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LINO MICCICHÈ<br />

dere. E uccidono invece quanti si oppongono al ratto, facendo strage degli<br />

abitanti <strong>del</strong>l’isola, tra cui Renno sorpreso a lavorare assieme alle sue donne.<br />

Giunte sul continente assieme ai giovani, che esaminano intanto il terreno<br />

su cui costruirsi un futuro, le donne, spinte da Glaia, decidono di suicidarsi<br />

piuttosto che di accettare la nuova condizione di spose forzate. Ma<br />

le più giovani sono per la vita e non per la morte. E se alcune di esse sono<br />

gettate a forza nel fiume dalle più anziane, altre cercano di sottrarsi e una<br />

di loro va ad avvertire gli uomini. Questi accorrono e riescono a salvare<br />

gran parte <strong>del</strong>le donne e si preparano a vivere con esse.<br />

Se Sovversivi è un film sulla realtà che si libera dalle proprie costrizioni<br />

trasgredendo la propria stessa logica, Sotto il segno <strong>del</strong>lo Scorpione (il<br />

titolo, su cui per altro si affannerà una fantasiosa esegetica, è ripreso, quasi<br />

esclusivamente per ragioni affettive, dalla prima versione <strong>del</strong> copione di<br />

Allonsanfan, allora appunto intitolata «Sotto il segno <strong>del</strong>lo Scorpione»,<br />

progetto al quale i Taviani debbono sul momento rinunciare) è «una parabola,<br />

come un apologo». Il film rappresenta, nel progressivo discorso filmografico<br />

dei Taviani, la realizzazione concreta di quanto in Sovversivi era<br />

solo astrattamente possibile: il recupero <strong>del</strong>la dimensione utopistica è già<br />

possibilità <strong>del</strong>la sua (fantastica) realizzazione. Ma la realizzazione utopica<br />

può essere soltanto immaginata, appunto, in una atemporalità che,<br />

negando il presente, collega passato mitico/storico e futuro utopico/politico<br />

poiché «in una realtà come la nostra europea, in cui non è<br />

dato pensare al momento <strong>del</strong>la sua sovversione, se non in tempi lunghi, il<br />

salto rivoluzionario si presenta come favola, nei modi <strong>del</strong>l’utopia. Un’utopia.<br />

Non una evasione». Utopisticamente, dunque, «se i personaggi dei<br />

Sovversivi cercavano [...] i protagonisti <strong>del</strong>lo Scorpione trovano». Portatori<br />

di una “sovversione” (che in realtà corrisponde, materialisticamente,<br />

alla propria autoconservazione), essi si scontrano con un gruppo che già<br />

ha operato a suo tempo la propria “sovversione” – allorché, vent’anni<br />

prima (la Resistenza?), quando nell’isola vi fu una spaventosa eruzione (gli<br />

ultimi feroci sussulti <strong>del</strong> fascismo?), riedificò il villaggio distrutto (la Ricostruzione?)<br />

– e ora gestisce quella conquista come un definitivo eterno presente.<br />

Usciti da una drammatica esperienza (anche i loro padri avevano<br />

resistito a una prima eruzione, anche i loro padri avevano ricostruito il villaggio,<br />

anche i loro padri si ritenevano al sicuro da nuove eruzioni), i nuovi<br />

venuti cercano di persuadere gli isolani che bisogna fuggire dall’isola (cioè<br />

dalla circolarità di un presente che riproduce il passato) e trasferirsi sul<br />

continente (cioè su un <strong>nuovo</strong> e più vasto spazio dialettico). E poiché il loro<br />

discorso viene rifiutato, usano la violenza per spezzare la catena di un presente<br />

riproduttivo <strong>del</strong> passato e per impadronirsi di un diverso futuro il<br />

quale, d’altronde, neppure esso, ha alcunché «di definitivo, di consolatorio»<br />

e anzi, a sua volta, «contiene già in se stesso i motivi <strong>del</strong> suo superamento».<br />

