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LE MANI SULLA CULTURA<br />
SECONDO FRANCO RICORDI<br />
Docente di Storia moderna, l’Autore dell’articolo<br />
estrae da un libro polemico di Franco Ricordi,<br />
un giudizio storico sulla crisi del teatro<br />
Carlo Vallauri<br />
Lo studio di Franco Ricordi Le mani sulla<br />
cultura (Gremese, Roma, 2008) si pone<br />
come un punto fermo nel ritornante dibattito<br />
sul “teatro politico e l’egemonia della sinistra<br />
nelle arti del XX secolo”, secondo il sottotitolo<br />
del libro che si presenta tra l’altro con<br />
una bella copertina a tinte incisive.<br />
L’argomento, come è noto, è stato affrontato<br />
in passato prevalentemente su un piano polemico<br />
(e se ne sono occupati spesso Galli Della<br />
Loggia e P.L. Battista). Al di là degli<br />
aspetti strettamente politici, l’autore di questa<br />
nuova prova saggistica – apprezzato attore,<br />
regista e direttore di complessi di prosa –<br />
pone in diretta conseguenzialità le tendenze<br />
di stampo brechtiano nel teatro europeo, specie<br />
nella seconda metà del Novecento, con<br />
l’azione sistematica condotta dai gruppi di<br />
sinistra per imporre nella società culturale,<br />
specificatamente italiana, operazioni teatrali<br />
di marcato segno politico, ispirate alla prevalenza<br />
delle dottrine e della prassi comuniste,<br />
alla quale si sono a lungo accompagnati gran<br />
parte dei socialisti.<br />
Dopo aver analizzato, con finezza, nei primi<br />
capitoli, i caratteri “politici” del teatro, dall’arte<br />
greca a Schiller e fino a Brecht, Ricordi<br />
si sofferma sull’ambivalenza del dramma borghese<br />
e sulla nascita e la diffusione del teatro<br />
“epico”, sulla scia delle opere di Brecht. E,<br />
prendendo le mosse da La morte di Danton<br />
(ancora suscita in noi emozioni il ricordo della<br />
mirabile edizione di Strehler), l’approfondito<br />
saggio rileva l’investimento culturale<br />
della sinistra italiana, in favore di un teatro<br />
ispirato alle idee marxiste – o almeno alle<br />
ideologie da esse derivate – abbattendo la<br />
visione “neutrale” dell’arte propria della cultura<br />
idealista, ma – spiega l’autore – la sua<br />
ricerca è diretta a dare un contributo – e questo<br />
scopo è certamente raggiunto nelle 180<br />
pagine – alla depoliticizzazione della cultura<br />
e del teatro, per sottrarre le arti all’ “aggressione”<br />
subita nel secolo scorso. Una cultura,<br />
un teatro operativo per “cambiare il mondo”:<br />
quanti di noi sono stati assoggettati a tale<br />
LIBRI<br />
suggestivo intento? E, pagina dopo pagina,<br />
viene qui demistificato l’incessante serie di<br />
travisamenti culturali compiuti nel settore<br />
delle arti. Dall’impostazione generale al linguaggio<br />
il peso di tali tendenze è stato rilevante,<br />
ed ancor oggi si avverte in Italia.<br />
In maniera specifica Ricordi si richiama a<br />
Pasolini per sottolinearne l’originalità rispetto<br />
alla fragilità culturale dei tanti assiomi<br />
sostenuti a lungo nell’esperienza italiana e<br />
non manca di puntare criticamente il dito in<br />
particolare sui canovacci di Dario Fo. Inoltre<br />
viene citato positivamente Luigi Squarzina –<br />
come regista pur appartenente alla sinistra<br />
storica – che ha tuttavia criticato l’istanza<br />
“totalizzante” della regia moderna, riflesso<br />
ideologico di derivazione hegeliana. La riduzione<br />
didascalica di una serie di importanti<br />
iniziative teatrali è indicata come una deviazione<br />
dal senso del “gusto” nell’accezione<br />
kantiana e viatico impresso alla stessa libertà<br />
di giudizio. Un teatro – afferma R. – anti-aristotelico<br />
che, nella pretesa della “necessità”<br />
di cambiare il mondo, degrada l’arte nei contenuti<br />
e nel linguaggio. Se la condanna del<br />
didascalismo imposto dall’ “egemonia” culturale<br />
appare condivisibile (e gli esempi citati<br />
sono significativi) sia consentito osservare<br />
che quella concezione artistica nacque in una<br />
particolare condizione dell’Europa sottoposta<br />
al dominio diretto e indiretto del nazismo e<br />
quindi rappresentò una risposta, una forma di<br />
difesa, un incitamento a non arrendersi e a<br />
battersi con ogni mezzo (soprattutto nella<br />
cultura) per la sconfitta di quello che era considerato<br />
– non a torto – un “male” da sconfiggere<br />
a qualsiasi costo. Certo, la società aperta<br />
offerta dall’Occidente capitalistico e democratico<br />
è apparsa allora come un fattore liberatorio<br />
ad una parte rilevante della cultura<br />
che in nome di tali principi da contestato<br />
quell’ “egemonia” pericolosa per la libertà di<br />
tutti gli altri.<br />
Ed è in questa cornice che Ricordi si sofferma<br />
– dopo sottili osservazioni su una linea<br />
convergente con Popper – nell’esperienza<br />
della democrazia bloccata nella repubblica<br />
italiana, quando – tiene a sottolineare – ne<br />
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