementi decorativi, come nell’ala di<br />
242
Luigi XII del castello di Blois (1503-’05); la fronte settentrionale, attribuita a<br />
Domenico da Cortona, ha una facciata a scogliera con tre ordini di logge,<br />
sovrastate da un’altana di gusto toscano; la torre poligonale nell’interno,<br />
riccamente scolpita, nasconde una scala a spirale decorata con statue di gusto<br />
pienamente cinquecentesco. <strong>Il</strong> castello di Chambord, costruito forse su progetto<br />
di Domenico da Cortona, ha un’imponente facciata settentrionale di straordinaria<br />
estensione, attraversata orizzontalmente da una doppia cornice e verticalmente<br />
da piatti pilastri, la torre centrale ha un celebre scalone con soffitto a cassettoni<br />
finemente intagliati. Forme decorative fiorentine si ritrovano in molti castelli:<br />
nell’ala nord con scalone e stucchi di quello di Chateaudun (1510), nell’ala e nella<br />
cappella di quello di Maintenon (1521), nell’ala sud di quello di Le Lude (1520-<br />
’30), nella torre angolare con cupola di quello di Brissac, in quelli di Serrant e<br />
Villandry; abbiamo decorazioni all’italiana nel castello di Chaumont-sur-Loire,<br />
nella facciata della cappella ad arco trionfale e negli arredi rinascimentali del<br />
castello di Ussé, nelle facciate del cortile di quello di Le Montal; abbiamo infine un<br />
grande scalone e la sala riccamente decorata di sculture a soggetto mitologico nel<br />
castello di Villers-Cotterets, la facciata con ornati e lo scalone monumentale nel<br />
castello di Pau, ricostruito nel 1530. Ad Azay-le- Rideau lo scheletro gotico<br />
scompare sotto il fine ricamo ornamentale, sculture a rilievo che adornano le<br />
pareti esterne, e nella scala a rampe diritte, sovrastata da un soffitto a cassettoni<br />
profondi con medaglioni che raffigurano re e regine di Francia. Così il vecchio<br />
castello feudale, sotto la nuova ricca veste, si modifica; divenuto residenza di<br />
villeggiatura, perde il carattere difensivo e l’aspetto severo; numerose finestre si<br />
aprono sulle facciate, conferendo un aspetto più piacevole, aperto e accogliente,<br />
prevale l’amore per la lieta abitazione italiana.<br />
Da quando con <strong>Francesco</strong> I il gusto italiano è accolto come elemento che viene ad<br />
allietare la vita, come amore del piacere, anche i giardini si vestono all’italiana e si<br />
arricchiscono di padiglioni. Alla Batie d’Urfé lo stile nuovo si rivela nella grotta che<br />
ricorderà al suo signore, Claude d’Urfé, ambasciatore presso la S. Sede, quelle<br />
viste in Italia; ma la grotta più bella di tutte è quella di S. Germain-en-Laye, ricca<br />
delle più strampalate figurazioni.<br />
Molti edifici in Francia, costruiti in quel periodo, fanno sospettare la presenza di<br />
numerosi maestri italiani; medaglioni decorativi e fregi ornamentali appaiono un<br />
po’ dappertutto sulle facciate delle case e degli “hotels” di Angers, Bonnivet,<br />
Besancon, Bourges, Cahors, La Rochelle, Loches, Montferrand, Metz, Orléans,<br />
Paray-le-Monial, Toulouse, Villefranche de Rouergue proprio come sulle facciate<br />
dei palazzi italiani.<br />
243
La casa di Boutgthérude a Rouen e molte case di Caen hanno facciate adorne di<br />
busti di imperatori o di riquadri a bassorilievo, ispirati al “Trionfi” del Petrarca o<br />
anche di statue allegoriche, così come il palazzo di Mondrainville, la casa di Abel<br />
le Prestre e quella di Ecoville. A Tours nelle prima metà delle ‘500 molte abitazioni<br />
di stile gotico furono modificate secondo il nuovo gusto (notevole tra queste il<br />
palazzo Gouin). L’arte rinascimentale trionfa sull’antica scuola borgognona;<br />
numerose case di Digione stanno a testimoniare l’entusiasmo della borghesia del<br />
tempo per questa nuova forma di civiltà venuta da Firenze e Milano. Influssi<br />
rivelano anche il municipio di Orléans (1503), di Nimes e di Rouffach (1540), il<br />
palazzo di giustizia di Rouen, numerosi palazzetti di Langres con facciate a<br />
colonne, il palazzo Bernuy (con portico e loggia) e la maison de Pierre (con<br />
cortile), ambedue a Tolosa; ricordiamo infine il cortile decorato nel diaconato di S.<br />
Jean a Cahors e l’Hotel Carnavalet a Parigi (1545) con statue alle finestre,<br />
raffiguranti le stagioni.<br />
Questa rapida corsa fra castelli e abitazioni ci dà l’impressione che spesso<br />
debbano essersi formati qua e là, in Francia, gruppi di lavoratori italiani che<br />
furono a volte umili scalpellini o poco più. Notiamo come, non solo il re, ma tutti<br />
gli uomini più in vista, anche se il loro castello era rincantucciato nella campagna,<br />
fossero presi da questa smania di farsi, o almeno rifarsi un’abitazione, che avesse<br />
aspetto italiano e si deliziassero di grotte e di giardini. Questi desideri, questi<br />
gusti, prendono naturalmente un carattere più preciso nell’esecuzione, e si hanno<br />
così fasi diverse d’una stessa tendenza. Dapprima la fioritura superficiale,<br />
l’ubriacatura dell’ornamento; dopo il 1531 le diffuse dottrine vitruviane da un lato<br />
e dall’altro l’ispirazione, tratta dalla rozza copia di un arco trionfale romano a tre<br />
fornici, che è il portico della corte ovale di Fontainebleau, rendono comuni forme<br />
tendenti ad una sempre maggiore compostezza (ricordiamo Fontaine Henri,<br />
1537- Assier, 1538- Mesnières, 1545-Tour Grignan, 1545). Intorno al 1540<br />
l’arrivo di teorici e di architetti italiani, come il Vignola e soprattutto il Serlio,<br />
contribuisce a dare un indirizzo preciso a questo movimento, cioè all’ispirazione<br />
al <strong>Rinascimento</strong> romano (vedi lez. n.19). A poco a poco si giunge col Délorme ad<br />
