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Lucera, un viaggio tra i sensi

Le origini di Lucera si perdono nei millenni, sono numerose le prove della sua esistenza fin dall’epoca più remota, anche se non è possibile stabilire con certezza l’anno della sua fondazione. Una leggenda vuole che la nostra bellissima città esistesse già al tempo di Diomede, che dopo la distruzione di Troia, arrivò a Lucera e offrì, in atto propiziatorio, le sue armi a Minerva, alla quale era dedicato un tempio, all’epoca molto famoso.

Le origini di Lucera si perdono nei millenni, sono numerose le prove della sua esistenza fin dall’epoca più remota, anche se non è possibile stabilire con certezza l’anno della sua fondazione. Una leggenda vuole che la nostra bellissima città esistesse già al tempo di Diomede, che dopo la distruzione di Troia, arrivò a Lucera e offrì, in atto propiziatorio, le sue armi a Minerva, alla quale era dedicato un tempio, all’epoca molto famoso.

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>”<br />

di Rosanna Schiraldi<br />

RELAZIONE FINALE DEL PROGETTO DI SERVIZIO CIVILE NAZIONALE:<br />

“LA PROVINCIA DI FOGGIA TRA STORIA, ARTE E NATURA”<br />

PREMESSA<br />

LUCERA… DA VEDERE<br />

Anfiteatro romano<br />

Basilica cattedrale<br />

Fortezza svevo-angioina<br />

Teatro Garibaldi<br />

Santuario di San Francesco<br />

Scorci tipici<br />

LUCERA… DA ASCOLTARE<br />

Stornelli lucerini<br />

Proverbi e detti popolari<br />

Racconti popolari<br />

Tradizioni lucerine<br />

LUCERA… DA GUSTARE<br />

Ciccekutte<br />

Farrata<br />

Mbriakille<br />

Cacc’e Mmitte<br />

LUCERA… DA TOCCARE<br />

Artigianato e vecchi mestieri<br />

LUCERA… E IL SESTO SENSO<br />

2<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


4<br />

Chiesa di Sant’Antonio Abate, eretta da Roberto d’Angiò nel 1330, particolare cupola policroma risalente<br />

al 1648<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


PREMESSA<br />

5<br />

Nei vari corsi di formazione, generale o specifica e quindi finalizzati all’approfondimento<br />

delle tematiche <strong>tra</strong>ttate in sede di progetto del servizio civile, i vari formatori che abbiamo<br />

conosciuto e si sono avvicendati nei vari incontri, hanno spesso sostenuto che “ l’ esperienza<br />

del servizio civile ti cambia la vita”. Oggi, quando sono ormai prossima alla fine di questo<br />

percorso posso testimoniare che è vero, poiché ho imparato a “percepire e vivere” il mio<br />

territorio in modo differente.<br />

Spesso, infatti, presi come siamo dalla frenetica routine della vita quotidiana, perdiamo di<br />

vista e d’ attenzione quanto ci circondi, in particolare i dettagli, quelli che poi fanno la<br />

differenza <strong>tra</strong> il consueto e lo s<strong>tra</strong>ordinario.<br />

Alla luce di tutto ciò, ho pertanto pensato di elaborare la relazione finale del mio progetto<br />

impostandola come <strong>un</strong> vero e proprio <strong>viaggio</strong> sensoriale in <strong>Lucera</strong>, la mia città: questo<br />

perché ho scoperto, come purtroppo e sicuramente ancora pochi miei concittadini, che c’è<br />

veramente tanto da vedere, ascoltare, gustare, toccare e che c’è ancora qualcosa di più che<br />

caratterizza ciò che è oggettivamente determinabile, <strong>un</strong> patrimonio culturale definibile<br />

“ immateriale” fatto di proverbi, storia, racconti, <strong>tra</strong>dizioni e riti <strong>tra</strong>mandati di padre in<br />

figlio e che ogni giorno rischiano di disperdersi, schiacciati come siamo dagli input<br />

quotidiani della vita moderna e delle nuove tendenze. Questo <strong>viaggio</strong> virtuale vuole<br />

pertanto essere <strong>un</strong>o stimolo al guardarci intorno con sempre maggior attenzione, con occhio<br />

diverso ma soprattutto con la consapevolezza che anche la più piccola pie<strong>tra</strong> ha <strong>un</strong>a storia<br />

ed <strong>un</strong> vissuto da raccontare.<br />

Se è vero quindi che bisogna mantenere in vita, tutelare e valorizzare la “<strong>Lucera</strong> tangibile” è<br />

pur vero che non si può prescindere dal <strong>tra</strong>cciare, <strong>tra</strong>mandare e com<strong>un</strong>icare la “<strong>Lucera</strong><br />

intangibile” che risulta determinante per <strong>un</strong>a corretta ricostruzione della nos<strong>tra</strong> storia.<br />

La relazione seguirà pertanto il suo percorso sensoriale passando dalla vista per quanto<br />

relativo a monumenti, arte ed architettura al tatto per l’artigianato ed i vecchi mestieri, dal<br />

gusto e l’olfatto per cibi e bevande all’udito per musica e poesia, seguendo con attenzione e<br />

mi auguro <strong>un</strong>a mia gradita personale interpretazione i cinque <strong>sensi</strong> e arricchendosi, come in<br />

premessa, di quanto definito “sesto senso” inteso esso come intuizione nell’innovare<br />

l’interpretazione della cittadina sveva ma in questa particolare contesto quale mondo della<br />

leggenda, fiaba e credenza popolare.<br />

“Equipaggiato dai suoi cinque <strong>sensi</strong>, l’uomo esplora l’<strong>un</strong>iverso attorno a lui e chiama<br />

l’<strong>un</strong>iverso Scienza”; Edwin Hubble definisce in questo aforisma la sintesi della nos<strong>tra</strong><br />

passeggiata nella città che fu regno e sede di grandi uomini ed episodi storici e ci perdonerà<br />

se, in modo irriverente, ho aggi<strong>un</strong>to il sesto senso, paragonando <strong>Lucera</strong> all’Universo solo per<br />

chiamare il nostro tour veramente “avventura”. Buon <strong>viaggio</strong>.<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

<strong>Lucera</strong>… da vedere<br />

6<br />

Le origini di <strong>Lucera</strong> si perdono nei millenni, sono numerose le prove della sua esistenza fin<br />

dall’epoca più remota, anche se non è possibile stabilire con certezza l’anno della sua<br />

fondazione. Una leggenda vuole che la nos<strong>tra</strong> bellissima città esistesse già al tempo di<br />

Diomede, che dopo la distruzione di Troia, arrivò a <strong>Lucera</strong> e offrì, in atto propiziatorio, le<br />

sue armi a Minerva, alla quale era dedicato <strong>un</strong> tempio, all’epoca molto famoso.<br />

<strong>Lucera</strong> sorge su tre colli, il più alto dei quali è il Monte Albano, moltissime sono le<br />

testimonianze di vita che custodisce il museo civico “ G. Fiorelli”: armi litiche ed utensileria<br />

varia dell’epoca preistorica, esemplari di ceramica ad impasto dell’età protostorica, monete<br />

mosaici, sculture. Ciò che è certo è che la città federiciana, anche per la sua posizione<br />

s<strong>tra</strong>tegica, è stata da sempre centro nevralgico delle Puglie e ciò è dimos<strong>tra</strong>to dalle numerose<br />

dominazioni che ivi si sono susseguite. Un <strong>viaggio</strong> at<strong>tra</strong>verso i monumenti di <strong>Lucera</strong> è <strong>un</strong><br />

