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Lezione XV - Il Rinascimento artistico; sua ... - Francesco Ridolfi

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<strong>Il</strong> <strong>Rinascimento</strong> <strong>artistico</strong><br />

<strong>Il</strong> pieno <strong>Rinascimento</strong> <strong>artistico</strong> si ha nel primo ‘400 fiorentino; esso investe tutte<br />

le arti con la triade Brunelleschi, Donatello e Masaccio, attingendo il massimo<br />

equilibrio tra visione naturalistica e sistematico ossequio all’antichità classica,<br />

permettendo così di svincolarsi dalla tradizione stilistica medioevale. Al rigore,<br />

alla drammaticità espressiva del tardo Gotico, agli indefiniti e agitati slanci dello<br />

spirito germanico si sostituisce il gusto di un’estrema armonia formale, propria<br />

dei Greci e dei Romani; la serena staticità si contrappone al movimento di un<br />

inquieto divenire, il pensiero logico alla commozione mistica. <strong>Il</strong> <strong>Rinascimento</strong><br />

nelle arti figurative si distingue per il perseguimento di tre fondamentali linee di<br />

ricerca: la rappresentazione del vero, il recupero dell’Antico e il controllo<br />

scientifico delle misure attraverso lo strumento della prospettiva.<br />

Nuovi procedimenti e nuovi valori sono inaugurati dall’architettura religiosa (con il<br />

prevalere della cupola) e da quella profana, volte entrambe alla ricerca di ritmi<br />

spaziali e di armonia costruttiva. Importanza fondamentale ebbe il “De<br />

architectura” di Vitruvio, l’unica opera veramente tecnica sull’architettura che,<br />

salvata durante il Medioevo nelle biblioteche dei monasteri, sia giunta fino a noi<br />

dall’antichità classica; fin dal tempo di Carlomagno esercitò una concreta<br />

influenza sugli architetti, ma è solo col <strong>Rinascimento</strong> che si giunse a una <strong>sua</strong> reale<br />

riscoperta e a uno studio assiduo delle sue regole che determinarono un<br />

cambiamento del gusto, coincidendo esse con le nuove aspirazioni ad un ordine e<br />

ad una simmetria di valore “classico”; ricordiamo che il “De architectura” fu<br />

stampato per la prima volta a Venezia nel 1486 ed ebbe molte edizioni, nel 1521<br />

apparve una versione italiana, nel 1543 una tedesca ad opera di Walter Rivius, nel<br />

1547 una francese, nel 1602 una spagnola e nel 1692 fu pubblicata un riduzione<br />

inglese fatta sulla base della traduzione francese del Perrault (1673). Fu nel secolo<br />

<strong>XV</strong> che la teoria delle proporzioni cessò di essere un espediente tecnico o una<br />

prassi costruttiva propria degli architetti; si tornò a stabilire un diretto rapporto<br />

tra tecnica e natura, tra uomo (microcosmo) e universo (macrocosmo) e<br />

soprattutto si tornò a fondare sulle proporzioni il concetto stesso del bello.<br />

La classicità è necessariamente presa a modello: nel segno di una ritrovata o<br />

ravvivata coscienza della storia, si afferma un nuovo e più profondo senso della<br />

vita attuale; l’uomo si considera nella <strong>sua</strong> realtà, si riallaccia ai suoi precedenti e<br />

in ugual misura si guarda intorno, osserva ciò che lo circonda, cerca di attuarsi<br />

nella <strong>sua</strong> completezza. Tutto ciò conduce fatalmente a esprimersi con un ritorno<br />

all’arte classica, creazione di un chiaro pensiero logico e di un profondo senso<br />

della realtà.<br />

203


<strong>Il</strong> <strong>Rinascimento</strong> rinnegò la tradizione “bizantina” non in nome di una verità nuova<br />

(come aveva fatto l’arte cristiana), ma in nome di una verità ritrovata nell’antico,<br />

in nome di valori ideali offuscati dall’”età oscura”. E poiché la poetica umanistica<br />

dominerà il campo dal <strong>XV</strong> all’inizio del XIX secolo, in questo lungo periodo non si<br />

parlerà più di tradizione, ma soltanto dell’ ”antico”, cioè di una perfezione ideale,<br />

di un’età d’oro esistita e alla quale è necessario rifarsi.<br />

Si esalta così la figura dell’artista e della <strong>sua</strong> attività creativa; nasce di<br />

conseguenza la concezione nuova dell’arte: al Medioevo che vedeva nell’artista il<br />

produttore di oggetti materiali, l’Umanesimo contrappone una visione dell’artista<br />

come ideatore di forme, dell’arte come attività concettuale e umana avente in sé<br />

la propria giustificazione e il proprio fine (vedi lez. n.13).<br />

Le arti (pittura, scultura, architettura) sono promosse al rango di “artes liberales”<br />

contro la tradizione medioevale che le annoverava tra le “artes mechanicae”;<br />

questo affermò Leon Battista Alberti quando attraverso le sue opere teoriche<br />

intese dare un fondamento scientifico all’operare <strong>artistico</strong>, ponendo le arti sullo<br />

stesso piano della filosofia e della letteratura. Nel trattato ”De pictura” (1436),<br />

dedicato al Brunelleschi, che nel 1410 aveva definito le regole della prospettiva,<br />

l’Alberti presenta la codificazione della concezione del primo <strong>Rinascimento</strong><br />

fiorentino per cui l’arte non è più imitazione naturale ma conoscenza della natura,<br />

fondata sul nuovo concetto della prospettiva raggiunta scientificamente (il che fa<br />

dell’Alberti uno dei fondatori della geometria proiettiva) con le regole della<br />

corretta costruzione prospettica. Si passa con lui da una ricerca scientifica, attuata<br />

sporadicamente nel secolo XIV in opere pittoriche con schemi geometrici e<br />

formule empiriche, ad una problematica artistica; attraverso la prospettiva si<br />

afferma il concetto stesso dell’uomo come centro dell’universo, si creano scene e<br />

figure di profonda umanità in ambienti ritmicamente spaziati.<br />

Nella storia artistica italiana del <strong>XV</strong> secolo la rappresentazione del mondo visibile<br />

secondo prospettiva è l’elemento unificante di tutte le espressioni figurative.<br />

Marsilio Ficino afferma che le arti, se vogliono sfuggire all’approssimazione ed<br />

attingere la perfezione, devono porre le basi nell’ ”ordo mathematicus”. Questo<br />

nuovo rigore scientifico, oltre ad elevare pittura, scultura e architettura da arti<br />

meccaniche ad arti liberali, rappresenta anche un avanzamento sociale degli artisti<br />

che da artigiani e tecnici diventano uomini di scienza; e matematica, geometria e<br />

musica sono ora considerate premesse teoriche indispensabili per la formazione<br />

dell’artista.<br />

Gli artisti del <strong>Rinascimento</strong> erano pienamente convinti che la matematica fosse la<br />

vera essenza del mondo fisico e che l’universo fosse tutto ordinato e spiegabile in<br />

termini geometrici, profondamente influenzati dalla allora recuperata filosofia dei<br />

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greci; essi divennero anche i più dotti e attivi matematici teorici. L’indagine sulla<br />

prospettiva si affermò con i pittori Masaccio, Piero della Francesca, Paolo Uccello,<br />

ecc., e con gli scultori Donatello e Ghiberti; il termine “prospectiva” è entrato nel<br />

linguaggio comune a indicare la ”scienza della rappresentazione”, talvolta<br />

accompagnata dagli aggettivi “pingendi” o “pratica”, per distinguere la nuova<br />

disciplina da quella che per secoli era stata oggetto di studio di filosofi, ossia la<br />

“scienza della visione” di origine greca, conosciuta nel Medioevo come<br />

”perspectiva communis” o “naturalis”, un’intuizione visiva che studiava il<br />

fenomeno della visione come fatto fisico.<br />

Nel “De prospectiva pingendi” (1474) Piero della Francesca pone l’esigenza teorica<br />

di trasformare le osservazioni empiriche in “vera scientia”, cioè in dimostrazioni<br />

matematiche; egli si rende conto che le deformazioni che subiscono le figure<br />

quando il nostro occhio le guarda sottostanno a delle leggi matematiche precise e<br />

determinabili; il descrivere un oggetto non a partire dall’oggetto stesso ma dai<br />

vari modi secondo i quali è possibile osservarlo, l’idea cioè di dare maggiore<br />

importanza alle leggi di rappresentazione, è l’idea più originale e moderna che<br />

ispira tutto il trattato.<br />

Tra i puri teorici domina la personalità di Luca Pacioli, autore del “De divina<br />

proportione”, pubblicato nel 1509; egli applica i principi geometrici alla<br />

architettura e allo studio delle proporzioni del corpo umano, chiama il rapporto<br />

tra un segmento e la <strong>sua</strong> sezione aurea (parte dello stesso media proporzionale<br />

tra l’intero e la rimanenza) “proporzione divina” e vuole metterlo a fondamento<br />

della perfezione estetica di un edificio e dello stesso corpo umano; così nel<br />

canone della figura umana di Leonardo l’ombelico divide l’altezza totale secondo<br />

la sezione aurea. <strong>Francesco</strong> di Giorgio Martini, Piero della Francesca e Luca Pacioli<br />

furono attivi alla corte di Urbino, dove si formò con Luciano Laurana l’ideale<br />

geometrico dall’estrema purezza, irradiandosi poi fino ad influenzare tutte le<br />

scuole del <strong>Rinascimento</strong>.<br />

Nel 1505 il francese J. Pelerin (Viator) scrisse un trattato sulla prospettiva,<br />

rifacendosi ai testi dell’Alberti: “Les Italz tiennent la palme” - così egli affermò, il<br />

primo a diffondere nel nord il rapporto arte - scienza, ormai consolidato in Italia.<br />

Nel 1506 il Dürer si recò a Bologna per farsi insegnare non la pratica ma “la<br />

conoscenza teorica delle leggi della prospettiva” che poi esporrà nel suo libro<br />

sulle ombre portate; egli si può considerare il maggiore diffusore oltralpe della<br />

scienza prospettica italiana.<br />

Nella penisola iberica l’influsso delle teorie italiane si avverte nel trattato di F. de<br />

Hollanda, portoghese, seguace di Michelangelo, e attivo a Roma nel 1538; l’autore<br />

si basa su Vitruvio, Dürer e Pomponio Gaurico.<br />

205


Per quanto riguarda l’estetica rinascimentale, Leon Battista Alberti teorizza la<br />

concezione del “bello” come forma ideale che si identifica con il disegno, e da<br />

questa concezione deriverà la subordinazione del colore al segno, propria della<br />

pittura fiorentina; con lui si afferma la tesi del primato dell’ideazione<br />

sull’esecuzione. Con la visione neoplatonica, rappresentata artisticamente dalla<br />

linea botticelliana, il ritmo ascensionale delle figure, presente nell’arte gotica, si fa<br />

lirico, confermandosi come essenza mentale, ideativa dell’artista.<br />

Nella “Hypnerotomachia Poliphyli” (1499), trattato di <strong>Francesco</strong> Colonna, molto<br />

diffuso in Europa, che costituì un’ampia fonte di temi allegorici per le arti, si ha il<br />

riepilogo delle teorie umanistiche di “estetica”; l’identificazione dell’arte come<br />

operazione mentale, ammirazione per l’antichità e suo superamento da parte<br />

dell’artista moderno.<br />

<strong>Il</strong> recupero dell’individualità dell’artista, l’affermazione di un suo nuovo ruolo<br />

sociale, l’elevata considerazione delle arti in generale, sono i cardini su cui poggia<br />

la grande fioritura di testi sull’arte nel <strong>Rinascimento</strong>; l’esigenza di dare all’operare<br />

<strong>artistico</strong> un fondamento teorico e una base scientifica si esprime in numerosi<br />

trattati. Nel 1452 l’Alberti, archeologo e urbanista sotto Niccolò V a Roma, scrisse<br />

il trattato “De re aedificatoria”, sul modello del testo di Vitruvio; egli non fu tanto<br />

un” inventore” e un “costruttore” come il Brunelleschi, ma attuò nell’architettura<br />

(fatto sociale per eccellenza) la <strong>sua</strong> concezione umanistica del mondo e della<br />

storia. Ricordiamo che l’opera fu pubblicata a Strasburgo nel 1511 e nel ’41, a<br />

Parigi nel ’40 e nel ’43. <strong>Il</strong> trattato dello stesso Alberti “De pictura” uscì a Basilea<br />

nel 1540. Nel 1464 l’artista scrisse il “De statua”; nel ’47 ne uscì a Basilea<br />

un’edizione tedesca a cura del Rivius; questo stesso nel ’43 aveva scritto un<br />

trattato basato sull’Alberti e sul Serlio (vedi lez. n.19). Altri trattati scrissero<br />

<strong>Francesco</strong> di Giorgio Martini (Architettura civile e militare), il Filarete (il suo fu il<br />

primo trattato teorico di architettura in volgare, 1461), il Grapaldi (Architettura,<br />

’94). La teoria artistica del ‘400 culmina nella personalità di Leonardo da Vinci; il<br />

suo trattato sulla pittura (1498), inestimabile fonte di conoscenza e di ispirazione<br />

per tutti gli storici e artisti successivi, esercitò grande influsso sul Durer; nel 1651<br />

apparve a Parigi con le illustrazioni di N. Poussin. Leonardo tratta del primato<br />

delle arti e sostiene la superiorità della pittura; questa è senz’altro scienza<br />

naturale e mezzo di conoscenza e attraverso di essa si ha esperienza<br />

dell’universo, l’unica esperienza che conduca al sapere. Egli anticipa così di oltre<br />

un secolo la rivoluzione del concetto di scienza. L’antico e la maniera dei maestri<br />

non hanno per Leonardo che scarso interesse: al centro della <strong>sua</strong> poetica è la<br />

natura; egli immagina uno stile pittorico che comprenda a un tempo la forma<br />

plastica e l’atmosfera.<br />

206


Opere importanti, diffuse anche all’estero, furono “De sculptura” di Pomponio<br />

Gaurico che tratta della fisiognomica, indicante il carattere specifico di ogni parte<br />

del corpo (l’autore fu anche in Germania e nei Paesi Bassi) e “Emblemata” di<br />

Andrea Alciato che tratta di aspetti dell’iconografia rinascimentale (simbolo e<br />

allegoria); essa si rifà all’opera del Colonna sull’origine e la moda degli emblemi,<br />

derivata a <strong>sua</strong> volta dal libro VIII dell’”Architettura” dell’Alberti in cui parla dei<br />

geroglifici. Nel 1556 Pietro Valeriano pubblicò a Basilea “Hierogliphica…”, un<br />

trattato di grande mole.<br />

In altre forme si viene intanto elaborando un primo sistema di “storia dell’arte”,<br />

costruita attraverso il filone della vita degli artisti, dai “Commentari” del Ghiberti<br />

alle celebri “vite” del Vasari (1550); lo sviluppo dell’arte italiana è visto come<br />

frutto delle grandi personalità creatrici, da Cimabue a Michelangelo. L’interesse è<br />

puntato sullo schema generale del percorso storico (rinascita, progresso e<br />

perfezione dell’arte) e sul ”modello“ stilistico della biografia. <strong>Il</strong> testo del Vasari<br />

ebbe enorme fortuna e divenne modello per analoghe trattazioni in epoca<br />

successiva all’estero oltre che in Italia; si ispirarono ad esso C. van Mander,<br />

pittore fiammingo, durante il suo soggiorno a Roma e a Firenze (sec. <strong>XV</strong>I) e J. von<br />

Sandrart, mentre nel trattato del Peacham abbiamo la traduzione di alcune “Vite” e<br />

ad esse si rifece anche il trattato in spagnolo del Carducci (Carducho).<br />

Quanto abbiamo detto della derivazione dall’antichità può essere facilmente<br />

verificato nella storia dell’architettura.<br />

Con Filippo Brunelleschi si inizia la tradizione, durata per più di quattro secoli,<br />

degli artisti che stimano indispensabile compiere la propria educazione sui<br />

classici a Roma; egli va nel 1402 nella città delle rovine con Donatello e fruga,<br />

scopre, misura, adora in umiltà. Tutti in seguito fecero come lui. Nelle proporzioni<br />

d’un capitello o d’una trabeazione del Foro si cercano con fede assoluta le leggi<br />

eterne della bellezza. Quel che gli artisti nuovamente impararono dall’antichità<br />

furono alcune particolari forme che si potrebbero dire lessicali e grammaticali<br />

(colonne, basi, capitelli, mensole, rosoni, motivi d’ornamenti, ecc.) che tuttavia<br />

non erano mai stati completamente dimenticati; e quando il Brunelleschi creò i<br />

primi monumenti dell’architettura quattrocentesca, essi gli nacquero strettamente<br />

congiunti agli edifici romanici di Firenze. Nello stesso tempo l’artista si fece<br />

portatore di una nuova tecnica, appresa sui monumenti antichi che gli permisero<br />

di voltare la grande cupola di S. Maria del Fiore senza bisogno di armature, ma<br />

soprattutto di una nuova ideologia: con lui infatti l’architetto non è più il<br />

capomastro medioevale, ma è il progettista, il creatore, in grado di risolvere con il<br />

suo lavoro intellettuale, in sede di progettazione, tutti i problemi della<br />

costruzione. Questo enorme salto qualitativo non sarebbe stato possibile al<br />

207


Brunelleschi senza l’elaborazione di un fondamento teorico, quell’invenzione della<br />

prospettiva per la quale già i contemporanei lo esaltarono come iniziatore di una<br />

nuova era; il nuovo metodo di misurazione razionale dello spazio permise di<br />

creare un’architettura a misura d’uomo, in cui ogni parte sia armonicamente<br />

coordinata e proporzionata al tutto.<br />

Nel 1432 arriva a Roma Leon Battista Alberti; la <strong>sua</strong> “Descriptio urbis Romae”<br />

(1434) è il primo studio sistematico per una ricostruzione della città antica;<br />

l’Alberti non solo rintracciò, come il Brunelleschi, nel proporzionamento degli<br />

edifici romani la base della progettazione architettonica, ma da essi desunse una<br />

ricca tipologia strutturale e decorativa.<br />

Ricordiamo che l’amore per l’antichità spinse l’umanista Pomponio Leto a fondare<br />

l’accademia di archeologia, la prima del genere, nel 1465 a Roma.<br />

Si è parlato in scultura di un “realismo” quattrocentesco; in realtà gli statuari<br />

impararono dai classici a interpretare e a disciplinare questo ”reale” secondo uno<br />

stile misurato e chiaro, quello stesso dell’architettura, legato all’uomo che innalza<br />

a valore di simbolo. Gli scultori ora, come i pittori, cominciano a dare opere<br />

autonome, cioè non legate a decorazioni o destinazioni, ma create per il puro<br />

godimento della bellezza. Donatello, maggiore rappresentante del classicismo<br />

umanistico fiorentino, ne superò al tempo stesso i limiti stilistici e culturali;<br />

l’ispirazione classica fu da lui sempre rivissuta con straordinaria libertà e<br />

spregiudicatezza, in dialettico e vivo rapporto con la realtà umana e storica di<br />

Firenze e del suo popolo; nella <strong>sua</strong> opera matura e tarda Donatello seppe cogliere<br />

i sintomi della crisi degli ideali dell’Umanesimo, lasciando un’eredità di problemi<br />

nuovi che in modo diverso affronteranno Leonardo e Michelangelo.<br />

In pittura con Masaccio si svilupparono le tendenze plastiche di Giotto,<br />

svincolandosi dalle calligrafie del gotico internazionale; il suo stile è caratterizzato<br />

da una perfetta armonia di forma-colore, da un senso spaziale di accento<br />

realistico, con figure di una umanità “eroica” nella nobiltà di una profonda<br />

coscienza morale, saldamente ancorata alla vita.<br />

Ricordiamo in particolare quei pittori del secolo <strong>XV</strong> che influirono in maniera<br />

determinante su alcune personalità artistiche straniere: lo stile di Piero della<br />

Francesca è una sintesi tra la luminosità cromatica e una sublime misura dello<br />

spazio dalle arcane rispondenze geometriche (la prospettiva fu il principio<br />

essenziale del suo linguaggio); gli impassibili personaggi si legano in perfetta<br />

simbiosi con le architetture e gli sfondi di paese.<br />

Melozzo da Forlì immise nelle sue figure un più cordiale slancio di vita, attenuò<br />

l’astratta bellezza geometrica del suo maestro Piero, sostituendola con forme<br />

inquadrate in solenni impianti architettonici.<br />

208


Domenico Ghirlandaio fu un notevole cronista della vita del suo tempo.<br />

<strong>Il</strong> Pinturicchio ebbe soprattutto un fastoso talento ornamentale, dotato di uno<br />

ispirate all’arte antica, di alta potenza drammatica nella modellazione dei corpi.<br />

spiccato senso narrativo.<br />

Andrea Mantegna creò forme di organica plasticità, di costruzione prospettica<br />

dello spazio; evocò un sogno di “eroica“ grandezza in immagini direttamente<br />

Antonello da Messina unì l’idealismo prospettico e plastico della tradizione<br />

italiana con il naturalismo minutamente realistico di quella fiamminga.<br />

Passando a considerare lo stile che caratterizza il ‘500, diciamo che l’architettura<br />

ebbe come punto di partenza quello stesso del secolo precedente, lo studio dei<br />

monumenti antichi, ma riuscì ad accostarsi in pieno al senso delle proporzioni dei<br />

Romani e al loro gioco di masse e di volumi. In confronto, mentre il ‘400 serbò<br />

sempre una snellezza e leggerezza che l’architettura aveva acquistato nello sforzo<br />

di assimilare e dominare alcuni elementi gotici e amò sempre una fioritura<br />

ornamentale, il ‘500 invece rifiutò la decorazione abbondante e restituì agli ordini<br />

classici, secondo gli esempi romani, la funzione costruttiva che essi avevano<br />

perduto; si tese a stabilire negli edifici equilibri e gerarchie di parti superiori e<br />

inferiori, centrali e laterali. L’architettura del ‘500 ci appare come una grandiosa<br />

composizione di masse profonde, espressa, sotto regole geometriche, in forme di<br />

vasta e solenne plasticità (come in Bramante). Michelangelo impresse nelle proprie<br />

costruzioni la visione scultorea dei pieni e dei vuoti, e nella nuova basilica<br />

vaticana il proprio “spirito eroico”, trasformando la pianta bramantesca come un<br />

colossale organismo plastico culminante nella cupola nella quale si raccoglie<br />

dinamicamente la tensione di tutte le membrature.<br />

La scultura del ‘500 muove naturalmente dallo studio attento della statuaria<br />

antica, i cui monumenti da poco scoperti (Apollo, Laocoonte, Torso del Belvedere,<br />

ecc.) appaiono come esemplari di perfezione assoluta; nasce la concezione che il<br />

vertice dell’arte è la rappresentazione del corpo umano nudo; inoltre le masse<br />

statuarie sono ora ordinate secondo vari piani direttivi (non più come nel ‘400 con<br />

intenzione di frontalità); ora con la loro ricchezza di intersezioni e di<br />

congiungimenti e con la varietà dei contrapposti e contrasti tra le membra che<br />

essi favoriscono, creano quasi una nuova umanità. La nuova concezione si<br />

realizza pienamente con Michelangelo.<br />

Nel secolo <strong>XV</strong>I gli ideali figurativi proposti nel secolo precedente giunsero a<br />

completa maturazione; si accentuò la tendenza al raggiungimento di un’armonia e<br />

di una perfezione formale che non possono che essere chiamate classiche, ma la<br />

cui misura non è strettamente esemplata sugli esempi dell’antichità, servendo<br />

questi solo come materiale di studio e di ispirazione.<br />

209


In complesso il passaggio dal primo <strong>Rinascimento</strong> a quello maturo è segnato dalla<br />

conquista di una assoluta unità nella composizione che si attua in un pieno<br />

possesso dello spazio e contemporaneamente da una più grande complessità e<br />

ricchezza di motivi.<br />

Entro questi schemi la pittura del ‘500 immise quei contenuti che<br />

corrispondevano ai nuovi ideali umanistici, basati sulla esaltazione della dignità<br />

terrena dell’uomo. Si completa l’affermazione dell’individualità , già portata in sé<br />

a maturarsi dall’uomo del Medioevo (si pensi all’Ulisse dantesco); la figura del<br />

condottiero diviene simbolica, perciò nella pittura e nella scultura prende sviluppo<br />

la ritrattistica fine a se stessa, così come la medaglia e il monumento onorario;<br />

questa individualità prepotente in tutti i campi determina il fenomeno della<br />

universalità del genio; l’artista è completo e la scienza viene considerata un’arte<br />

essa stessa.<br />

<strong>Il</strong> centro <strong>artistico</strong> principale si sposta da Firenze a Roma dove grandi pontefici<br />

sentono in pieno il valore universale di artisti come Michelangelo e Raffaello; dopo<br />

il pontificato di Leone X e Giulio II, la città divenne oltre che il centro del<br />

