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scarica documento - Mostra internazionale del nuovo cinema

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VITO ZAGARRIO<br />

qui musicata alla western da Gianfranco Intra). E allora il discorso porterebbe<br />

a rintracciare gli elementi <strong>del</strong> “genere” (hollywoodiano o non) all’interno<br />

<strong>del</strong> loro <strong>cinema</strong>: il cappa e spada, il road movie, il film carcerario, il<br />

melodramma, il feuilleton, persino il “film d’impegno civile” inteso come<br />

filone.<br />

Gli stessi due insiemi più tradizionali con cui si sono studiati i Taviani,<br />

“<strong>cinema</strong> & storia” e “<strong>cinema</strong> & letteratura”, possono essere revisionati<br />

con posizioni meno consuete. Si veda, a titolo indicativo, un libro che si<br />

occupa di storia, inserendola però nell’ambito dei cultural studies statunitensi:<br />

in Revisioning History. Film and the Construcion of a New Past,<br />

Robert Rosenstone cuce in un volume collettaneo (come è di moda tra gli<br />

studiosi americani) una serie di interventi su film disparati: da Distant Voices,<br />

Still Lives di Terence Davies a Walker di Alex Cox, da Hiroshima mon<br />

amour a Mississipi Burning. Ma vengono analizzati anche due film italiani:<br />

Dal polo all’equatore <strong>del</strong>la coppia Gianikian & Ricci-Lucchi, e La notte di<br />

San Lorenzo dei fratelli Taviani. Il saggio è affidato a Pierre Sorlin. 2 Anche<br />

per quanto riguarda la relazione con la fonte letteraria, si può spostare l’attenzione,<br />

oltre alle tradizioni alte, alle “pratiche basse”, al feuilleton, alla<br />

letteratura “popolare”, e spiegare così il matrimonio recente dei Taviani<br />

con la “fiction” televisiva, la loro apertura e il loro interesse verso un immaginario<br />

di massa, verso un pubblico “di profondità” (è un problema che<br />

si pone in questo volume, lavorando sul testo filmico, Lorenzo Cuccu<br />

quando affronta gli ultimi due, controversi, film televisivi).<br />

E perché non applicare ai Taviani le osservazioni di Bachtin sul carnevale,<br />

o quelle di Deleuze sulla voce fuori campo e sul continuum sonoro,<br />

o quelle di Stam e di Grande sull’autoriflessività?<br />

È per questo che il <strong>cinema</strong> di Paolo e Vittorio Taviani è rivisitato, in questo<br />

volume, da molteplici punti di vista, da studiosi di età culturale ed anagrafica<br />

diverse. Ci sono i testimoni <strong>del</strong> dibattito critico, quelli che hanno<br />

vissuto il fervore <strong>del</strong>la battaglia culturale, da Bruno Torri a Callisto<br />

Cosulich a Tullio Kezich (quest’ultimo testimone in diretta degli esordi dei<br />

Taviani in tv), da Pietro Toesca a Virgilio Fantuzzi. Ci sono gli studiosi che<br />

hanno seguito l’opera dei Taviani in Italia e all’estero, da Sandro Bernardi a<br />

Jean Gili. E ci sono critici, ricercatori, studiosi anche non specialisti di <strong>cinema</strong>,<br />

di varie generazioni che approfondiscono relazioni già note: <strong>cinema</strong> &<br />

televisione (Monteleone, Giusti), <strong>cinema</strong> & letteratura (Bragaglia, Ferroni,<br />

Fancelli), <strong>cinema</strong> & teatro (Ruffini), <strong>cinema</strong> & storia (Iaccio), o tentano<br />

approcci inediti: il rapporto con l’inconscio (Salvatore), tema fondamentale<br />

eppure ancora tutto da scoprire nei Taviani, oppure l’analisi <strong>del</strong>le tecniche<br />

<strong>del</strong>la messa in scena, come la sceneggiatura, il suono, i dialoghi (Perniola,<br />

Setti, Polato). In questo ambito, cruciale è l’analisi <strong>del</strong>la regia (qui il<br />

compito è affidato a Eugenio Premuda), un tema che mi sta particolarmente<br />

a cuore e su cui tornerò fra un attimo con più precisione.<br />

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SOVVERSIVI E FUORILEGGE?<br />