<strong>viaggio</strong> at<strong>tra</strong>verso la sua storia, le culture che in essa hanno avuto modo di svilupparsi e che<br />

ci hanno resi “Lucerini nel Mondo”.<br />

ANFITEATRO ROMANO<br />

L’Anfiteatro romano, destinato ad ospitare gli spettacoli dei gladiatori, restituisce al<br />

visitatore <strong>un</strong>’immagine maestosa e consente di ricostruire il profilo di <strong>un</strong>a città<br />

particolarmente vitale in età romana.<br />

L’Anfiteatro venne costruito in età augustea , <strong>tra</strong> il 27 a.C.<br />

ed il 14 d.C. , quando la città fu oggetto di <strong>un</strong> ampio<br />

programma di riorganizzazione interna e di<br />

monumentalizzazione, per volere di Marco Vecilio Campo e<br />

dedicata a Ottaviano Augusto. L’anfiteatro ha <strong>un</strong>a pianta<br />

ellittica ed <strong>un</strong>a capienza stimata <strong>tra</strong> i 16000 e 18000<br />

spettatori. Si accede all’interno dell’arena, che misura<br />

75,20x43,20 metri, at<strong>tra</strong>verso i due grandi portali decorati<br />

a bassorilievo, identici nella struttura, abbelliti con<br />

colonne ioniche, sormontate da <strong>un</strong> maestoso archi<strong>tra</strong>ve e<br />

da <strong>un</strong> frontone decorato a bassorilievo collocati in<br />

corrispondenza dell’asse maggiore dell’edificio.<br />

Sull’archi<strong>tra</strong>ve è possibile vedere l’epigrafe dedicatoria a<br />

Ottaviano Augusto, nella quale si legge che l’anfiteatro venne costruito su terreno privato e a<br />

spese di Marco Vecilio Campo, membro di <strong>un</strong>a nota famiglia lucerina, trib<strong>un</strong>o militare,<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


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prefetto dei fabbri, duoviro iure dic<strong>un</strong>do, e da questi offerto all’imperatore Ottaviano<br />

Augusto e alla colonia di <strong>Lucera</strong>. Con la dedica a Ottaviano Augusto, Marco Vecilio Campo<br />

sottolineava l’adesione al programma politico e ideologico dell’ imperatore che, spesso, si<br />

recava a <strong>Lucera</strong> per assistere a combattimenti fra gladiatori, venationes, esecuzioni capitali,<br />

invio di cristiani “ad bestias”, combattimenti fra bestie feroci e finte naumachie tanto che<br />

“Luceria” viene citata anche nel suo testamento politico. Al termine delle scalinate si<br />

trovano gli spoliaria, ambienti utilizzati per la preparazione degli atleti o anche per la loro<br />

cura laddove feriti,in queste strutture sono visibili<br />

<strong>tra</strong>tti di “opus reticulatum”.<br />

Due ingressi secondari si aprono alle estremità<br />

dell’asse <strong>tra</strong>sversale e immettono direttamente<br />

nell’arena, delimitata da <strong>un</strong> canale di displuvio e<br />

dal podio, all’interno del quale si aprono quattro<br />

carceres. Al di sotto dell’arena si sviluppa <strong>un</strong>a<br />

galleria sotterranea che si amplia in tre fosse, che<br />

erano destinate ad ospitare servizi, animali e<br />

macchinari utilizzati negli spettacoli ludici. Le<br />

gradinate erano adornate da insegne di<br />

corporazioni, mentre sculture in pie<strong>tra</strong> e marmo<br />

adornavano l’ambulacro esterno. L’intero corpo<br />

architettonico era recinto da <strong>un</strong>’alta muraglia che<br />

reggeva il “velarium”, suddiviso in tanti spicchi di<br />

tela che scorrevano <strong>tra</strong>mite <strong>un</strong> sistema di corde e<br />

di anelli. Il monumento ha subito <strong>un</strong>a<br />

risistemazione intorno alla fine del I sec. d. C. o gli<br />

inizi del II sec. d. C.<br />

Distrutto nel 663 d.C. da Costante II, nel corso del tempo fu spesso considerato “<strong>un</strong>’ ottima<br />

cava di materiale”. E’stato riportato alla luce at<strong>tra</strong>verso <strong>un</strong>a serie di scavi, iniziati nel 1932<br />

e terminati col restauro nel 1948. Un ulteriore intervento di recupero e restauro, realizzato<br />

con finanziamenti dell’A.P.Q. Regione Puglia “Beni culturali Sistema delle aree<br />

Archeologiche” iniziato nel 2006 e concluso nel 2009, ha consentito <strong>un</strong>a più adeguata<br />

valorizzazione del monumento, anche per manifestazioni e rappresentazioni nel settore<br />

culturale e dello spettacolo.<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

LA BASILICA CATTEDRALE<br />

8<br />

Il Duomo di <strong>Lucera</strong> , dedicato<br />

a santa Maria Ass<strong>un</strong>ta, è<br />

certamente <strong>un</strong>o dei più<br />

importanti monumenti<br />

dell'architettura gotica<br />

dell'Italia meridionale,<br />

rispecchia <strong>un</strong>o stile limpido e<br />

sobrio, il "gotico angioino".<br />

Venne costruito per volontà di<br />

Carlo II d'Angiò, a partire<br />

dall'Ottobre del 1300 e venne<br />

terminato verso il 1317.<br />

Sorge nella piazza più<br />

importante della città, piazza<br />

Duomo, già Foro in epoca romana, e con la sua imponenza ( circa 25 metri di altezza e 1700<br />

mq di superficie), domina la piazza.<br />

La Cattedrale, intenzionalmente, sorge sui resti di <strong>un</strong>a moschea araba, rasa al suolo dagli<br />

angioini che distrussero anche altre strutture di espressione tipicamente araba presenti in<br />

città. La costruzione della Chiesa rappresentava il passaggio dalla "<strong>Lucera</strong> Saracenorum" a<br />

"<strong>Lucera</strong> Civitas Sanctae Mariae", <strong>un</strong> vero segno del ritorno alla cristianità.<br />

La Cattedrale fu dichiarata Monumento Nazionale nel 1874 e negli anni successivi subì <strong>un</strong><br />

ulteriore restauro che abolì le cappelle barocche laterali delle quali ormai ci rimangono solo<br />

testimonianze fotografiche.<br />

E' costruita in pie<strong>tra</strong> e laterizi ed in essa si mescolano con sobrietà la <strong>tra</strong>dizione federiciana<br />

del regno di Sicilia e l'architettura francese.<br />

La Cattedrale ha <strong>un</strong> prospetto asimmetrico sul quale si aprono tre portali corrispondenti alle<br />

tre navate interne.<br />

Il portale cen<strong>tra</strong>le, ricorda l'ingresso del Palazzo di Federico II di Foggia, è ornato da due<br />

colonne in marmo verde con capitelli e nella l<strong>un</strong>etta che lo sovrasta è inserita <strong>un</strong>'edicola che<br />

racchiude <strong>un</strong> gioiello dell'arte scultorea del Trecento: Santa Maria col Bambino in braccio,<br />

anche conosciuta come Madonna della L<strong>un</strong>etta. Più in alto è possibile ammirare lo stemma<br />

angioino con i caratteristici gigli e, sul timpano, a metà '600, venne posta la statua di San<br />

Michele con due angeli ai lati. Domina la parte più alta della facciata <strong>un</strong> rosone privo di<br />

raggiera.<br />

A lato della porta sinis<strong>tra</strong> si erge <strong>un</strong> agile torricino ottagonale, probabile ricordo di <strong>un</strong><br />

minareto arabo. Sulla porta di des<strong>tra</strong> si erge <strong>un</strong>a torre quadrilatera a tre ordini di piano con<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


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bifore romaniche e monofore a <strong>tra</strong>foro gotico sui quali poggia <strong>un</strong>' elegante cella campanaria<br />

a base ottagonale e guglia piramidale del 1500.<br />

Il Duomo ha la pianta a croce latina con tre navate individuate da due file di arcate ogivali<br />

sorrette da colonne in <strong>tra</strong>vertino con base in marmo.<br />

Il portale maggiore e i pilastri di tutti gli archi del <strong>tra</strong>nsetto sono ornati da colonne in<br />

marmo caristio. L’interno ha <strong>un</strong>a austera copertura lignea che con sapienti giochi di luce<br />

regala <strong>un</strong> grande senso di dinamismo all’imponente struttura.<br />