Cristianesimo anche il centro universale dell’arte. <strong>Il</strong> <strong>Rinascimento</strong>, di origine<br />

classica e toscana, dall’armonia delle proporzioni, si manifesta a Roma in forme<br />

nuove e grandiose, e solo a Roma trova l’energia e l’autorità per diventare<br />

linguaggio europeo, universale, cioè come il nome stesso di Roma.<br />

Michelangelo e Raffaello attuano in sensi opposti quello che era stato da secoli<br />

l’ideale figurativo dei fiorentini: un mondo solidamente costruito da forme<br />

definite e di assoluta chiarezza, alla cui sommità stessero la figura e lo spirito<br />

dell’uomo.<br />

E se il primo solleva la propria aspra umanità a una vita eroica, sovrumana, il<br />

secondo, creando anch’egli un universo a propria immagine e somiglianza, fa<br />

invece discendere la divinità nella <strong>sua</strong> “humanitas” e per essa la trasfigura. La <strong>sua</strong><br />

qualità fondamentale è una limpida e misurata armonia , equilibrio di proporzioni,<br />

spaziate simmetrie, classica euritmia, bellezza ideale. <strong>Il</strong> classicismo romano trovò<br />

la <strong>sua</strong> massima espressione pittorica nelle Stanze (Scuola d’Atene) in Vaticano.<br />

Per Leonardo il discorso è diverso: la <strong>sua</strong> novità sta nel chiaroscuro, non più<br />

sottomesso alla linea e al colore, ma elemento primo della composizione; la<br />

natura, intensamente studiata, è immersa nello “sfumato”.<br />

In Emilia domina la figura del Correggio che trae suggestioni dallo sfumato<br />

leonardesco, arrivando a uno stile in cui la delicata liricità dell’ispirazione e la<br />

dolce luminosità dei colori contribuiscono alla creazione di un’atmosfera in cui<br />

sono immersi i paesaggi e le figure.<br />

210


Venezia sembra trovare nel ‘500 l’esempio perfetto di forma artistica, atta ad<br />

interpretare il suo mondo sontuoso, esotico e sognante; l’arte pittorica veneta, al<br />

contrario di quella fiorentina dal gusto linearistico, si spiega nel trionfale canto<br />

del colore e della tonalità, moderna innovazione. Con Giorgione infatti prende<br />

l’avvio una pittura nella quale elemento primo della rappresentazione artistica<br />

diviene il colore che col graduarsi della quantità di luce da esso contenuta diventa<br />

capace di esprimere il rilievo delle forme: queste assumono colori morbidi e<br />

lievitanti nell’atmosfera che diventa così armonicamente fusa. La pittura tonale<br />

giorgionesca ebbe forte influenza sul giovane Tiziano che vi si esercitò da par<br />

suo. A questa pittura veneziana guarderanno quegli artisti dei secoli seguenti,<br />

fino al XIX, portati alle atmosfere fatte di toni caldi, scintillanti di luce, come per<br />

esempio il Watteau.<br />

Nel secolo <strong>XV</strong>I il nuovo gusto <strong>artistico</strong> richiama in Italia artisti e studiosi venuti a<br />

entusiasmarsi della gloria antica e a conoscere le meraviglie della civiltà nuova;<br />

artisti italiani si recano all’estero, apportando i primi germi della nuova arte.<br />

<strong>Il</strong> nuovo stile, diffondendosi, consentì un rinnovamento delle tradizioni artistiche<br />

locali nella felice sintesi dei temi e degli stili indigeni con i perfetti modelli italiani.<br />

A. Dürer, nutrito in Italia di cultura artistica veneziana e <strong>artistico</strong>-scientifica<br />

leonardesca, usa in anticipo su tutti il corrispettivo termine tedesco di rinascita,<br />

Wiederwachsung, collocandone l’inizio, dopo mille anni di oscurità, in Welschen<br />

landen, cioè in Italia, dove egli stesso se ne è fatto tramite al di là delle Alpi.<br />

Occorreva un lungo apprendistato per liberarsi della “maniera barbara” - come la<br />

definì lo storico e pittore fiammingo Van Mander - e appropriarsi dei canoni della<br />

bellezza propria degli italiani, basati sulla meditata scelta tra ciò che di meglio è<br />

presente nella natura insieme alle più armoniose e perfette forme dell’arte.<br />

Nella diffusione delle nuove correnti artistiche, interessi dinastici e politici ebbero<br />

una parte notevole; mercanti e banchieri italiani che avevano rapporti commerciali<br />

con gli altri paesi contribuirono in larga misura.<br />

L’arte incontra il mecenatismo; si mette al servizio di una ricca élite alto-borghese<br />

che trova la <strong>sua</strong> rappresentanza politica e i suoi modelli culturali nella famiglia<br />

Medici e in particolare nella personalità colta e spregiudicata di Lorenzo il<br />

Magnifico (1449-’92). Si sviluppa anche il mecenatismo privato: il mercante<br />

fiorentino Giovanni Rucellai asseriva di possedere “in casa nostra più cose di<br />

scultura e di pittura… di mano dei migliori maestri che siano stati da buon tempo<br />

in qua, non solo in Firenze ma in Italia”, intendendo molti dei suoi più grandi<br />

contemporanei.<br />

Dalla seconda metà del ‘400 appare con il rapporto committente - artista una<br />

nuova figura, quella del mercante d’arte; con il diffondersi del collezionismo il<br />

211


mercato d’arte si era fatto più ricco di contrattazioni; i frequenti spostamenti degli<br />

oggetti da una raccolta all’altra, da un paese all’altro, avevano determinato il<br />

sorgere della speculazione; l’interesse commerciale per le cose d’arte era ormai<br />

destinato ad assumere uno sviluppo molto accentuato.<br />

Riesumato nella Firenze del ‘400 da Lorenzo il Magnifico e poi adottato<br />

universalmente, fu il nome dell’ edificio, dedicato alle muse, destinato a raccolta<br />

di opere d’arte. Già nel Medioevo l’accentramento della ricchezza nelle mani di<br />

pochi potenti favorì le raccolte di oggetti d’arte: primi nuclei dai quali, poi, col<br />

favore della cultura umanistica e del mecenatismo, strumento di prestigio politico<br />

delle famiglie più cospicue, trassero origine le raccolte del <strong>Rinascimento</strong>.<br />

Gli ambienti nei quali gli oggetti erano raccolti si chiamarono ”gabinetti”. Nel<br />

Natale 1471 Sisto IV, donando al popolo romano le opere d’arte raccolte nel<br />

Campidoglio, iniziava l’era delle pubbliche collezioni. La raccolta capitolina fu la<br />

prima ad avere un apposito palazzo.<br />

Tra i primi a costituire raccolte di opere d’arte furono i Medici. Ricchissime furono<br />

le collezioni: Gonzaga a Mantova, dei Montefeltro a Urbino, Estense a Modena,<br />

Farnese a Parma, ecc.<br />

Nel ‘500 le grandi conquiste dell’arte italiana ebbero altre conseguenze nella<br />

evoluzione del mecenatismo; i potenti di tutta Europa cominciarono a<br />

comprendere il prestigio che potevano trarre dal favorire le arti e presto si misero<br />

a competere con gli italiani. <strong>Francesco</strong> I, Massimiliano d’Asburgo e Carlo V<br />

contribuirono a introdurre un’idea la cui importanza doveva poi farsi sentire per<br />

molti secoli; proteggendo gli artisti un principe può procacciare gloria non solo a<br />

se stesso ma anche al suo paese.<br />

La penetrazione degli indirizzi artistici italiani nei paesi stranieri fu in genere<br />

accompagnata da movimenti paralleli in altri campi della cultura. L’esigenza di<br />

aggiornamento, voluta anche dai grandi committenti delle corti d’oltralpe,<br />

rendeva indispensabile il viaggio di studio in Italia che diveniva, al momento del<br />

ritorno in patria, un eccellente viatico per assicurarsi successo e fama. Importanza<br />

ebbero anche i movimenti religiosi; pure dopo l’avvento della Riforma alcuni stati<br />

italiani, come Venezia, mantennero le relazioni diplomatiche con l’Europa<br />

settentrionale e costituirono, in particolare per l’Inghilterra, un importante tramite<br />

con la cultura italiana.<br />

<strong>Il</strong> processo di assimilazione delle idee rinascimentali segue linee differenti nei<br />

diversi paesi; in alcuni, come la Spagna, la Francia e l’Ungheria, i motivi nuovi<br />

furono direttamente importati da artisti italiani; in altri casi si ebbe il processo<br />

inverso, per esempio con il Durer e con il fiammingo Mabuse. Tale processo fu<br />

212


irto di difficoltà, specialmente là dove esisteva già una robusta tradizione locale di<br />

architettura gotica o di pittura naturalistica.<br />

Occorre a tal punto precisare che il primo aspetto dell’arte italiana, accolto con<br />

successo nei paesi stranieri, fu lo stile decorativo tipico dell’Italia settentrionale e<br />

in particolar modo della Lombardia, in cui le strutture e i moduli rinascimentali<br />

vengono assorbiti e spesso quasi annullati dalla ricca ornamentazione policroma e<br />

dai rilievi. In un secondo tempo si diffonde la tecnica dello stucco; il suo grande<br />

ritorno come decorazione architettonica avviene trionfalmente nell’ambito del<br />

genio di Raffaello, allorché il suo allievo, Giovanni da Udine, riscopre la tecnica<br />

usata dagli antichi romani; si studiano le “grottesche”, quel particolare tipo di<br />

decorazione parietale, derivante da quello della Domus aurea di Nerone (le<br />

cosiddette grotte), costituite da fantastiche forme vegetali miste a figurette umane<br />

o animali, per lo più immaginari, in un insieme capricciosamente bizzarro e<br />

innaturale, ed eseguite a stucco e ad affresco. Le grottesche passarono anche alla<br />

scultura, raggiungendo finezza estrema di esecuzione. Giovanni da Udine, autore<br />

degli stucchi nelle Logge di Raffaello in Vaticano e a Villa Madama, dopo il sacco<br />

di Roma lavorò a Venezia , contribuendo alla diffusione dello stile romano in Alta<br />

Italia.<br />

Questo gusto si propagò anche in Germania; i rilievi di stucco, alternati a dipinti di<br />

grottesche, si inserirono per opera di maestranze quasi esclusivamente italiane<br />

nella tipica pesantezza del <strong>Rinascimento</strong> architettonico locale; esempi interessanti<br />

del come venissero interpretate le decorazioni raffaellesche si trovano nella<br />

Residenza di Monaco e nella casa dei Fugger ad Augusta (vedi lez. n.19).<br />

E ritroviamo in tutta l’Europa orientale questa circolazione di elementi di tecnica e<br />

di stile, dovuta quasi sempre ad artisti italiani, rivissuta però nelle forme di quel<br />

<strong>Rinascimento</strong> attardato. In Boemia, ad esempio, attorno alla metà del ‘500 se ne<br />

hanno interessanti manifestazioni nella decorazione di una sala del castello di<br />

Bucovice, improntata a squisite preziosità di sapore manieristico e, sotto certi<br />

aspetti, pre-barocco; negli ornati di Kratochville (Kurzweill), o nel camino del<br />

castello di Nelahozeves (Mulhausen) che ripete una tipologia sorta nel Veneto.<br />

Da questo stesso periodo gli stucchi, i motivi ornamentali ad affresco e la<br />

decorazione pittorica con figure in grandi composizioni rientrano nel movimento<br />

che si dirà manieristico (vedi lez. n.19), diffuso ad opera di artisti italiani dalla<br />

scuola di Fontainebleau, piuttosto che in una concezione stilistica propriamente<br />

rinascimentale. Sul finire del ‘500 l’intento teorico prende il sopravvento sul<br />

classicismo e conduce ad astratte formulazioni che lo riducono di fatto a<br />

disciplina didattica; in Francia invece i sostenitori del gusto aulico contro la più<br />

emozionata arte fiamminga identificano nel classicismo, introdotto da teorici e<br />

213


artisti italiani, l’universalità stessa dell’arte, la perfetta espressione dei supremi<br />

ideali del grande e del sublime. Più tardi, nel secolo <strong>XV</strong>III, il razionalismo<br />

illuministico fonderà sul classicismo la propria estetica , in antitesi all’arbitrio<br />

fantastico dell’arte barocca.<br />

L’elenco delle opere eseguite all’estero da artisti non italiani nei secoli <strong>XV</strong> e <strong>XV</strong>I e<br />

fondato sulla piena comprensione dello spirito del <strong>Rinascimento</strong> italiano e<br />

sull’alto idealismo formale classico non è molto lungo; in architettura citiamo il<br />

palazzo di Carlo V a Granada, opera di P. de Machuca, il chiostro di Tomar in<br />

Portogallo, opera di D. de Torralva, un paio di edifici di Ph. Delorme in Francia; in<br />

molti altri, nelle diverse parti d’Europa, si notano influssi solo parziali; in pittura<br />

troviamo le opere di P. Berruguete e alcuni dipinti del Durer, nel disegno i ritratti<br />

di J. Clouet, ecc. Per il resto lo stile italiano che gli artisti europei sentirono più<br />

congeniale fu, nella prima fase, quello invalso in Lombardia, dove sopravviveva<br />

una forte componente gotica, e nella seconda, il Manierismo che era in parte in<br />

polemica con lo stile rinascimentale. Per tutto il ‘400 in Francia, in Germania e<br />

nelle Fiandre la posizione sociale dell’artista seguita ad essere quella medioevale<br />

e così il gusto gotico persisterà a lungo; esemplare a questo riguardo la vicenda<br />

della grande pittura fiamminga che non è accompagnata da nessuna riflessione<br />

teorica lontanamente paragonabile a quella degli umanisti fiorentini, non si pone<br />

problemi scientifici e persegue un ideale di bellezza nel quale convergono il<br />

naturalismo lirico proprio del gotico, l’amore per il lusso, comune all’aristocrazia<br />

borgognona e ai mercanti fiamminghi, e il misticismo.<br />

Nel ‘500 si ebbe la diffusione delle teorie artistiche del <strong>Rinascimento</strong> fiorentino.<br />

Primo documento di tale diffusione possiamo considerare un poema del francese<br />

Lemaire de Belges, primo poeta umanista di Francia (1505): esso contiene un<br />

elogio di Donatello e di Marsilio Ficino.<br />

Per ordine di tempo la prima nazione che richiamò artisti italiani e opere d’arte<br />

dall’Italia fu la Spagna.<br />

Lo scultore Giuliano Fiorentino, detto il Facchino, fu attivo a Valenza, menzionato<br />

tra il 1418 e il ’24, come Julià lo Florentì; è forse da identificare con Giuliano di<br />

Giovanni da Poggibonsi, aiuto del Ghiberti nella porta del battistero di Firenze.<br />

L’opera principale è costituita da sei dittici, dodici rilievi di alabastro, per il coro,<br />

con storie del Vecchio e del Nuovo Testamento, nella cappella del S. Càliz della<br />

cattedrale.<br />

Lapi Geri, scultore fiorentino, è autore del frontale del retablo nella cattedrale di<br />

Manresa.<br />

Dello Delli, pittore, ancora legato ai modi tardogotici, nel 1445 è a Salamanca al<br />

servizio di Giovanni II, lavora al polittico della cattedrale e alla predella,<br />

214


dipingendo in 53 pannelli 20 figure di profeti; affresca il “Giudizio universale”<br />

nell’abside, lavora nel convento di s. Isabella d’Ungheria a Cantalapiedra e nella<br />

cattedrale di Valenza. <strong>Il</strong> fratello Sansone nel 1446 è a Siviglia, nel ’50 ad Avila<br />

dove esegue il retablo nella cappella di s. Stefano della cattedrale, collabora con<br />

Dello a Salamanca; dal ’62 è di nuovo ad Avila, lavorando nella cappella di s.<br />

Giovanni della cattedrale, nelle chiese di s. Maria e di s. Antonio, nella porta degli<br />

Apostoli, nel chiostro del “Noli me tangere”.<br />

Nel 1472 Paolo di San Leocadio, <strong>Francesco</strong> Pagano da Napoli e maestro Riccardo,<br />

recatisi al seguito del cardinale Rodrigo Borgia, affrescano il presbiterio della<br />

cattedrale di Valenza nel ’84 Paolo si impegna per altri lavori nella stessa<br />

cattedrale; nel 1501-’05 esegue il grande altare della collezione di Gandìa<br />

(“Passione e vita della Madonna”); nel ’11 vari altari nella stessa città; nel ’13 il<br />

capitolo di Valenza gli commissiona tredici grandi tele per gli sportelli dell’organo<br />

che dipinge con il figlio Filippo.<br />

Tra il <strong>XV</strong> e il <strong>XV</strong>I secolo troviamo a Barcellona Pietro Cavaro, pittore; qualche<br />

decennio più tardi Pietro Paolo Alberghi.<br />

<strong>Il</strong> Vasari ci dice che anche Andrea Sansovino fu in Spagna; a lui si attribuisce la<br />

tomba del cardinale nella cattedrale di Toledo (1493) o forse è di Andrea Bregno o<br />

di Domenico Fancelli; certamente è un’opera importata dall’Italia o lavorata in<br />

Spagna da mano italiana.<br />

Domenico Fancelli non sarebbe divenuto l’alfiere del <strong>Rinascimento</strong> nella scultura<br />

spagnola se non avesse avuto la straordinaria ventura di entrare nelle grazie di<br />

don Inigo Lopez de Mendoza, conte di Tendilla, che, inviato nel 1486 dai re<br />

cattolici in Italia per comporre la pace tra il papa Innocenzo VIII e la corte<br />

aragonese di Napoli, aveva soggiornato a Firenze, ospite di Lorenzo il Magnifico.<br />

<strong>Il</strong> conte scelse il Fancelli la cui fiorente bottega, dedita prevalentemente all’arte<br />

funeraria, godeva di un indiscusso prestigio e gli affidò l’incarico di eseguire il<br />

monumento funebre per il fratello Diego, arcivescovo di Siviglia, da collocare nella<br />

cappella di Nostra Signora de la Antigua in cattedrale. <strong>Il</strong> Fancelli acquistò a<br />

Carrara nel 1502 cinquantacinque carrate di marmo bianco, trasferite via mare a<br />

Genova, dove egli scolpì le varie parti del monumento da lui stesso montato nel<br />

’10 nella cattedrale di Siviglia; nel centro, sulla parete, al di sopra dell’urna con il<br />

giacente Diego Hurtado de Mendoza, appaiono tre rilievi della Vergine, di s. Anna<br />

e della Resurrezione, e nel registro inferiore i ritratti dei due fratelli<br />

dell’arcivescovo, committenti dell’opera; nel timpano è raffigurata l’Assunzione;<br />

sotto l’urna due rilievi, la Temperanza e la Giustizia, affiancano l’epitaffio, volto in<br />

latino dall’umanista italiano Pietro Martire, precettore alla corte dei re cattolici. Per<br />

suggerimento del conte di Tendilla il Fancelli ebbe dalla corte spagnola una<br />

215


committenza ben più prestigiosa, quella del sepolcro per l’infante don Juan, da<br />

erigersi nella chiesa di S. Tomàs ad Avila; nel 1511 l’artista si recò a Granada dove<br />

ebbe modo di studiare i ritratti del principe, nel ’12 ritornò a Carrara per<br />

l’acquisto del marmo e l’esecuzione del sepolcro che fu installato l’anno seguente<br />

nella chiesa del convento di S. Tomàs. Esso si erge, candido e solenne, nel centro<br />

del transetto, ai piedi dell’altare maggiore; il letto funebre, riccamente ornato, su<br />

cui giace il principe, è su un basamento le cui pareti sono decorate da motivi<br />

simmetrici, con santi nei tondi centrali, affiancati da figure allegoriche; magnifici<br />

grifoni si slanciano impetuosi dagli angoli.<br />

<strong>Il</strong> Fancelli ricevette poi dal re Ferdinando la commissione per il sepolcro che<br />

doveva accogliere le sue spoglie e quelle della moglie Isabella, defunta nel 1504.<br />

Per questo motivo egli ritornò a Carrara dove nel ’14 acquistò venticinque carrate<br />

di marmo; il monumento fu compiuto in tre anni ed installato personalmente<br />

dall’autore nella cappella reale della cattedrale di Granada. Esso è più ampio di<br />

quello dell’infante ad Avila, dovendo contenere due figure giacenti; nelle pareti<br />

inclinate sono rappresentati s. Giacomo e s. Giorgio che cavalcano focosi destrieri<br />

e nelle nicchie a conchiglia figure di santi; seduti agli angoli del basamento, i<br />

dottori della Chiesa vegliano il sonno dei re cattolici, i cui volti anche in questo<br />

caso sono stati idealizzati secondo i canoni estetici dell’artista. Nel 1518 gli eredi<br />

del cardinale Ximenes de Cisneros commissionarono a Fancelli il sepolcro di<br />

marmo di Carrara da collocare nella chiesa del collegio di S. <strong>Il</strong>defonso ad Halcalà<br />

de Henares; nello stesso anno il re Carlo I ordinò allo scultore il sepolcro per i<br />

suoi genitori, Filippo di Borgogna e Giovanna la Pazza, ancora in vita, da collocare<br />

nella cappella reale della cattedrale di Granada accanto a quello dei nonni,<br />

Ferdinando e Isabella. Nel frattempo l’artista assume con Antonio Fonseca,<br />

tesoriere generale del regno, l’impegno per le tombe destinate al Pantheon della<br />

famiglia del committente a Coca (Segovia); mentre si accinge a rientrare in Italia<br />

per dare inizio a tutte queste opere, lo scultore muore a Saragozza nel 1519. Tra<br />

le altre opere si ricordano: dieci statue di terracotta (perdute), quattro<br />

acquasantiere, vendute dallo scultore alle cattedrali di Valenza e Toledo (solo due<br />

rimaste nel transetto della cattedrale toledana).<br />

Al conte di Tendilla, come abbiamo visto, e a suo fratello, cardinale don Pedro<br />

Gonzalez de Mendoza che fondò il collegio di S. Croce a Valladolid, ben presto<br />

focolaio di studi e di arte rinascimentale, si deve l’introduzione dello stile italiano<br />

in Castiglia; il marchese del Cenete, figlio naturale del cardinale, portò dall’Italia i<br />

marmi del cortile e della scala per il castello di La Calahorra: furono fatti venire<br />

636 balaustre, 200 tavole di marmo nero, 150 mensole, 72 grandi pezzi vari, un<br />

portale, dei capitelli, zoccoli, lavorati a Genova. Michele Carlone, scultore e<br />

216


architetto, in Spagna nel 1509 con i fratelli Bernardino e Antonio, costruisce in tre<br />

anni il castello; alle sue dipendenze sono anche dei “magistri antelami”,<br />

provenienti dalla zona di Lugano, Pietro della Verda da Gandria, Baldassarre da<br />

Carnevale, Antonio Pilacorte da Carona, esperti nel lavorare il marmo. Per<br />

accelerare i tempi di costruzione vengono ingaggiati altri sette artisti, quattro<br />

lombardi (Egidio, Giovanni e Baldassarre de la Verda da Gandria, Pietro Antonio de<br />

