VITO ZAGARRIO SOVVERSIVI E FUORILEGGE? Introduzione Mi è capitato più volte di introdurre i volumi editi in occasione <strong>del</strong>le manifestazioni – i convegni, le retrospettive, i festival – <strong>del</strong>la <strong>Mostra</strong> Internazionale <strong>del</strong> Nuovo Cinema. Mai con le emozioni contrastanti di questa volta. Da un lato il piacere di dedicare un libro e un “evento speciale” (il 18mo di Pesaro) a Paolo e Vittorio Taviani: due degli ultimi maestri <strong>del</strong> nostro <strong>cinema</strong>, che ho seguito da quando ero un giovanissimo spettatore guardandoli come miti e mo<strong>del</strong>li da imitare, due grandi cineasti che ho avuto l’onore di conoscere da vicino, di seguire a volte su un set o durante una lavorazione. Dall’altro lato il dispiacere per un altro maestro, Lino Miccichè, che non può essere <strong>del</strong>la partita. Lino, che ha scritto sui Taviani pagine “storiche”, e che avrebbe dovuto essere tra i protagonisti di questo volume, specie in un “evento speciale” che coincide con il quarantennale <strong>del</strong>la <strong>Mostra</strong> di Pesaro. A lui spettava di diritto l’intervista a Paolo e Vittorio, come di tradizione, un vis à vis tra un decano <strong>del</strong>la critica e i veterani <strong>del</strong> “<strong>nuovo</strong> <strong>cinema</strong>”. Lino si è sentito male poche ore prima <strong>del</strong>l’appuntamento che aveva fissato con i due registi, e che ha dovuto disdire. Non abbiamo voluto sostituire quell’intervista e pubblichiamo, invece, un saggio di Miccichè sui Taviani che si intitola Gli “utopisti” e gli “esagerati”; titolo che non a caso ispira anche questo volume. Per una rilettura critica dei Taviani Ma veniamo al <strong>cinema</strong> dei Taviani e al taglio di questo libro loro dedicato. La prima impressione di fondo che emerge da questo lavoro di riflessione sui loro film – sia commissionando i saggi a studiosi di varia forma- 11
VITO ZAGARRIO zione e di varie generazioni, sia valutando i risultati critici – è che i Taviani possano e debbano essere ri-letti, oggi, con occhi nuovi. Voglio dire che c’è una lettura acquisita <strong>del</strong> loro <strong>cinema</strong>, che è in parte responsabile <strong>del</strong>la loro fama, ma che rischia anche di ghettizzarli e di impedirne una lettura aggiornata agli anni duemila: è la lettura ideologica, che li presenta come degli “utopisti” in senso politico e sociale, come dei “rivoluzionari” o dei nostalgici di una rivoluzione mancata o perduta, come degli Autori “impegnati”, capifila di un <strong>cinema</strong> “civile”. Questa interpretazione è stata certamente valida, soprattutto in un contesto storico come quello degli anni sessanta e settanta, ma nel momento <strong>del</strong>la crisi <strong>del</strong>l’Ideologia degli anni ottanta e novanta ha forse impedito di seguire in modo corretto l’evoluzione <strong>del</strong>l’universo etico ed estetico dei fratelli Taviani, impedendone a volte una giusta valorizzazione. Ne è esempio il saggio di Robert Sklar, noto storico <strong>del</strong> <strong>cinema</strong> americano e mondiale, che ricostruendo successi e insuccessi dei Nostri negli Stati Uniti, tende a identificare la loro fortuna con la forza <strong>del</strong> loro impegno “militante”. In altre parole, i Taviani “sfondano” in America solo nel momento in cui un pubblico socialmente “impegnato” vede nei loro film un mo<strong>del</strong>lo mitico e un’alternativa “politica” alle meno utopiche atmosfere locali. “When the spirit of radical change returns to U.S. politics and culture – scrive Sklar – committed spectators will once again discover the significance of the Taviani’s achievement” 1 . Un meraviglioso auspicio (e <strong>del</strong> resto il saggio di Sklar è convincente), ma così facendo si rischia di semplificare la authorship – per restare nei termini <strong>del</strong> dibattito americano – dei Taviani. E si rischia, al tempo stesso di non capire i film <strong>del</strong>la maturità dei due registi, inconsapevolmente fissando un “primo tempo” e un “secondo tempo” <strong>del</strong>la loro visione <strong>del</strong> mondo e svalutando, in quest’ottica, i loro film più recenti. I Nostri funzionano, allora, soltanto quando sono “sovversivi” (come suona il loro titolo <strong>del</strong> ‘67) o “fuorilegge” (il gioco