All’interno della navata<br />

des<strong>tra</strong> vi è la statua di <strong>un</strong><br />

personaggio, sdraiato su di<br />

<strong>un</strong> fianco, <strong>un</strong> tempo<br />

additato al pubblico<br />

dispregio. Di notevole<br />

importanza la scultura<br />

dell’Eterno Padre del 1500 e<br />

la Madonna delle Stelle di<br />

scuola giottesca.<br />

L’abside, affrescato con<br />

scene con scene della vita<br />

della Vergine attribuite a<br />

Belisario Carenzio, ospita la<br />

las<strong>tra</strong> di marmo, che fu la mensa di Federico II presso castel Fiorentino, utilizzata come<br />

altare, retta da colonnine ornate con bellissimi capitelli. Nella volta sovrastante, in quattro<br />

medaglioni, i Santi Vescovi lucerini.<br />

Il coro ligneo di Nicodemo De Simone è del 1799 mentre, la balaus<strong>tra</strong> in legno che delimita<br />

la zona absidale è del 1906.<br />

A sinis<strong>tra</strong> dell’abside sorge la cappella “Gagliardi o del Sacro Cuore”, affrescata con scene<br />

della infanzia di Cristo attribuite a Fabrizio Santafede. Nella stessa si conserva la reliquia del<br />

teschio del beato Agostino Casotti, vescovo di <strong>Lucera</strong>.<br />

A des<strong>tra</strong> dell’abside vi è la cappella “Gallucci o del Santo Volto” che ospita <strong>un</strong> monumento<br />

sepolcrale in pie<strong>tra</strong> che , secondo molti, raffigura Carlo II d’Angiò, <strong>un</strong>a statua in marmo<br />

proprio del Gallucci il quale fece affrescare la cappella con immagini relative al Martirio<br />

degli Apostoli, <strong>un</strong> affresco del Santo Volto di autore ignoto e <strong>un</strong> Cristo Ligneo di scuola<br />

renana di fine ‘400.<br />

Altre opere presenti nella Basilica sono <strong>un</strong>’ “Ultima cena” del 1600 del Rizzo e la “Madonna<br />

della Seggiola” del Santacroce datata 1555.<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

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Di notevole pregio il battistero ricoperto da <strong>un</strong>a raffinata cupola ottagonale sorrette da<br />

quattro colonne, con pie<strong>tra</strong> alluvionale che poggia su <strong>un</strong>a base di ocra rossa ed <strong>un</strong> ciborio in<br />

pie<strong>tra</strong> lavorata in stile rinascimentale.<br />

Utilizzato in passato come pulpito, è il sarcofago del cinquecento della famiglia Scassa,<br />

raffinatamente adornato con gli stemmi gentilizi del casato.<br />

Più recente, ma non meno d’effetto, è il candelabro in bronzo del Cero pasquale, dono della<br />

città federiciana alla Basilica in occasione del Giubileo del 2000.<br />

LA FORTEZZA SVEVO-ANGIOINA<br />

La Fortezza svevo-angioina sorge sul colle più alto di <strong>Lucera</strong>, dove sorgeva l’acropoli<br />

romana.<br />

E’ <strong>un</strong> sito che racchiude al suo interno <strong>tra</strong>cce di epoche diverse: capanne neolitiche, ruderi<br />

del periodo romano e di quello svevo, condotti idrici, resti di <strong>un</strong>a Chiesa con sacrestia<br />

attigua, dedicata a San Francesco d’Assisi di epoca angioina.<br />

La Fortezza nasce per volontà di Federico II di Svevia il quale, <strong>tra</strong> il 1223 e il 1233, dopo<br />

aver soffocato i tumulti dei Saraceni in Sicilia ne portò <strong>un</strong>a parte consistente a <strong>Lucera</strong>,<br />

creando <strong>un</strong>’isola islamistica in mare cristiano.<br />

I saraceni furono sempre liberi di professare la propria religione, di mantenere le loro<br />

<strong>tra</strong>dizioni offrendo in cambio soldati all’ esercito di Federico II. E’ nel 1233 che inizia la<br />

costruzione del Palatium imperiale sul Monte Albano di <strong>Lucera</strong>.<br />

Esso rappresentava <strong>un</strong> importante avamposto del “sistema castellare svevo” posto a tutela<br />

del Tavoliere, <strong>un</strong>’area militarmente ed economicamente importante per la produzione<br />

cerealicola e vitivinicola, nonché di grande interesse venatorio , era infatti <strong>un</strong>’importante<br />

area di caccia.<br />

Del Palatium federiciano<br />

oggi si conserva solo lo<br />

zoccolo di base che<br />

corrisponde al vano<br />

magazzino, il muro a<br />

scarpa con le 9 feritoie<br />

per lato, corrispondente<br />

alla “galleria dei<br />

tiratori”, <strong>un</strong>a semivolta a<br />

crociera, il piano del<br />

cortile con il bacino<br />

cen<strong>tra</strong>le che accoglieva la<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


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vasca di <strong>un</strong>a fontana.<br />

Le quattro ali abitative, che costituivano il corpo cen<strong>tra</strong>le del complesso, si elevavano su tre<br />

livelli. Quello inferiore, che dava sul cortile interno, era disposto alla stessa quota della<br />

galleria degli arcieri.<br />

Gli altri due piani emergevano dal cammino di ronda. La pianta del terrazzo, per <strong>un</strong><br />

sapiente gioco di archi ogivali, realizzati nei quattro angoli del cortile all’altezza dell’ultimo<br />

piano, si <strong>tra</strong>sformava, all’interno, in ottagono, anticipando così lo schema di Castel del<br />

Monte.<br />

Il Palatium federiciano era quindi <strong>un</strong> vero e proprio castello difficilmente accessibile, ma<br />

anche <strong>un</strong>a fantastica e lussuosa dimora imperiale.<br />

Pare che Federico II per la decorazione del Palatium fece arrivare , nel 1240, direttamente<br />

da Napoli “super collum”, cioè a spalla, delle statue di grande valore e non mancarono<br />

bottini di guerra come <strong>un</strong>a figura maschile e <strong>un</strong>a vacca in bronzo che arrivarono nella<br />

fortezza dopo il saccheggio di Roma e dintorni del 1242.<br />

In Federico II inscindibilmente erano innati l’amore per il lusso e i gusti più delicati<br />

dell’umanista e ciò si rifletteva evidentemente nell’arredo del Palatium.<br />

Qui l’imperatore svevo, immerso nel verde dei boschi e dei pascoli da<strong>un</strong>i, veniva a ritrovare<br />

pace e serenità e a comporre versi poetici.<br />

A seguito della sconfitta degli Svevi ad opera di Carlo I d’Angiò (1268), gli Angioini<br />

costruirono <strong>un</strong>a cinta muraria, l<strong>un</strong>ga 900 metri, in cui venne inglobato il Palatium<br />

federiciano, creando così <strong>un</strong>a Fortezza.<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

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La cinta è rinforzata da 22 torri e resa inaccessibile da <strong>un</strong> profondo e largo fossato, che la<br />

separa dal paese e alle cui estremità si ergono la Torre della Regina (o della Leonessa) e la<br />

Torre del Re (o del Leone).<br />

Alla Fortezza si accede da Porta <strong>Lucera</strong> at<strong>tra</strong>verso <strong>un</strong> ponte di legno e ferro costruito nel<br />

2000 in occasione dell’anno giubilare.<br />

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13<br />

IL TEATRO GARIBALDI<br />

Il Teatro “Garibaldi” è situato all’interno del Palazzo Mozzagrugno, sede del M<strong>un</strong>icipio, in<br />

Corso Garibaldi.<br />

Fu progettato dall’architetto Oberty, nel 1837. In origine si chiamò “Real Teatro Maria<br />

Teresa Isabella”, in quanto<br />

intitolato a Maria Teresa<br />

Isabella di Borbone.<br />

Successivamente venne<br />

dedicato a Garibaldi.<br />

Venne inaugurato la sera<br />

del 7 giugno 1838, furono<br />

presentate due opere: la<br />

“Lucia di Lammermoor” di<br />

Donizetti e poi “La<br />

Sonnambula” di Bellini.<br />

La decorazione della parte<br />

interna del teatro, affidata<br />

ad artisti provenienti dalla Capitale del Regno, fece si che questa struttura fosse ritenuta<br />

<strong>un</strong>a gemma dell' architettura e della decorazione.<br />

La sala era di forma semicircolare, con <strong>un</strong>a platea di circa 100 posti, due ordini di palchi ed<br />

<strong>un</strong>a galleria fornita di due file di panche.<br />

Nel 1903 fu previsto l’ampliamento del Teatro con <strong>un</strong> progetto curato dell’ing. Angelo<br />