una visione del classico che renderà inutili gli interpreti italiani. Una nuova gravità<br />
fa scomparire la grazia vivace, il brio, la leggerezza delle precedenti creazioni.<br />
Così il terzo periodo della penetrazione italiana comincia con la costruzione del<br />
nuovo Louvre (1547), ispirato più all’arte romana antica che a quella<br />
rinascimentale, più a Roma che a Firenze. P. Délorme soggiornò a Roma dal 1533<br />
al ’36, studiando gli antichi e i contemporanei; di lui ricordiamo la tomba per<br />
<strong>Francesco</strong> I a S. Denis (ispirata all’arco trionfale romano), i lavori nel castello di<br />
244
Anet dove appaiono elementi di cultura classica e rinascimentale, e nei castelli di<br />
Chenonceaux e Fontainebleau; in lui è vivo il senso della monumentalità.<br />
Tra gli altri architetti francesi del periodo che si formarono in Italia o subirono<br />
influssi venuti dall’Italia citiamo G. Lebreton che fu al servizio di <strong>Francesco</strong> I e<br />
lavorò dal 1528 alle nuove costruzioni per il castello di Fontainebleau, innestando<br />
sulla tradizione tardogotica francese i modi della contemporanea architettura<br />
romana; P. Lescot, discendente della famiglia degli Alessi, dai modi<br />
classicheggianti, autore dei due corpi ai lati della cour carré al Louvre (1550-’60);<br />
N. Bachelier, anche scultore; J. Bullant che studiò a Roma, così come E. Dupérac,<br />
famoso anche come incisore.<br />
Per quanto riguarda l’architettura religiosa, le chiese di Sens e Senlis, la cappella<br />
di S. Michele in S. Aignan a Chartres, la chiesa di S. Eustachio a Parigi (1532), la<br />
facciata di Notre-Dame a Bourg, il portale di Tonnerre, la facciata di S. Michele a<br />
Digione, la facciata e i tre portali con ricca decorazione della chiesa di Notre-<br />
Dame di Villeneuve-sur- Yonne, la navata della chiesa di Gallardon, l’abside ricca<br />
di elementi decorativi con soffitto a cassettoni della chiesa di Notre-Dame a La<br />
Ferté-Bernard, le cappelle della chiesa di Notre-Dame di Fontenay-le Compte, il<br />
braccio sud della chiesa di S. Pierre a Dreux (con la facciata principale, la facciata<br />
nord con la cupola e il campanile), il coro e la cripta fatta costruire da Caterina de’<br />
Medici nella chiesa di Notre-Dame a La Ferté –Milon, il piccolo chiostro con<br />
loggiato maggiore a colonne nel convento di Brou, rivelano influssi rinascimentali<br />
italiani. La regina fece costruire anche il grande palazzo delle Tuileries,<br />
cominciato da P. Delorme e ripreso da J, Bullant, ambedue formatisi a Roma; il<br />
secondo introdusse in Francia l’architettura grandiosa e l’uso dei colonnati che,<br />
salendo dal fondo, abbracciano diversi piani.<br />
Poiché il nuovo stile cominciava a imporsi in Francia, molte opere furono richieste<br />
ai nostri artisti in patria. Nel 1502 Benedetto da Rovezzano, Girolamo Viscardo,<br />
Michele Auria da Pellio e Donato Benti eseguirono a Genova per Luigi XII la<br />
sepoltura marmorea dei duchi d’Orléans; due anni dopo Benedetto da Rovezzano<br />
e il Benti si recarono in Francia per trasportarvi alcune statue già abbozzate per<br />
quel monumento, montato nella chiesa dei Celestini (smembrato durante la<br />
rivoluzione francese e ricomposto a S. Denis). Nel 1507 il Viscardo scolpì per<br />
l’abate A. Boyer un tabernacolo, un reliquiario, due statue e cinque bassorilievi.<br />
Tra le opere importate ricordiamo anche la grande e ricca fontana (ora nel castello<br />
di La Rochefoucauld), opera della bottega di Pace da Sormano e Antonio della<br />
Porta (Tamagnino); questi eseguì poi per la chiesa di Folleville il grande mausoleo<br />
di R. de Lannoy, governatore a Genova per Luigi XII. Dall’Italia giunge anche la<br />
statua del sovrano, opera di Lorenzo da Muggiano.<br />
245
A Parigi sin dall’inizio del secolo <strong>XV</strong>I si formò una colonia di artisti italiani che<br />
facevano vita comune nel castello di Petit-Nesle; valentissimi nel lavorare il<br />
marmo, erano gli esecutori anche di opere ideate dai francesi secondo il gusto<br />
nazionale; quest’albergo divenne il centro di una scuola di scultura. Vi lavorarono,<br />
tra gli altri, dal 1504 il Mazzoni, Benedetto Montorsoli e dal ’40 il Cellini (vedi lez.<br />
n.19).<br />
<strong>Il</strong> Mazzoni, dal 1507 al servizio di Luigi XII, eseguì per lui due statue che furono<br />
riposte nel castello di Blois, l’una in costume da caccia, l’altra equestre. Tours<br />
come Gaillon fu uno dei primi centri del nuovo stile: vi fu lo stesso Mazzoni che<br />
nel 1516 eseguì con il Pacchiarotti il sepolcro di Carlo VIII per la chiesa di S. Denis<br />
(distrutto alla fine del ‘700) in bronzo smaltato, con quattro angeli intorno alla<br />
figura sormontata di gigli d’oro, e con le Virtù piangenti nelle nicchie della<br />
cappella funeraria; <strong>sua</strong> è anche la tomba De Commines (ora al Louvre); poco dopo<br />
il Mazzoni tornò in patria, colmo di ricchezze e di onori, senza la moglie<br />
Pellegrina Discalzi e senza la figlia, valenti scultrici, perdute in Francia. A Tours<br />
operarono come scultori del re i tre fratelli Giusti (il loro nome era Betti),<br />
fiorentini, arrivati in Francia nel 1504; furono nel ’13 naturalizzati francesi e<br />
chiamati Juste. Antonio eseguì con i fratelli la tomba del vescovo T. James nella<br />
cattedrale di Dol, nel ’08 lavorò a Gaillon dodici figure di apostoli in alabastro per<br />
la cappella del castello, un busto del cardinale d’Amboise, e altre statue; dal ’16<br />
collaborò con il fratello Giovanni alla tomba di Luigi XII e di Anna di Bretagna.<br />