Curto) e tre genovesi (Pantaleone Caciari, Pietro Bacioni e Oberto Carampi). Tutti<br />

lavorarono la pietra arenaria del luogo; oltre l’abbondante materiale già lavorato,<br />

fatto venire dall’Italia (1510), altri contratti si fecero a Carrara con Bartolomeo<br />

Pelliccia e Gabriele dei Bretoni; amministratore dell’impresa fu Martino<br />

Centurione, mercante genovese.<br />

Una famiglia di scultori molto importante è quella dei Gagini, oriundi di Bissone;<br />

dalla loro bottega, al ponte dei Coltellari a Genova, sono uscite le opere che,<br />

diffondendosi all’estero nei secoli <strong>XV</strong> e <strong>XV</strong>I (soprattutto in Francia e in Spagna),<br />

hanno contribuito all’affermazione del gusto rinascimentale italiano. All’inizio del<br />

‘500 i Gagini si associano all’altra grande famiglia di scultori, gli Aprile di Carona,<br />

e insieme operano in Spagna; la società dà così origine alla più importante<br />

“bottega di scultura” esistente in Europa.<br />

Nel 1520 il marchese di Tariffa, di passaggio a Genova nel viaggio di ritorno dalla<br />

Terrasanta, ordina alla bottega dei Gagini due monumenti funerari, l’uno per il<br />

padre Pedro Enriquez che sarà eseguito dagli Aprile, e l’altro per la madre<br />

Caterina de Ribera, eseguito da Pace Gagini. A completare il Pantheon dei<br />

marchesi di Tariffa concorrono Pietro Aprile, Antonio e Bernardino Gagini che<br />

scolpiscono allegorie, dieci statue e tombe, oggi tutte sistemate nella cappella<br />

dell’università di Siviglia. Molte altre opere sono attribuite ai Gagini in Spagna (la<br />

Madonna del latte, la Madonna dell’hospital de la Sangre e la Madonna in<br />

alabastro policromo a Barcellona, la pala di marmo bianco nella cappella di<br />

Escalas della cattedrale di Siviglia). Nel 1524 Giovanni Antonio Aprile, con Antonio<br />

della Scala, scolpisce la tomba del vescovo Ruiz, installato da Bernardino Gagini<br />

nella chiesa della Penitenza a Toledo. Nel 1532 con Pier Angelo della Scala gli<br />

Aprile eseguono il complesso monumentale (altare, trittico e tombe di famiglia)<br />

dei marchesi d’Ayamonte (il contratto fu stipulato nel 1525 per il tramite di Nicolò<br />

Cattaneo) per il convento di S. <strong>Francesco</strong> a Siviglia. Nel casello di Calahorra Pietro<br />

Aprile e Antonio Gagini eseguirono il boccale della cisterna; Pietro fece inoltre un<br />

barchile per il giardino del marchese del Zaneto a Calliguri di Granada; ordinarono<br />

dei lavori il duca d’Alba e il marchese de la Algaba.<br />

E’ poi la volta del palazzo arabo del marchese di Tarifa, 24 colonne, una fontana<br />

con delfini, un portale, medaglioni, oggi riutilizzati per la casa di Pilato in Siviglia.<br />

217


Antonio Maria Aprile con Antonio di Novo scolpisce nella <strong>sua</strong> bottega di Siviglia<br />

nel 1529 gli ornamenti destinati alla biblioteca della casa di Colombo, tra cui un<br />

portale. Si ha pure notizia di forniture di colonne da parte dello stesso Aprile e<br />

Bernardino Gagini per l’Alcazar di Siviglia. Infine alla scuola degli Aprile sono<br />

attribuiti i sepolcri di Alonso Carrillo e del fratello nella cappella di S. <strong>Il</strong>defonso<br />

della cattedrale di Toledo.<br />

Jacopo Torni o Jacopo Fiorentino, detto l’Indaco il vecchio, nel 1519 si reca in<br />

Spagna con Pedro Machuca, l’architetto venuto in Italia per un periodo di studio,<br />

con il fratello <strong>Francesco</strong>, e si stabilisce a Granada dove dirige la squadra di pittori,<br />

tagliatori di pietra e falegnami che lavorano nella cattedrale alla installazione<br />

dell’organo e delle porte della sagrestia; nel ’20 dipinge la cassa dell’organo. Con<br />

il Machuca esegue la pala della croce destinata ad inquadrare il famoso trittico di<br />

Dirk Bouts; esegue il fregio con medaglioni nella cappella del Gran Capitano, gli<br />

stalli del coro (con Martin Bello), la statua della Madonna e altre decorazioni sopra<br />

l’arco d’ingresso della cappella reale (con il fratello <strong>Francesco</strong>), un Cristo in legno<br />

nel convento dell’Angelo Custode, il gruppo della sepoltura (ora nel museo di<br />

Carlo V); Jacopo a Jaèn scolpisce il Cristo del Corpus in legno policromo nella<br />

chiesa della Maddalena; a Murcia il portale della sagrestia della cattedrale, gli<br />

ornamenti statuari e le decorazioni, gli stalli del coro e con il fratello <strong>Francesco</strong> un<br />

presepio in rilievo; a Villena nell’attuale casa municipale la pila battesimale (lavora<br />

in questa città anche come architetto).<br />

<strong>Francesco</strong> Torni, detto l’Indaco il giovane, dal ’19 al ’22 lavora nel castello di<br />

Velez Blanco, per il quale si ricorse ad operai italiani, con la collaborazione di<br />

Martino da Milano, con il quale esegue anche il fonte battesimale nella cattedrale<br />

di Granada e a Siviglia le sculture in marmo nel coro del duomo; infine a Murcia<br />

progetta la torre dell’orologio (ricordiamo che il bellissimo castello di Velez Blanco<br />

fu in seguito demolito; i soffitti a cassettoni, le ceramiche, le porte di noce<br />

scolpite, il finissimo arredamento, i blocchi marmorei, i ricchi pavimenti, le scale,<br />

tutto lavorato in Italia con marmo di Carrara, furono acquistati nel secolo XIX da<br />

un ricco signore che li fece impiegare in uno dei suoi palazzotti vicino Parigi).<br />

Pietro Torrigiani nel 1520 abbandona l’Inghilterra e si presenta a Granada; nel ’25<br />

è a Siviglia dove modella un busto di Isabella di Portogallo; il Vasari gli attribuisce<br />

opere di terracotta per il monastero di S. Girolamo di Buenavista. A Siviglia è<br />

conservata una Vergine con bambino (in terracotta policroma).<br />

Lo spagnolo B. Ordonez nel 1519 succede a Domenico Fancelli nell’esecuzione<br />

delle opere commissionate; nello stesso anno si trasferisce a Carrara, portando<br />

con sé Vittorio Cogono, Giovanni Rossi da Fiesole e Simone Bellalana, detto<br />

Mantovano, che già dal ’15 lavoravano con lui a Barcellona negli stalli del coro<br />

218


della cattedrale. A Carrara vengono assunti altri collaboratori: Marcuccio Bernardi,<br />

Pietro da Carrara, Pandolfo Fancelli (cugino di Domenico), <strong>Francesco</strong> da Como,<br />

<strong>Francesco</strong> e Nicola Ghetti, Astolfo e Giovanni da Firenze, Franchino della Torre,<br />

Domenico Vanelli, Pietro Mantovano, Giovannino Nelli, Tomeo da Menco,<br />

<strong>Francesco</strong> di Filippo Mastri, Domenico Ghare, Pietro Aprile, Bersagli, Girolamo da<br />

Santacroce e Giangiacomo da Brescia, Adamo Wibaldo e Tommaso Fornà, in totale<br />

con i tre collaboratori, venuti da Barcellona, 24 persone.<br />

Nel 1520 l’Ordoñez muore; il sepolcro di Filippo di Borgogna e di Giovanna la<br />

Pazza, progettato da Domenico Fancelli ed eseguito poi dall’Ordoñez, viene<br />

rifinito da Giovanni da Fiesole, Simone Bellalana, Vittorio Cogono e Domenico<br />

Ghare e consegnato a Granada nel ’21. La tomba del cardinale Cisneros,<br />

progettata dal Fancelli, terminata da Pietro Aprile, Giangiacomo da Brescia e<br />

Girolamo da Santacroce, è collocata nella cappella ad Alcalà nel ’24; le tombe dei<br />

Fonseca (don Alonso e la madre), disegnate dal Fancelli, sono eseguite da Pietro<br />

Aprile e Marcuccio Bernardi e giungono a Coca nel ’33. Simone Bellalana e<br />

Giovanni da Fiesole terminano la tomba del vescovo di Burgos, abbozzata<br />

dall’Ordoñez; il secondo lavora anche a Granada, così come Giuseppe Sangronis.<br />

Dell’arte di Ordoñez dobbiamo dire che la maniera del Fancelli venne modificata<br />

nelle sue ultime opere da influssi michelangioleschi; egli visse diversi anni a<br />

Napoli e a Genova oltre che in Toscana.<br />

Celebre fu Giovanni Moretto (Juan de Moreto); diffuse l’arte degli scultori<br />

lombardi, lavorò a Tarascona con Nicola Lovato; nel 1521 a Jaca fu “maestro<br />

architetto”. Nella cappella di S. Michele della cattedrale eseguì in collaborazione<br />

con C. Joly il retablo, con statue di s. Rocco, s. Giuseppe, s. Paolo e s. Cristoforo;<br />

nel ’25 a Saragozza (con il Picart) fece il retablo dell’ ”Ecce homo” nella chiesa di<br />

S. Filippo, quello nella chiesa di S. Michele, gli stalli del coro nella basilica del Pilar<br />

(con l’Obrey e il Lovato), nel ’30 eseguì il retablo della chiesa di La Almolda, nel<br />

’38 quello della chiesa di S. Sebastiano a Borja. Suoi sono anche quelli di s.<br />

Michele Arcangelo nella parrocchiale di Ibdes, della Ermita de la Virgen a<br />

Moncayo, della cappella de los Concillos nella cattedrale e della cappella della<br />

Visitazione a Tarazona, e infine quello di Valladolid (ora nel museo). A Plasencia il<br />

Moretto lavorò nella chiesa del Salvador, eseguì il busto di s. Anna nella<br />

parrocchiale di Tauste, fece lavori anche per le chiese di Alquezar, Alcaniz,<br />

Belchite, Calnergo, Hijar, Mora, Roda, Sallent de Galleco. <strong>Il</strong> figlio Pietro lavorò a<br />

Barrozar, Anorbe, Orobia e Saragozza.<br />

Molti altri scultori italiani operarono in Spagna nel secolo <strong>XV</strong>I: <strong>Francesco</strong><br />

Camilliani nel palazzo di Abadia (Caceres), Giovanni Marigliano da Nola, autore<br />

della tomba di don Ramon Folch da Cardona nella chiesa di Bellpuig; Clemente<br />

219


Virago che eseguì scudi ed armi nobiliari; Antonio Fiorentino che progettò e fece<br />

la cancellata de la Antigua nella cattedrale di Siviglia e il Paso de la Semana Santa;<br />

ricordiamo inoltre Bonifacio Bernardino, Giuseppe Carlone, Pietro Castello, Andrea<br />

e Gaspare de Luca, Giovan Battista Franconio, Giovanni da Lugano, Michele<br />

Fiorentino. Tra gli architetti troviamo Antonio Sillaro e Giuseppe Valeriani, anche<br />

pittore.<br />

Sotto Carlo V le influenze italiane in Spagna raggiunsero il massimo sviluppo; egli<br />

infatti ebbe una grande preferenza per l’arte rinascimentale italiana, come<br />

dimostrano la <strong>sua</strong> amicizia per Tiziano e le numerose commissioni fatte ad artisti<br />

italiani (Ricordiamo che per la Spagna Tiziano dipinse complessivamente undici<br />

ritratti di Carlo V, tredici di Filippo II, tre della regina Isabella, uno della sorella di<br />

Filippo II). Nel 1537 andò a Granada Nicolò da Corte, eseguì lavori sulla facciata<br />

del palazzo di Carlo V nell’Alhambra (tra cui la statua della Fama per il portale) e<br />

quattro pannelli di marmo; forse lavorò a Salamanca nel palazzo del duca d’Alba e<br />

a Gabia fece il retablo della parrocchiale, a Granada eseguì anche la fontana del<br />

Pilar.<br />

Per gli artisti italiani attivi al tempo di Filippo II si rimanda alla lezione sul<br />

Manierismo.<br />

L’influsso dei modi quattrocenteschi italiani sui pittori spagnoli si avverte già in R.<br />

da Osona il vecchio che segna il passaggio a Valenza dall’influenza fiamminga a<br />

quella italiana, evidente nell’uso della luce e nell’ambientazione architettonica<br />

delle scene. Influssi si avvertono anche nella pala d’altare della cattedrale di Lèon,<br />

nella Spagna settentrionale, (seconda metà del secolo <strong>XV</strong>) accanto a quelli<br />

borgognoni.<br />

Molti pittori spagnoli si formarono in Italia nel corso dei secoli <strong>XV</strong> e <strong>XV</strong>I. Pedro<br />

Berruguete operò a Urbino verso il 1477, influenzato da Piero della Francesca e<br />

Melozzo da Forlì; A. del Rincòn di Guadalajara, completamente italianizzante, fu<br />

educato nella bottega del Ghirlandaio; negli ultimi anni del ‘400 J. De Pereda subì<br />

influenze del Pinturicchio; Jacopo da Valenza studiò con Antonello da Messina<br />

prima in Sicilia e poi a Venezia (sec. <strong>XV</strong>-<strong>XV</strong>I). F. Yanez de la Almedina e F. Llanos<br />

ripetono modi lombardi e dell’Italia centrale; essi furono alla scuola di Leonardo e<br />

forse parteciparono all’esecuzione del cartone della battaglia d’Anghiari; tornati in<br />

patria nel 1506, crearono opere determinanti per lo sviluppo della pittura a<br />

Valenza in senso rinascimentale.<br />

Tra gli scultori spagnoli del secolo <strong>XV</strong>I citiamo D. Forment, seguace di Donatello;<br />

Alonso Berruguete, allievo di Michelangelo; D. de Siloe, di formazione<br />

completamente italiana, avendo lavorato a Napoli con l’Ordoñez.<br />

220


Dopo la conquista di Granada (1492) vennero costruite in Spagna numerose<br />

chiese i cui architetti si ispirarono al nuovo gusto, come la cattedrale di S. Cruz a<br />

Valladolid, la nuova cattedrale di Salamanca e quella di Segovia; così pure forme<br />

rinascimentali si ritrovano nel cortile del collegio della stessa cattedrale di<br />

Valladolid, nella casa Lonja a Siviglia, nel castello di Sabiote.<br />

Per primo si diffuse lo stile bramantesco (primo <strong>Rinascimento</strong> spagnolo), come è<br />

evidente nelle cattedrali di Malaga, Jaen, Cadice, nella scala monumentale della<br />

cattedrale di Burgos; nella cattedrale di Granada D. de Siloe unisce elementi della<br />

tradizione gotica con elementi “romani” (l’opera avrà un grande influsso<br />

sull’architettura plateresca in Andalusia). A. de Covarrubias nella cappella della<br />

cattedrale di Toledo subì l’influsso di Michelangelo, attento a un classicismo<br />

interpretato prevalentemente nella chiave del maestoso.<br />

Nel sontuoso palazzo fatto costruire da Carlo V a lato dell’Alhambra di Granada,<br />

opera del Machuca, lo schema planimetrico, l’ordine rustico, la loggia ad arco, gli<br />

slittamenti dell’ordine rinviano alla maniera di Giulio Romano e quindi ai temi<br />

bramanteschi e raffaelleschi. Frattanto F. de Villalpaldo, architetto e scultore,<br />

diede grande impulso alla diffusione dell’arte italiana in Spagna, anche con la<br />

traduzione del III e del IV libro dell’ ”Architettura” del Serlio.<br />

Nella seconda metà del secolo si inizia l’altra fase del <strong>Rinascimento</strong> in Spagna; per<br />

J. De Toledo e J. De Herrera vedi lezione sul Manierismo.<br />

Francisco Becerra, aperto agli influssi romani, portò i modi rinascimentali in<br />

Messico (cattedrale di Puebla) e in America meridionale (chiesa di S. Domingo a<br />

Quito, cattedrali di Cuzco e Lima).<br />

In Portogallo il <strong>Rinascimento</strong> italiano arriva per il tramite di alcuni scultori<br />

francesi; esso agisce moderando la straordinaria libertà di forme, il pittoresco<br />

apparato decorativo dello stile manuelino.<br />

Andrea Contucci, detto il Sansovino, secondo il Vasari fu in Portogallo dal 1492 al<br />

1500. Nessuna opera può essere assegnata alla <strong>sua</strong> mano con sicurezza, mentre è<br />

possibile riconoscere la <strong>sua</strong> diretta influenza nel “San Girolamo” e nel “San<br />

Giovanni Battista” della chiesa di S. Marco in Coimbra.<br />

Sono numerose le terrecotte invetriate che possiamo assegnare alle officine<br />

robbiane; alcune di queste sculture vennero direttamente commissionate nella<br />

stessa Firenze al tempo di re Manuel (1495-1521), come i tondi che erano inseriti<br />

nel portale della chiesa della “Madre di Dio” a Lisbona o il tondo con due putti che<br />

sorreggono lo stemma reale. A Giovanni della Robbia è attribuita una statua in<br />

terracotta invetriata raffigurante ”San Girolamo” nella chiesa ”Dos Jeronimos” a<br />

Belèm. Rivelano mano italiana la tomba della chiesa di S. Domenico a Lisbona, il<br />

sarcofago di G. Brandam nella chiesa di S. <strong>Francesco</strong> a Oporto (opere del <strong>XV</strong>I<br />

221


secolo); il pulpito di S. Croce a Coimbra ha una mirabile decorazione in puro stile<br />

rinascimentale; il paliotto d’altare nella chiesa “da luz” a Lisbona è attribuito al<br />

Mosca (sec. <strong>XV</strong>I), così come le “Storie di s. Girolamo” nel transetto della chiesa del<br />

convento di Belem. Nella basilica di Batalha lavorarono lo scultore in legno Pietro<br />

Tacca (dal 1549 al ’61) e i pittori Antonio e <strong>Francesco</strong> Tacca, ricordati dai<br />

documenti tra il ’32 e il ’66.<br />

Gusto italiano presentano a Lisbona il portale della chiesa della Madonna di Loreto<br />

e il chiostro del convento della Madre di Dio; a Sintra il portale presso il palazzo<br />

reale; a Coimbra la “porta speciosa” della cattedrale vecchia, la cappella del<br />

Sacramento e il chiostro del Carmine; a Viana do Castelo la chiesa della<br />

Misericordia, la facciata della chiesa di S. Domenico e il portale di S. Sebastiano; a<br />

Lagos il portale della chiesa “do compromisso maritimo”; a Evora, il centro<br />

<strong>artistico</strong> portoghese più italianizzante, il portale del cimitero, la facciata del<br />

convento della Grazia in stile michelangiolesco, il chiostro e il portale di questa<br />

chiesa e quello di S. Chiara; a Tavira il portale della chiesa della Misericordia, a<br />

Caminha la chiesa parrocchiale, a Braga il palazzetto. A Thomar l’influsso<br />

tipicamente fiorentino è palese nella chiesa della Concezione, mentre quello<br />

romano è presente nella cappella absidale del convento dei “Jeronimos”.<br />

Tra i pittori rinascimentali ricordiamo Antonio Fiorentino che affrescò la “Sacra<br />

conversazione” nella chiesa di S. <strong>Francesco</strong> a Oporto ed eseguì il ritratto di re<br />

Giovanni.<br />

Nel 1536 fu inviato a Safri in Africa come architetto militare per il Portogallo<br />

Garcia da Bologna.<br />

Tra gli artisti portoghesi che studiarono o si formarono in Italia citiamo A. Pires<br />

d’Evora e F. de Hollanda, pittore e scrittore, noto soprattutto per il suo trattato<br />

della pittura antica (1547-’49), lode appassionata del classicismo; l’autore aveva<br />

soggiornato a Roma ed era stato allievo di Michelangelo. Al trattato seguono<br />

quattro dialoghi nei quali intervengono l’autore, Vittoria Colonna e Michelangelo,<br />

delle cui idee sull’arte il testo è interessante testimonianza; ricordiamo che il de<br />

Hollanda lasciò di Michelangelo anche un prezioso ritratto miniato.<br />

L’Ungheria sembra avere avuto piuttosto tempestivamente contatti con la cultura<br />

italiana; il condottiero Filippo Buondelmonti degli Scolari, detto Pippo Spano,<br />

conte e governatore di Temesvar, divenne uno dei consiglieri più intimi del<br />

sovrano, edificò fortezze ai confini dello stato, combattè con successo per diciotto<br />

volte contro turchi e veneziani; un fratello fu governatore della Valacchia, un<br />

cugino vescovo di Varadino. Pippo aveva cominciato la carriera in Buda come<br />

garzone nella bottega dei Pecchia, una famiglia fiorentina trapiantatasi già nel<br />

secolo XIV per il commercio della seta; uno degli antesignani della cultura<br />

222


inascimentale in Ungheria, protettore di artisti, padrone di vastissime terre, fece<br />

costruire 180 chiese, un ospedale a Lippa, un palazzo ad Ozora, una cappella<br />

sepolcrale ad Albareale; ad Ozora fece arrivare l’acqua dal lago Balaton, forando<br />

un monte.<br />

L’architetto toscano Manetto Ammannatini, fatto venire dallo Scolari con lo<br />

scultore in legno Pellegrino delle Tarsie, diresse la costruzione dei castelli e delle<br />

chiese; dopo la morte dello Scolari passò al servizio di re Sigismondo, divenendo,<br />

oltre che direttore dei lavori, uomo di fiducia del re.<br />

Alla corte dello Scolari lavorò anche Masolino da Panicale; arrivato in Ungheria nel<br />

1425, affrescò per lui ad Albareale, a Lippa, e forse a Temesvar; probabilmente<br />

dipinse anche a Vesprino per il vescovo Branda Castiglione e fu infine a Buda alla<br />

corte di re Sigismondo. Tutti i suoi affreschi andarono perduti durante l’invasione<br />

turca. Alla morte del sovrano che era stato incoronato a Roma dal papa nel 1430<br />

e aveva avviato i contatti con l’arte italiana, successe Mattia Corvino che regnò dal<br />

1458 al ’97 ed ebbe un’ammirazione sconfinata per la cultura italiana. Anche per<br />

il tramite della regina Beatrice, <strong>sua</strong> sposa, figlia di Ferdinando d’Aragona, re di<br />

Napoli, egli fu in diretto contatto con i grandi centri artistici italiani. A lui Angelo<br />

Poliziano donò tutta una collezione di preziosi manoscritti; il re comprendeva<br />

l’arte come il suo più gran diletto e in questa visione di bellezza riunì alla <strong>sua</strong><br />

corte i maggiori artisti del tempo. Ebanisti, scultori, architetti, copisti, storici,<br />

scienziati giunsero a Buda, e in maggior numero vennero dall’Italia, anzi erano<br />

tanti gli artisti italiani in Ungheria che ”ovunque si sentiva l’armoniosa cadenza<br />

italiana”. Da Lorenzo il Magnifico Mattia Corvino ricevette due bassorilievi in<br />

bronzo del Verrocchio, rappresentanti Alessandro Magno e Dario; lo stesso<br />

scultore eseguì una fontana marmorea per incarico del re. Ludovico il Moro inviò il<br />

Caradosso, con l’incarico di portare un Bacco e altri oggetti d’arte.<br />

Furono chiamati dal sovrano gli architetti Aristotele Fieravanti (o Fioravanti) che<br />

trascorse alcuni mesi a Buda nel 1467 al servizio della corte come ingegnere<br />

militare (gli si attribuisce un ponte sul Danubio), Ambrogio di Cappo, Antonio da<br />