Messeni, che si stava occupando della realizzazione del Teatro “Petruzzelli” di Bari.<br />

L’ampliamento prevedeva tre ordini di palchi e <strong>un</strong>a capienza che superava i 500 posti.<br />

Sul sipario, al centro è dipinto il panorama di <strong>Lucera</strong> con a des<strong>tra</strong> la Fortezza svevoangioina<br />

e a sinis<strong>tra</strong> il Tempio di Minerva, davanti al quale c’è “<strong>Lucera</strong>”, <strong>un</strong>a donna che<br />

sostiene con la mano des<strong>tra</strong> la statua di Pallade.<br />

Da quel momento il nostro gioiello venne spesso definito " Il piccolo Petruzzelli”.<br />

L'inaugurazione avvenne nel 1908 il teatro e da quel momento conobbe <strong>un</strong> periodo di grande<br />

fasto e fervore artistico al quale segui <strong>un</strong> periodo di totale abbandono durante le guerre<br />

mondiali.<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

La chiusura definitiva si ebbe alla fine degli anni ’40.<br />

14<br />

Nel 1977 venne approvato il<br />

progetto di recupero<br />

dell’edificio ma il<br />

completamento definitivo<br />

dei lavori si è avuto a inizio<br />

2005.<br />

Splendidamente restaurato,<br />

è stato inaugurato nel<br />

marzo 2005, così finalmente<br />

"U Garebbalde, tiatre de na<br />

vote" ,così come recitava <strong>un</strong><br />

tipico stornello lucerino, è<br />

tornato a risplendere nella<br />

sua fastosa bellezza.<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


LA CHIESA DI SAN FRANCESCO<br />

15<br />

La Chiesa di San Francesco, fatta costruire da Carlo II d’Angiò in onore di San Francesco<br />

d’Assisi, è il simbolo, insieme alla Cattedrale, della rinascita della cristianità nella città<br />

federiciana.<br />

I lavori, iniziati nel 1300, terminarono nel 1304.<br />

La chiesa subì dei restauri in stile barocco nella prima metà del Settecento in quanto ridotta<br />

in rovina da intemperie e terremoti per volere del Padre Maestro, frate francescano lucerino.<br />

Un ulteriore<br />

architettonico <strong>tra</strong> il 1936<br />

e il 1943 la riportò allo<br />

splendore primitivo.<br />

La chiesa presenta<br />

ancora la sua<br />

configurazione<br />

originaria, in essa si<br />

fondono elementi<br />

romanici e gotici,<br />

presenta infatti <strong>un</strong><br />

prospetto a capanna di <strong>tra</strong>dizione romanica adornato da <strong>un</strong> ampio portale gotico<br />

leggermente strombato su cui spicca in alto lo stemma angioino e da <strong>un</strong> bellissimo rosone a<br />

sedici raggi ricostruito nel 1943.<br />

L’interno della chiesa è ad <strong>un</strong>a sola navata ampia, altissima, coperta da <strong>un</strong> soffitto a<br />

capriate lignee e illuminata da quattro monofore ogivali, L'essenzialità e l'austerità delle<br />

linee richiamano la semplicità tipica delle chiese francescane.<br />

L’abside ha <strong>un</strong>a pianta pentagonale ed è separato dalla navata da <strong>un</strong> arco trionfale in pie<strong>tra</strong><br />

tiburtina (18 m.), ha la volta costolonata a semiombrello ed è illuminata da tre finestroni<br />

gotici. Esternamente è rafforzato da con<strong>tra</strong>fforti angolari.<br />

Gli affreschi che decorano l'abside <strong>tra</strong>ttano il tema della Passione.<br />

Sotto il finestrone di des<strong>tra</strong> <strong>un</strong>a bifora in gotico fiorito incornicia <strong>un</strong>’opera d’arte di grande<br />

effetto pur nella sua semplicità,<strong>un</strong>’Ann<strong>un</strong>ciazione del 1300.<br />

L'antico altare in marmo, posto al centro dell'abside, è stato sostituito da <strong>un</strong>o più modesto,<br />

al di sotto del quale sono custodite ,in <strong>un</strong>' urna di bronzo, le spoglie del Padre Maestro,<br />

ovvero San Francesco Antonio Fasani.<br />

Il santo lucerino fu canonizzato il 13 aprile 1986 da Giovanni Paolo II.<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

16<br />

Sulla parete d’ingresso della chiesa sono presenti due tele di scuola napoletana del secolo<br />

XVIII di Girolamo Gennatempo, che raffigurano S. Gennaro e la Madonna della<br />

Provvidenza .<br />

Altre tele raffigurano i miracoli attribuiti al Santo per procedere alla sua beatificazione (15<br />

aprile 1951), mentre in <strong>un</strong> armadio si conservano i suoi vestiti logori e il cilicio, che il santo<br />

indossava per fare penitenza.<br />

In alto, l<strong>un</strong>go la vasta navata, <strong>tra</strong>cce di<br />

affreschi settecenteschi narranti episodi<br />

della vita di San Francesco d’Assisi,<br />

ricoperti da <strong>un</strong> velo d’intonaco,<br />

Nella chiesa ci sono anche altre opere d’arte<br />

e diverse epigrafi che ricordano le ricche<br />

famiglie benefattrici (De Nicastri, Scoppa,<br />

Nocelli, Lombardo).<br />

La navata è arricchita da cinque altari<br />

laterali del 1700 in pie<strong>tra</strong> arenaria, lavorata<br />

a fiorame.<br />

Gli altari accolgono le statue lignee di San<br />

Francesco (1713) e l’Immacolata (1718),<br />

realizzate en<strong>tra</strong>mbe da Giacomo Colombo;<br />

l’Ecce Homo (1500), il Crocifisso (1600) e<br />

Sant’Antonio da Padova (1943).<br />

La Chiesa di San Francesco è stata<br />

dichiarata Santuario diocesano nel 2001<br />

poiché conserva le reliquie di San<br />

Francesco Antonio Fasani.<br />

Nel novembre del 2008, invece, è stata<br />

dichiarata “Monumento Testimone di <strong>un</strong>a<br />

Cultura di Pace”.<br />

Un’ulteriore ristrutturazione della zona absidale e del campanile e restauro degli affreschi si<br />

è avuta nel periodo compreso <strong>tra</strong> il 2002 e il 2005.<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


17<br />

LA “STRETTA DI CACIANELLA”<br />

Sicuramente <strong>un</strong>o degli scorci più caratteristici della<br />

nos<strong>tra</strong> città, la stretta di Ciacianella è <strong>un</strong>a piccola<br />

viuzza. La vicinanza dei palazzi alla quale non è<br />

possibile ad oggi dare <strong>un</strong>a spiegazione di carattere<br />

urbanistico o architettonico, avvicina due strutture<br />

nel suo p<strong>un</strong>to massimo a quasi cinquanta centimetri<br />

creando così <strong>un</strong> effetto molto, molto particolare che<br />

fa della stretta di Ciacianella <strong>un</strong>a viuzza che si piazza<br />

al secondo posto , nell’ambito di <strong>un</strong>a graduatoria<br />

impensabile fino all’avvento e all’affermazione dei<br />

media, misura infatti solo <strong>un</strong> paio di centimetri in più<br />

di <strong>un</strong>’ imboccatura, situata nel com<strong>un</strong>e marchigiano<br />

di Ripa<strong>tra</strong>nsone, in provincia di Ascoli Piceno, che si<br />

è visto assegnare la palma del vicolo più stretto<br />

d’Italia.<br />

Si sa di sicuro che nella s<strong>tra</strong>tta vi era <strong>un</strong>a cantina, “ a cantina Ciacianèlla”, ma non si sa se<br />

sia stata la s<strong>tra</strong>dina a dare il nome alla cantina o viceversa.<br />