34<br />

GLI “UTOPISTI” E GLI “ESAGERATI”<br />

Tuttavia la comunità di Rutolo e Taleno non sembra destinata a riprodurre<br />

meccanicamente la stessa esperienza, vissuta da Renno a partire da<br />

vent’anni prima, di “conservazione <strong>del</strong>la rivoluzione” cioè di ideologizzazione<br />

<strong>del</strong> <strong>nuovo</strong> ordine. La contrapposizione isola/continente, così vistosamente<br />

sottolineata nel corso <strong>del</strong> film, è in questo senso significativa: così<br />

come è significativo che Rutolo e Taleno non approdino a una nuova isola<br />

bensì, appunto, nel continente. Ma il continente non si differenzia dall’isola<br />

per sue intrinseche qualità, ché anzi Rutolo e Taleno ne colgono la<br />

sostanziale identità con il paesaggio insulare («Me lo immaginavo<br />

diverso,» dicono), bensì per le condizioni strutturali: l’isola è appunto circolare,<br />

autosufficiente, solitaria, conosciuta; il continente è lineare, composito,<br />

abitato, sconosciuto. Insomma l’isola è un “microcosmo” che offre<br />

un solo rischio noto e nessuna sorpresa; il continente è il “cosmo” pieno<br />

di possibilità e di pericolo ignoti. A questo punto ci si accorge che la contrapposizione<br />

isola/continente è anche leggibile come teoria/praxis, ideologia/politica,<br />

mito/storia, e che dunque l’abbandono <strong>del</strong>l’isola (anzi la<br />

violenza contro gli isolani) corrisponde all’abbandono <strong>del</strong>l’illusione ideologistica,<br />

<strong>del</strong>la falsa coscienza consolante e paralizzante; così come l’approdo<br />

sul continente è la rimessa in circuito <strong>del</strong> moto storico e cioè il passaggio<br />

da un presente ripiegato su se stesso, come semplice rimozione <strong>del</strong><br />

passato, a un «presente nuovamente in rapporto col futuro». Nonostante<br />

questa radicalità che sembra prefigurare un grado zero <strong>del</strong>la storia, il rapporto<br />

continua in ogni caso a essere dialettico: la realtà <strong>del</strong>l’isola così violentemente<br />

negata ha un suo rilevante retaggio nella comunità di Rutolo<br />

(Taleno muore sul continente spinto in acqua dalla moglie di Renno), un<br />

retaggio che qualifica, come eredità accettata (anzi voluta) <strong>del</strong> passato-presente<br />

pur negato, i limiti <strong>del</strong>la negazione stessa: le donne degli isolani, a<br />

cominciare da Glaia, la moglie di Renno, cioè quel potenziale fisiologico<br />

di futuro (la riproduzione <strong>del</strong>la specie) che la comunità <strong>del</strong>l’isola aveva e<br />

che quella di Rutolo non aveva, un qualcosa che apparenta il rapporto tra<br />

le due comunità a quello distruttivo/nutritivo che Totò e Ninetto hanno<br />

con il corvo pasoliniano di Uccellacci e uccellini. Anche da tale angolazione<br />

Sotto il segno <strong>del</strong>lo Scorpione torna a proporre il tema <strong>del</strong> “parricidio” che,<br />

sintomaticamente, aleggia in molto <strong>cinema</strong> pre-sessantottesco e sessantottesco,<br />

e che d’altronde era già emergente in Sovversivi: la differenza è<br />

che qui il padre da eliminare, come il figlio “parricida”, sono sostituiti<br />

dallo scontro tra comunità, significando così la frantumazione dei mitici<br />

archetipi individuali nella storia dei rapporti collettivi.<br />

Sotto il segno <strong>del</strong>lo Scorpione è, come hanno detto gli stessi autori, «un<br />

film semplice»; e «così elementare nella struttura, così semplice nella linea<br />

narrativa, appare come un film scandaloso». Ma «tutte le cose semplici<br />

[...] implicano sempre una molteplicità di significazioni». Per questo esso<br />

è anche un film ricchissimo, pieno di sottosensi e soprasensi, all’interno e<br />

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