Giovanni nel ’21 si recò a S. Denis per collocarvi questo monumento; eseguì poi a<br />
Tours altre opere; nel periodo 1532-’39 per la cappella del castello<br />
italianeggiante d’Oiron (Deux-Sèvres) scolpì la tomba di A. Gouffier e quella di F.<br />
Montmorency. Andrea partecipò ai lavori dei fratelli. I Giusto portarono in Francia<br />
lo stile decorativo del <strong>Rinascimento</strong> fiorentino del secolo <strong>XV</strong>, interpretandolo con<br />
un senso spiccatamente pittorico.<br />
Nel 1508 il cardinale d’Amboise chiamò i pittori Andrea del Gobbo Solario,<br />
Girolamo Tornelli, il Pacchiarotti e Pietro da Mercogliano per decorare il castello di<br />
Gaillon; gli affreschi della cappella sono andati perduti. I giardini furono ricreati<br />
all’italiana, il padiglione si coprì di ricca decorazione plastica italiana. Anche in<br />
questo centro con Lorenzo da Muggiano e con i Giusti si formò una bottega di<br />
scultura.<br />
Ricordiamo che A. de la Pointe, pittore di vetrate, venne influenzato dal repertorio<br />
decorativo dei maestri là operanti; di influsso italiano sono anche le vetrate delle<br />
navate della chiesa di Ecouen (1515).<br />
Domenico da Cortona fu impiegato dal 1510 al ’31 ai castelli di Blois e Chambord,<br />
dal ’32 all’Hotel de ville di Parigi fino al ’49, anno della <strong>sua</strong> morte. Anche per varie<br />
246
feste e cerimonie a corte fu molto richiesta la <strong>sua</strong> opera; per il battesimo di<br />
Renata di Francia (1510) gli si ordinarono la culla, i mastelli, ecc. Per l’ingresso di<br />
Maria d’Inghilterra (1514) esegue un arco trionfale; suo è alla morte di Luigi XII<br />
(1515) il catafalco, mentre la cappella ardente è di <strong>Francesco</strong> da Campobasso.<br />
Con <strong>Francesco</strong> I di Valois, re dal 1515 al ’47, grande protettore delle arti, si ha<br />
un’azione decisiva nella storia del <strong>Rinascimento</strong> in Francia; questo periodo ha<br />
inizio dopo la battaglia di Marignano. <strong>Il</strong> re raccolse intorno a sé molti artisti;<br />
commissionò nel ’15 ad Agostino Busti, detto il Bambaia, il monumento a Gastone<br />
di Foix; nel ’28 trasferì la propria residenza dalla Loira, sede prediletta della corte<br />
dei Valois, all’<strong>Il</strong>e-de-France, dove fece costruire i castelli di Fontainebleau e di<br />
Madrid. <strong>Il</strong> primo, tutto decorato di affreschi, stucchi e sculture di artisti italiani, e<br />
in parte costruito su loro disegno, fu centro degli italianeggianti della scuola detta<br />
di Fontainebleau (vedi lez. n.19). Per costruire e decorare il castello di Madrid il<br />
sovrano chiamò nel 1528 Girolamo della Robbia; tornato dalla prigionia spagnola,<br />
volle un palazzo del tutto nuovo, da costruire ”au bout de nostre foreste de<br />
Boulogne”, e che prenderà nome Madrid, perché simile a quello di Spagna, nel<br />
quale il sovrano era stato per molto tempo prigioniero. Per questa opera<br />
<strong>Francesco</strong> I sceglie un italiano, chiama appunto Girolamo della Robbia, figlio di<br />
Andrea, che giunge con il doppio incarico di architetto e decoratore e passa venti<br />
anni a dirigerne i lavori; la <strong>sua</strong> attività è strettamente legata al laboratorio di<br />
Suresne (più tardi trasportato a Puteau), dove erano i forni e si preparavano le<br />
decorazioni in terracotta smaltata, i famosi invetriati robbiani. La scelta di<br />
<strong>Francesco</strong> I cade su un artista che porta un più sobrio gusto, una più raffinata<br />
eleganza e che è lontano dalle caratteristiche bramantesche, cui si era ispirato<br />
Domenico da Cortona. Le svelte arcate delle gallerie ricordano la loggia degli<br />
Innocenti, le ampie linee orizzontali si sostituiscono al sovrapporsi dei pilastri, si<br />
sente la mano di un fiorentino. Dal 1553 al ’60 la direzione dei lavori passa a Ph.<br />
Delorme; Girolamo torna per questi anni in Italia dopo la morte del fratello,<br />
venuto in Francia a lavorare con lui. Nel ’60 riprende il suo posto, tornando in<br />
favore il Primaticcio e con lui tutti gli italiani, allontanati dopo la morte di<br />
<strong>Francesco</strong> I e chiamati nuovamente con Caterina de’ Medici. IL palazzo di Madrid,<br />
centro italianeggiante dalle tendenze fiorentine, offre un valido esempio ad altri<br />
costruttori: se ne ricorda Chambiges in S. Germain en. Laye (1539), Gilles le<br />
Breton a Chambord.<br />
Dal laboratorio di Suresnes escono i medaglioni circolari al cui centro è un busto e<br />
ne provengono anche i fregi per le facciate, e le ghirlande di fiori e frutta. Questa<br />
colorita decorazione fu molto ammirata; per essa il Ducerceau ebbe parole di<br />
lode.<br />
247
Girolamo della Robbia non lavorò solo al Madrid; oltre che a Fontainebleau (vedi<br />
lez. n.19) “lavorò ancora di terra molte cose in Orléans”, dice il Vasari; eseguì<br />
opere per l’ambizioso progetto di Caterina de’Medici per la cappella dei Valois a S.<br />
Denis. <strong>Il</strong> Primaticcio aveva affidato a Girolamo l’esecuzione della statua della<br />
regina; questi non potè terminarla e il Pilon la riprese dopo la <strong>sua</strong> morte (1566).<br />
Tra gli altri scultori operosi in Francia ricordiamo Onofrio Campitoglio che lavorò<br />
nel coro della chiesa di Brou alla tomba di Filiberto di Savoia (statuette di sibille e<br />
genietti di gusto italiano). Giovan <strong>Francesco</strong> Rustici visse per 26 anni in Francia;<br />
pare attendesse dal 1528, anno in cui fu chiamato, a un monumento equestre;<br />
non restano tracce della <strong>sua</strong> attività di scultore presso <strong>Francesco</strong> I.<br />
