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Aggeo Savioli a<br />

sinistra insieme a<br />

Ghigo de Chiara<br />

al Festival di Todi<br />

del 1995<br />

I SONETTI TEATRALI (E ALTRI)<br />

DI AGGEO SAVIOLI<br />

In un volumetto tutto da godere, il celebre critico<br />

e saggista rivela una sua ancora<br />

sconosiuta vena poetica<br />

Maricla Boggio<br />

Nitido, intenso, essenziale, “Sonetti teatrali (e<br />

altri)” di Aggeo Savioli si compone di una<br />

complessa partitura di poesie, tutte rigorosamente<br />

strutturate secondo i canoni della composizione<br />

con cui esse sono presentate fin dal titolo. A decidere<br />

questa scelta metrica così esclusiva non si<br />

può rispondere in un solo modo: scelta di stile,<br />

volontà di indossare un metro classico per sentirsene<br />

sostenuto, forse il gusto di giocare con dei<br />

ritmi che consentono un respiro di battuta, un che<br />

di teatrale già nel dire, dove la voce è determinante<br />

al comunicare; poesia – questa - che va detta,<br />

condivisa con gli amici, come uno spettacolo dove<br />

l’attore anela al pubblico. E di queste cose che<br />

sanno di teatro, Savioli se ne intende, avendo passato<br />

più di mezzo secolo a leggerne, ascoltare, criticare,<br />

ma con quel gusto della partecipazione che<br />

un critico vero come lui, anche e proprio perché<br />

severo, non rinuncia mai, per amore. Ma la vera<br />

risposta, già espressa giocosamente in sonetto, la<br />

offre lo stesso autore in una sorta di “premessa”<br />

che si intitola appunto “Il sonetto”, dove a definirlo<br />

spicca un verso davvero bello: “Quattordici<br />

gradini verso il cielo”.<br />

La raccolta si compone di sei parti, una delle quali<br />

è definita “Sonetti teatrali”, dove appaiono quali<br />

fantasmi evocati i protagonisti del pirandelliano<br />

“Sei personaggi in cerca d’autore”.<br />

Si succedono poi “Altri nove personaggi”, dove si<br />

presentano le più importanti figure dell’ “Amleto”,<br />

ma anche altre, shakespeariane e no, fino ad<br />

arrivare al nostro tempo,<br />

fra cui spicca<br />

Luchino Visconti:<br />

Savioli gli dedica ben<br />

quattro sonetti, il primo<br />

dei quali ne tratteggia la<br />

prismaticità creativa,<br />

fino a offrirne una sorta<br />

di commossa ammirazione<br />

nei tre versi finali:<br />

“Ma quanti allora ti<br />

furono accanto/Hanno<br />

nel cuore ancor “La terra<br />

trema”/ Non teatro,<br />

non cinema. Un incan-<br />

LIBRI<br />

to”. E della<br />

Duse l’autore<br />

fa balzar viva la<br />

persona, che si<br />

confessa nell’emozione<br />

di sentirsi<br />

giudicare<br />

dopo la morte:<br />

“Dì, com’era la Duse? Era cattiva!”.<br />

Vari temi si sviluppano in “Sonetti familiari”,<br />

dove più si manifesta un ragionare che sa di Gozzano<br />

– “Parapiglia” in cui emerge un ben ironico<br />

giudizio sulla famiglia, che è anche – credo – una<br />

delle composizioni più recenti, datata febbraio<br />

2007 .<br />

In “Sonetti esistenziali” forse a farsi sentire è<br />

un’adesione al Belli, pur in una assoluta autonomia<br />

di ispirazione: in “Extrema ratio” la composizione<br />

comincia così: “S’io non fossi convinto<br />

di morire/ Ben più triste sarei di quel che sono”.<br />

Appare poi quasi un inserto, che riguarda alcune<br />

traduzioni, con testo a fronte, dove si ammanta<br />

fra il poeta tradotto – in particolare John Donne –<br />

e Savioli una sorta di sintonia, tanto più singolare<br />

quanto differenti sono i due autori, l’inglese versato<br />

in ispirazioni religiose, disincantato il traduttore,<br />

ma sodale nell’espressione poetica.<br />

Conclude la raccolta il capitolo “1938”: in quindici<br />

composizioni l’autore si effonde con estrema<br />

libertà creativa a rievocare anni lontani, rivivendone<br />

le illusioni giovanili, ma anche il vissuto<br />

irto di pericoli esistenziali, e non solo a livello<br />

personale, ma politico. Si intrecciano nei<br />

sonetti ricordi di vita insieme a rievocazioni che<br />

attengono a quell’universo immaginativo-culturale<br />

di cui Savioli è come impastato, dal “compagno<br />

Carletto” – Charlot – alla vivida rievocazione<br />

“O forse avremo ancora notti chiare?”,<br />

riferimento alla frase con cui si conclude il Galileo<br />

di Brecht, aprendosi l’autore, pur nel consapevole<br />

pessimismo della ragione, ad una sorta di<br />

consolante speranza. E già leggendo la prefazione<br />

di Franca Angelini, ci rendiamo conto che il<br />

libro offre davvero ben di più che una raccolta di<br />

poesie: “Nelle maglie strette del sonetto Aggeo<br />

Savioli cattura il mondo, il suo e il nostro”. Noi,<br />

che di teatro sentiamo ardere la nostra vita, condividiamo<br />

questa sintesi felicissima.<br />

9

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