Altri scorci tipici della nos<strong>tra</strong> città sono la Casetta<br />

Merlata del 1500 sita in Vico Valletta, la torretta<br />

saracena, ricordo dell’epoca sveva in Via Z<strong>un</strong>ica,<br />

<strong>un</strong>a caratteristica via del centro storico cittadino.<br />

Di grande effetto i “portoni senza porta” cioè dei<br />

portoni di grandi dimensioni dai quali si ha<br />

accesso a cortili di forma quadrata intorno ai quali<br />

si aprono numerosi “sottani”. Questi erano<br />

abitazioni per lo più di monovano a livello<br />

s<strong>tra</strong>dale che prendevano luce da “a vetrine” cioè<br />

dalla porta a vetri.<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

LE EDICOLE VOTIVE<br />

18<br />

Percorrendo le s<strong>tra</strong>de del centro storico della nos<strong>tra</strong> città non è difficile vedere nelle facciate<br />

dei palazzi delle nicchie che, come scrigni, custodiscono <strong>un</strong>’immagine sacra.<br />

La prima edicola votiva, nata a <strong>Lucera</strong>, era dipinta di azzurro, scavata nella facciata di <strong>un</strong>a<br />

casa ed accoglieva <strong>un</strong>’icona di Santa Maria Patrona; davanti alla nicchia ogni sera la gente si<br />

ri<strong>un</strong>iva a recitare il rosario chiedendo conforto e protezione e per chiedere la fine della guerra<br />

affinchè i soldati potessero far ritorno a casa. In quel periodo, mentre Foggia era quasi<br />

distrutta dai bombardamenti,<br />

<strong>Lucera</strong>, protetta dalla Sua<br />

Patrona, veniva risparmiata e<br />

diventava il rifugio degli sfollati<br />

foggiani.<br />

Le prime edicole votive a <strong>Lucera</strong><br />

sorgono nel 1943, per ricordare la<br />

devozione del popolo lucerino per<br />

Santa Maria e poi per San<br />

Francesco Antonio Fasani, santo<br />

lucerino.<br />

Le edicole votive sono il simbolo<br />

della devozione e della preghiera<br />

della gente semplice per la loro<br />

protettrice, che risale all’833, per i<br />

lucerini Santa Maria ha da sempre<br />

poteri miracolosi; a Lei i lucerini<br />

ricorrevano e ricorrono per<br />

chiedere aiuto nei momenti più<br />

difficili come guerre e siccità oltre<br />

che malattie.<br />

In poco tempo i vicoli del centro storico si riempirono di edicole votive; se ne contano oltre<br />

cinquanta che, a seconda delle possibilità economiche dei proprietari delle abitazioni erano<br />

decorate in modo più semplice o più sfarzoso.<br />

Ancora oggi le nicchie sono curate e adornate con fiori e luci.<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


<strong>Lucera</strong>… da ascoltare<br />

STORNELLI LUCERINI<br />

Teneme nu castille<br />

Sop’a na bèlla coppe;<br />

d’abbasce l’è guardà<br />

pecché ‘nze po’ ‘nghianà;<br />

po’ stace ‘anfitèatre,<br />

pèrò si vin’a sere,<br />

tu nenn u puje truva<br />

pecchè luce ‘ngè ne stà.<br />

Lariulì, lariulà;<br />

lariulì, lariulì là là.<br />

Tenem’a cattèdrale,<br />

na chise tant’andiche,<br />

19<br />

Abbiamo <strong>un</strong> castello<br />

Su <strong>un</strong>a bella collina;<br />

devi guardarlo dalla parte bassa<br />

perché non si può salire;<br />

poi c’è l’anfiteatro,<br />

però se vieni la sera,<br />

non riuscirai a trovarlo<br />

perché non c’è illuminazione.<br />

Lariulì, lariulà;<br />

Lariulì, lariulì, là là.<br />

Abbiamo la cattedrale,<br />

<strong>un</strong>a chiesa molto antica,<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

‘nze pote vesetà<br />

Chè sèmpe chiuse stà;<br />

stace na geventù:<br />

guagli<strong>un</strong>e e fegghiulette,<br />

u strusce vonne fa,<br />

ma nen vonne fategà.<br />

Lariulì, lariulà;<br />

lariulì, lariulì là là.<br />

Ammizze sa frangische<br />

Ce stace u trebb<strong>un</strong>ale,<br />

pèrò t’agghia ‘vvesà<br />

chè nu defètte stà:<br />

a si te capetasse<br />

de farce nu prucisse,<br />

te puje spenzarà<br />

chè cint anne adda durà.<br />

Lariulì, lariulà;<br />

lariulì, lariulì là là.<br />

Da quase settant’anne<br />

Tenerne l’acquedotte<br />

Ma nen te puije lavà<br />

Chè acque ‘nge ne stà<br />

Però ogne trè mise<br />

T’arrive l’èccedenze,<br />

ma tu chè ce puije fa’,<br />

t’haia mètt a gastemà.<br />

Lariulì, lariulà;<br />

lariulì, lariulì là là.<br />

Ce stace u garebbalde<br />

Tiatre de na vote,<br />

s’avessa fa’ ggiustà;<br />

ma chi t’u vole dà;<br />

te face mal’u core si vide come stà<br />

ma ci’ hamma dà da fa’<br />

pecchè nuje l’hamma salvà.<br />

20<br />

ma non si può visitare<br />

perché è sempre chiusa;<br />

c’è <strong>un</strong>a gioventù:<br />

ragazzi e ragazze ,<br />

che vogliono passeggiare ma non vogliono<br />

lavorare.<br />

Lariulì, lariulà;<br />

Lariulì, lariulì, là là.<br />

In piazza Trib<strong>un</strong>ali, davanti san Francesco<br />

C’è il trib<strong>un</strong>ale,<br />

però voglio avvisarti:<br />

c’è <strong>un</strong> problema:<br />

se ti dovesse capitare<br />

di farci <strong>un</strong> processo,<br />

puoi toglierti il pensiero,<br />

durerà cent’anni.<br />

Lariulì, lariulà;<br />

Lariulì, lariulì, là là.<br />

Da quasi settant’anni<br />

abbiamo l’acquedotto<br />

ma non puoi lavarti<br />

perché non c’è acqua<br />

però ogni tre mesi ti arriva l’eccedenza,<br />

ma tu cosa puoi fare ,<br />

devi metterti a bestemmiare.<br />

Lariulì, lariulà;<br />

Lariulì, lariulì, là là.<br />

C’è poi il Garibaldi,<br />

teatro di <strong>un</strong>a volta,<br />

si dovrebbe ristrutturare<br />

ma ness<strong>un</strong>o fa niente;<br />

ti fa male il cuore<br />

se vedi come è ridotto<br />

ma ci dobbiamo dare da fare<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


Lariulì, lariulà;<br />

lariulì, lariulì là là.<br />

Nu piatte cecatille,<br />

c’a ruchela nus<strong>tra</strong>ne,<br />

te vogghie fa’ pruvà,<br />

pe fart’ addecrejà;<br />

si pruve nu bucchire<br />

de vine Cacc’ e ‘mmitte,<br />

attinte t’haja stà’,<br />

pe nen te ‘mbriacà.<br />

Lariulì, lariulà;<br />

lariulì, lariulì là là.<br />

i’ggeènte de Lucere<br />

so tutte ‘nfocaciucce:<br />

citte nen sanne stà’,<br />

sèmp hanna cretecà;<br />

ma tènene nu core<br />

ch’è quant’e na quartare<br />

perciò chi ven’aqquà,<br />

‘nze ne vole chiù turnà.<br />

Lariulì, lariulà;<br />

lariulì, lariulì là là.<br />

21<br />

perché noi dobbiamo salvarlo.<br />

Lariulì, lariulà;<br />

Lariulì, lariulì, là là.<br />

Un piatto di orecchiette con la rucola selvatica<br />

Vorrei farti assaggiare ,<br />

per farti deliziare;<br />

se assaggi <strong>un</strong> bicchiere<br />

di vino cacc’è ‘Mmitte ,<br />

devi stare attento<br />

potresti ubriacarti.<br />

Lariulì, lariulà;<br />

Lariulì, lariulì, là là.<br />

I lucerini sono tutti “’nfocaciucce”:<br />

non sanno stare zitti,<br />

devono sempre criticare<br />

ma hanno <strong>un</strong> cuore grandissimo<br />

perciò chi viene a <strong>Lucera</strong> non se ne vuole più<br />

andare.<br />

Lariulì, lariulà;<br />

Lariulì, lariulì, là là.<br />

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22<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