Pallanza, Pier Antonio de Suigo, Lorenzo de Canturio, Cristoforo de Panigatis.<br />

Architetti anonimi italiani innalzarono per lui il palazzo di Visegrad (ora distrutto),<br />

luogo di custodia della corona ungherese, tale da eguagliare i più bei palazzi<br />

italiani, definito dal legato pontificio ”un paradiso terrestre”. Mattia Corvino<br />

incaricò poi l’architetto, scultore e intagliatore fiorentino Chimenti Camicia<br />

(Clemente di Leonardo) di ricostruire, ampliandolo, il castello di Buda in forme<br />

rinascimentali; il Camicia vi lavorò dal 1480 al ’94, ebbe alle sue dipendenze<br />

numerosi connazionali, tra i quali ebanisti e intagliatori di legno.<br />

223


Giovanni Dalmata, scultore e architetto, fu chiamato dal re nel 1481, stette circa<br />

dieci anni in Ungheria, fu onorato a corte; gli sono attribuiti due ritratti in<br />

bassorilievo del re e della regina, parti scultoree del castello di Visegrad e sculture<br />

nella cattedrale di Vàcz.<br />

Benedetto da Maiano, scultore e intagliatore, lavorò a Buda per il re come scultore<br />

in legno, in terracotta e in marmo (di questa <strong>sua</strong> attività in Ungheria parla il<br />

Vasari).<br />

Dai pochi frammenti rimasti della decorazione della reggia di Buda emerge che gli<br />

scultori chiamati alla corte di Mattia Corvino erano tutti di alto livello. Sappiamo<br />

che alcuni frammenti scultorei sono di opere fatte da Giovanni Ricci da Sala,<br />

autore anche della “Madonna” di Visegrad, città in cui lavorò maggiormente.<br />

Capolavoro dello stile rinascimentale è la fontana figurata di marmo rosso,<br />

eseguita nel 1480-’85 da un maestro italiano. Le opere di costruzione regia<br />

subirono un arresto dopo la morte del re (1490); furono riprese durante il regno<br />

di Ladislao II nel ’97 e durarono fino al 1505.<br />

<strong>Il</strong> Camicia, dopo un breve periodo passato a Firenze, riprese la direzione dei lavori<br />

a Buda fino all’ultimo periodo della <strong>sua</strong> vita; il Vasari ci dice che morì (dopo il<br />

1505) per l’eccessivo lavoro fatto per il re: ”Costruì palazzi, giardini, fontane,<br />

templi, fortezze ed altre molte muraglie d’importanza, con ornamenti, intagli,<br />

palchi lavorati ed altre simili cose”. Nel castello, distrutto dai turchi, vi erano<br />

cortili porticati, sontuosi ambienti interni, una biblioteca monumentale, grandi<br />

statue di bronzo e fontane.<br />

Tra i grandi pittori ricordiamo Ercole de’ Roberti che dipinse per il re (1487);<br />

Filippino Lippi che inviò al re un “Cenacolo”, una “Madonna” e altri quadri e fece il<br />

disegno di una pianeta; Antonio del Pollaiolo che disegnò il tappeto del trono (ora<br />

nel castello di Galgoc); su disegno del Botticelli fu tessuto il paramento della<br />

messa conservato a Nagyszeben (oggi Sibiu); alcuni quadri di Berto Linaiolo,<br />

dipinti a Firenze, furono portati dal Camicia al sovrano e destarono molta<br />

ammirazione.<br />

<strong>Il</strong> cardinale Ippolito I d’Este, nipote di Beatrice d’Aragona, divenuto primate<br />

d’Ungheria, chiamò artisti italiani a Strigonia (Esztergom) e fece innalzare<br />

monumenti di carattere rinascimentale nel palazzo vescovile e nella cattedrale.<br />

<strong>Francesco</strong> Francia eseguì per lui una splendida croce, ornata di nielli e rilievi<br />

(croce apostolica del regno), oggi nella cattedrale.<br />

Tommaso Bakòcz, primate d’Ungheria nel 1500, a Strigonia, divenuto il centro di<br />

cultura più importante della stessa corte, fece costruire nel ‘07 da un maestro<br />

della scuola di Giuliano da Sangallo una cappella che da lui prese il nome,<br />

224


incorporata nel 1823 nella nuova cattedrale; egli si valse dell’opera di pittori e<br />

scultori italiani.<br />

<strong>Il</strong> Pinturicchio disegnò la pianeta che il cardinale fece ricamare in Italia (oggi nel<br />

museo di Strigonia); Alberto Fiorentino, seguace di Filippino Lippi, eseguì gli<br />

affreschi della cappella (si è conservato il frammento delle “Quattro virtù”);<br />

mirabile esempio di arte rinascimentale è l’altare, opera di Andrea Ferrucci, della<br />

scuola di Giuliano da Sangallo, eseguita a Firenze, con gli ornati scolpiti da<br />

Giovanni Fiorentino. Lo stesso Ferrucci inviò una fontana di marmo al re Ladislao<br />

II e un tabernacolo a Pècs. Giovanni Fiorentino, chiamato in Ungheria e in Polonia<br />

dal 1510 al ’17, eseguì una vasca battesimale di marmo rosso a Granvaradino; a<br />

Menijo si conservano un suo portale, un fonte battesimale firmato e un ciborio.<br />

Vincenzo da Ragusa eseguì i portali delle chiese di Berevice, Hethars e Kiszeben<br />

ed un ciborio per la chiesa di Hethars; sono di fattura italiana il ciborio del<br />

vescovo Nagyzevry nella chiesa parrocchiale di Pest, gli stalli di pietra nel coro<br />

della chiesa di Nyrbator, il tabernacolo di Pecs. Del 1512 è la cappella Lazòr di<br />

Alba Julia, riccamente ornata di statue; ai primi anni del secolo si possono datare<br />

alcuni monumenti sepolcrali dall’ornato rinascimentale, con le figure dei defunti<br />

intese come ritratti (pietre tombali di J. Zapolya a Szepeseshely, e di I. Perenyi a<br />

Toketerebes). In Ungheria e in Polonia operò lo scultore <strong>Francesco</strong> Italico.<br />

Tra i pittori italiani in Ungheria nel secolo <strong>XV</strong>I troviamo Bernardo da Lugano che<br />

decorò a Bartfa la cappella di S. Egidio e introdusse la tecnica del graffito,<br />

decorando i bastioni della città; soprattutto nel nord del paese, a Szepes e a<br />

Saros, ornati a graffiti sono presenti in castelli, chiese e campanili. Ricordiamo<br />

anche Raffaello da Gallieno, il Visino e Giovanni Antonio da Pordenone che lavorò<br />

alla corte di re Giovanni Zapolya in Transilvania e ottenne nel 1535 la nobiltà<br />

ungherese; in questa regione motivi ornamentali italiani sono nei soffitti a<br />

cassettoni dipinti.<br />

Nel secolo <strong>XV</strong>I tra gli architetti fu celebre Pietro Ferabosco, anche come pittore e<br />

scultore; grande architetto militare, provvide alla costruzione e al consolidamento<br />

di molte fortezze. I sovrani chiamarono schiere di ingegneri militari dall’Italia per<br />

le difese dei confini contro la minaccia turca; la dominazione ottomana dal 1526<br />

al 1686 su due terzi del territorio ungherese arrestò l’evoluzione artistica nelle<br />

zone centrali, compresa Buda. Le regioni settentrionali e occidentali, sotto la<br />

dinastia degli Asburgo, rimasero invece in contatto con l’arte italiana attraverso<br />

Vienna e Praga, fonti del <strong>Rinascimento</strong> nell’Europa centrale. Nel secolo <strong>XV</strong>I furono<br />

ricostruiti da architetti italiani i castelli secondo il nuovo stile, così come molte<br />

chiese e palazzi distrutti. Un Italus trasformò il castello di Szamosujvar per il<br />

cardinale Giorgio Martinuzzi; un Alessio edificò a Bartfa un palazzo che aveva<br />

225


“fenestras ytalicales”; fece molti lavori Giovanni Maria Speciecasa (Giovanni Maria<br />

da Napoli o Johannes Maria Italus). <strong>Il</strong> castello più grande dell’alta Ungheria è<br />

quello di Nagylicse con un arioso cortile porticato di chiara origine italiana (1571-<br />

1605). In questa regione si affermarono forme nuove come i muri coronati da<br />

cornicioni, di origine veneta; a Frics, Kèsmark, Eperjes, Betlhenfalva, ecc. si<br />

costruirono palazzi sotto l’influsso dell’architettura veneziana.<br />

In Slovacchia, sotto la corona magiara, furono costruiti a Levoca (Locse) in stile<br />

rinascimentale il palazzo comunale, la casa dei Thurzò e altre case private; le<br />

decorazioni in stucco della casa dei Thurzò furono eseguite da stuccatori anonimi<br />

italiani.<br />

In Transilvania, a Cluy (Koloszvar) operarono all’inizio del secolo <strong>XV</strong>I, oltre a<br />

numerosi scalpellini venuti dall’Italia, gli scultori e architetti Giovanni Fiorentino,<br />

Domenico da Bologna, Antonio Castello, Agostino Serena che dettero luogo a uno<br />

stile detto “rinascimentale fiorito” a contatto con il decorativismo locale; influssi<br />

dell’Italia settentrionale si ritrovano a Gherla, a Cris, ecc. Simone da Milano,<br />

architetto regio, nel 1568 dirigeva i lavori del castello di Munkacz (Mukacevo) in<br />

Transcarpazia, che costruiva con operai italiani.<br />

Alessandro da Vedano fu “magister muratorum regius”; i suoi discendenti, fissatisi<br />

nella regione, divennero i nobili Vedano che parteciparono attivamente alla vita<br />

dello stato; egli lavorò con Niccolò da Milano al castello di Sarospatak (1570),<br />

opera cominciata da Felice da Pisa anni prima, gli ornamenti della torre e la<br />

bellissima loggia rivelano influssi lombardi del primo <strong>Rinascimento</strong>.<br />

<strong>Il</strong> nuovo stile ispirò molti artisti ungheresi; J. Aquila segnò per primo i caratteri<br />

nuovi nella pittura, colonie di pittori si formarono a Siena e a Ferrara nel <strong>XV</strong><br />

secolo, come Michele Pannonio che lavorò per Borso d’Este nell’ambiente del<br />

ferrarese Cosmè Tura. Tommaso di Cluy si ispirò nelle sue tavole a Gentile da<br />

Fabriano, influssi umbri sono nella “Visitazione” di Csegold (sec. <strong>XV</strong>) e nell’altra<br />

della cattedrale di Kassa (sec. <strong>XV</strong>I); seguace dei modelli fiorentini si rivela il<br />

maestro ungherese della “Madonna di Bathory” (1526).<br />

La Polonia già nel secolo XIV, sotto Ladislao II Jagellone, attraverso le colonie<br />

italiane del Mar Nero era entrata in più stretti rapporti commerciali con gli italiani<br />

che cominciavano ad affluire entro i suoi confini; aveva, infatti, relazioni con<br />

Genova, Firenze, Venezia e Milano. A Cracovia i contatti si fecero più intensi<br />

all’inizio del ‘500 quando cominciò ad affermarsi il gusto rinascimentale.<br />

L’esempio di Mattia Corvino, re d’Ungheria, protettore di artisti italiani, fu ripreso<br />

in Polonia, quando il principe Sigismondo, futuro re, si recò in visita presso il<br />

fratello Ladislao, succeduto sul trono d’Ungheria a Mattia, ed ebbe modo di<br />

vedere quanto era stato realizzato a Buda da architetti, scultori e pittori italiani.<br />

226


Conseguenza di tale visita, avvenuta poco prima del 1500, fu l’assunzione al<br />

servizio dei sovrani polacchi di alcuni artisti italiani, in quel momento attivi in<br />

Ungheria. <strong>Il</strong> matrimonio tra Sigismondo I, che regnò dal 1506 al ’48, e Bona Sforza<br />

diede impulso decisivo al diffondersi dell’arte italiana in Polonia e determinò un<br />

più diretto contatto con l’Italia.<br />

A Cracovia fu dal 1507 ricostruito il castello reale sul Wavel ad opera di Franciscus<br />

Italus (<strong>Francesco</strong> da Firenze) che eseguì la parte occidentale ed il porticato di<br />

ingresso; continuò <strong>Francesco</strong> della Lora, autore del cortile amplissimo a tre piani,<br />

con la collaborazione di sei compagni fiorentini. Al suo posto subentrò nel 1517<br />

Bartolomeo Berecci (o Berrecci) di Pontassieve. Questi, chiamato in Polonia per il<br />

tramite del primate G. Laski, ambasciatore in Ungheria, era tra gli artisti italiani<br />

che lavoravano a Strigonia per T. Bakocz; giunse a Cracovia nel 1516 per la<br />

costruzione della cappella jagellonica, mausoleo reale, contiguo alla cattedrale. La<br />

<strong>sua</strong> bottega contava una ventina di collaboratori, decoratori, lapicidi, stuccatori,<br />

ecc. tra i quali erano Filippo da Fiesole, Antonio da Fiesole, Nicolò Castiglioni da<br />

Firenze, Giovanni Cini, Bernardino Zanobi de Gianotis, Gian Maria Mosca (il<br />

Padovano) e Galeotto Guicciardini. Le sculture della cappella (una statua di<br />

Sigismondo I, sei figure di santi a tutto tondo, sei tondi in rilievo con i quattro<br />

evangelisti e David e Salomone) presentano diversità di stile. <strong>Il</strong> Berecci<br />

probabilmente fornì tutti i modelli e scolpì la figura del sovrano. La cappella a<br />

pianta centrale con cupola di stile lombardo, ornata d’intagli in pietra di Giovanni<br />

Cini, è considerata uno dei capolavori del <strong>Rinascimento</strong> fiorentino (nell’interno<br />

della cupola è scritto: Bartholomeo Florentino opifice).<br />

Contemporaneamente il Berecci attendeva alla ricostruzione del castello reale sul<br />

Wavel; i portali delle nuove ali sono dovuti alle maestranze dell’architetto; l’opera<br />

fu ultimata nel 1536 (ricordiamo che nel 1609 Giovanni Maria Bernardoni ricostruì<br />

una parte distrutta).<br />

Queste due importanti costruzioni fecero testo presso i signori del luogo che vi si<br />

ispirarono per i loro palazzi a Baranòw, Goluchòw, Krasiczyn, Mir, Kòrnik;<br />

nell’architettura ecclesiastica si diffonde largamente (se ne contano circa 200) la<br />

cappella funeraria a pianta quadrata con cupola, derivata da quella jagellonica.<br />

Sotto la direzione del Berecci furono eseguiti dal Cini e dal Gianotis il baldacchino<br />

del monumento gotico del re Ladislao nella cattedrale e l’altare di Zator (ora nel<br />

castello). <strong>Il</strong> Berecci eseguì altri lavori a Cracovia, a Tarnòw, a Wola, ebbe incarichi<br />

civili; architetto fu anche suo figlio Sebastiano.<br />

Antonio da Fiesole, collaboratore del Berecci, ebbe in seguito proprie maestranze<br />

composte di architetti e scultori con allievi polacchi; morì a Cracovia nel 1542.<br />

227


Giovanni Cini (Joannes de Senis), architetto e scultore di Settignano, si trasferì in<br />

Polonia nel 1519, chiamato da <strong>Francesco</strong> della Lora; lavorò sotto il Berecci fino al<br />

1529 e acquistò grande fama; in seguito fu in società con il de Gianotis e Filippo<br />

da Fiesole, morì a Cracovia nel 1568. Tra le sue opere di scultura ricordiamo, oltre<br />

alla decorazione della cappella jagellonica (si distinguono come sue le statue dei<br />

santi Pietro, Sigismondo, Matteo, Giovanni Battista, Venceslao, i medaglioni con la<br />

Madonna e il Bambino, i busti dei profeti e degli evangelisti), i festoni sulla tomba<br />

di J. Konawski e due altari nella cattedrale, il monumento di S.Bathory, alcuni putti<br />

per il monumento funerario di Szydlowiecki a Opatow, le statue per il monumento<br />

del vescovo Olesnicki nella cattedrale di Poznàn; sappiamo che lavorò con il<br />

Mosca al monumento funerario della regina Elisabetta e a un altare per la chiesa<br />

di Vilna, lavorò anche a Varsavia, Plock, Tarnòw, Guiezno e Szydlovice.<br />

Durante il regno di Sigismondo Augusto le forme rinascimentali si diffondono<br />

dappertutto; si costruiscono secondo il nuovo stile palazzi municipali, come a<br />

Sandomierz e Pajanice; imponente è quello di Poznan con un loggiato sulla<br />

facciata principale, opera di Giovanbattista Quadrio, tutta italiana nell’insieme e<br />

nei particolari (1552). Le stesse novità presenta la sinagoga di Zòlkiew; in molte<br />

case borghesi si hanno i cortili con portici ad arcate.<br />

Gian Maria Mosca (Fabbrucci), detto il Padovano, architetto e scultore, fu chiamato<br />

dal re per il quale eseguì varie medaglie fu poi a Dresda e nel ’55 di nuovo in<br />

Polonia, fino al ’73, anno della <strong>sua</strong> morte. Sono sue opere il cenotafio del re<br />

Sigismondo, il monumento di Sigismondo Augusto nella cappella jagellonica,<br />

quello di Giovanni Tarnowski e di suo figlio nella cattedrale di Tarnòw, il<br />

tabernacolo nella cattedrale di Guiezno; a Cracovia ricordiamo anche il<br />

tabernacolo nella chiesa della Vergine Maria, i monumenti degli arcivescovi<br />

Krzyzki e Dzierzgowski, la ricostruzione del mercato dei tessuti, adornato di un<br />

attico merlato allo scopo di dissimulare l’alto tetto, infine a Tarnòw la<br />

ricostruzione in forme rinascimentali del palazzo comunale del secolo XIV.<br />

Un terzo periodo del <strong>Rinascimento</strong> in Polonia si svolge tra l’ultimo quarto del ‘500<br />

e gli inizi del ‘600. Girolamo Canavesi dal 1562 al ’74 lavorò nella chiesa dei<br />

domenicani a Cracovia; a Poznan nel duomo eseguì il sepolcro di S. Orlik, di G.<br />

Tarlo, della famiglia Gorka e del vescovo Konarski; nella chiesa dell’Assunta a<br />

Lowicz la tomba dell’arcivescovo Przerebessi. Anche il figlio Girolamo fu lapicida.<br />

Santi Gucci, nato a Firenze e morto a Pinczòw nel 1599, fu in Polonia dal ’72 con<br />

la famiglia, scultore e architetto della corte, autore di opere chiaramente già<br />

influenzate dal Manierismo (vedi lez. n.19). La regina Anna l’incaricò di eseguire la<br />

tomba propria e quella del fratello Sigismondo Augusto nella cappella jagellonica<br />

per la quale fece anche gli stalli. Al Gucci si attribuiscono il monumento sepolcrale<br />

228


della famiglia Branicki in Niepolomice, le decorazioni del palazzo di Branice<br />

presso Cracovia, il monumento di G. Tenczynski e della moglie e numerosi<br />

epitaffi; egli lavorò anche nel palazzo reale di Lobzow, nel palazzo Myszkowski a<br />

Ksiàz e a Miròw, costruì una cappella a Bejsce presso Pinczòw.<br />

Ricordiamo che nella cattedrale di Cracovia il mausoleo di Casimiro il Grande è<br />

della scuola di Ambrogio da Milano(sec. <strong>XV</strong>I). Nella cattedrale di Guiezno quattro<br />

lastre tombali della famiglia Laski, opera di Giovanni Fiorentino, furono importate<br />

dall’Ungheria per iniziativa del primate J. Laski. Troviamo inoltre tra gli scultori<br />

attivi in Polonia i tre fratelli Stagi e l’Areteli.<br />

In Slesia operò Giacomo Parr (o Paar), chiamato da Giorgio II Piast, che portò con<br />

sé dall’Italia un gruppo affiatato di aiuti, come aveva fatto Giovan Battista<br />

Quadrio; Parr introdusse poi in Svezia forme rinascimentali italiane.<br />

A Leopoli, in Volinia, dove già dal Medioevo esisteva una numerosa colonia di<br />

mercanti italiani, al tempo dell’inoltrato <strong>Rinascimento</strong> si stabilirono molti<br />

architetti italiani, tra cui Paolo Dominici Romano, Pietro di Barbona, Pietro da<br />

Lugano (Petrus Italus). Essi, conformandosi all’ambiente e alle esigenze della<br />

borghesia, imitarono i caratteri locali dell’architettura, costruendo case con i tipici<br />

attici, il palazzo reale, il palazzo “nero” e altri edifici sulla piazza del mercato; la<br />

chiesa delle benedettine ha lo stesso carattere; fusione di tratti italiani e bizantini<br />

presenta la chiesa valacca; elementi rinascimentali tipicamente italiani si hanno<br />

nella cappella dei Campiani, ricca di decorazioni, e nella chiesa dei bernardini.<br />

Tra gli stuccatori ricordiamo Bartolomeo <strong>Ridolfi</strong> che fu al servizio del castellano di<br />

Cracovia ed eseguì disegni per edifici, Battista Passerini e soprattutto il Mosca che<br />

decorò di stucchi la chiesa dei ss. Pietro e Paolo a Vilna in Lituania.<br />

<strong>Il</strong> maggiore architetto polacco del <strong>XV</strong>I secolo fu G. Slonski, discepolo di maestri<br />

italiani in Polonia.<br />

Nel 1469 Giovan Battista della Volpe, detto Ivan Friazin, coniatore di monete,<br />

venne come ambasciatore dello zar Ivan III a Roma per portare a termine le<br />

trattative di nozze con Zoe Paleologa. Nel ’72 questa principessa greca, che era<br />

stata educata a Roma e conosceva il fascino e la grandezza della curia pontificia,<br />

partiva per Mosca, diventando così anello di congiunzione tra lo spirito orientale e<br />

quello del <strong>Rinascimento</strong>. Al suo seguito vennero un Panini e un Ciceri che,<br />

russificati, diedero luogo alle famiglie russe dei nobili Panin e Cicerin.<br />

I Russi chiamavano Kreml la città fortificata che si innalza nel cuore di Mosca con<br />

le sue torri, i suoi palazzi e le sue cattedrali. Fino al secolo <strong>XV</strong> il Kreml di Mosca<br />

era in legno, una semplice palizzata su un recinto di terra; fu dopo la presa di<br />

Costantinopoli da parte dei Turchi che Mosca pretese di essere l’erede della città<br />

imperiale del Bosforo e di diventare la metropoli dei cristiani ortodossi. Per<br />

229


ealizzare questa missione storica il grande Ivan III non poteva più contentarsi del<br />

Kreml di legno; s’imponeva una cornice degna di Roma. Per ricostruire la<br />

cattedrale della Dormizione, crollata quando doveva essere gettata la cupola<br />

centrale, lo zar si rivolse agli architetti di Pskov, l’antica città dalle chiese<br />

importanti e dalla cinta di mura in pietra. Dopo il loro rifiuto, di fronte alle<br />

difficoltà dell’impresa architettonica, Ivan III inviò a Venezia un’ambasceria con a<br />

capo Tolbuzìn in cerca di un valido architetto; anche perché la consorte dello zar<br />

era ammiratrice dell’arte italiana, fu su un architetto italiano che cadde la scelta,<br />

su Aristotele Fioravanti degli Uberti che in soli cinque annidi lavoro, dal 1475 al<br />

’80, sbalordì i moscoviti, costruendo la grande cattedrale, in cui sono riuniti<br />

motivi lombardi con quelli tipici dell’arte russa. Fioravanti lavorò molto in Russia,<br />

coniò monete e fuse cannoni, costruì una fabbrica di mattoni, nel ’78 partecipò<br />

alla campagna di Ivan III contro Novgorod, innalzando un ponte sul Volchov sotto<br />