di parole è con I fuorilegge <strong>del</strong> matrimonio, ‘63, firmato insieme ad Orsini); quando propongono un’impossibile Utopia, quando si pongono fuori o contro un “Sistema” di marcusiana memoria, sia in termini di modi produttivi che in termini di modi linguistici. Ma non funzionano più quando accettano i meccanismi <strong>del</strong> mercato, o giocano coi codici dei generi o <strong>del</strong>la letteratura d’appendice; non funzionano quando le loro opere appaiono prive di “messaggi”, non più capaci, mutati i tempi, di graffiare e di aggredire, o semplicemente di proporre utopie, con la U maiuscola o con quella minuscola. Allora, sono davvero “utopisti ed esagerati” i fratelli Taviani, come li ha definiti Miccichè in quel suo antico saggio? Sono ancora, o sono mai stati, “sovversivi” e “fuorilegge”, oppure hanno accettato un “compromesso” con la vita e la politica? E la loro carica trasgressiva e militante si è esaurita con la crisi <strong>del</strong>l’ideologia, o il loro <strong>cinema</strong> si è trasformato nel 12 SOVVERSIVI E FUORILEGGE? corso <strong>del</strong>la loro ormai lunga carriera? Sono tutte domande lecite, ma sono convinto che i loro film vadano oggi rivisitati al di là dei vecchi dibattiti e dei vecchi schieramenti, applicando strumenti più adatti all’oggi; e magari al di là <strong>del</strong>le loro stesse dichiarazioni teoriche, malgrado loro stessi. Sui Taviani è stato scritto molto, sono state molte le occasioni di analisi dei loro film, varie le personali e le pubblicazioni; ma la sensazione è che ci sia senz’altro ancora uno spazio di riflessione su un <strong>cinema</strong> come il loro, che può essere letto con occhi sempre diversi, via via che passano gli anni, mutano le ideologie, si modificano gli approcci analitici. I film dei Taviani vanno rivisti con approcci e metodi più moderni – e funzionali alla complessità <strong>del</strong>l’universo contemporaneo – di quelli classici degli anni sessanta-settanta. Analizzare un film significa re-voir, propone Michel Marie: e “rivedere” significa vedere di <strong>nuovo</strong> in situazioni mutate, in mutati contesti, con differenti situazioni emotive e psicologiche, con diverse capacità e disponibilità analitiche. Si possono applicare al <strong>cinema</strong> dei Taviani metodi che sono più gettonati nel dibattito contemporaneo: tanto per fare degli esempi, <strong>cinema</strong> e psicanalisi, generi, gender, cultural studies, modi di produzione; poststrutturalismo, postmodernismo, attenzione all’elemento carnascialesco, a quello autoriflessivo, ecc. Provo a fare un esempio: gender. Sarebbe interessante analizzare, nella cornice dei women studies, il ruolo <strong>del</strong>le figure femminili nel <strong>cinema</strong> tavianeo: dalla figurina moderna di Marina Malfatti, ritratta con i modi <strong>del</strong>la nouvelle vague in Un uomo da bruciare a quella forte, antica, di Lucia Bosé in Sotto il segno <strong>del</strong>lo Scorpione; dalle donne ritratte con i toni <strong>del</strong>la contemporaneità in Fuorilegge e Sovversivi, a quelle “in costume” di Allonsanfan: la fascinosa Lea Massari, la seducente Mimsy Farmer, Laura Betti che rimanda sempre “ad altro”. La complessa femminilità di Isabella Rossellini nel Prato. Le star internazionali (Greta Scacchi, Nastassja Kinski, Isabelle Huppert, Laetitia Casta), e quelle nazionali (Stefania Rocca, Sabrina Ferilli). Le “caratteriste” (Didi Perego, Lydia Alfonsi, Enrica Maria Modugno), le molte donne <strong>del</strong> coro di La notte di San Lorenzo, con un cammeo <strong>del</strong>l’organizzatrice Grazia Volpi: come dire, la produzione al femminile. Margarita Lozano, personaggio carismatico ricorrente (La notte di San Lorenzo, Kaos, Good Morning Babilonia, Luisa Sanfelice); interprete di un femminino che mi piacerebbe mettere in gioco con alcuni suoi ruoli precedenti: ad esempio con la donna forte, la capofamiglia in Per un pugno di dollari, dove trova un altro personaggio tavianeo, Gian Maria Volonté… D’altra parte, ci sono molti elementi western nell’immaginario dei Taviani, nelle musiche (Allonsanfan musicata non a caso da Morricone), negli scontri di massa (ancora Allonsanfan), nei paesaggi (l’America di Good Morning Babilonia su tutti, ma anche Padre padrone, Kaos, Tu ridi); e persino in Un uomo da bruciare (Salvatore che sogna la sua morte, anche 13