Anche a Troyes si formò nel 1541 una scuola di scultura ad opera di Domenico<br />
Fiorentino (detto del Barbiere) che fu anche incisore, pittore, orafo e mosaicista,<br />
giunto in Francia al seguito del Rosso e del Primaticcio, dopo aver lavorato a<br />
Fontainebleau (vedi lez. n.19); a Troyes scolpì l’ambone di S. Stefano e con<br />
<strong>Francesco</strong> Gentili le porte di S. André les Troyes e l’altare di S. Urbano; forse<br />
lavorò con lui quel Lorenzo Piccardo citato dal Vasari. Con J. Picart Domenico<br />
Fiorentino eseguì nel 1550 la tomba di Claudio di Lorena e di Antonietta di<br />
Borbone a Joinville; suo è il piedistallo su cui posano le Grazie del monumento per<br />
il cuore di Enrico II (opera del Pilon). Altre sculture sono a Bar-sur-Aube e a S.<br />
Denis; l’opera di Domenico Fiorentino influenzerà la scuola della Champagne. Per<br />
l’influsso del ‘500 italiano sugli scultori francesi Pilon, Goujon e Richier vedi lez.<br />
n.19. Ph. Vigarny risente dei modi rinascimentali italiani nelle sue opere eseguite<br />
in Spagna.<br />
Per quanto riguarda i pittori italiani in Francia, tra i primi invitati da <strong>Francesco</strong> I fu<br />
Andrea del Sarto che giunse nel 1518 insieme con lo Sguazzella e fu ben accolto a<br />
corte; fece il ritratto del delfino e altri dipinti tra cui la “Carità” (ora al Louvre),<br />
l’anno seguente tornò a Firenze. Lo Sguazzella lavorò al castello di Semblancy<br />
presso Tours e poi a Parigi dal 1526; qui accolse anni dopo il Cellini.<br />
Paris Bordone, allievo del Tiziano, fu in Francia dal 1538 al ’40; nello stesso<br />
periodo lavorò Girolamo del Pacchia, morto in Francia dopo il ’39.<br />
Fin dal 1513 per merito del nascente mecenatismo si riunirono ad Albi, chiamati<br />
da Luigi d’Amboise, vescovo della città, a dipingere nella cattedrale, Giulio<br />
Violano, Lucrezio Cantora da Bologna, Lorenzo da Modena, Gian <strong>Francesco</strong> Donela<br />
da Carpi; nella volta dipinsero il “Dio Padre” tra i quattro simbolici animali, nelle<br />
pareti numerose figure; nei loro affreschi prevaleva il gusto pittorico emiliano.<br />
A Lione fiorì una scuola michelangiolesca; dal 1515 al ‘40 si affermò una bottega,<br />
vi lavorarono Nicola, Bernardo e Benedetto Del Bene che diffusero con copie le<br />
opere del maestro, come la “Leda e il cigno”, tela copiata anche dal Rosso<br />
248
Fiorentino a Fontainebleau. Per tutti gli artisti che lavorarono in questo centro<br />
rimandiamo alla lezione sul Manierismo (n.19).<br />
Trattiamo ora dei rapporti con <strong>Francesco</strong> I dei tre grandi del <strong>Rinascimento</strong>:<br />
Leonardo, Michelangelo e Raffaello.<br />
Accompagnato da <strong>Francesco</strong> Melzi e Andrea Salai, dal servitore Battista de Villanis<br />
e dalla fantesca Malacina, Leonardo da Vinci si trasferì in Francia nel 1517,<br />
accettando la splendida ospitalità offertagli da <strong>Francesco</strong> I; questi lo colmò di<br />
onori, lo nominò “premier peintre, architecte et méchanicien du roi” e gli assegnò<br />
a dimora il castello di Cloux dove potè dedicarsi alle sue ricerche e ai disegni del<br />
diluvio. Si sa da una relazione del segretario del cardinale d’Aragona, in visita<br />
presso Leonardo nel ’17, che il maestro mostrò al suo visitatore tre quadri di cui<br />
era l’autore: “S. Giovanni Battista”, “S. Anna”, e un ritratto di donna, monna Lisa<br />
del Giocondo, detta poi la Gioconda, quadri senza dubbio dipinti per conto di<br />
committenti italiani. Si sa che a Fontainebleau esisteva una “Leda” distrutta nel<br />
secolo <strong>XV</strong>II; la “Vergine delle rocce” è citata nel 1625 da Cassiano del Pozzo che la<br />
vide a Fontainebleau. Leonardo, impedito da una paralisi, negli ultimi tempi non<br />
dipingeva più; unica attività fu il progetto di un grande castello con parco per la<br />
regina madre a Romorantin (la costruzione non fu realizzata ma le idee del<br />
progetto si riflettono nel castello di Chambord, iniziato sotto <strong>Francesco</strong> I, vivente<br />
ancora il maestro). <strong>Il</strong> documento più commovente dell’ultima attività creativa sono<br />
i disegni della “Fine del mondo”. Leonardo morì nel castello d’Amboise il 2 maggio<br />
1519 e fu sepolto nella chiesa di S. Florentin (distrutta durante la rivoluzione).<br />
Erede dell’intero patrimonio degli scritti fu il fedelissimo amico e allievo <strong>Francesco</strong><br />
Melzi.<br />
Nel 1497 il cardinale J. Bilhères de Lagraulas, ambasciatore di Carlo VIII presso la<br />
S. Sede, ordinò a Michelangelo una Pietà, ora in S. Pietro in Vaticano. Nel 1502<br />
una statua della Madonna con Bambino è portata da mercanti fiamminghi a<br />
Bruges. Nello stesso anno Pierre de Rohan, un amatore d’arte già sceso in Italia al<br />
seguito di Carlo VIII, attraverso gli ambasciatori fiorentini residenti a Lione,<br />
commissionò a Michelangelo un “David” in bronzo; l’esecuzione andò per le<br />
lunghe, finchè su intervento della Signoria che riceveva sollecitazioni dalla<br />
Francia, si riuscì ad ottenere l’aiuto di Benedetto da Rovezzano per rifinire l’opera<br />
dopo la fusione nel 1508. Pervenuto in Francia, il “David” fu collocato nel castello<br />
di Bury; nel secolo <strong>XV</strong>II si trovava in quello di Villeroy ma da allora se ne sono<br />
perse le tracce. Anche un “Ercole” ebbe la stessa sorte. Nel 1529 da <strong>Francesco</strong> I<br />
giungono continue offerte a Michelangelo per stabilirsi in Francia; nel ’46 l’artista<br />
promette al sovrano una scultura in bronzo, una in marmo e un dipinto che non<br />
eseguirà. Roberto Strozzi regala al re due “captivi”, avuti in dono da Michelangelo;<br />