Gorodis, nel ’79 fu chiamato dai signori di Bologna perchè rientrasse, ma il<br />

principe russo gli rifiutò il permesso di partire; nel ’82 partecipò alla campagna<br />

contro Kazàn, nel ’83 chiese nuovamente di tornare in Italia ma fu arrestato, nel<br />

’85 partecipò alla guerra contro Tver a capo dell’artiglieria; ricordiamo anche che<br />

a lui si deve l’ampliamento del Cremlino di Novgorod.<br />

Nel ’85 Antonio Gilardi, detto Antonio Friazin, già a Mosca dal ’69, cominciò a<br />

costruire le mura del Kreml con la torre e la porta Tainitskaja (in seguito rifatta), la<br />

parte centrale, da cui partiva un sotterraneo segreto che conduceva al fiume. Nel<br />

’87 è la volta della torre Beklemisenskaja, opera dell’altro italiano Marco Ruffo<br />

(Marko Friazin), giunto con la prima ambasceria, e della Vodovzdnaja.<br />

Con la seconda ambasceria giunsero a Mosca nel ’90 l’architetto Pietro Antonio<br />

Solari, fonditore di cannoni, l’orefice Cristoforo con due scolari. <strong>Il</strong> Solari costruì la<br />

torre del Salvatore (Spàsskaja), come si legge in un’iscrizione incisa sulla stessa.<br />

Nel ’91 si passò anche alle opere difensive dal lato della città: Solari eresse la<br />

torre di Costantino ed Elena, la Borovitskaja, la Nikolskaja e quella dell’arsenale.<br />

Nel ’94 con la terza ambasceria giunsero a Mosca il fabbro Michele Parpaglione,<br />

Bernardino di Borgomanero, detto Pichaprede, Aloisio da Carcano (o da Milano) e<br />

Pietro, fonditore di campane.<br />

Nello stesso anno l’opera di costruzione delle mura del Cremlino fu continuata da<br />

Aloisio da Carcano, nominato architetto granducale dopo la morte di Pietro<br />

Antonio Solari, avvenuta nel ’93; egli armò anche i fossati, rafforzò le rive,<br />

correggendo il corso del ruscello Neglinnaja. I lavori terminarono nel 1516,<br />

trent’anni per quest’opera che nel secolo <strong>XV</strong>I aveva l’aspetto di un castello<br />

italiano.<br />

230


All’interno il Solari e il Ruffo costruirono nel ’87 il palazzo delle faccette (cioè la<br />

sala del trono), Granovitaja Palata, l’edificio più vicino alle forme rinascimentali.<br />

IL Kreml di Mosca è un gioiello del <strong>Rinascimento</strong> italiano, come lo sono le altre<br />

due cittadelle fortificate degli Slavi occidentali, dei Polacchi e dei Cechi, il Wavel di<br />

Cracovia e il Hradschin di Praga. L’alta cortina merlata delle mura in mattoni<br />

rosso-scuro, alta dodici metri, è aperta su cinque porte ed è irta di torri di guardia<br />

dai tetti verdi, sul tipo del castello sforzesco. Le sovrastrutture delle torri non<br />

datano dal regno di Ivan III; vennero costruite posteriormente per rimpiazzare i<br />

posti di vedetta in legno, troppo spesso distrutti dagli incendi. Lo Herbstein,<br />

ambasciatore di Massimiliano d’Asburgo e di Carlo V, nei suoi “Rerum<br />

Moscoviticarum commentarii” scriveva: “A Mosca c’è un castello di mattone cotto;<br />

le armature castrensi insieme ai palazzi del principe sono costruite - italico more<br />

- da italiani”.<br />

Nel 1503 con la quarta ambasceria giunse a Mosca una schiera di maestri ”friazin”<br />

(italiani), argentieri, fonditori e muratori, tra cui un Aloisio o Alvise da Venezia (o<br />

Aloisio Novij o Nuovo); egli completò il palazzo ducale (Terem), abitazione degli<br />

zar, cominciato nel ’99 da Aloisio da Carcano, introdusse l’uso dei cornicioni,<br />

costruì le cosiddette “camere di pietra”, situate nella vecchia corte della chiesa<br />

dell’Annunciazione; edificò entro il Cremlino dal 1505 al ‘09 la cattedrale<br />

dell’Arcangelo Michele (mausoleo dei sovrani), in cui gli elementi decorativi<br />

rinascimentali dell’Italia del nord furono adattati allo schema architettonico russo.<br />

Dal 1508 al ’11 Bon Friazin e Pietro il Piccolo (Petrok Malij o Petruccio) costruirono<br />

per ordine di Vasilij III una fortezza in pietra con tredici torri a Nizny-Novgorod<br />

(Gor’kij). Lo stesso Pietro il Piccolo ricostruì la cinta muraria del Kitaj Gorod a<br />

Mosca dal 1535 al’38, realizzata con la collaborazione della stessa popolazione.<br />

Infine ricordiamo che nel 1517 un Ivan Friazin riparò le mura cadenti del Cremlino<br />

di Pskov, lavorò a Tichvin e costruì una diga in legno sulla Pskova.<br />

Così i “maestri di muro” italiani insegnarono ai russi a cuocere i mattoni, a<br />

combinarli con la pietra bianca, a preparare una calce più compatta e aderente, a<br />

servirsi di travi e giunti di ferro per il collegamento delle mura, a usare il<br />

compasso, la squadra e impianti elevatori di nuovo tipo.<br />

La Dalmazia e l’Albania, possedimenti veneziani nei secoli <strong>XV</strong> e <strong>XV</strong>I, e con<br />

popolazione quasi tutta cattolica, furono naturalmente molto legate ad influssi<br />

italiani, in prevalenza veneti, ma in taluni casi gli ideatori furono fiorentini;<br />

Michelozzo Michelozzi, scultore e architetto del secolo <strong>XV</strong>, introdusse in Dalmazia<br />

le forme architettoniche della Toscana, trasformando a Ragusa l’antico palazzo<br />

dei Rettori. Molte opere furono realizzate da artisti nati in Dalmazia ma di origine<br />

231


e formazione culturale italiana: ricordiamo Giorgio Orsini da Sebenico, Giovanni<br />

Dalmata, <strong>Francesco</strong> e Luciano Laurana e Andrea Alessi.<br />

Nel 1479 da Venezia furono inviati a Costantinopoli presso Maometto II Gentile<br />

Bellini e Bartolomeo Bellano, avendo il sultano richiesto un pittore e uno scultore;<br />

Gentile fece il ritratto di un derviscio, opera ammiratissima dalla corte; Maometto<br />

II gli conferì la nomina a bey e ricchi doni e in seguito fu dallo stesso artista<br />

ritratto.<br />

A Malta tra il <strong>XV</strong> e il <strong>XV</strong>I secolo lavorarono i pittori Salvo d’Antonio, Antonello da<br />

Saliba, Pietro Ruzzolone, Alessandro Padovano e lo scultore Antonello Gagini,<br />

autore di importanti lavori; tra il <strong>XV</strong>I e il <strong>XV</strong>II secolo troviamo Alessio Matteo<br />

(Matteo Perez o da Lecce) e Filippo Paladini pittori. Giovanni di Valette, gran<br />

maestro dell’ordine militare di S. Giovanni, chiamò artisti italiani, tra cui molti<br />

architetti; da questi fu fondata nel 1566 secondo un piano urbanistico<br />

rinascimentale la città che da lui prese il nome di La Valletta.<br />

In Austria nel secolo <strong>XV</strong> operò il pittore Pietro Veneto che firmò nel 1440 insieme<br />

con il salisburghese Goffredo di Longau la pala d’altare per la cappella del<br />

lazzaretto di Hallein; a Maria Saal gli affreschi della loggia sono della scuola del<br />

Mantegna, quelli della navata centrale di scuola toscana.<br />

Michael Pacher, della Val Pusteria, pittore e scultore, arricchì il proprio stile<br />

tardogotico austriaco a contatto con le opere di Donatello e Mantegna (fu a<br />

Padova nel 1460), come nell’altare dell’abbazia di Neustift in cui la passionalità<br />

drammatica viene esaltata dal realismo corposo delle figure e dalla sontuosità del<br />

colore, o come nello scrigno dei francescani di Salisburgo dalla solenne<br />

monumentalità, mentre una spiccata influenza ferrarese, riscontrabile nella<br />

esasperazione della linea, caratterizza l’altare di St. Wolfgang presso Salisburgo.<br />

Simone da Tesido della Val Pusteria lavorò in Austria, subì influssi italiani,<br />

specialmente dello stile del Mantegna.<br />

<strong>Il</strong> primo stadio del <strong>Rinascimento</strong> in Austria corrisponde al regno di Massimiliano I<br />

che favorì artisti italiani, chiamandoli a corte, come Jacopo de’ Barbari e Ambrogio<br />

de Predis. Questi, collaboratore e seguace di Leonardo, fu nel 1492 a Innsbruck,<br />

al servizio di Bianca Maria Sforza, sposa dell’imperatore, dipinge il ritratto della<br />

duchessa Caterina, moglie di Sigismondo del Tirolo, e dei più importanti<br />

personaggi di corte; nel ’94 riceve l’incarico di modellare delle monete, nel 1502,<br />

dopo un rientro in Italia, esegue il ritratto dell’imperatore, nel 1506 cura con il<br />

fratello Bernardino l’esecuzione di ricchi abiti.<br />

A causa della Riforma l’architettura religiosa perde importanza e originalità,<br />

rimanendo legata a forme tardogotiche, come nella Hofkirche di Innsbruck del<br />

1553-’64 e nel duomo di Klagenfurt del 1578-’91; al contrario fiorisce<br />

232


l’architettura civile, sorgono castelli e ville, le residenze principesche come quelle<br />

di Ambras nel Tirolo e di Salisburgo si arricchiscono con elementi decorativi e<br />

forme architettoniche tipiche del <strong>Rinascimento</strong> italiano.<br />

Tommaso Scalabrini scolpì la fontana dorata nel giardino arciducale ad Innsbruck.<br />

<strong>Francesco</strong> Barbone lavorò alla tomba di Massimiliano I ad Innsbruck, al convento<br />

delle arciduchesse a Hall, fece la fontana nel convento di S. Croce ad Innsbruck e<br />

lavorò a Seefeld; si associò quasi sempre a Tommaso Scalabrini.<br />

E’ soprattutto con Carlo V, Ferdinando I e Massimiliano II che il nuovo stile si fa<br />

largo in Austria. Tra il 1540 e il ’60 si fortifica Vienna; i posti direttivi sono quasi<br />

tutti italiani. Pietro Ferabosco, architetto civile e militare, entra al servizio di Carlo<br />

V nel 1544, è pittore aulico di Ferdinando I (1551), progetta e affresca la porta<br />

degli Svizzeri nel castello di corte, decorata a stucco da Jacopo Spazio; per avere<br />

condotto a termine le fortificazioni verso il Danubio nel ’56 è creato nobile<br />

dall’imperatore; riedifica il castello di Kaiser-Ebersdorf, danneggiato dai turchi,<br />

trasformandolo in villa.<br />

La corte asburgica, oltre gli architetti militari di cui ha urgente bisogno ai confini<br />

dell’impero contro la minaccia turca, nel desiderio di imitare le corti italiane<br />

chiama anche architetti civili per la costruzione o la trasformazione di ville e<br />

palazzi. <strong>Il</strong> contributo italiano alla formazione del <strong>Rinascimento</strong> austriaco è<br />

decisivo; basterebbero a dimostrarlo i trecento e più artisti italiani operosi in<br />

quelle terre, elencati tra il 1550 e il ‘600 nei documenti degli archivi austriaci.<br />

Molti di certo sono rimasti anonimi: influssi nell’architettura per esempio sono in<br />

molte case con cortili all’italiana, a logge sovrapposte e con gli sporti (quella “al<br />

gambero rosso” a Graz), in numerosi palazzi (D’Averbas, dell’Ordine Teutonico,<br />

Lambert, Saurau, Schwassenberg a Graz), nei castelli Ehrenhausen, Frondsberg,<br />

Gutenberg, Hartberg, Radmannsdorf, Rosegg, Spielberg, Tannhausen, Weinburg a<br />

Graz e dintorni. Influssi più evidenti rivelano il bel palazzo Porcia a Spittal, il<br />

cortile del convento di Viktring a Klagenfurt, il cortile del palazzo comunale, il<br />

cortile Hirschegg e l’albergo della posta a Villach, le bifore e le arcate del castello<br />

di Hallensteig, il cortile del castello di Hollernburg, il castello Riegersburg, il<br />

balcone del municipio di Krems; e inoltre il palazzo Caprara e il portale della<br />

cappella del Salvatore a Vienna, decorata a grottesche, opera di un maestro<br />

lombardo del ‘500; è opera italiana la fontana monumentale di Friesach in<br />

Corinzia.<br />

Famiglie di architetti operarono nei territori austriaci nei secoli <strong>XV</strong>I e <strong>XV</strong>II;<br />

ricordiamo gli Spazio e gli Speciecasa (o forse una sola famiglia); molti di loro<br />

sono citati tra il 1531e il ’62 in Austria e in Ungheria (non meno di otto erano<br />

impiegati nelle fortezze ai confini dell’impero sotto Ferdinando I). Gli Spazio (o<br />

233


Spaz, Spatio, Spazzio, Spacio, Spazzo, Spezzo, Spezza, Spatz), originari di Lanzo,<br />

furono attivi fin oltre il secolo <strong>XV</strong>III, anche in altre parti d’Europa, così come i<br />

Carlone (Carloni dal secolo <strong>XV</strong>III), originari, un ramo di Scaria e un altro di Rovio, i<br />

Canevale (Ganeval, Kanneval); i De la Porta de Riva, i De Verda, I Taddei (Tade) di<br />

mandria e gli Allio (Lalio o Aglio) di Scaria operarono solo in Stiria e in Carinzia.<br />

Anche le corti arciducali, residenze dell’imperatore, di Graz, Innsbruck,<br />

Klagenfurt, Linz e quella arcivescovile di Salisburgo accolsero molti artisti italiani<br />

nel corso del ‘500.<br />

Domenico Allio, educato al gusto soprattutto veneto, figlio di Martino, citato come<br />

capomastro a Radkersburg verso il 1520 (il più antico membro di una numerosa<br />

famiglia di artisti, dediti soprattutto ad una attività costruttiva, sia come architetti,<br />

sia come muratori) fu chiamato nel ‘40 per ricostruire Klagenfurt, distrutta da un<br />

incendio, e fortificarla all’italiana; nel ’44 fu nominato architetto della Carinzia,<br />

lavorò a Vienna nel bastione dei domenicani; nel ’45 diresse i lavori di<br />

fortificazione di Marburg, Radkersburg, Pettau e Furstenfeld. Nel ’53 fu nominato<br />

architetto reale, due anni dopo fu eletto da Ferdinando I capo architetto delle<br />

borgate croate; nel ’58 fu nominato nobile. Le sue opere più importanti sono la<br />

ricostruzione dell’immenso castello con cisterna di cui resta la scala eretta nel ’54<br />

(a Graz con 80 connazionali), e i Landhaus, iniziato dopo il ’58 e ultimato dopo la<br />

<strong>sua</strong> morte nel ’80 da Giuseppe Vintana che, passato poi a Klagenfurt, fu destituito<br />

dalle autorità perché non volle convertirsi al protestantesimo. L’Allio fu il<br />

fondatore della scuola che sin nel tardo ‘600 continuerà a diffondere in Stiria e in<br />

Carinzia le regole da lui enunciate; acquisendo modi più plastici, si avvicinò<br />

sempre di più ai modi manieristici.<br />

In Boemia e in Moravia il <strong>Rinascimento</strong> italiano penetrò molto presto; l’ala del<br />

castello di Praga, detta di Vladislao (1483-’93) ha già tracce del nuovo gusto nelle<br />

porte e nelle finestre; nel castello moravo di Tovacoc alcune soluzioni<br />

architettoniche prendono le mosse dal palazzo di S. Marco (poi di Venezia) a<br />

Roma. Verso il 1530, quando la corona del regno di Boemia e la Moravia<br />

passarono agli Asburgo, gli architetti italiani vennero in compagnie ben<br />

organizzate, disposti a venire incontro ai desideri dei loro clienti. Sorsero edifici in<br />

splendido stile rinascimentale come il Belvedere della regina Anna nel giardino di<br />

corte dello Hradcany, residenza degli Asburgo fino alla guerra dei Trent’anni; vi<br />

lavorò dal 1536 al ‘50 Paolo della Stella, architetto e scultore, che l’imperatore<br />

Ferdinando definì “fabricae nostrae pragensis magister”, attivo anche in Polonia,<br />

morto a Praga nel ’52. Si sa che nella direzione dei lavori furono in seguito Pietro<br />

Ferabosco, Jacopo Spazio e Giovanni Maria Speciecasa. Lo stesso imperatore fece<br />

costruire nel ’55 il casino di caccia nel parco reale, decorato in stucco in modo<br />

234


mirabile da un Zoan Maria (forse Giovanni Maria Speciecasa), Giovanni Campian,<br />

Battista di Bavosa, Giovanni Lughesso; la fontana è opera di <strong>Francesco</strong> Terzi.<br />

Verso la metà del secolo Baldassarre Majo de Vomio eseguì la ricostruzione in<br />

stile rinascimentale del castello di Cesky Krumlov (Moravia); come stuccatore<br />

decorò il castello di Telc. Dal 1548 al ’60 il castello di Podebrady fu ricostruito in<br />

splendide forme da Giovan Battista Austalis (o Aostalli). Mattia Borgorelli<br />

trasformò il castello gotico di Mlada Boleslav, così come la fortezza di Prerov<br />

sull’Elba. A Bratislava, in Slovacchia, dopo l’annessione alla casa d’Asburgo, Pietro<br />

Ferabosco trasformò la fortezza gotica in residenza reale di tipo rinascimentale<br />

con la collaborazione di Jacopo Spazio; vi lavorò anche come scultore e nel ’73<br />

diresse i lavori per le feste dell’incoronazione. Anche il castello di Jinndrichùv è<br />

una splendida costruzione: la primitiva forma medioevale fu rimaneggiata<br />

completamente sotto la direzione di Antonio Cometa, Giovanni Maria Faconi,<br />

Antonio Melana, Baldassarre Majo de Vomio, Andrea Austalis de Sala e Giovan<br />

Pietro Martinelli, che vi aggiunsero un ampio cortile circondato da logge, una<br />

galleria ad arcate e una magnifica rotonda nel giardino. L’influsso italiano si<br />

avverte anche nel castello di Stern presso Praga.<br />

I lavori per la costruzione degli edifici nuovi nel castello reale di Praga furono<br />

iniziati nel 1586 su progetto di G. Gargiolli, proseguiti da Ulrico Austalis de Sala e,<br />

dopo la morte di questi nel ’97, da O. Fontana e Martino de Gamberinis (vedi lez.<br />

n.31).<br />

Ricordiamo che l’architettura religiosa in Boemia non ebbe grande sviluppo in<br />

conseguenza della nascita dell’hussitismo, per cui il peso delle istituzioni della<br />

Chiesa di Roma si spostò da Praga alla Moravia. Nel secolo <strong>XV</strong>I si affermò la<br />

Riforma protestante; importante in questo periodo è la figura di Mattia Borgorelli,<br />

le cui chiese dei Fratelli boemi a Brandeis (1541) e a Mlada Boleslav (1544) sono le<br />

prime in stile rinascimentale di tutta l’Europa centrale.<br />

Per quanto riguarda l’attività di scultori e pittori diciamo che i graffiti e gli<br />

affreschi sono generalmente opera di italiani, così come le decorazioni in stucco<br />

(per esempio quelle nella sala dell’imperatore nel castello di Bucovice).<br />

Passiamo alla Germania. Nel duomo di Magdeburgo il monumento sepolcrale<br />

dell’arcivescovo Ernesto di Sassonia (1495), opera di P. Vischer il vecchio, è<br />

l’esempio più antico dell’influenza del <strong>Rinascimento</strong> italiano nelle regioni centrali;<br />

la cassa in bronzo di san Sebaldo a Norimberga, eseguita dallo stesso con la<br />

collaborazione dei figli che compirono un viaggio in Italia, si può considerare<br />

un’opera concepita con spirito nuovo: i particolari ornamentali del reliquiario,<br />

bassorilievi, statue di apostoli, sirene e figura di Ercole, sono di gusto<br />

schiettamente italiano.<br />

235


<strong>Il</strong> <strong>Rinascimento</strong> pittorico tedesco si svolge per due vie: da una parte si attiene<br />

strettamente al genio popolare e dall’altra si giova sempre più di elementi formali<br />

dell’arte italiana. M. Grunewald operò in un centro altissimo di cultura come<br />

Isenheim, la cui fioritura fu dovuta al mecenatismo del priore del convento di S.<br />

Antonio, Guido Guerci, per la cui chiesa il pittore fece il polittico dell’altare; si<br />

avvertono nelle sue opere mature, nella monumentalità d’impianto, nella<br />

ricchezza dei passaggi chiaroscurali, nei giochi di panneggio nuove concezioni<br />

stilistiche. H. Holbein il giovane nelle pitture sulla facciata della casa del podestà<br />

di Lucerna, eseguite con la collaborazione del fratello Ambrosius tra il 1517 e il<br />

’19, rivela una approfondita conoscenza di soluzioni prospettico-illusionistiche e<br />

di motivi ornamentali caratteristici del <strong>Rinascimento</strong> padano, suggerendo l’ipotesi<br />

di un prolungato soggiorno dell’artista in Lombardia verso il 1516; ricordiamo che<br />

il costume delle facciate dipinte passò nei paesi tedeschi dall’Italia settentrionale<br />

(se ne vedono in Tirolo, in Baviera, fino in Alsazia, come nel palazzo comunale di<br />

Mulhausen). Nella ritrattistica pervenne ad una straordinaria acutezza di<br />

osservazione, a un senso di decoro e di equilibrio formale attraverso l’esperienza<br />

dell’arte italiana. H. Burgkmair, profondo conoscitore della pittura dell’Italia<br />

settentrionale, è autore di composizioni di imponente struttura, dal senso<br />

realistico della natura, dalle tonalità vicine al gusto veneziano. A. Durer compì due<br />

viaggi a Venezia, visitò Ferrara e Bologna(1494-’95 e 1505-’07), e ciò gli consentì<br />

di accostare l’arte classica e rinascimentale (Mantegna e Bellini); la<br />

rappresentazione della persona umana, la concezione prospettica dello spazio e<br />

lo studio delle proporzioni divennero i problemi centrali nell’opera dell’artista<br />

dopo il suo secondo soggiorno veneziano. Egli giunse a una felice fusione tra<br />

l’elemento nordico con il grandioso mondo formale , la magnificenza cromatica e<br />

il pathos dei suoi modelli italiani; nelle incisioni posteriori al 1495 vediamo<br />

soggetti tolti all’erudizione umanistica, reminiscenze classiche negli sfondi<br />

architettonici, nella magnificenza del paesaggio. G. Pencz, allievo del Durer,<br />

completò la propria formazione a Roma, studiando Raffaello e Giulio Romano. J.<br />

Breu il vecchio viaggiò in Italia nel 1514-’15. B. Beham fu in Italia nel 1535, morì a<br />

Bologna nel ’40; abile incisore, fu attento allo stile di M. Raimondi e Dürer. Molto<br />

legato ai modelli italiani fu A. Daucher che lavorò per i Fugger ad Augusta e si<br />

distinse come decoratore. Mostrano notevoli influssi italiani anche l’austriaco J.<br />

Seisenegger e lo svizzero D.N. Manuel, che si formò sulla pittura italiana del 400 e<br />

su Leonardo, oltre che sul Dürer.<br />

Tra i primi artisti italiani in Germania ricordiamo Adriano Fiorentino (Di Giovanni<br />

dei maestri), fonditore e medaglista, che eseguì il busto in bronzo del principe<br />

elettore di Sassonia, Federico il saggio. Jacopo de’Barbari, conosciuto dai tedeschi<br />