PROVERBI E DETTI POPOLARI<br />

23<br />

· “Val chiù a spèse c’a ‘imprese!” ( “Vale più la spesa che l’impresa!”)<br />

· “Ndò ved’e ndò cèche!” (“Dove vede e dove no!”)<br />

· “I tre putinte: u pape, u re e chi ‘ntene ninte” ( “I tre potenti, il Papa, il Re e chi<br />

non ha niente!”)<br />

· “ ’Nte fedanne d’i rusce, d’i curt’ e d’i musce!” (“ Non ti fidare dei rossi, dei corti<br />

e dei mosci!”)<br />

· “Santandùne :màsquer’ e s<strong>un</strong>e!” ( “S.Antonio Abate : maschere e suoni!”)<br />

· “Aspitte, ciucce mije, quann’arriv’ a pagghia nove!” ( “Aspetta, ciuco mio,<br />

quando arriva la paglia nuova!”)<br />

· “Chi campe ritte, camp’ afflìtte!” (“Chi vive<br />

onestamente, vive tristemente!”)<br />

· “Addummànn’ ‘o cantenìre si u vin’ è<br />

bbùne!” (“Domandi al cantiniere se il vino è<br />

buono!”)<br />

· “Avete de chiazz’ e trìvele de case!” (“Avido<br />

di piazza e tribolo di casa!”)<br />

· “Ciucc’ e presentùse!” (“Asino e<br />

pres<strong>un</strong>tuoso!”)<br />

· “ A gatt’ ‘a despènze cume face accussi se<br />

pènze!” (“ La gatta della dispensa come fa così<br />

pensa!”)<br />

· “E’ mort u criatùre e ‘nzime chiù cumpàre!”<br />

(“E’ morto il bambino e non siamo più<br />

compari!”)<br />

· “Chi manche de cape paghe de sacche!” (<br />

“Chi manca di testa, paga di tasca!”)<br />

· “Chi prime s’agàveze, prime se càveze!” ( “Chi prima si alza prima si calza! “)<br />

· “ Vace truvànne scus’e maletiempe!” (“Va trovando scuse e maltempo!”)<br />

· “Gènte de m<strong>un</strong>tagne: ‘nce pird’ e ‘nce guadagne!” (“Gente di montagna: non ci<br />

perdi e non ci guadagni!”)<br />

· “Esce sèmpe cum’ e mercudì ammizz’ a settimane!” (“Esce sempre come<br />

mercoledì in mezzo alla settimana!”)<br />

· “Da nanze t’allisce, da rète te strisce!” (“Davanti ti accarezza, di dietro ti<br />

striscia!”)<br />

· “A furie face fà i figghie cecàte!” (“La fretta fa fare i figli ciechi!”)<br />

· “Sop’ ‘o cutte l’acqua vellùte!” (“Sulla parte scottata l’acqua bollente!”)<br />

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24<br />

· “Chi sèmmen’ arrecògghie!” (“Chi semina raccoglie!”)<br />

· “A brutte annànz’ a porte sgrign’ a cchi passe!” (“La brutta davanti alla porta<br />

deride chi passa!”)<br />

· “L’ ànema triste nn’ a vole manche Criste!” (“L’anima malvagia non la vuole<br />

neppure Cristo!”)<br />

· “Senza denare ‘nze càntene mèsse!” (“Senza denari non si cantano messe!”)<br />

· “Criste dace u pane a chi ‘ntène dinte!” (“Cristo dà il pane a chi non ha denti!”)<br />

· “Acqua quièt’ appantàn’ e fète!” (“L’acqua quieta stagna e puzza!”)<br />

· “Chi se despiàce d’ a carne de l’àvete, a sùje s’a màgnen’ i cane!” (“Chi si<br />

dispiace della carne degli altri, la sua se la mangiano i cani!”)<br />

· “Chi tène mamme nen chiagne!” (“Chi ha la mamma non piange!”)<br />

· “Cant’ e cucante, a nnammurat’ è sorde!” (“Canto e canto, l’innamorata è<br />

sorda!”)<br />

· “Chi sparagna sprèche!” (“Chi risparmia spreca!”)<br />

· “U sàzie ne ‘ncrèd’ ‘o ddiùne!” (“Il sazio non crede a chi è digi<strong>un</strong>o!”)<br />

RACCONTI POPOLARI<br />

U CIUCCE I DUJE PATRUNE di Pasquale Zolla<br />

Ce stève ‘na vòte nu ciucce assaje fategatòre; facève<br />

tutt’i fatighe kè c stèvene da fa sènza maje<br />

laggnarse, pure si nn’u facèvene maggnà.<br />

L’<strong>un</strong>eka desgrazzja suje ère kuèlle d’avè duje<br />

patr<strong>un</strong>e, duje frete kè l’èvene avute nredetà d’ò<br />

patre, pekkuje nu jurne fategave pe v<strong>un</strong>e è n’avete<br />

pe n’avete.<br />

Nu jurne, dòppe tanda fatighe, turnaje a’stalle è u<br />

prime partòne se skurdaje de guvernale.<br />

U pòvere ciucce uardaje nda mangiatore ma ne<br />

ndrùuaje da maggnà,pèrò arrumanìje citte citte.<br />

L’atu patròne nze n’ère add<strong>un</strong>ate kè u frate nne<br />

l’ère guvernate è a ‘kkussì passaje ‘a nòtte!<br />

‘A matina dòppe u ciucce nne stève tande stalliggne<br />

è u sekònne patròne penzaje:” Ogge nenn’è jurnate<br />

pe ffarle fategà !” è sse ne jije fòre sènza darle da<br />

maggnà.<br />

Stu fatte s’arreretìje pe paricchje jurne: i duje<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


25<br />

patr<strong>un</strong>e ne nvedènne le tande stalliggne u lassavenestà, però se ne skurdavene sèmbe de<br />

governarle.<br />

Nessci<strong>un</strong>e d’i duje decève pèrò a l’avete ka s’ère skurdate de dà da maggnà ò ciucciarille.<br />

U pòvere ciucce, passanne i jurne, jève sèmb’a ‘rrèt’a ‘rrète è nu bbèlle jurne chjamajene u mideke<br />

d’i nnemale pe ffarle vedè. Se purtajene nda stall’è u trùuajene k’a kape ammukkate nda<br />

mangiatore.<br />

Umideke d’i nnemale, vedènn’a mangiatore pulite kum’a nnummaje, addummannaje :” Né, ma<br />

l’avite date da maggnà?”.<br />

E’ i duje patr<strong>un</strong>e kum’a duje fèsse se uardajene mbacce è ddecìjene:”Ghìje nò; è ttu?”.<br />

Kuanne grusse addeventate, arrecurdateve sèmbe, kare figghje, kè a ndò duje galle kandene ne<br />

nface maje jurne!<br />

L’ASINO DEI DUE PADRONI<br />

C’era <strong>un</strong>a volta <strong>un</strong> asino che lavorava senza stancarsi mai; faceva tutti i lavori che c’erano<br />

da fare senza mai lagnarsi,anche se non lo facevano mangiare.<br />

L’<strong>un</strong>ica sua disgrazia era quella di avere due padroni, due fratelli che lo avevano ereditato<br />

dal padre , per la qual cosa <strong>un</strong> giorno lavorava con <strong>un</strong> fratello e l’altro con l’altro.<br />

Un giorno, dopo tanto lavoro, tornò alla stalla e <strong>un</strong>o dei due padroni si dimenticò di<br />

governarlo.<br />

Il povero asino guardò nella mangiatoia ma non trovò da mangiare,però rimase in silenzio.<br />

L’altro padrone non si accorse che il fratello non l’aveva governato e così passo la notte!<br />

La mattina dopo l’asino non era in forze e il secondo padrone pensò: “Oggi non è giornata per<br />

farlo lavorare!”, e se ne andò in campagna senza dargli da mangiare.<br />

Questo fatto si ripetè per parecchi giorni: i due padroni non vedendolo tanto in forze lo<br />

lasciavano stare, però si dimenticavano sempre di governarlo.<br />

Ness<strong>un</strong>o dei due diceva però che si era dimenticato di dare da mangiare all’asinello.<br />

Il povero asino, passando i giorni, andava sempre peggio e <strong>un</strong> giorno chiamarono il<br />

veterinario per fargli <strong>un</strong>a visitina. Si portarono nella stalla e trovarono l’asino con la testa<br />

nella mangiatoia.<br />

Il veterinario, vedendo la mangiatoia ben pulita, chiese:”Ne, ma gli avete dato da mangiare?”<br />