249
dati dal re al Montmorency, passarono al Richelieu e poi al Louvre. <strong>Il</strong> quadro “Leda<br />
e il cigno” attraverso Antonio Mini è destinato a Fontainebleau. Per Caterina de’<br />
Medici l’artista disegna un monumento in onore di Enrico II.<br />
A Raffaello Margherita di Navarra commissionò una “S. Margherita”, restaurata dal<br />
Primaticcio a Fontainebleau, ora al Louvre. <strong>Il</strong> cardinale Gouffier de Boissy gli<br />
ordinò una “Madonna con s. Elisabetta, s.Giovanni e il Bambino”, passata poi a<br />
Luigi XIV, ora al Louvre. <strong>Il</strong> maestro urbinate preparò i disegni per i quadri<br />
commissionati da <strong>Francesco</strong> I; essi furono portati a Parigi da Giulio Romano. Si<br />
attribuisce al sovrano l’acquisto della “Bella giardiniera”. Secondo il Vasari la<br />
“Sacra famiglia” e il “S. Michele che debella Satana” (con la partecipazione della<br />
scuola) sarebbero stati realizzati per il re che ricevette d’altra parte come regalo il<br />
ritratto di Giovanna d’Aragona, sicuramente opera del maestro; il sovrano chiese<br />
anche 40 cartoni con le storie della Sacra Scrittura per i ricami sul mobilio di una<br />
camera da letto. La collezione di <strong>Francesco</strong> I si ingrandì con la “Visitazione” di<br />
Sebastiano del Piombo e con il “Gastone di Foix” del Savoldo. L’ambizioso<br />
<strong>Francesco</strong> I acquistò molte opere anche per il tramite di Giambattista della Palla,<br />
di cui il Vasari disse che aveva spogliato Firenze d’una infinità di cose elette,<br />
senza alcun rispetto.<br />
A tale proposito ricordiamo che gli Stati italiani furono i primi in Europa a tentare<br />
di porre restrizioni all’esportazione delle opere d’arte, e le leggi italiane emesse a<br />
questo scopo nella nostra epoca sono tra le più rigorose del mondo.<br />
Per concludere l’argomento sul <strong>Rinascimento</strong> italiano in Francia, si può affermare<br />
che in un primo momento vi fu un interesse puramente esteriore, l’arte passava<br />
quasi in seconda linea, giacchè era la vita italiana che si desiderava imitare;<br />
questo ai tempi di Carlo VIII. Più tardi quel gusto andò raffinandosi; la corte per<br />
volere del re <strong>Francesco</strong> I fu il centro da cui si diffuse la nuova moda. Ciò che<br />
attraeva soprattutto era l’elemento di nuova, meravigliosa ricchezza e di maggiore<br />
lusso, passando dal gusto decorativo lombardo e fiorentino alla preziosità del<br />
Manierismo (vedi lez. n.19). Fontainebleau sta al centro e collega alla vecchia<br />
scuola la nuova, sta tra la pittura che si è appena sciolta dalla miniatura gotica e<br />
dalle tavole religiose e la pittura ornamentale, delle grandi composizioni, del<br />
paesaggio, della figura umana; si afferma la ritrattistica. Nel ritratto di <strong>Francesco</strong><br />
I, opera di Jean Clouet, fiammingo, si avverte il gusto rinascimentale per la<br />
ampiezza dell’impostazione formale. Suo figlio François si ispira al Moroni con<br />
ritratti a figura intera, al tipo italiano di “posa ufficiale”, mostrando una sensibilità<br />
particolare per la cultura italiana, nel taglio compositivo e nelle calde, pacate<br />
sensibilità cromatiche.<br />
250
In Inghilterra il <strong>Rinascimento</strong> architettonico, mediato attraverso la Francia, è in un<br />
primo tempo interpretato come una specie di decorazione applicata in superficie<br />
alle grandi residenze dei primi re Tudor. Con lo scioglimento dei monasteri (1539)<br />
l’interesse si sposta dalle chiese e dai castelli alle abitazioni e ai palazzi privati;<br />
nessuna chiesa fu costruita fino al grande incendio di Londra del 1666;<br />
nell’ambito dell’architettura civile, mentre con l’artiglieria le fortezze hanno<br />
perduto la loro ragion d’essere, l’accresciuta sicurezza sociale sollecita a costruire<br />
più per ragioni di prestigio e comodità che per difesa.<br />
Enrico VIII d’Inghilterra (1509-’47) e il suo primo ministro, il cardinale Wolsey,<br />
certo per emulare <strong>Francesco</strong> I e il cardinale d’Amboise, impiegarono artisti italiani,<br />
alcuni dei quali avevano precedentemente lavorato in Francia. Ricordiamo le<br />
decorazioni in terracotta nella grandiosa dimora di Wolsey a Hampton Court,<br />
dovute a Giovanni da Maiano (in Inghilterra dal 1521 al ’36), medaglioni<br />
rappresentanti imperatori romani nei corpi d’ingresso, putti che reggono le armi<br />
del cardinale nel cortile. A Winchester un fregio a grottesche decora l’ambulacro<br />
del coro della cattedrale (1525); nella cattedrale di Ely la cappella del vescovo<br />
West (1533) mostra accanto ad elementi gotici motivi decorativi di tipo italiano,<br />
delfini, viticci, arabeschi, ecc. Un tipo analogo di decorazione è costituito dagli<br />
stalli della cappella del King’s College di Cambridge; il palazzo di Nonsuch (poi<br />
demolito ) presentava decorazioni di stucco eseguite da artisti di Fontainebleau.<br />
Qualche anno più tardi Benedetto da Rovezzano con Antonio Cavallari, dal 1524 al<br />
’35, scolpì la tomba del cardinale Wolsey a Windsor (divenuta poi tomba di Enrico<br />
VIII), dispersa nel 1646; il sarcofago fu adattato alla tomba di Nelson in St. Paul, i<br />
quattro candelabri sono nel duomo di Gand in Belgio.<br />
<strong>Il</strong> Torrigiano, esiliato da Firenze dopo una lite con il Buonarroti, passò a Roma, poi<br />
in Fiandra, stabilendosi quindi in Inghilterra, dove eseguì la bella tomba di Enrico<br />
VII ed Elisabetta di York (1518) nell’abbazia di Wenstminster, la tomba di<br />
Margherita di Richmond e quella di J. Yonge in Chancery Lane (oggi in un museo<br />