236


come Jacopo Walch, fu per quattro anni presso l’imperatore Massimiliano I, forse<br />

andò a Norimberga, quindi fu pittore di corte di Federico il saggio, e poi del conte<br />

Filippo di Brandeburgo; nel 1508 entrò al servizio di Gioacchino I di Brandeburgo<br />

a Francoforte sull’Oder; lavorò inoltre a Torgau, Naumburg, Weimar, Wittenberg e<br />

Dresda; fu anche incisore (lo accompagnò nei viaggi in Germania il pittore<br />

veneziano Nicoletto de’ Barbari). Grande fu la <strong>sua</strong> importanza e l’influsso sull’arte<br />

tedesca; Durer lo ammirò moltissimo, fu suo allievo il pittore H. von Kulmbach.<br />

Motivi rinascimentali si trovano in molti edifici di città tedesche; Monaco ha in<br />

molte parti aspetto di città italiana: la Frauenkirche (sec. <strong>XV</strong>) presenta le torri a<br />

cupoletta di tipo “welsch”, cioè italiano; a Gorlitz il palazzo municipale (sec. <strong>XV</strong>-<br />

<strong>XV</strong>I) ha motivi dell’Italia settentrionale; influssi si notano nel Pellerhaus di<br />

Norimberga, dalla facciata in stile veneziano. Nel periodo della Riforma<br />

Norimberga e Augusta in Svevia gareggiarono in ricchezza mercantile, in fervore<br />

per il progresso intellettuale; esisteva una condizione di fatto singolarmente<br />

favorevole all’arte, ed erano le relazioni commerciali con l’alta Italia, specialmente<br />

con Venezia, dove il fondaco dei Tedeschi facilitava gli scambi internazionali<br />

anche nel campo intellettuale. Forse in Augusta più che a Norimberga prevalse<br />

l’influenza italiana; in questa città l’italianità trovò favore nella media borghesia,<br />

mentre ad Augusta ebbe la protezione dei Fugger, famiglia di principi mercanti,<br />

massimi esponenti finanziari del mondo cattolico, ricchissimi per i loro commerci<br />

e nello stesso tempo amici dell’arte; con le loro copiose collezioni e con le<br />

fabbriche, costruite nello stile del <strong>Rinascimento</strong>, essi certamente giovarono molto<br />

alla conoscenza dell’arte italiana. I Fugger hanno un posto importante nella storia<br />

dell’arte in Germania, perché la costruzione della cappella sepolcrale di S. Anna in<br />

forme veneziane, voluta da Jacopo II Fugger, morto nel 1525, è una deliberata e<br />

consapevole scelta estetica, un giudizio di condanna della tradizione gotica allora<br />

viva in Germania; con lui incomincia la diffusione delle forme rinascimentali che<br />

suo nipote Hans doveva ulteriormente sviluppare anche attraverso l’amicizia del<br />

duca di Baviera Guglielmo V di Wittelsbach e Renata di Lorena, i cui discendenti<br />

dovevano continuare la propensione per il nuovo gusto <strong>artistico</strong>. La sala del bagno<br />

nella casa Fugger ad Augusta, di architetti anonimi italiani, fu decorata da artisti<br />

di cui si tratta nella lezione sul Manierismo. Anche per la scultura Augusta fu la<br />

porta d’ingresso del <strong>Rinascimento</strong> italiano; l’incarico di creare un sepolcreto per i<br />

Fugger nella chiesa di S. Anna (1509-’18) si tradusse per giovani scultori tedeschi<br />

in un’alta scuola della nuova arte plastica, del nuovo spirito che si manifesta sia<br />

nell’impostazione generale che nei motivi ornamentali che pittori e grafici avevano<br />

importato allora d’oltralpe.<br />

237


Ad Augusta nel 1548 si reca Tiziano Vecellio, invitato da Carlo V, accompagnato<br />

dal figlio Orazio e dal nipote Cesare; nello stesso anno incomincia il grande<br />

ritratto dell’imperatore a cavallo, raffigurato mentre parte per la battaglia di<br />

Muhlberg; lo ritrae poi seduto, dipinge un Cristo e una Venere dallo stesso<br />

commissionati, l’imperatrice con <strong>sua</strong> maestà, l’imperatrice sola; sempre ad<br />

Augusta Tiziano ritrae il grande elettore Giovanni Federico di Sassonia, Nicola<br />

Perrenot di Granvelle, il figlio Antonio Perrenot, Maria, regina d’Ungheria e sorella<br />

di Carlo V, Cristina di Danimarca, Maria Giacomina di Baden, Maurizio di Sassonia,<br />

Dorotea von der Pfalz, Massimiliano, re di Boemia, Emanuele Filiberto di Savoia, re<br />

Ferdinando I, l’arciduca Ferdinando, il duca d’Alba, tutti personaggi che si<br />

trovavano per la Dieta imperiale ad Augusta. Sulla via del ritorno Tiziano si ferma<br />

ad Innsbruck dove ritrae le figlie del re Ferdinando; alla fine del ’48 il pittore è a<br />

Venezia, nel novembre del ’50 è di nuovo ad Augusta, chiamato ancora da Carlo<br />

V, l’imperatore che aderì in pieno allo spirito italiano del <strong>Rinascimento</strong>,<br />

particolarmente veneziano. Tiziano ritrae ancora il principe Filippo, torna a<br />

Venezia nell’agosto del ’51. Ricordiamo che egli ebbe tra i suoi discepoli anche el<br />

Greco, influì notevolmente su Rubens, Van Dyck, Velasquez, Rembrandt, fu<br />

ammirato nel secolo <strong>XV</strong>III, per esempio da Watteau e Fragonard.<br />

Tra gli altri grandi pittori veneziani ricordiamo il Tintoretto che non andò mai in<br />

Germania ma ebbe diverse ordinazioni.<br />

Nel 1551 si reca ad Augusta Leone Leoni, scultore ed orafo; era entrato in<br />

contatto con la corte di Carlo V - per il tramite del governatore Ferrante Gonzaga<br />

- ed era stato a Spira con il principe Filippo e nel ’49 a Bruxelles presso<br />

l’imperatore; ad Augusta si incontra con Tiziano, riceve molte ordinazioni, tra cui<br />

quella della statua “Carlo V domina il Furore”, per la quale gli è accordato il titolo<br />

nobiliare dello Speron d’oro (’56); una terza visita a corte avviene a Bruxelles.<br />

Lo stile rinascimentale perdura in Augusta fino ai primi decenni del secolo <strong>XV</strong>II;<br />

l’architetto E. Holl, dopo un viaggio a Venezia e a Padova, si stabilì nella città<br />

sveva; l’influenza determinata dall’opera palladiana gli permise di arrivare a nuove<br />

soluzioni architettoniche e urbanistiche; oltre al ponte dei Carmelitani scalzi,<br />

ispirato a quello di Rialto, e all’ospedale dello Spirito Santo, il suo capolavoro<br />

viene considerato il municipio (1615-’20), il primo edificio tedesco che si attenga<br />

ai canoni classici; è mirabile il salone del secondo piano, progettato con il gusto<br />

italiano (i due lati minori hanno due file di grandi finestre sovrapposte, i lati<br />

maggiori sono ornati di nicchie con statue, il cornicione è sorretto da mensole e il<br />

soffitto è a scomparti dipinti, tutta la sala è adorna di stucchi dorati e pitture).<br />

Ludovico X di Baviera, di ritorno da Mantova, volle costruirsi la residenza di<br />

Landshut, il suo castello di città, chiamando tre artisti mantovani, Sigismondo,<br />

238


Antonio e Bernardo, allievi di Giulio Romano. L’edificio fu costruito dal 1537 al<br />

’43; gli operai erano tedeschi e italiani, in rapporto da 12 a 24 (sappiamo che<br />

questi ultimi arrivavano a Landshut in primavera e ripartivano per l’Italia in<br />

autunno). Bellissima è la sala “italiana”, con le decorazioni ad affresco e a stucco,<br />

tecnica questa portata in Germania proprio per ornare la residenza nel 1540. Belli<br />

sono anche il cortile, la saletta da bagno decorata (ricorda quella di Castel<br />

Sant’Angelo); di tipo italiano sono i soffitti a cassettoni, i pavimenti di marmo, gli<br />

stipiti delle porte, ecc. Collaborò alla costruzione Michele Beora.<br />

Alberto V di Baviera chiamò a Monaco Jacopo Strada nel 1570 per trasformare il<br />

palazzo della Residenza; l’architetto antiquario costruì in stile rinascimentale<br />

l’antiquarium e il cortile delle gotte.<br />

Notevole è anche il castello di Trausnitz presso Monaco, dal cortile con grandi<br />

logge all’italiana (vedi lez. n.19). L’ornato pittorico delle sale del piano nobile fu<br />

eseguito per i duchi Alberto V e Guglielmo V sopra modelli italiani o da artisti che<br />

studiarono in Italia. <strong>Il</strong> palazzo reale di Monaco, edificato verso il 1600 su quello<br />

preesistente, presenta nel grande cortile la facciata con doppio ordine di pilastri;<br />

per la parte decorativa vedi lezione sul Manierismo.<br />

L’affermazione dell’autorità dei principi nei confronti dell’imperatore e della<br />

borghesia cittadina determina il sorgere di numerosi castelli e residenze<br />

principesche aventi uno stile proprio nel quale l’arte tardo-gotica si mescola alle<br />

forme rinascimentali italiane; gli architetti curarono soprattutto la magnificenza<br />

delle decorazioni delle grandi sale. Motivi rinascimentali sono nel castello di<br />

Offenbach sul Meno con tre piani di loggiati sorretti da pilastri e colonne; nella<br />

loggia del palazzo comunale di Colonia, nel portone e nei pilastri del palazzo<br />

comunale di Strasburgo, nel portale e nell’ala orientale del castello di Hartenfels<br />

presso Torgau, nella porta della sala della farmacia del palazzo comunale di<br />

Hildesheim, nella sala degli specchi dell’Englisherbau di Heidelberg, progettata<br />

sull’esempio dei palazzi italiani a loggia, nel palazzo di Ottone Enrico (1556) con i<br />

giganteschi atlanti che fiancheggiano l’ingresso, con parti piacevolmente<br />

decorate, motivo ripreso dalla teoria serliana che influì su altre opere tedesche del<br />

tempo; in questa stessa città motivi italiani sono nella facciata del palazzo di<br />

Federico V; ne troviamo ancora a Neuburg sul Danubio(nel castello di Ottone<br />

Enrico), nel castello di Stoccarda (1553), e tra le residenze vescovili importanti, in<br />

quella di Frisinga (1519) e nel castello di Aschaffenburg (1605). In Germania del<br />

nord, dove gli influssi italiani penetrarono di meno, citiamo il portico del palazzo<br />

di Brema, i loggiati del cortile del castello di Plassen; in generale nelle case private<br />

e nei palazzi pubblici e principeschi (Lubecca, Brema, Danzica, ecc.) gli architetti<br />

curarono soprattutto la magnificenza della decorazione nelle grandi sale.<br />

239


Soltanto nell’ambito delle corti principesche, dopo l’affermarsi della Riforma<br />

protestante, sorsero alcune cappelle di tipo rinascimentale; la Controriforma e la<br />

diffusione dell’ordine dei gesuiti condussero a un rinnovamento dell’architettura<br />

religiosa che si modellò per lo più sulla chiesa del Gesù a Roma (vedi lez. n.31).<br />

Ricordiamo che le regioni della Germania occidentale e meridionale si mantennero<br />

fedeli al Cattolicesimo; Monaco ebbe, per la <strong>sua</strong> opposizione alle dottrine di<br />

Lutero, il nome di Roma tedesca.<br />

Ecco alcuni tra i più importanti artisti italiani attivi in Germania nel secolo <strong>XV</strong>I.<br />

Alessandro Pasqualini, chiamato dal duca Carlo Guglielmo di Julich (Renania),<br />

divenne architetto di corte nel 1549; nella <strong>sua</strong> cappella ducale vi è un’eco dei<br />

modi di Giulio Romano.<br />

Nel 1550 fu chiamato a Dresda (Sassonia) dall’elettore duca Maurizio l’architetto e<br />

scultore Giovanni Maria Mosca con altri italiani; egli fece la loggia del grande<br />

cortile del castello, eseguì la decorazione delle due torri nel cortile e la grandiosa<br />

porta principale della cappella di corte. Collaborarono <strong>Francesco</strong> Richino, Quirino,<br />

Gabriele e Orazio de Tola che decorarono a graffito (tecnica da loro portata in<br />

Germania per la prima volta) cortile e facciata del castello e con pitture e stucchi<br />

le volte della “sala di pietra”, la cappella di corte e il palazzo della cancelleria.<br />

A Dresda nei secoli <strong>XV</strong>I, <strong>XV</strong>II e <strong>XV</strong>III erano tanti i nostri connazionali da avere un<br />

loro villaggio, italienisches dorfchen; Augusto I, elettore di Sassonia, fece della<br />

città un centro culturale e <strong>artistico</strong> molto importante; egli appoggiò la linea di<br />

riavvicinamento agli Asburgo cattolici, fu tra i principi protestanti più concilianti<br />

alla pace religiosa di Augusta (1555). Uomo di vasta cultura, costituì verso il 1560<br />

nel castello della città una raccolta di pitture, primo nucleo destinato a formare,<br />

con i successivi acquisti di Augusto II e Augusto III, la famosa Galleria di Dresda.<br />

Da un documento del 1565 risulta che l’operaio tedesco riceveva 12 soldi al<br />

giorno, mentre quello italiano ne percepiva 16 (essendo più apprezzata, la mano<br />

d’opera italiana risultava più cara). I nostri costruttori, anche per questo, non<br />

sempre erano ben visti; verso il 1570 un architetto del Wurtemberg scriveva: ”Gli<br />

italiani vengono come cicogne a primavera, non amano collaborare con gli operai<br />

del luogo, e debbono essere pagati bene, per andarsene durante l’autunno con le<br />

tasche piene, lasciando i poveri maestri del luogo con la loro miseria”.<br />

Ricordiamo tra gli altri italiani chiamati a Dresda Giambattista Buonuomini,<br />

assunto come architetto civile e militare.<br />

Nel 1540 Federico II di Slesia, di ritorno dall’Italia, portò con sé artisti italiani,<br />

nonostante la forte opposizione degli artisti tedeschi di Brieg: i Parr (o Paar, ma il<br />

nome originario doveva essere Parri o de Pari) erano tra quelli. Giacomo, detto<br />

Jacopo da Milano, fu il principale architetto del castello dei Piasti (1547-’56),<br />

240


decorato a stucco da altri italiani. Cristoforo lavorò per il duca di Meclemburgo dal<br />

’58 al ’65, decorò a stucco il castello di Gustrow, con la collaborazione del fratello<br />

<strong>Francesco</strong>; Gian Battista Parr infine lavorò a Schwerin per lo stesso duca.<br />

In questo periodo svolse attività la famiglia dei Neurone: Bernardo nel ’76 fu<br />

nominato primo architetto del principe a Brieg, poi del principe di Sassonia; Pietro<br />

fu architetto capo dell’elettore di Brandeburgo. Ricordiamo infine a Berlino al<br />

servizio di questo stesso elettore <strong>Francesco</strong> Ciaramella, come architetto civile e<br />

militare. A Gottorp, presso Schleswig, lavorò per il duca Adolfo l’architetto<br />

Tommaso da Orea.<br />

Per quanto riguarda lo stile rinascimentale nella Svizzera di lingua tedesca,<br />

troviamo motivi nel palazzo Ritter a Lucerna (1557), nel municipio, nei porticati di<br />

tipo toscano della collegiata (1663), nel castello di Stockalpen a Brig (con cortili a<br />

colonne), negli interni delle chiese di Stans (1641) e di Sachseln (1672). In pittura i<br />

motivi rinascimentali provengono da Augusta, fatti conoscere soprattutto dagli<br />

Holbein.<br />

In Francia si ebbe ben presto conoscenza del rinnovamento che avveniva oltralpe.<br />

Renato d’Angiò, re di Napoli, conte di Provenza, chiamò nel 1461 <strong>Francesco</strong><br />

Laurana e Pietro da Milano che lavorarono per lui nel castello di Tarascona. <strong>Il</strong><br />

Laurana eseguì medaglie per il re sull’esempio di Pisanello; dal 1477 al ’81 fu a<br />

Marsiglia, scolpì statue di santi nella cappella di S. Lazzaro del duomo vecchio,<br />

decorata dal lombardo Tommaso Malvito, e l’altare delle Marie, e in S. Didier ad<br />

Avignone la pala d’altare ”Gesù che porta la croce”. Negli stessi anni operò in<br />

Francia Giovanni da Maiano; per Renato d’Angiò lavorò anche il Colantonio,<br />

maestro di Antonello da Messina (forse il polittico con L’Annunciazione nella<br />

chiesa della Maddalena ad Aix è suo). Nel 1468 soggiornò alla corte di Luigi XI il<br />

pittore Zanetto Bugatto; Giovanni Canavesio lavorò a S. Etienne de Tinée (cappella<br />

di S. Sebastiano) e a Peillon (affreschi nella cappella di Notre Dame des douleurs).<br />

Del pittore Ludovico Brea ricordiamo la Pietà nella chiesa di Cimiez, un polittico a<br />

Chateauneuf-de- Grasse; nel 1490 Benedetto Ghirlandaio, chiamato da Gilbert de<br />

Montpensier, colmato di doni dal re, lavorò per molti anni in Francia. Infine<br />

Giacomo I Jaquerio decorò a tempera per Amedeo VIII di Savoia la cappella del<br />

castello di Thonon.<br />

Tra i grandi pittori francesi che appresero i modi stilistici del ‘400 italiano citiamo<br />

J. Fouquet che fu a Roma, a Napoli e a Firenze; N. Froment che a Firenze risentì<br />

dello stile prospettico toscano e del linearismo senese; Maitre de Moulins che in<br />

patria colse suggestioni italiane per la scioltezza cromatica e il morbido<br />

modellato.<br />

241


<strong>Il</strong> ritorno di Carlo VIII dalla spedizione di Napoli (1497) segnò l’inizio del<br />

<strong>Rinascimento</strong> in Francia. Egli, preso dallo splendore dell’arte italiana, lieto di<br />

portare con sé “22 ouvriers et gens de métiers”, i migliori operai ”de toutes choses<br />

du monde… pour faire ouvrage à son dévis à la mode d’Italie”, fu accompagnato<br />

in Francia da artisti come Giuliano da Sangallo, Guido Mazzoni (detto il Modanino<br />

o il Paganino), Girolamo Pacchiarotti detto Girolamo da Fiesole, Bernardino da<br />

Brescia, Domenico Bernabei da Cortona (detto il Boccadoro), Alfonso Damasso,<br />

marmoraro, Pacello da Mercogliano, giardiniere, e poi intagliatori, orefici,<br />

profumieri e sarti. Abbiamo notizia del trasferimento da Napoli in Francia di<br />

“plusiers tapisseries, librairies, painctures, pierres de marbres et de porphires et<br />

autres meubles”. Sappiamo che <strong>Il</strong> re fu impressionato dalle realistiche sculture del<br />

Mazzoni viste nella chiesa di S. Anna dei Lombardi a Napoli e nominò l’autore<br />

cavaliere; nello stesso anno lo scultore eseguì il “Transito della Vergine” nella<br />

abbazia di Fécamp. E’ sulle rive della Loira, nel castello di Amboise, presso Tours,<br />

che Carlo VIII inviò le maestranze portate da Napoli e proprio in quella regione<br />

ebbe inizio il primo <strong>Rinascimento</strong> francese (nel nuovo stile è uno dei due corpi di<br />

fabbrica con torri cilindriche). Nel 1499 Luigi XII chiamò Girolamo da Fiesole (di<br />

Domenico del Coscia) che scolpì a Nantes nella cattedrale la tomba di <strong>Francesco</strong> II<br />

di Bretagna e di Margherita di Foix e nella cattedrale di Tours la tomba dei figli di<br />

Carlo VIII (con la collaborazione del Colombe) su disegni di J. Perréal, uno dei<br />

propagandisti dell’arte italiana in Francia; collaborò alla tomba del cardinale<br />

d’Amboise nella cattedrale di Rouen e al gruppo de ”La mise au tombeau” nella<br />

abbazia di Solesmes. Nel 1502 il Mazzoni lavorò con fra Giocondo, architetto,<br />

giunto a Parigi due anni prima, nel castello di Gaillon, ove fu impegnato in lavori<br />

di rifacimento insieme con vari architetti francesi, tra i quali P. Delorme e R.<br />

Leroux, che si rifecero al gusto rinascimentale. La Normandia fu uno dei più<br />

precoci focolai del nuovo stile e il centro principale fu appunto il castello di<br />

Gaillon, residenza del cardinale d’Amboise, primo esempio di dimora francese<br />

costruita all’italiana (ricordiamo che i prelati francesi presso la S. Sede non<br />

tardarono ad uniformarsi al gusto dei tempi e artisti e opere italiane anche per il<br />

loro tramite passarono in Francia); frammenti decorativi del castello sono ora al<br />

Louvre, al museo di Cluny, all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi e gli ammirevoli stalli<br />

sono nel coro di S. Denis. <strong>Il</strong> cardinale d’Amboise, primo ministro di Luigi XII,<br />

ammiratore dell’arte italiana, esaltava Mantegna il primo pittore del mondo e<br />

faceva costruire palazzi “al modo de Ytalia”. Fra Giocondo, dopo aver lavorato a<br />

Gaillon, si occupò del castello di Verger e dei ponti della Senna (sembra opera <strong>sua</strong><br />

il ponte di Notre Dame) e lasciò la Francia nel 1505. L’influenza dello stile<br />

rinascimentale si affermò dapprima negli elementi decorativi, come nell’ala di<br />

242


Luigi XII del castello di Blois (1503-’05); la fronte settentrionale, attribuita a<br />

Domenico da Cortona, ha una facciata a scogliera con tre ordini di logge,<br />

sovrastate da un’altana di gusto toscano; la torre poligonale nell’interno,<br />

riccamente scolpita, nasconde una scala a spirale decorata con statue di gusto<br />

pienamente cinquecentesco. <strong>Il</strong> castello di Chambord, costruito forse su progetto<br />

di Domenico da Cortona, ha un’imponente facciata settentrionale di straordinaria<br />

estensione, attraversata orizzontalmente da una doppia cornice e verticalmente<br />

da piatti pilastri, la torre centrale ha un celebre scalone con soffitto a cassettoni<br />

finemente intagliati. Forme decorative fiorentine si ritrovano in molti castelli:<br />

nell’ala nord con scalone e stucchi di quello di Chateaudun (1510), nell’ala e nella<br />

cappella di quello di Maintenon (1521), nell’ala sud di quello di Le Lude (1520-<br />

’30), nella torre angolare con cupola di quello di Brissac, in quelli di Serrant e<br />

Villandry; abbiamo decorazioni all’italiana nel castello di Chaumont-sur-Loire,<br />

nella facciata della cappella ad arco trionfale e negli arredi rinascimentali del<br />

castello di Ussé, nelle facciate del cortile di quello di Le Montal; abbiamo infine un<br />

grande scalone e la sala riccamente decorata di sculture a soggetto mitologico nel<br />

castello di Villers-Cotterets, la facciata con ornati e lo scalone monumentale nel<br />

castello di Pau, ricostruito nel 1530. Ad Azay-le- Rideau lo scheletro gotico<br />

scompare sotto il fine ricamo ornamentale, sculture a rilievo che adornano le<br />

pareti esterne, e nella scala a rampe diritte, sovrastata da un soffitto a cassettoni<br />

profondi con medaglioni che raffigurano re e regine di Francia. Così il vecchio<br />

castello feudale, sotto la nuova ricca veste, si modifica; divenuto residenza di<br />

villeggiatura, perde il carattere difensivo e l’aspetto severo; numerose finestre si<br />

aprono sulle facciate, conferendo un aspetto più piacevole, aperto e accogliente,<br />

prevale l’amore per la lieta abitazione italiana.<br />

Da quando con <strong>Francesco</strong> I il gusto italiano è accolto come elemento che viene ad<br />

allietare la vita, come amore del piacere, anche i giardini si vestono all’italiana e si<br />

arricchiscono di padiglioni. Alla Batie d’Urfé lo stile nuovo si rivela nella grotta che<br />

ricorderà al suo signore, Claude d’Urfé, ambasciatore presso la S. Sede, quelle<br />

viste in Italia; ma la grotta più bella di tutte è quella di S. Germain-en-Laye, ricca<br />

delle più strampalate figurazioni.<br />

Molti edifici in Francia, costruiti in quel periodo, fanno sospettare la presenza di<br />

numerosi maestri italiani; medaglioni decorativi e fregi ornamentali appaiono un<br />

po’ dappertutto sulle facciate delle case e degli “hotels” di Angers, Bonnivet,<br />