I due padroni come due fessacchiotti si guardarono in faccia e dissero:”Io no, e tu?” Quando<br />

sarete grandi, cari figlioli, ricordatevi sempre che dove cantano due galli non fa mai giorno!<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

LUCERINE MBOKKACIUCCE di Pasquale Zolla<br />

26<br />

E’ mmò venime ò sekonne ggnure : mbokkaciucce.<br />

Lucèere ère ‘na prùuìnge d’u règgne taljane <strong>tra</strong> i cchjù gròsse, ma k’a venute d’i frangise ò’ pòste<br />

suje venìje fatte Fògge.<br />

Stu fatte p’i pòvere kaf<strong>un</strong>e passaje sènza ‘na minema prutèste pekkè éve state fatte citte citte nd’i<br />

palazze a ndò stann ‘i bbutt<strong>un</strong>e d’u kumanne. Kum<strong>un</strong>gue i Lucerine arrumanìjene malamènde<br />

assaje pekkè se putève fa lustre d’u jurne decènn’i mutìve d’u spustamènde.<br />

I fuggiane , a llòre vòte, nz'akk<strong>un</strong>dandavane ssckitte d'u titele de prùuinge, vulèvene pure ka u<br />

trebb<strong>un</strong>ale ke tutt'i dukumènde fusse purtate ò' pajèse lòre.Pèrò kuillu spustamènde avarrìje<br />

sènz'avete krjate prubblème, pure pekkè i kart'è kkartuccèlle a llà sestènde ndenèvene pite pe<br />

kkammenà, ma s'èvena a pegghjà.<br />

Nu jurne i fuggiane addecedìjene de farle de nòtte pe pàvure de kakkè ssciarrjate.Ma v<strong>un</strong>e de<br />

kuilli k'addecedìjene u pjane , parlaje k'a mugghjère de kuille ka putève succède.<br />

'A mugghjère se trùuàje a parlà, ne nvulènne, ke 'na kumbaggne è cchjane chjane u fatte arrevaje<br />

è rècchje d'i Lucerine kè se mettìjene sòp a'llerte.<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


27<br />

Dòppe 'na settemane s'addecedìje u jurne d'ù <strong>tra</strong>sluke: 'a nòtte arravugghjajene i pite de 'na<br />

cendenare de ciucciarille ke tanda cènge, p'attutì u remòre d'i ciambe tukkanne tèrre, è s'abbjajene<br />

vèrze Lùcere.<br />

I Lucerine, pèrò, venìjene a kkanuscènze d'u pjane è sòp a s<strong>tra</strong>te ka pòrte a Ffògge, pe devirze<br />

kelòmetre, jettajene pe ndèrre tand'è tanda pagghje è vvène pe nvugghjà a maggnà i<br />

ciucciarille.Nfatte kuilli pòvere nnemalucce de frònd'a tanda grazzje de Ddìje nzapìjene dì de nò<br />

è sse mttìjene a maggnà kum 'a 'rraggiate.<br />

U skrujate jèv'è vvenève sòp'a skine d'i ciucce, ma kuille nzendèvene raggiòne, maggnajene tande<br />

kè s'all<strong>un</strong>gjene pe ndèrr è a llà arrumanìjene fin'a kuann'u sòle ngile akkumbarìje.<br />

Ifuggiane arrumanìjene ke tande de nase è u trubb<strong>un</strong>ale restaje a llà a ndò è ssèmbe state è stace<br />

tutt'òre.<br />

Kume vedite, kare figghje, nn'èje necessarje 'a vjulènze ò u rekatte p'arraggi<strong>un</strong>ge i skòpe pròbbete,<br />

ma avaste nu pòke de fandasìje p'uttenè i stèsse resultate.U trubb<strong>un</strong>ale è arrumase a Llucère,<br />

pèrò da tanne è è lucerine è state cchjuppate nu sekònne ggnure ka angòre gògge ce vène<br />

date:Lucerine mbòkkaciucce.<br />

LUCERINI IMBOCCA ASINI<br />

<strong>Lucera</strong> era <strong>un</strong>a delle province del regno d’Italia <strong>tra</strong> le più grandi, ma con l’avvento dei<br />

francesi al suo posto venne fatta Foggia.<br />

Questo avvenimento passò senza alc<strong>un</strong>a protesta perché era stato preparato in silenzio nei<br />

luoghi dove c’era il comando. Com<strong>un</strong>que i lucerini rimasero assai male perché si poteva fare<br />

senza tanti sotterfugi dicendo i motivi di tale spostamento.<br />

I foggiani, a loro volta, non si accontentarono solo del titolo di provincia , volevano anche il<br />

trib<strong>un</strong>ale e tutti i documenti ivi custoditi. Però quello spostamento avrebbe senz’altro<br />

creato dei problemi, anche perché le diverse carte lì esistenti on avevano gambe per potersi<br />

muovere , ma si dovevano andare a prendere.<br />

Un giorno i foggiani decisero di farlo di notte per timore di qualche sommossa. Ma <strong>un</strong>o di<br />

quelli che prepararono il piano, spifferò tutto alla moglie. La moglie si trovò a parlare, non<br />

volendo, con <strong>un</strong>’amica e piano piano il fatto arrivo alle orecchie dei lucerini che si misero in<br />

allarme.<br />

Dopo <strong>un</strong>a settimana si decise il giorno del <strong>tra</strong>sloco: la notte avvolsero i piedi di <strong>un</strong> centinaio<br />

di asini con tanti cenci, per attutire il rumore delle zampate toccando terra, e si avviarono<br />

verso <strong>Lucera</strong>.<br />

I Lucerini, per, vennero a sapere del piano e sulla s<strong>tra</strong>da che porta a Foggia , per diversi<br />

chilometri, buttarono per terra tanta di quella paglia e avena per invogliare a mangiare gli<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

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asini. Infatti quei poveri animali di fronte a tanta grazia di Dio non seppero dire di no e si<br />

misero a mangiare a più non posso.<br />

La frusta andava e veniva sulle loro schiene, m quelli non sentivano ragione, mangiarono<br />

tanto che si all<strong>un</strong>garono per terra e rimasero lì fino al sorgere del sole.<br />

I foggiani rimasero con <strong>un</strong> palmo di naso e il trib<strong>un</strong>ale restò a <strong>Lucera</strong>.<br />

Come vedete, cari figli, non è necessaria la violenza o il ricatto per raggi<strong>un</strong>gere degli scopi,<br />

ma basta <strong>un</strong> po’ di fantasia per avere gli stessi risultati. Il trib<strong>un</strong>ale è rimasto a <strong>Lucera</strong>, però<br />

da quel giorno ai lucerini è stata appioppata la nomea che ancora oggi ci viene rivolta:<br />

lucerini imbocca asini.<br />

NANNURKE di Pasquale Zolla<br />

Ce stève ‘na vòte a nu pajèse de m<strong>un</strong>daggne, ‘na matrèje k’agabbetave k’a figghj’è kk’a fegghjastre<br />

nda nu supranètte ke nu bbèlle bbalek<strong>un</strong>gine k tanda graste de ce<strong>tra</strong>tèll’è vvasenekòle.<br />

‘A matrèje ère ‘na fèmmene ndussekòse assaje, ka, sekkome ‘a fegghjastre ère cchjù aggraziate d’a<br />

figghje, ‘a mal<strong>tra</strong>ttave a òggnè mmòd’è mmanère.Pìa figghje, appeèrò, ce s<strong>tra</strong>vedève: urdenave<br />

sèmbe vèste nove, i kkattave puz’è bbrellòkke d’òre è i facève passà tutt’i sfizzje.<br />

Nu jurne ‘a fegghjastre, sekkòme i ttukkavene tutt’i faccènne de kase, stève assettate sòp’ò<br />

bbalek<strong>un</strong>gine, ke ‘na cèsta nzine, a sskurzà i pesille. Kuanne fernìje, <strong>tra</strong>mènde stève pe t<strong>tra</strong>sì’a<br />

sèggia dinde, menaje ‘na bbòtte de vinde è ‘a cèste kadìj’a bbasce nd’u kurtigghje.<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