londinese). Nel 1519 il Torrigiano, ritornato a Firenze, ingaggiò artisti da inviare<br />
in Inghilterra e cioè Pier Giovanni da Settignano, Gian Luigi di maestro Jacopo,<br />
Antonio (Toto) del Nunziata; nuovamente a Londra nel ’20, abbandonò la corte<br />
inglese per la Spagna.<br />
Molti nobili e prelati, i veri mecenati delle arti, costruirono in tutto il paese vaste<br />
dimore di campagna, fecero eseguire i loro ritratti, servendosi soprattutto<br />
dell’opera di Girolamo da Treviso (dal 1538 al ’44), Giovanni Bernardi e Luca<br />
Penni. Anche i castelli-fortezza, a poco a poco evolvendosi, si trasformarono in<br />
ville; gli elementi fortificati divennero decorativi; il castello di Sutton Place<br />
251
(Surrey), costruito verso il 1525, mostra una ricerca di eleganza ottenuta con<br />
l’impiego di pannelli e di ornamenti di terracotta.<br />
L’Old Somerset House (1547-’52) fu il primo tentativo di ricreare un edificio<br />
genuinamente italiano; la parte centrale della facciata riprendeva tutti i motivi<br />
degli archi di trionfo tra le due ali, sormontati da una balaustra ornamentale e con<br />
muratura rustica. <strong>Il</strong> castello di Longleat (1553) presenta il tipo delle grandi dimore<br />
elisabettiane e si ispira al Somerset House; l’edificio è più italiano che francese,<br />
disposto simmetricamente rispetto ai due assi, con le superfici tutte rette.<br />
Anche la sistemazione degli interni subì delle trasformazioni; in tutte le dimore<br />
signorili lo stile nuovo si avverte, oltre che nel cambiamento planimetrico, nella<br />
spiccata tendenza alla simmetria, nello splendore dei locali, nella funzione<br />
dell’atrio, divenuto il centro dell’abitazione. Come in Francia, così in Inghilterra<br />
comparve una lunga galleria di solito al primo piano; quella di Hampton Court è<br />
assai vicina cronologicamente a quella di Fontainebleau, altre ne furono costruite<br />
a Montacute e a Hardwick; i soffitti a modanature erano suddivisi in scomparti<br />
riccamente decorati da motivi di derivazione italiana, i camini erano monumentali<br />
e ricchi.<br />
A Wollaton Hall di R. Smithson, il primo architetto inglese che volle innestare<br />
forme italiane su quelle ancora gotiche, la pianta è ricavata da un’incisione del<br />
Serlio; l’insieme si richiama al palazzo di Poggioreale a Napoli, edificio allora<br />
considerato un’assoluta novità.<br />
Tra gli altri artisti italiani attivi in Inghilterra nel secolo <strong>XV</strong>I ricordiamo Pietro Baldi,<br />
Teodoro Bernardi, Giovanni da Rovezzano e Vincenzo Volpe (Fox), pittore alla<br />
corte inglese tra il 1514 e il ’30.<br />
Nelle Fiandre e in Olanda durante tutto il ‘400 gli italianismi furono assai vivi<br />
presso artisti grandi e minori, intensi i rapporti tra i pittori fiamminghi, olandesi e<br />
italiani.<br />
Zanetto Bugatto (notizie 1458-’74) fu inviato dai duchi di Milano a Bruxelles dove<br />
rimase per tre anni nella bottega di R. Van der Weiden che nel ’50 si era recato a<br />
Roma per il giubileo, fermandosi poi a Ferrara (dove lavorò per Lionello d’Este) e<br />
visitando Firenze e Milano, venendo a contatto con Gentile da Fabriano;<br />
l’influenza italiana si avverte nella diminuita drammaticità delle opere posteriori al<br />
viaggio in Italia e nella raffinatissima scansione spaziale.<br />
Giusto di Gand nelle opere eseguite ad Urbino dal 1471 per il duca Federico da<br />
Montefeltro risente delle rigorose concezioni spaziali di Piero della Francesca e<br />
Leon Battista Alberti.<br />
Quentin Metsys, fondatore della scuola pittorica di Anversa, accoglie il senso<br />
realistico dell’arte rinascimentale, attenuando l’intensità religiosa della tradizione<br />
252
gotica; acquista una concezione più monumentale dello spazio e subisce l’influsso<br />
di Leonardo negli ampi paesaggi in cui vibrano l’atmosfera e la luce.<br />
H. Met de Bles, detto il Civetta (sec. <strong>XV</strong>-<strong>XV</strong>I), operò in Italia per molti anni e morì a<br />
Ferrara; eseguì soprattutto paesaggi, risentendo nelle ultime opere della lezione<br />
rinascimentale.<br />
<strong>Il</strong> 1508 è una data importante per la pittura fiamminga: arriva a Roma J. Gossaert,<br />
detto Mabuse, al seguito di Filippo di Borgogna, accompagnando l’ambasceria di<br />
Massimiliano II a Giulio II; primo degli artisti nordici (fu anche a Verona, Venezia e<br />
Firenze) ad assorbire il classicismo in Italia, non esitò ad impadronirsi della<br />
formula rinascimentale della bellezza che gli Italiani avevano appreso dall’antico,<br />
per liberarsi della propria moda stilistica, goticamente elegante ma aguzza,<br />
risentendo dei toni mantegneschi nella composizione spaziale e leonardeschi nei<br />
paesaggi, portando in Fiandra temi mitologici alla maniera italiana. Secondo<br />
Ludovico Guicciardini nella <strong>sua</strong> “Descrizione dei Paesi Bassi” (Anversa, 1567) il<br />
Gossaert fu il primo che portò dall’Italia l’arte del dipingere historie e poesie con<br />
figure nude.<br />
In questo periodo Malines (Mechelen), capitale dei Paesi Bassi (Belgio e Olanda<br />
insieme) dal 1507 al ’30, è direttamente influenzata dal <strong>Rinascimento</strong> italiano,<br />
attraverso la cultura della corte italianizzante di Margherita d’Austria e per la<br />
presenza di molti artisti italiani (ricordiamo Jacopo de’Barbari, pittore di corte<br />
dell’arciduchessa che gli concesse una pensione, Tommaso Vincidor, Nicolò<br />
Paladino, Pietro Torrigiani, Giovanni da Candida e Nicola Spinelli).<br />
Come abbiamo detto, il Gossaert fu il primo a fare un vero e proprio viaggio di<br />