Besancon, Bourges, Cahors, La Rochelle, Loches, Montferrand, Metz, Orléans,<br />

Paray-le-Monial, Toulouse, Villefranche de Rouergue proprio come sulle facciate<br />

dei palazzi italiani.<br />

243


La casa di Boutgthérude a Rouen e molte case di Caen hanno facciate adorne di<br />

busti di imperatori o di riquadri a bassorilievo, ispirati al “Trionfi” del Petrarca o<br />

anche di statue allegoriche, così come il palazzo di Mondrainville, la casa di Abel<br />

le Prestre e quella di Ecoville. A Tours nelle prima metà delle ‘500 molte abitazioni<br />

di stile gotico furono modificate secondo il nuovo gusto (notevole tra queste il<br />

palazzo Gouin). L’arte rinascimentale trionfa sull’antica scuola borgognona;<br />

numerose case di Digione stanno a testimoniare l’entusiasmo della borghesia del<br />

tempo per questa nuova forma di civiltà venuta da Firenze e Milano. Influssi<br />

rivelano anche il municipio di Orléans (1503), di Nimes e di Rouffach (1540), il<br />

palazzo di giustizia di Rouen, numerosi palazzetti di Langres con facciate a<br />

colonne, il palazzo Bernuy (con portico e loggia) e la maison de Pierre (con<br />

cortile), ambedue a Tolosa; ricordiamo infine il cortile decorato nel diaconato di S.<br />

Jean a Cahors e l’Hotel Carnavalet a Parigi (1545) con statue alle finestre,<br />

raffiguranti le stagioni.<br />

Questa rapida corsa fra castelli e abitazioni ci dà l’impressione che spesso<br />

debbano essersi formati qua e là, in Francia, gruppi di lavoratori italiani che<br />

furono a volte umili scalpellini o poco più. Notiamo come, non solo il re, ma tutti<br />

gli uomini più in vista, anche se il loro castello era rincantucciato nella campagna,<br />

fossero presi da questa smania di farsi, o almeno rifarsi un’abitazione, che avesse<br />

aspetto italiano e si deliziassero di grotte e di giardini. Questi desideri, questi<br />

gusti, prendono naturalmente un carattere più preciso nell’esecuzione, e si hanno<br />

così fasi diverse d’una stessa tendenza. Dapprima la fioritura superficiale,<br />

l’ubriacatura dell’ornamento; dopo il 1531 le diffuse dottrine vitruviane da un lato<br />

e dall’altro l’ispirazione, tratta dalla rozza copia di un arco trionfale romano a tre<br />

fornici, che è il portico della corte ovale di Fontainebleau, rendono comuni forme<br />

tendenti ad una sempre maggiore compostezza (ricordiamo Fontaine Henri,<br />

1537- Assier, 1538- Mesnières, 1545-Tour Grignan, 1545). Intorno al 1540<br />

l’arrivo di teorici e di architetti italiani, come il Vignola e soprattutto il Serlio,<br />

contribuisce a dare un indirizzo preciso a questo movimento, cioè all’ispirazione<br />

al <strong>Rinascimento</strong> romano (vedi lez. n.19). A poco a poco si giunge col Délorme ad<br />

una visione del classico che renderà inutili gli interpreti italiani. Una nuova gravità<br />

fa scomparire la grazia vivace, il brio, la leggerezza delle precedenti creazioni.<br />

Così il terzo periodo della penetrazione italiana comincia con la costruzione del<br />

nuovo Louvre (1547), ispirato più all’arte romana antica che a quella<br />

rinascimentale, più a Roma che a Firenze. P. Délorme soggiornò a Roma dal 1533<br />

al ’36, studiando gli antichi e i contemporanei; di lui ricordiamo la tomba per<br />

<strong>Francesco</strong> I a S. Denis (ispirata all’arco trionfale romano), i lavori nel castello di<br />

244


Anet dove appaiono elementi di cultura classica e rinascimentale, e nei castelli di<br />

Chenonceaux e Fontainebleau; in lui è vivo il senso della monumentalità.<br />

Tra gli altri architetti francesi del periodo che si formarono in Italia o subirono<br />

influssi venuti dall’Italia citiamo G. Lebreton che fu al servizio di <strong>Francesco</strong> I e<br />

lavorò dal 1528 alle nuove costruzioni per il castello di Fontainebleau, innestando<br />

sulla tradizione tardogotica francese i modi della contemporanea architettura<br />

romana; P. Lescot, discendente della famiglia degli Alessi, dai modi<br />

classicheggianti, autore dei due corpi ai lati della cour carré al Louvre (1550-’60);<br />

N. Bachelier, anche scultore; J. Bullant che studiò a Roma, così come E. Dupérac,<br />

famoso anche come incisore.<br />

Per quanto riguarda l’architettura religiosa, le chiese di Sens e Senlis, la cappella<br />

di S. Michele in S. Aignan a Chartres, la chiesa di S. Eustachio a Parigi (1532), la<br />

facciata di Notre-Dame a Bourg, il portale di Tonnerre, la facciata di S. Michele a<br />

Digione, la facciata e i tre portali con ricca decorazione della chiesa di Notre-<br />

Dame di Villeneuve-sur- Yonne, la navata della chiesa di Gallardon, l’abside ricca<br />

di elementi decorativi con soffitto a cassettoni della chiesa di Notre-Dame a La<br />

Ferté-Bernard, le cappelle della chiesa di Notre-Dame di Fontenay-le Compte, il<br />

braccio sud della chiesa di S. Pierre a Dreux (con la facciata principale, la facciata<br />

nord con la cupola e il campanile), il coro e la cripta fatta costruire da Caterina de’<br />

Medici nella chiesa di Notre-Dame a La Ferté –Milon, il piccolo chiostro con<br />

loggiato maggiore a colonne nel convento di Brou, rivelano influssi rinascimentali<br />

italiani. La regina fece costruire anche il grande palazzo delle Tuileries,<br />

cominciato da P. Delorme e ripreso da J, Bullant, ambedue formatisi a Roma; il<br />

secondo introdusse in Francia l’architettura grandiosa e l’uso dei colonnati che,<br />

salendo dal fondo, abbracciano diversi piani.<br />

Poiché il nuovo stile cominciava a imporsi in Francia, molte opere furono richieste<br />

ai nostri artisti in patria. Nel 1502 Benedetto da Rovezzano, Girolamo Viscardo,<br />

Michele Auria da Pellio e Donato Benti eseguirono a Genova per Luigi XII la<br />

sepoltura marmorea dei duchi d’Orléans; due anni dopo Benedetto da Rovezzano<br />

e il Benti si recarono in Francia per trasportarvi alcune statue già abbozzate per<br />

quel monumento, montato nella chiesa dei Celestini (smembrato durante la<br />

rivoluzione francese e ricomposto a S. Denis). Nel 1507 il Viscardo scolpì per<br />

l’abate A. Boyer un tabernacolo, un reliquiario, due statue e cinque bassorilievi.<br />

Tra le opere importate ricordiamo anche la grande e ricca fontana (ora nel castello<br />

di La Rochefoucauld), opera della bottega di Pace da Sormano e Antonio della<br />

Porta (Tamagnino); questi eseguì poi per la chiesa di Folleville il grande mausoleo<br />

di R. de Lannoy, governatore a Genova per Luigi XII. Dall’Italia giunge anche la<br />

statua del sovrano, opera di Lorenzo da Muggiano.<br />

245


A Parigi sin dall’inizio del secolo <strong>XV</strong>I si formò una colonia di artisti italiani che<br />

facevano vita comune nel castello di Petit-Nesle; valentissimi nel lavorare il<br />

marmo, erano gli esecutori anche di opere ideate dai francesi secondo il gusto<br />

nazionale; quest’albergo divenne il centro di una scuola di scultura. Vi lavorarono,<br />

tra gli altri, dal 1504 il Mazzoni, Benedetto Montorsoli e dal ’40 il Cellini (vedi lez.<br />

n.19).<br />

<strong>Il</strong> Mazzoni, dal 1507 al servizio di Luigi XII, eseguì per lui due statue che furono<br />

riposte nel castello di Blois, l’una in costume da caccia, l’altra equestre. Tours<br />

come Gaillon fu uno dei primi centri del nuovo stile: vi fu lo stesso Mazzoni che<br />

nel 1516 eseguì con il Pacchiarotti il sepolcro di Carlo VIII per la chiesa di S. Denis<br />

(distrutto alla fine del ‘700) in bronzo smaltato, con quattro angeli intorno alla<br />

figura sormontata di gigli d’oro, e con le Virtù piangenti nelle nicchie della<br />

cappella funeraria; <strong>sua</strong> è anche la tomba De Commines (ora al Louvre); poco dopo<br />

il Mazzoni tornò in patria, colmo di ricchezze e di onori, senza la moglie<br />

Pellegrina Discalzi e senza la figlia, valenti scultrici, perdute in Francia. A Tours<br />

operarono come scultori del re i tre fratelli Giusti (il loro nome era Betti),<br />

fiorentini, arrivati in Francia nel 1504; furono nel ’13 naturalizzati francesi e<br />

chiamati Juste. Antonio eseguì con i fratelli la tomba del vescovo T. James nella<br />

cattedrale di Dol, nel ’08 lavorò a Gaillon dodici figure di apostoli in alabastro per<br />

la cappella del castello, un busto del cardinale d’Amboise, e altre statue; dal ’16<br />

collaborò con il fratello Giovanni alla tomba di Luigi XII e di Anna di Bretagna.<br />

Giovanni nel ’21 si recò a S. Denis per collocarvi questo monumento; eseguì poi a<br />

Tours altre opere; nel periodo 1532-’39 per la cappella del castello<br />

italianeggiante d’Oiron (Deux-Sèvres) scolpì la tomba di A. Gouffier e quella di F.<br />

Montmorency. Andrea partecipò ai lavori dei fratelli. I Giusto portarono in Francia<br />

lo stile decorativo del <strong>Rinascimento</strong> fiorentino del secolo <strong>XV</strong>, interpretandolo con<br />

un senso spiccatamente pittorico.<br />

Nel 1508 il cardinale d’Amboise chiamò i pittori Andrea del Gobbo Solario,<br />

Girolamo Tornelli, il Pacchiarotti e Pietro da Mercogliano per decorare il castello di<br />

Gaillon; gli affreschi della cappella sono andati perduti. I giardini furono ricreati<br />

all’italiana, il padiglione si coprì di ricca decorazione plastica italiana. Anche in<br />

questo centro con Lorenzo da Muggiano e con i Giusti si formò una bottega di<br />

scultura.<br />

Ricordiamo che A. de la Pointe, pittore di vetrate, venne influenzato dal repertorio<br />

decorativo dei maestri là operanti; di influsso italiano sono anche le vetrate delle<br />

navate della chiesa di Ecouen (1515).<br />

Domenico da Cortona fu impiegato dal 1510 al ’31 ai castelli di Blois e Chambord,<br />

dal ’32 all’Hotel de ville di Parigi fino al ’49, anno della <strong>sua</strong> morte. Anche per varie<br />

246


feste e cerimonie a corte fu molto richiesta la <strong>sua</strong> opera; per il battesimo di<br />

Renata di Francia (1510) gli si ordinarono la culla, i mastelli, ecc. Per l’ingresso di<br />

Maria d’Inghilterra (1514) esegue un arco trionfale; suo è alla morte di Luigi XII<br />

(1515) il catafalco, mentre la cappella ardente è di <strong>Francesco</strong> da Campobasso.<br />

Con <strong>Francesco</strong> I di Valois, re dal 1515 al ’47, grande protettore delle arti, si ha<br />

un’azione decisiva nella storia del <strong>Rinascimento</strong> in Francia; questo periodo ha<br />

inizio dopo la battaglia di Marignano. <strong>Il</strong> re raccolse intorno a sé molti artisti;<br />

commissionò nel ’15 ad Agostino Busti, detto il Bambaia, il monumento a Gastone<br />

di Foix; nel ’28 trasferì la propria residenza dalla Loira, sede prediletta della corte<br />

dei Valois, all’<strong>Il</strong>e-de-France, dove fece costruire i castelli di Fontainebleau e di<br />

Madrid. <strong>Il</strong> primo, tutto decorato di affreschi, stucchi e sculture di artisti italiani, e<br />

in parte costruito su loro disegno, fu centro degli italianeggianti della scuola detta<br />

di Fontainebleau (vedi lez. n.19). Per costruire e decorare il castello di Madrid il<br />

sovrano chiamò nel 1528 Girolamo della Robbia; tornato dalla prigionia spagnola,<br />

volle un palazzo del tutto nuovo, da costruire ”au bout de nostre foreste de<br />

Boulogne”, e che prenderà nome Madrid, perché simile a quello di Spagna, nel<br />

quale il sovrano era stato per molto tempo prigioniero. Per questa opera<br />

<strong>Francesco</strong> I sceglie un italiano, chiama appunto Girolamo della Robbia, figlio di<br />

Andrea, che giunge con il doppio incarico di architetto e decoratore e passa venti<br />

anni a dirigerne i lavori; la <strong>sua</strong> attività è strettamente legata al laboratorio di<br />

Suresne (più tardi trasportato a Puteau), dove erano i forni e si preparavano le<br />

decorazioni in terracotta smaltata, i famosi invetriati robbiani. La scelta di<br />

<strong>Francesco</strong> I cade su un artista che porta un più sobrio gusto, una più raffinata<br />

eleganza e che è lontano dalle caratteristiche bramantesche, cui si era ispirato<br />

Domenico da Cortona. Le svelte arcate delle gallerie ricordano la loggia degli<br />

Innocenti, le ampie linee orizzontali si sostituiscono al sovrapporsi dei pilastri, si<br />

sente la mano di un fiorentino. Dal 1553 al ’60 la direzione dei lavori passa a Ph.<br />

Delorme; Girolamo torna per questi anni in Italia dopo la morte del fratello,<br />

venuto in Francia a lavorare con lui. Nel ’60 riprende il suo posto, tornando in<br />

favore il Primaticcio e con lui tutti gli italiani, allontanati dopo la morte di<br />

<strong>Francesco</strong> I e chiamati nuovamente con Caterina de’ Medici. IL palazzo di Madrid,<br />

centro italianeggiante dalle tendenze fiorentine, offre un valido esempio ad altri<br />

costruttori: se ne ricorda Chambiges in S. Germain en. Laye (1539), Gilles le<br />

Breton a Chambord.<br />

Dal laboratorio di Suresnes escono i medaglioni circolari al cui centro è un busto e<br />

ne provengono anche i fregi per le facciate, e le ghirlande di fiori e frutta. Questa<br />

colorita decorazione fu molto ammirata; per essa il Ducerceau ebbe parole di<br />

lode.<br />

247


Girolamo della Robbia non lavorò solo al Madrid; oltre che a Fontainebleau (vedi<br />

lez. n.19) “lavorò ancora di terra molte cose in Orléans”, dice il Vasari; eseguì<br />

opere per l’ambizioso progetto di Caterina de’Medici per la cappella dei Valois a S.<br />

Denis. <strong>Il</strong> Primaticcio aveva affidato a Girolamo l’esecuzione della statua della<br />

regina; questi non potè terminarla e il Pilon la riprese dopo la <strong>sua</strong> morte (1566).<br />

Tra gli altri scultori operosi in Francia ricordiamo Onofrio Campitoglio che lavorò<br />

nel coro della chiesa di Brou alla tomba di Filiberto di Savoia (statuette di sibille e<br />

genietti di gusto italiano). Giovan <strong>Francesco</strong> Rustici visse per 26 anni in Francia;<br />

pare attendesse dal 1528, anno in cui fu chiamato, a un monumento equestre;<br />

non restano tracce della <strong>sua</strong> attività di scultore presso <strong>Francesco</strong> I.<br />

Anche a Troyes si formò nel 1541 una scuola di scultura ad opera di Domenico<br />

Fiorentino (detto del Barbiere) che fu anche incisore, pittore, orafo e mosaicista,<br />

giunto in Francia al seguito del Rosso e del Primaticcio, dopo aver lavorato a<br />

Fontainebleau (vedi lez. n.19); a Troyes scolpì l’ambone di S. Stefano e con<br />

<strong>Francesco</strong> Gentili le porte di S. André les Troyes e l’altare di S. Urbano; forse<br />

lavorò con lui quel Lorenzo Piccardo citato dal Vasari. Con J. Picart Domenico<br />

Fiorentino eseguì nel 1550 la tomba di Claudio di Lorena e di Antonietta di<br />

Borbone a Joinville; suo è il piedistallo su cui posano le Grazie del monumento per<br />

il cuore di Enrico II (opera del Pilon). Altre sculture sono a Bar-sur-Aube e a S.<br />

Denis; l’opera di Domenico Fiorentino influenzerà la scuola della Champagne. Per<br />

l’influsso del ‘500 italiano sugli scultori francesi Pilon, Goujon e Richier vedi lez.<br />

n.19. Ph. Vigarny risente dei modi rinascimentali italiani nelle sue opere eseguite<br />

in Spagna.<br />

Per quanto riguarda i pittori italiani in Francia, tra i primi invitati da <strong>Francesco</strong> I fu<br />

Andrea del Sarto che giunse nel 1518 insieme con lo Sguazzella e fu ben accolto a<br />

corte; fece il ritratto del delfino e altri dipinti tra cui la “Carità” (ora al Louvre),<br />

l’anno seguente tornò a Firenze. Lo Sguazzella lavorò al castello di Semblancy<br />

presso Tours e poi a Parigi dal 1526; qui accolse anni dopo il Cellini.<br />

Paris Bordone, allievo del Tiziano, fu in Francia dal 1538 al ’40; nello stesso<br />

periodo lavorò Girolamo del Pacchia, morto in Francia dopo il ’39.<br />

Fin dal 1513 per merito del nascente mecenatismo si riunirono ad Albi, chiamati<br />

da Luigi d’Amboise, vescovo della città, a dipingere nella cattedrale, Giulio<br />

Violano, Lucrezio Cantora da Bologna, Lorenzo da Modena, Gian <strong>Francesco</strong> Donela<br />

da Carpi; nella volta dipinsero il “Dio Padre” tra i quattro simbolici animali, nelle<br />

pareti numerose figure; nei loro affreschi prevaleva il gusto pittorico emiliano.<br />

A Lione fiorì una scuola michelangiolesca; dal 1515 al ‘40 si affermò una bottega,<br />

vi lavorarono Nicola, Bernardo e Benedetto Del Bene che diffusero con copie le<br />

opere del maestro, come la “Leda e il cigno”, tela copiata anche dal Rosso<br />

248


Fiorentino a Fontainebleau. Per tutti gli artisti che lavorarono in questo centro<br />

rimandiamo alla lezione sul Manierismo (n.19).<br />

Trattiamo ora dei rapporti con <strong>Francesco</strong> I dei tre grandi del <strong>Rinascimento</strong>:<br />

Leonardo, Michelangelo e Raffaello.<br />

Accompagnato da <strong>Francesco</strong> Melzi e Andrea Salai, dal servitore Battista de Villanis<br />

e dalla fantesca Malacina, Leonardo da Vinci si trasferì in Francia nel 1517,<br />

accettando la splendida ospitalità offertagli da <strong>Francesco</strong> I; questi lo colmò di<br />

onori, lo nominò “premier peintre, architecte et méchanicien du roi” e gli assegnò<br />

a dimora il castello di Cloux dove potè dedicarsi alle sue ricerche e ai disegni del<br />

diluvio. Si sa da una relazione del segretario del cardinale d’Aragona, in visita<br />

presso Leonardo nel ’17, che il maestro mostrò al suo visitatore tre quadri di cui<br />

era l’autore: “S. Giovanni Battista”, “S. Anna”, e un ritratto di donna, monna Lisa<br />

del Giocondo, detta poi la Gioconda, quadri senza dubbio dipinti per conto di<br />

committenti italiani. Si sa che a Fontainebleau esisteva una “Leda” distrutta nel<br />

secolo <strong>XV</strong>II; la “Vergine delle rocce” è citata nel 1625 da Cassiano del Pozzo che la<br />

vide a Fontainebleau. Leonardo, impedito da una paralisi, negli ultimi tempi non<br />

dipingeva più; unica attività fu il progetto di un grande castello con parco per la<br />

regina madre a Romorantin (la costruzione non fu realizzata ma le idee del<br />

progetto si riflettono nel castello di Chambord, iniziato sotto <strong>Francesco</strong> I, vivente<br />

ancora il maestro). <strong>Il</strong> documento più commovente dell’ultima attività creativa sono<br />

i disegni della “Fine del mondo”. Leonardo morì nel castello d’Amboise il 2 maggio<br />

1519 e fu sepolto nella chiesa di S. Florentin (distrutta durante la rivoluzione).<br />

Erede dell’intero patrimonio degli scritti fu il fedelissimo amico e allievo <strong>Francesco</strong><br />

Melzi.<br />

Nel 1497 il cardinale J. Bilhères de Lagraulas, ambasciatore di Carlo VIII presso la<br />

S. Sede, ordinò a Michelangelo una Pietà, ora in S. Pietro in Vaticano. Nel 1502<br />

una statua della Madonna con Bambino è portata da mercanti fiamminghi a<br />

Bruges. Nello stesso anno Pierre de Rohan, un amatore d’arte già sceso in Italia al<br />

seguito di Carlo VIII, attraverso gli ambasciatori fiorentini residenti a Lione,<br />

commissionò a Michelangelo un “David” in bronzo; l’esecuzione andò per le<br />

lunghe, finchè su intervento della Signoria che riceveva sollecitazioni dalla<br />

Francia, si riuscì ad ottenere l’aiuto di Benedetto da Rovezzano per rifinire l’opera<br />

dopo la fusione nel 1508. Pervenuto in Francia, il “David” fu collocato nel castello<br />

di Bury; nel secolo <strong>XV</strong>II si trovava in quello di Villeroy ma da allora se ne sono<br />

perse le tracce. Anche un “Ercole” ebbe la stessa sorte. Nel 1529 da <strong>Francesco</strong> I<br />

giungono continue offerte a Michelangelo per stabilirsi in Francia; nel ’46 l’artista<br />

promette al sovrano una scultura in bronzo, una in marmo e un dipinto che non<br />

eseguirà. Roberto Strozzi regala al re due “captivi”, avuti in dono da Michelangelo;<br />

249


dati dal re al Montmorency, passarono al Richelieu e poi al Louvre. <strong>Il</strong> quadro “Leda<br />

e il cigno” attraverso Antonio Mini è destinato a Fontainebleau. Per Caterina de’<br />

Medici l’artista disegna un monumento in onore di Enrico II.<br />

A Raffaello Margherita di Navarra commissionò una “S. Margherita”, restaurata dal<br />

Primaticcio a Fontainebleau, ora al Louvre. <strong>Il</strong> cardinale Gouffier de Boissy gli<br />

ordinò una “Madonna con s. Elisabetta, s.Giovanni e il Bambino”, passata poi a<br />

Luigi XIV, ora al Louvre. <strong>Il</strong> maestro urbinate preparò i disegni per i quadri<br />

commissionati da <strong>Francesco</strong> I; essi furono portati a Parigi da Giulio Romano. Si<br />

attribuisce al sovrano l’acquisto della “Bella giardiniera”. Secondo il Vasari la<br />