Il modo di produzione dei Taviani<br />

Ma anche l’analisi <strong>del</strong> “modo di produzione” è fondamentale, a maggior<br />

ragione per i Taviani, che vengono da una formazione marxista. Nel<br />

loro caso, infatti, si possono applicare le varie sfumature <strong>del</strong>la formula: il<br />

loro <strong>cinema</strong> si può inserire in un dibattito ideologico di ampio spettro,<br />

relativo al capitalismo contemporaneo, ma i loro film possono essere analizzati<br />

dal punto di vista dei finanziamenti, <strong>del</strong>le modalità con cui l’operazione<br />

produttiva è stata gestita, dei tipi di relazione tra costi e organizzazione<br />

<strong>del</strong>la produzione; e le loro “opere” possono essere analizzate alla<br />

luce <strong>del</strong> team produttivo e tecnico, dai collaboratori artistici alla tipologia<br />

di maestranze. Nel loro caso, il “modo di produzione” può essere inteso<br />

come interrelazione e mutua influenza tra il dato tecnico-artistico <strong>del</strong>la<br />

divisione professionale <strong>del</strong> lavoro e l’espressività autoriale, tra<br />

l’“apparato” <strong>cinema</strong>tografico e lo stile <strong>del</strong> film, oppure connotare un<br />

intero sistema industriale in una data epoca, il micro-sistema <strong>del</strong>la società<br />

o <strong>del</strong>l’industria <strong>cinema</strong>tografica italiane.<br />

Nei loro confronti, si può coniugare una riflessione sulle “professioni”<br />

e sui “mestieri” <strong>del</strong> <strong>cinema</strong> con l’analisi <strong>del</strong> fatto estetico e <strong>del</strong>la testualità<br />

filmica. La “tecnica”, per loro, può essere intesa in ampio modo, come<br />

analisi <strong>del</strong>le tecnologie, strumenti <strong>del</strong> “racconto” filmico, coniugata con<br />

l’espressività, vale a dire con lo stile, il segno riconoscibile, l’autorialità.<br />

Da qui la serie di testimonianze che ho deciso di pubblicare, interventi,<br />

contributi e ricordi <strong>del</strong>la loro “squadra” tecnico artistica, quella che è stata<br />

definita una sorta di “bottega” rinascimentale, un gruppo affiatato e irrinunciabile<br />

che è certamente co-autore <strong>del</strong> <strong>cinema</strong> di Paolo e Vittorio. Un<br />

esempio di storia orale utilissima a ricostruire un universo espressivo. Dare<br />

la parola a Grazia Volpi (prima organizzatrice e poi produttrice dei loro<br />

film), a Roberto Perpignani (montatore di tutti i loro film da Sotto il segno<br />

<strong>del</strong>lo Scorpione in poi), alla costumista (nonché moglie di Paolo) Lina Nerli<br />

Taviani, ai direttori <strong>del</strong>la fotografia Lanci e Di Giacomo, al musicista<br />

Nicola Piovani, ormai diventato personaggio di rilievo <strong>internazionale</strong>,<br />

ecc., vuol dire ricostruire quel mo<strong>del</strong>lo produttivo, quel team e quella<br />

“famiglia”.<br />

Un mo<strong>del</strong>lo di <strong>cinema</strong> “povero” che fa <strong>del</strong>l’esiguità <strong>del</strong>le risorse una<br />

sfida stilistica. Come negli scenari scarni di Sotto il segno <strong>del</strong>lo Scorpione,<br />

o nel set praticamente unico di San Michele. Anche quando, nel Prato,<br />

appare improvvisamente l’elicottero, si nota come lo sforzo produttivo sia<br />

ottimizzato: e così la scena finale di Giovanni morente in elicottero porta<br />

con sé anche altre inquadrature dall’alto, come quella aerea dei bambini<br />

– bella invenzione poetica – che danzano in fila verso il bosco al suono <strong>del</strong><br />

pifferaio magico. Ed è in questa prospettiva che Allonsafan può essere considerato<br />

un film “di svolta”, proprio se si analizza il salto distributivo che<br />

il “gruppo” fa in questo film, e che fa capire l’esigenza di spettacolo che i<br />

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