studio in Italia; dopo di lui cominciò il pellegrinaggio dei fiamminghi e degli<br />
olandesi per studiare a Roma o a Venezia soprattutto problemi di luce, di<br />
prospettiva, di composizione. La pittura di ritratto e di paesaggio subisce una<br />
grande trasformazione sotto l’influsso italiano; nel ritratto si guardò soprattutto al<br />
Tiziano e nel vedutismo determinante fu il contatto con il paesaggio classico<br />
d’Italia.<br />
Nel Seicento esisteva ancora in Anversa una società in cui si radunavano gli artisti<br />
che avevano studiato e lavorato in Italia; del culto del <strong>Rinascimento</strong> italiano e della<br />
conoscenza profonda delle sue forme si facevano un vanto; essi avevano elevato<br />
l’arte a maggiore dignità,introducendola nelle corti e adattandola al gusto dei<br />
grandi. Nella seconda metà del secolo <strong>XV</strong>I era visibilmente cresciuta in Europa<br />
l’importanza dei popoli latini, nella politica predominava la Spagna, nell’arte e<br />
nelle forme della vita civile dettava legge l’Italia.<br />
Tra il 1517 e il ’19 arrivarono a Bruxelles, capitale dei duchi di Borgogna, i dieci<br />
cartoni di Raffaello per gli arazzi con gli ”Atti degli apostoli”, destinati alla<br />
253
Cappella Sistina. I cartoni, che come si usava allora non vennero restituiti,<br />
rimasero nei Paesi Bassi, destando un’enorme impressione sugli artisti che ebbero<br />
così l’opportunità di vedere per la prima volta lo svolgimento compositivo di<br />
un’arte nuova, dall’essenzialità prospettica e anatomica, tanto diversa dall’analisi<br />
realistica del particolare che caratterizzava la produzione fiamminga; gli arazzi<br />
furono eseguiti nella bottega di P. van Aelst con la collaborazione di B. van Orley<br />
che entrò così in contatto con la pittura romana; assunto a Bruxelles da<br />
Margherita d’Austria, influì su J. Mostaert, olandese, che si aprì alle suggestioni<br />
del nuovo stile, oltre il minuzioso descrittivismo e i colori netti.<br />
Nasce dunque con il Gossaert e più tardi con J. Van Scorel che, passando per<br />
Venezia, fu a Roma dal 1521 al ’24 e potè giovarsi della protezione del papa<br />
fiammingo Adriano Vi, quella corrente di “italianisants” che una volta rientrati in<br />
patria divulgarono nel nord Europa i segreti della prospettiva, delle proporzioni e<br />
dell’anatomia. Ma l’inclinazione al fiabesco e alla ridondanza ornamentale fece sì<br />
che nelle opere di questi artisti il repertorio decorativo rinascimentale delle<br />
“grottesche, ammirate nella Domus aurea, proliferasse nella più sfrenata orgia<br />
decorativa, innestandosi senza sforzo sul ceppo fiammeggiante del gotico; essi<br />
portarono all’eccesso anche il gusto della figura ”serpentinata”di Michelangelo,<br />
trasformata in uno sfoggio di anatomia da culturista, con corpi nerboruti e<br />
possenti, avviluppate in pose innaturali; contribuendo al precoce slittamento del<br />
<strong>Rinascimento</strong> nei compiaciuti virtuosismi e nelle dotte contaminazioni del<br />
Manierismo. J. Van Scorel rappresentò in Olanda il primo aspetto delle influenze<br />
venete e romane (michelangiolesche), successivamente diffuso in un’intera<br />
generazione (vedi lez. n.19).<br />
P. Grammorseo operò a Casale dal 1521 al ’23 come aiuto di Gian Martino<br />
Spanzotti; P. Coecke van Aelst, tornato in patria nel 1527 da un lungo soggiorno<br />
in Italia, contribuì a diffondere il linguaggio formale del <strong>Rinascimento</strong> italiano,<br />
pubblicando nel ’39 la traduzione del trattato del Serlio sull’architettura e “Le<br />
invenzioni di colonne”, opera ricavata da Vitruvio; Joos van Cleve, ritrattista, fu a<br />
Genova dal 1526 al ’28, accogliendo modi leonardeschi, il chiaroscuro, che influì<br />
anche sulla pittura di A. Benson e di A. Isembrant. L’influsso di Raffaello si avverte<br />
in L. Blondeel che fu in Italia e operò a Bruges anche come scultore e architetto.<br />
Al movimento dei fiamminghi del secolo <strong>XV</strong>I è fatto risalire il fenomeno del<br />
“romanismo”; si definiscono “romanisti” o “romanizzanti” quei pittori stranieri che<br />
ebbero in comune un programma di studio dell’antico, di Michelangelo e di<br />
Raffaello; sorse una loro associazione, fondata a Roma nel 1572. Gli artisti<br />
intraprendevano il viaggio in Italia per assorbire direttamente alle fonti<br />
quell’ideale dell’antichità classica e del <strong>Rinascimento</strong> che in tutta Europa si<br />
254
identificava con Roma. I “romanisti” del secolo <strong>XV</strong>II si onorarono di avere tra loro il<br />
sommo Rubens. “Romanista” è l’appassionato dei monumenti, della storia, delle<br />
tradizioni romane, comprese le popolari; è’ un entusiasmo nostalgico per ciò che<br />
Roma rivela di grande e di pittoresco insieme, come richiamo per un non so che di<br />
indefinibile. Ciò che attrae i pittori è l’idea della città nel tempo; anche gli aspetti<br />
medioevali sono motivo di ispirazione, mentre i grandi monumenti rinascimentali<br />
e barocchi accrescono il fascino del luogo come appare, antico e moderno<br />
insieme.<br />
M. van Heemskerk (vedi lez. n.19) è il più significativo autore di quei taccuini di<br />
artisti che fissano le immagini più significative delle antichità romane, i ruderi, i<br />
frammenti, i templi trasformati in chiese; c’è l’interesse per il pittoresco disordine<br />
delle rovine, il gusto scenografico; il “rovinismo” in pittura è una sensibilità già<br />
romantica per il senso del tempo che passa, nasce la poetica del rudere come<br />
testimonianza del divenire storico. Si sviluppa l’immagine del paesaggio classico<br />