“Sacra famiglia” e il “S. Michele che debella Satana” (con la partecipazione della<br />

scuola) sarebbero stati realizzati per il re che ricevette d’altra parte come regalo il<br />

ritratto di Giovanna d’Aragona, sicuramente opera del maestro; il sovrano chiese<br />

anche 40 cartoni con le storie della Sacra Scrittura per i ricami sul mobilio di una<br />

camera da letto. La collezione di <strong>Francesco</strong> I si ingrandì con la “Visitazione” di<br />

Sebastiano del Piombo e con il “Gastone di Foix” del Savoldo. L’ambizioso<br />

<strong>Francesco</strong> I acquistò molte opere anche per il tramite di Giambattista della Palla,<br />

di cui il Vasari disse che aveva spogliato Firenze d’una infinità di cose elette,<br />

senza alcun rispetto.<br />

A tale proposito ricordiamo che gli Stati italiani furono i primi in Europa a tentare<br />

di porre restrizioni all’esportazione delle opere d’arte, e le leggi italiane emesse a<br />

questo scopo nella nostra epoca sono tra le più rigorose del mondo.<br />

Per concludere l’argomento sul <strong>Rinascimento</strong> italiano in Francia, si può affermare<br />

che in un primo momento vi fu un interesse puramente esteriore, l’arte passava<br />

quasi in seconda linea, giacchè era la vita italiana che si desiderava imitare;<br />

questo ai tempi di Carlo VIII. Più tardi quel gusto andò raffinandosi; la corte per<br />

volere del re <strong>Francesco</strong> I fu il centro da cui si diffuse la nuova moda. Ciò che<br />

attraeva soprattutto era l’elemento di nuova, meravigliosa ricchezza e di maggiore<br />

lusso, passando dal gusto decorativo lombardo e fiorentino alla preziosità del<br />

Manierismo (vedi lez. n.19). Fontainebleau sta al centro e collega alla vecchia<br />

scuola la nuova, sta tra la pittura che si è appena sciolta dalla miniatura gotica e<br />

dalle tavole religiose e la pittura ornamentale, delle grandi composizioni, del<br />

paesaggio, della figura umana; si afferma la ritrattistica. Nel ritratto di <strong>Francesco</strong><br />

I, opera di Jean Clouet, fiammingo, si avverte il gusto rinascimentale per la<br />

ampiezza dell’impostazione formale. Suo figlio François si ispira al Moroni con<br />

ritratti a figura intera, al tipo italiano di “posa ufficiale”, mostrando una sensibilità<br />

particolare per la cultura italiana, nel taglio compositivo e nelle calde, pacate<br />

sensibilità cromatiche.<br />

250


In Inghilterra il <strong>Rinascimento</strong> architettonico, mediato attraverso la Francia, è in un<br />

primo tempo interpretato come una specie di decorazione applicata in superficie<br />

alle grandi residenze dei primi re Tudor. Con lo scioglimento dei monasteri (1539)<br />

l’interesse si sposta dalle chiese e dai castelli alle abitazioni e ai palazzi privati;<br />

nessuna chiesa fu costruita fino al grande incendio di Londra del 1666;<br />

nell’ambito dell’architettura civile, mentre con l’artiglieria le fortezze hanno<br />

perduto la loro ragion d’essere, l’accresciuta sicurezza sociale sollecita a costruire<br />

più per ragioni di prestigio e comodità che per difesa.<br />

Enrico VIII d’Inghilterra (1509-’47) e il suo primo ministro, il cardinale Wolsey,<br />

certo per emulare <strong>Francesco</strong> I e il cardinale d’Amboise, impiegarono artisti italiani,<br />

alcuni dei quali avevano precedentemente lavorato in Francia. Ricordiamo le<br />

decorazioni in terracotta nella grandiosa dimora di Wolsey a Hampton Court,<br />

dovute a Giovanni da Maiano (in Inghilterra dal 1521 al ’36), medaglioni<br />

rappresentanti imperatori romani nei corpi d’ingresso, putti che reggono le armi<br />

del cardinale nel cortile. A Winchester un fregio a grottesche decora l’ambulacro<br />

del coro della cattedrale (1525); nella cattedrale di Ely la cappella del vescovo<br />

West (1533) mostra accanto ad elementi gotici motivi decorativi di tipo italiano,<br />

delfini, viticci, arabeschi, ecc. Un tipo analogo di decorazione è costituito dagli<br />

stalli della cappella del King’s College di Cambridge; il palazzo di Nonsuch (poi<br />

demolito ) presentava decorazioni di stucco eseguite da artisti di Fontainebleau.<br />

Qualche anno più tardi Benedetto da Rovezzano con Antonio Cavallari, dal 1524 al<br />

’35, scolpì la tomba del cardinale Wolsey a Windsor (divenuta poi tomba di Enrico<br />

VIII), dispersa nel 1646; il sarcofago fu adattato alla tomba di Nelson in St. Paul, i<br />

quattro candelabri sono nel duomo di Gand in Belgio.<br />

<strong>Il</strong> Torrigiano, esiliato da Firenze dopo una lite con il Buonarroti, passò a Roma, poi<br />

in Fiandra, stabilendosi quindi in Inghilterra, dove eseguì la bella tomba di Enrico<br />

VII ed Elisabetta di York (1518) nell’abbazia di Wenstminster, la tomba di<br />

Margherita di Richmond e quella di J. Yonge in Chancery Lane (oggi in un museo<br />

londinese). Nel 1519 il Torrigiano, ritornato a Firenze, ingaggiò artisti da inviare<br />

in Inghilterra e cioè Pier Giovanni da Settignano, Gian Luigi di maestro Jacopo,<br />

Antonio (Toto) del Nunziata; nuovamente a Londra nel ’20, abbandonò la corte<br />

inglese per la Spagna.<br />

Molti nobili e prelati, i veri mecenati delle arti, costruirono in tutto il paese vaste<br />

dimore di campagna, fecero eseguire i loro ritratti, servendosi soprattutto<br />

dell’opera di Girolamo da Treviso (dal 1538 al ’44), Giovanni Bernardi e Luca<br />

Penni. Anche i castelli-fortezza, a poco a poco evolvendosi, si trasformarono in<br />

ville; gli elementi fortificati divennero decorativi; il castello di Sutton Place<br />

251


(Surrey), costruito verso il 1525, mostra una ricerca di eleganza ottenuta con<br />

l’impiego di pannelli e di ornamenti di terracotta.<br />

L’Old Somerset House (1547-’52) fu il primo tentativo di ricreare un edificio<br />

genuinamente italiano; la parte centrale della facciata riprendeva tutti i motivi<br />

degli archi di trionfo tra le due ali, sormontati da una balaustra ornamentale e con<br />

muratura rustica. <strong>Il</strong> castello di Longleat (1553) presenta il tipo delle grandi dimore<br />

elisabettiane e si ispira al Somerset House; l’edificio è più italiano che francese,<br />

disposto simmetricamente rispetto ai due assi, con le superfici tutte rette.<br />

Anche la sistemazione degli interni subì delle trasformazioni; in tutte le dimore<br />

signorili lo stile nuovo si avverte, oltre che nel cambiamento planimetrico, nella<br />

spiccata tendenza alla simmetria, nello splendore dei locali, nella funzione<br />

dell’atrio, divenuto il centro dell’abitazione. Come in Francia, così in Inghilterra<br />

comparve una lunga galleria di solito al primo piano; quella di Hampton Court è<br />

assai vicina cronologicamente a quella di Fontainebleau, altre ne furono costruite<br />

a Montacute e a Hardwick; i soffitti a modanature erano suddivisi in scomparti<br />

riccamente decorati da motivi di derivazione italiana, i camini erano monumentali<br />

e ricchi.<br />

A Wollaton Hall di R. Smithson, il primo architetto inglese che volle innestare<br />

forme italiane su quelle ancora gotiche, la pianta è ricavata da un’incisione del<br />

Serlio; l’insieme si richiama al palazzo di Poggioreale a Napoli, edificio allora<br />

considerato un’assoluta novità.<br />

Tra gli altri artisti italiani attivi in Inghilterra nel secolo <strong>XV</strong>I ricordiamo Pietro Baldi,<br />

Teodoro Bernardi, Giovanni da Rovezzano e Vincenzo Volpe (Fox), pittore alla<br />

corte inglese tra il 1514 e il ’30.<br />

Nelle Fiandre e in Olanda durante tutto il ‘400 gli italianismi furono assai vivi<br />

presso artisti grandi e minori, intensi i rapporti tra i pittori fiamminghi, olandesi e<br />

italiani.<br />

Zanetto Bugatto (notizie 1458-’74) fu inviato dai duchi di Milano a Bruxelles dove<br />

rimase per tre anni nella bottega di R. Van der Weiden che nel ’50 si era recato a<br />

Roma per il giubileo, fermandosi poi a Ferrara (dove lavorò per Lionello d’Este) e<br />

visitando Firenze e Milano, venendo a contatto con Gentile da Fabriano;<br />

l’influenza italiana si avverte nella diminuita drammaticità delle opere posteriori al<br />

viaggio in Italia e nella raffinatissima scansione spaziale.<br />

Giusto di Gand nelle opere eseguite ad Urbino dal 1471 per il duca Federico da<br />

Montefeltro risente delle rigorose concezioni spaziali di Piero della Francesca e<br />

Leon Battista Alberti.<br />

Quentin Metsys, fondatore della scuola pittorica di Anversa, accoglie il senso<br />

realistico dell’arte rinascimentale, attenuando l’intensità religiosa della tradizione<br />

252


gotica; acquista una concezione più monumentale dello spazio e subisce l’influsso<br />

di Leonardo negli ampi paesaggi in cui vibrano l’atmosfera e la luce.<br />

H. Met de Bles, detto il Civetta (sec. <strong>XV</strong>-<strong>XV</strong>I), operò in Italia per molti anni e morì a<br />

Ferrara; eseguì soprattutto paesaggi, risentendo nelle ultime opere della lezione<br />

rinascimentale.<br />

<strong>Il</strong> 1508 è una data importante per la pittura fiamminga: arriva a Roma J. Gossaert,<br />

detto Mabuse, al seguito di Filippo di Borgogna, accompagnando l’ambasceria di<br />

Massimiliano II a Giulio II; primo degli artisti nordici (fu anche a Verona, Venezia e<br />

Firenze) ad assorbire il classicismo in Italia, non esitò ad impadronirsi della<br />

formula rinascimentale della bellezza che gli Italiani avevano appreso dall’antico,<br />

per liberarsi della propria moda stilistica, goticamente elegante ma aguzza,<br />

risentendo dei toni mantegneschi nella composizione spaziale e leonardeschi nei<br />

paesaggi, portando in Fiandra temi mitologici alla maniera italiana. Secondo<br />

Ludovico Guicciardini nella <strong>sua</strong> “Descrizione dei Paesi Bassi” (Anversa, 1567) il<br />

Gossaert fu il primo che portò dall’Italia l’arte del dipingere historie e poesie con<br />

figure nude.<br />

In questo periodo Malines (Mechelen), capitale dei Paesi Bassi (Belgio e Olanda<br />

insieme) dal 1507 al ’30, è direttamente influenzata dal <strong>Rinascimento</strong> italiano,<br />

attraverso la cultura della corte italianizzante di Margherita d’Austria e per la<br />

presenza di molti artisti italiani (ricordiamo Jacopo de’Barbari, pittore di corte<br />

dell’arciduchessa che gli concesse una pensione, Tommaso Vincidor, Nicolò<br />

Paladino, Pietro Torrigiani, Giovanni da Candida e Nicola Spinelli).<br />

Come abbiamo detto, il Gossaert fu il primo a fare un vero e proprio viaggio di<br />

studio in Italia; dopo di lui cominciò il pellegrinaggio dei fiamminghi e degli<br />

olandesi per studiare a Roma o a Venezia soprattutto problemi di luce, di<br />

prospettiva, di composizione. La pittura di ritratto e di paesaggio subisce una<br />

grande trasformazione sotto l’influsso italiano; nel ritratto si guardò soprattutto al<br />

Tiziano e nel vedutismo determinante fu il contatto con il paesaggio classico<br />

d’Italia.<br />

Nel Seicento esisteva ancora in Anversa una società in cui si radunavano gli artisti<br />

che avevano studiato e lavorato in Italia; del culto del <strong>Rinascimento</strong> italiano e della<br />

conoscenza profonda delle sue forme si facevano un vanto; essi avevano elevato<br />

l’arte a maggiore dignità,introducendola nelle corti e adattandola al gusto dei<br />

grandi. Nella seconda metà del secolo <strong>XV</strong>I era visibilmente cresciuta in Europa<br />

l’importanza dei popoli latini, nella politica predominava la Spagna, nell’arte e<br />

nelle forme della vita civile dettava legge l’Italia.<br />

Tra il 1517 e il ’19 arrivarono a Bruxelles, capitale dei duchi di Borgogna, i dieci<br />

cartoni di Raffaello per gli arazzi con gli ”Atti degli apostoli”, destinati alla<br />

253


Cappella Sistina. I cartoni, che come si usava allora non vennero restituiti,<br />

rimasero nei Paesi Bassi, destando un’enorme impressione sugli artisti che ebbero<br />

così l’opportunità di vedere per la prima volta lo svolgimento compositivo di<br />

un’arte nuova, dall’essenzialità prospettica e anatomica, tanto diversa dall’analisi<br />

realistica del particolare che caratterizzava la produzione fiamminga; gli arazzi<br />

furono eseguiti nella bottega di P. van Aelst con la collaborazione di B. van Orley<br />

che entrò così in contatto con la pittura romana; assunto a Bruxelles da<br />

Margherita d’Austria, influì su J. Mostaert, olandese, che si aprì alle suggestioni<br />

del nuovo stile, oltre il minuzioso descrittivismo e i colori netti.<br />

Nasce dunque con il Gossaert e più tardi con J. Van Scorel che, passando per<br />

Venezia, fu a Roma dal 1521 al ’24 e potè giovarsi della protezione del papa<br />

fiammingo Adriano Vi, quella corrente di “italianisants” che una volta rientrati in<br />

patria divulgarono nel nord Europa i segreti della prospettiva, delle proporzioni e<br />

dell’anatomia. Ma l’inclinazione al fiabesco e alla ridondanza ornamentale fece sì<br />

che nelle opere di questi artisti il repertorio decorativo rinascimentale delle<br />

“grottesche, ammirate nella Domus aurea, proliferasse nella più sfrenata orgia<br />

decorativa, innestandosi senza sforzo sul ceppo fiammeggiante del gotico; essi<br />

portarono all’eccesso anche il gusto della figura ”serpentinata”di Michelangelo,<br />

trasformata in uno sfoggio di anatomia da culturista, con corpi nerboruti e<br />

possenti, avviluppate in pose innaturali; contribuendo al precoce slittamento del<br />

<strong>Rinascimento</strong> nei compiaciuti virtuosismi e nelle dotte contaminazioni del<br />

Manierismo. J. Van Scorel rappresentò in Olanda il primo aspetto delle influenze<br />

venete e romane (michelangiolesche), successivamente diffuso in un’intera<br />

generazione (vedi lez. n.19).<br />

P. Grammorseo operò a Casale dal 1521 al ’23 come aiuto di Gian Martino<br />

Spanzotti; P. Coecke van Aelst, tornato in patria nel 1527 da un lungo soggiorno<br />

in Italia, contribuì a diffondere il linguaggio formale del <strong>Rinascimento</strong> italiano,<br />

pubblicando nel ’39 la traduzione del trattato del Serlio sull’architettura e “Le<br />

invenzioni di colonne”, opera ricavata da Vitruvio; Joos van Cleve, ritrattista, fu a<br />

Genova dal 1526 al ’28, accogliendo modi leonardeschi, il chiaroscuro, che influì<br />

anche sulla pittura di A. Benson e di A. Isembrant. L’influsso di Raffaello si avverte<br />

in L. Blondeel che fu in Italia e operò a Bruges anche come scultore e architetto.<br />

Al movimento dei fiamminghi del secolo <strong>XV</strong>I è fatto risalire il fenomeno del<br />

“romanismo”; si definiscono “romanisti” o “romanizzanti” quei pittori stranieri che<br />

ebbero in comune un programma di studio dell’antico, di Michelangelo e di<br />

Raffaello; sorse una loro associazione, fondata a Roma nel 1572. Gli artisti<br />

intraprendevano il viaggio in Italia per assorbire direttamente alle fonti<br />

quell’ideale dell’antichità classica e del <strong>Rinascimento</strong> che in tutta Europa si<br />

254


identificava con Roma. I “romanisti” del secolo <strong>XV</strong>II si onorarono di avere tra loro il<br />

sommo Rubens. “Romanista” è l’appassionato dei monumenti, della storia, delle<br />

tradizioni romane, comprese le popolari; è’ un entusiasmo nostalgico per ciò che<br />

Roma rivela di grande e di pittoresco insieme, come richiamo per un non so che di<br />

indefinibile. Ciò che attrae i pittori è l’idea della città nel tempo; anche gli aspetti<br />

medioevali sono motivo di ispirazione, mentre i grandi monumenti rinascimentali<br />

e barocchi accrescono il fascino del luogo come appare, antico e moderno<br />

insieme.<br />

M. van Heemskerk (vedi lez. n.19) è il più significativo autore di quei taccuini di<br />

artisti che fissano le immagini più significative delle antichità romane, i ruderi, i<br />

frammenti, i templi trasformati in chiese; c’è l’interesse per il pittoresco disordine<br />

delle rovine, il gusto scenografico; il “rovinismo” in pittura è una sensibilità già<br />

romantica per il senso del tempo che passa, nasce la poetica del rudere come<br />

testimonianza del divenire storico. Si sviluppa l’immagine del paesaggio classico<br />

con rovine antiche che tanta fortuna avrà nel secolo <strong>XV</strong>II.<br />

Per l’elenco dei “romanisti” rimandiamo alle lezz. n.19 e 31.<br />

Per quanto riguarda la scultura nelle Fiandre, il gusto italiano fu portato nel<br />

Brabante da artisti francesi e dal tedesco C. Meit (sec. <strong>XV</strong>-<strong>XV</strong>I) che realizzò a Brou<br />

gruppi statuari in cui appaiono putti decorativi di tipo rinascimentale; putti simili<br />

sono sul monumentale caminetto nella sala dell’antico palazzo del Franco a<br />

Bruges; anche le statue della facciata si distinguono per una grazia di gusto<br />

italianizzante.<br />

Tra gli scultori fiamminghi citiamo J. Mone che soggiornò a lungo in varie città<br />

italiane e guardò ai fiorentini nell’ancona in alabastro di S. Martino di Hall (1533);<br />

J. Dubroeuq che, avendo studiato in Italia, concepì viva ammirazione per<br />

Michelangelo e Jacopo Sansovino; W. Van Tetrode (Guglielmo Tedesco) che fu<br />

operoso a Roma.<br />

Passiamo all’architettura; nel ‘500 lo stile rinascimentale si impose a poco a poco<br />

sul gusto gotico nelle costruzioni civili soprattutto con l’adozione di motivi<br />

decorativi, volute, frontoni, statue. A Malines il palazzo di Margherita d’Austria fu<br />

progettato dal francese Guyot de Beauregard che diffuse nelle Fiandre la<br />

decorazione di interni nello stile italiano; nel palazzo del Franco il disegno della<br />

balaustrata si ispira ai tipi dell’Italia settentrionale, il palazzo del principe-<br />

vescovo a Liegi è rinascimentale anche nelle linee e nelle proporzioni, con il<br />

portico attorno al cortile e le colonne scolpite; nel palazzo municipale di Anversa<br />

i pilastri che ne incorniciano l’avancorpo, derivato da quello di Malines, ricordano<br />

quelli che negli stessi anni venivano eretti sulle facciate delle chiese italiane<br />

255


(1560); nella piazza principale finestre, portici e colonnati mostrano l’adesione al<br />

nuovo stile.<br />

<strong>Il</strong> Olanda il rinnovamento si ha con alcuni architetti italiani nella prima metà del<br />

secolo <strong>XV</strong>I, Alessandro Pasqualini, progettista del singolare campanile di<br />

Ijsenstein, e Tommaso di Andrea da Bologna, detto il Vincidor; questi, aiuto di<br />

Raffaello a Roma, venne inviato a Bruxelles per collaborare all’esecuzione degli<br />

arazzi sistini e quindi passò a Breda ove costruì il castello-palazzo di Enrico di<br />

Nassau, diffondendo le forme rinascimentali.<br />

Un altro importante aspetto dell’arte rinascimentale è quello dell’incisione che<br />

cominciò ad affermarsi nel secolo <strong>XV</strong> (vedi lez. n.21). Molti incisori vennero in<br />

Italia; tra i più grandi citiamo il Dürer. W. Pleydenwurff e M. Wolgemut tra il <strong>XV</strong> e il<br />

<strong>XV</strong>I secolo eseguirono con la tecnica della xilografia vedute di Roma; li imitò<br />

decenni più tardi con il bulino il francese Beatrizet (Beatricetto). Questi, G. Tory,<br />

G. Reverdy, G. Pencz, B. Beham, H. Aldegrever (vedi lez. n.18) si ispirarono ai<br />

modelli italiani e alle esperienze tecniche di Marcantonio Raimondi (vedi lez.<br />

n.21), così come E. Delaune, A. Altdorfer e Hans Sebald Beham che non vennero in<br />

Italia.<br />

Con Marcantonio si iniziò l’incisione di riproduzione che ebbe straordinario<br />

sviluppo fino all’avvento della fotografia; frequentarono la <strong>sua</strong> bottega tutti gli<br />

artisti di passaggio a Roma fino al 1527, anno in cui fu costretto a fuggire in<br />

seguito al sacco della città da parte dei lanzichenecchi.<br />

Questa data è stata posta a conclusione della lezione sul <strong>Rinascimento</strong> e ad inizio<br />

ideale dell’attività degli artisti manieristi (vedi lez. n.19).<br />

Ricordiamo che motivi italiani giunsero in Svezia con i Vasa a partire dal 1540,<br />

soprattutto attraverso la Germania e i Paesi Bassi per opera di architetti che<br />

parteciparono alla ricostruzione in forme nuove ed eleganti di numerosi castelli e<br />

degli scultori che abbellirono le costruzioni con cornici ornate per le finestre,<br />

portici imponenti e sculture per tetti e frontoni; si dette importanza anche ai<br />

monumenti funerari, specialmente a Vadstena. La famiglia milanese dei Parr (o<br />

Pahr o Paar o de Parri) introdusse nuovi particolari nell’architettura svedese, come<br />

per esempio l’altana, d’ora in poi largamente usata.<br />

La Danimarca si apre al <strong>Rinascimento</strong> verso il 1550 con il re Cristiano III; la ripresa<br />

edilizia fu promossa, oltre che dalla corte, dalla nobiltà della Chiesa cattolica; il<br />

cancelliere J. Friis fece costruire il castello di Hasselagergaard con motivi veneti<br />

(cornicioni e modanature); forme rinascimentali sono in quello di Kronborg a<br />

Helsingor e nel palazzo reale di Rosemborg; il castello di Uraniborg a pianta<br />

centrale è di ispirazione serliana.<br />

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In Finlandia nel secolo <strong>XV</strong>I alcuni castelli, come quello di Turku, sono rimodernati<br />

secondo il gusto rinascimentale; quelli norvegesi dei secoli <strong>XV</strong>I e <strong>XV</strong>II presentano<br />

ornamentazioni e particolari architettonici nel nuovo stile.<br />

Anche fuori dal continente europeo si propagarono le forme rinascimentali.<br />

Sappiamo che il veneto Nicolò Brancaleone costruì la chiesa di Gannata Ghiorghis<br />

in Etiopia (bruciata durante l’invasione musulmana); nel 1523 il fiorentino<br />

Girolamo Bencini era pittore di corte del negus Lebna Denghel.<br />

PS. Per Andrea Palladio e il palladianesimo in Europa vedi lez. n.32.<br />

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