con rovine antiche che tanta fortuna avrà nel secolo <strong>XV</strong>II.<br />
Per l’elenco dei “romanisti” rimandiamo alle lezz. n.19 e 31.<br />
Per quanto riguarda la scultura nelle Fiandre, il gusto italiano fu portato nel<br />
Brabante da artisti francesi e dal tedesco C. Meit (sec. <strong>XV</strong>-<strong>XV</strong>I) che realizzò a Brou<br />
gruppi statuari in cui appaiono putti decorativi di tipo rinascimentale; putti simili<br />
sono sul monumentale caminetto nella sala dell’antico palazzo del Franco a<br />
Bruges; anche le statue della facciata si distinguono per una grazia di gusto<br />
italianizzante.<br />
Tra gli scultori fiamminghi citiamo J. Mone che soggiornò a lungo in varie città<br />
italiane e guardò ai fiorentini nell’ancona in alabastro di S. Martino di Hall (1533);<br />
J. Dubroeuq che, avendo studiato in Italia, concepì viva ammirazione per<br />
Michelangelo e Jacopo Sansovino; W. Van Tetrode (Guglielmo Tedesco) che fu<br />
operoso a Roma.<br />
Passiamo all’architettura; nel ‘500 lo stile rinascimentale si impose a poco a poco<br />
sul gusto gotico nelle costruzioni civili soprattutto con l’adozione di motivi<br />
decorativi, volute, frontoni, statue. A Malines il palazzo di Margherita d’Austria fu<br />
progettato dal francese Guyot de Beauregard che diffuse nelle Fiandre la<br />
decorazione di interni nello stile italiano; nel palazzo del Franco il disegno della<br />
balaustrata si ispira ai tipi dell’Italia settentrionale, il palazzo del principe-<br />
vescovo a Liegi è rinascimentale anche nelle linee e nelle proporzioni, con il<br />
portico attorno al cortile e le colonne scolpite; nel palazzo municipale di Anversa<br />
i pilastri che ne incorniciano l’avancorpo, derivato da quello di Malines, ricordano<br />
quelli che negli stessi anni venivano eretti sulle facciate delle chiese italiane<br />
255
(1560); nella piazza principale finestre, portici e colonnati mostrano l’adesione al<br />
nuovo stile.<br />
<strong>Il</strong> Olanda il rinnovamento si ha con alcuni architetti italiani nella prima metà del<br />
secolo <strong>XV</strong>I, Alessandro Pasqualini, progettista del singolare campanile di<br />
Ijsenstein, e Tommaso di Andrea da Bologna, detto il Vincidor; questi, aiuto di<br />
Raffaello a Roma, venne inviato a Bruxelles per collaborare all’esecuzione degli<br />
arazzi sistini e quindi passò a Breda ove costruì il castello-palazzo di Enrico di<br />
Nassau, diffondendo le forme rinascimentali.<br />
Un altro importante aspetto dell’arte rinascimentale è quello dell’incisione che<br />
cominciò ad affermarsi nel secolo <strong>XV</strong> (vedi lez. n.21). Molti incisori vennero in<br />
Italia; tra i più grandi citiamo il Dürer. W. Pleydenwurff e M. Wolgemut tra il <strong>XV</strong> e il<br />
<strong>XV</strong>I secolo eseguirono con la tecnica della xilografia vedute di Roma; li imitò<br />
decenni più tardi con il bulino il francese Beatrizet (Beatricetto). Questi, G. Tory,<br />
G. Reverdy, G. Pencz, B. Beham, H. Aldegrever (vedi lez. n.18) si ispirarono ai<br />
modelli italiani e alle esperienze tecniche di Marcantonio Raimondi (vedi lez.<br />
n.21), così come E. Delaune, A. Altdorfer e Hans Sebald Beham che non vennero in<br />
Italia.<br />
Con Marcantonio si iniziò l’incisione di riproduzione che ebbe straordinario<br />
sviluppo fino all’avvento della fotografia; frequentarono la <strong>sua</strong> bottega tutti gli<br />
artisti di passaggio a Roma fino al 1527, anno in cui fu costretto a fuggire in<br />
seguito al sacco della città da parte dei lanzichenecchi.<br />
Questa data è stata posta a conclusione della lezione sul <strong>Rinascimento</strong> e ad inizio<br />
ideale dell’attività degli artisti manieristi (vedi lez. n.19).<br />
Ricordiamo che motivi italiani giunsero in Svezia con i Vasa a partire dal 1540,<br />
soprattutto attraverso la Germania e i Paesi Bassi per opera di architetti che<br />
parteciparono alla ricostruzione in forme nuove ed eleganti di numerosi castelli e<br />
degli scultori che abbellirono le costruzioni con cornici ornate per le finestre,<br />
portici imponenti e sculture per tetti e frontoni; si dette importanza anche ai<br />
monumenti funerari, specialmente a Vadstena. La famiglia milanese dei Parr (o<br />
Pahr o Paar o de Parri) introdusse nuovi particolari nell’architettura svedese, come<br />
per esempio l’altana, d’ora in poi largamente usata.<br />
La Danimarca si apre al <strong>Rinascimento</strong> verso il 1550 con il re Cristiano III; la ripresa<br />
edilizia fu promossa, oltre che dalla corte, dalla nobiltà della Chiesa cattolica; il<br />
cancelliere J. Friis fece costruire il castello di Hasselagergaard con motivi veneti<br />
(cornicioni e modanature); forme rinascimentali sono in quello di Kronborg a<br />
Helsingor e nel palazzo reale di Rosemborg; il castello di Uraniborg a pianta<br />
centrale è di ispirazione serliana.<br />
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In Finlandia nel secolo <strong>XV</strong>I alcuni castelli, come quello di Turku, sono rimodernati<br />
secondo il gusto rinascimentale; quelli norvegesi dei secoli <strong>XV</strong>I e <strong>XV</strong>II presentano<br />
ornamentazioni e particolari architettonici nel nuovo stile.<br />
Anche fuori dal continente europeo si propagarono le forme rinascimentali.<br />
Sappiamo che il veneto Nicolò Brancaleone costruì la chiesa di Gannata Ghiorghis<br />
in Etiopia (bruciata durante l’invasione musulmana); nel 1523 il fiorentino<br />
Girolamo Bencini era pittore di corte del negus Lebna Denghel.<br />
PS. Per Andrea Palladio e il palladianesimo in Europa vedi lez. n.32.<br />
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