29<br />

Nda stu kurtigghhje, dind'a nu suttane, agabbetave sule sule nu vècchje kè tettekuande<br />

chjamavene “ Nannurke”, tand'ève bbrutte, sguèrce è ppeluse.<br />

Kuann'a fegghjòle asscennìje a 'bbassce p'arrekuparà 'a cèste, Nannurke 'a 'cciaffaje pe nu<br />

vrazze è ss'a<strong>tra</strong>sìje dinde.<br />

“Nè, bbèlla fegghjò, u saje ka pe ppòke nen m'abbussckave 'a cèste ngape?Mò, pe ppenenetènze,<br />

m'haja zappà 'a kase”.<br />

Allà ce stèven'a 'nzime, appujate a nu zinne, 'na zapp'è 'na skòpe. A uagghhjòne, k'ère 'na<br />

chjapp'è mmbèse, kapìje subbete 'a s<strong>un</strong>ate, è mmèce d'a zappe, dìje mane a'skòpe è ffacìje 'na<br />

bbèlla puluzzate.<br />

“Mò, m'haja zappà 'a kape!”.<br />

E' kkuèll'i passaje 'a pettenèsse a'mmizz'è kapille <strong>tra</strong>zzeluse è i facìje 'na bbèlla kapalisce k'a<br />

skrime da nu late.E' Nannurke tutte k<strong>un</strong>dènde:”Si state addavaramènde bbrave è tte vògghje fà<br />

nu rrejale:vuje 'na vèste de rakane ò 'na<br />

vèste de sète?”.<br />

'A uagghjòne ka fetève d'arze, kapìje<br />

subbete a 'ndò Kuille vulève jì a pparà<br />

è, miccia micce, resp<strong>un</strong>nìje:” 'A vèste<br />

de rakene!”.<br />

E' u vècchje:”E' gghìje te dènghe kuèlle<br />

de sete!”; Kacciaje d'ò stepòne nu bbèlle<br />

vestite de fagghja nèreve tutte skullate è<br />

sbracciate kè, kuann'a fegghjòle s'u<br />

mettìje, parève 'na reggenèlle.<br />

Kuann stève pìakkummjatarze, u<br />

vècchje i decìje:”E' mmò, bbèlla fegghjò,<br />

te vògghje dà pure nu k<strong>un</strong>zigghje: mò<br />

ka te ne vaje, a ssi sinde kandà nu galle<br />

avassce 'a cape; a ssi sinde arragghjà<br />

nu ciucce agaveze 'a kape”.<br />

'A fegghjòle, k'ère 'na figghje de<br />

ndròcchje, ève ggià kapite k'èva fà tutt'u<br />

k<strong>un</strong>drarje de kuille ka kumannave<br />

Nannurke. Appene sendìje nu<br />

kikkrakki agavezaje a' kape è<br />

ss'abbussckaje 'na bbèlla stèlle de<br />

bbrellande mbrònde.Kuann'anghjanaje<br />

sòpe ke sta stèlle k'alluccechjave, avìj'akk<strong>un</strong>dà tuttekòse pe ffil'è ppe ssèggne.<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

30<br />

'A matrèje, mmedjòse , penzaje:”Mò fazze fà i stèsse kòse a figghjeme, a ?kkussì pure ghèsse ave<br />

pe rrjale 'na bbèlla stèlle de bbrellòkke”. 'A chjamaje, 'a nzengherjaje bbèlla bbèlle, jettaje 'n'ata<br />

vòte 'a cèste nd'u kurtigghje è 'a 'bbjaje. Ma 'a figghje, nenn'ère fina fine kum'a fegghjastre; ère<br />

'na mèzza bbabbe è, kkuanne Nannurke i cerkaje i stèsse kòse, u pegghjaje mbaròle è ò' pòste de<br />

skupà, zappaje avaramènde 'a mat<strong>un</strong>ate è, a 'kkussì, 'a mettìje sòttasòpe.Mmèce de lavà i pjatte,<br />

k'a zapp' i facìje frikuele frikuele.E' kuanne Nannurke 'a kumannaje de farce 'a kape, k'a zappe,<br />

pe ppòke nenn'u mannave a' Kròcia Vèrde.E' tanne Nannurke i vulìje fà 'na bbèlla frekature.<br />

Apprim'i ddummannaje: “Vuje 'na vèste de rakene ò 'na vèste de sète?”.<br />

E' kkuèlle, fèssa fèsse, spalazzaje tande d'ucchje :”De sète!.....de sète!”. E' i ttukkaje subbete<br />

v<strong>un</strong>e tutte de rakene kè, kuanne s'a mettìje, parève nu sakke de karav<strong>un</strong>e.Pò, pe k<strong>un</strong>zigghje, u<br />

vècchje i decìje tutt'u k<strong>un</strong>drarje d'a prima vòte :”A ssi kande u galle, kal 'a kape; assi ragghje u<br />

ciucce agaveze 'a kape”, è kkuèlle, fèssa fèsse, a 'kkussì facìje.<br />

U ciucce abbjaje a rragghjà, kuèlla kalamòne agavezaje 'a kape è s'abbussckaje mbacce pitete è<br />

kkòde de ciucce.<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


NONNO ORCO<br />

31<br />

C’era <strong>un</strong>a volta in <strong>un</strong> paesino di montagna, <strong>un</strong>a matrigna che viveva con <strong>un</strong>a figlia e <strong>un</strong>a<br />

figlias<strong>tra</strong> in <strong>un</strong>a casa al primo piano con <strong>un</strong> bel balcone con tanti vasi di menta e basilico.<br />

La matrigna era <strong>un</strong>a donna molto cattiva e, siccome la figlias<strong>tra</strong> era molo più bella della<br />

figlia, la mal<strong>tra</strong>ttava in ogni momento della giornata. Per la figlia, però, s<strong>tra</strong>vedeva:<br />

ordinava vestiti nuovi, le comprava brillanti e le faceva passare tutti i desideri.<br />

Un giorno la figlias<strong>tra</strong> , siccome le toccavano tutte le faccende di casa ,stava seduta sul<br />

balcone , con <strong>un</strong>a cesta sulle gambe,a togliere i piselli dai baccelli. Quando finì, mentre stava<br />

per rien<strong>tra</strong>re la sedia in casa , tirò <strong>un</strong>a forte folata di vento e la cesta cadde giù nel cortile.<br />

In quel cortile, in <strong>un</strong> sottano, abitava da solo <strong>un</strong> vecchietto che tutti chiamavano “ Nonno<br />

Orco”, tanto era brutto, guercio e peloso.<br />

Quando la ragazza scese giù per prendere la cesta, Nonno orco la prese per <strong>un</strong> braccio e la<br />

tirò in casa.<br />

“Ne , bella ragazza, lo sai che per poco non mi buscavo la cesta in testa?Ora, per penitenza, mi<br />

devi zappare la casa!”<br />

Lì c’erano, in <strong>un</strong> angolo, zappa e scopa insieme. La ragazza, che era <strong>un</strong>a furbacchiona,<br />

comprese subito cosa desiderava e, invece della zappa, diede mano alla scopa e fece <strong>un</strong>a bella<br />

pulizia.<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

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“Ora, mi devi zappare la testa!”<br />

E quella passò il pettine <strong>tra</strong> i capelli sporchi e gli fece <strong>un</strong>a bella aggiustatina con la riga di<br />

lato. E Nonno orco tutto contento: “Sei stata veramente brava e ti voglio fare <strong>un</strong> dono: voi <strong>un</strong>a<br />

veste di juta o <strong>un</strong>a di seta?”<br />

La ragazza, che era molto in gamba, comprese subito dove voleva arrivare e, con<br />

<strong>tra</strong>nquillità, rispose:”La veste di juta!”<br />

E il vecchio:”E io ti regalo quella di seta!”; tirò fuori dall’armadio <strong>un</strong> bel vestito di faglia nero<br />

tutto scollato e con le maniche corte che, quando la ragazza l’indossò, sembrava <strong>un</strong>a piccola<br />

regina.<br />

Nel momento del commiato, il vecchio le disse: “E ora, bella ragazza , ti do anche <strong>un</strong><br />

consiglio:quando te ne andrai, se senti <strong>un</strong> gallo cantare abbassa la testa ;se senti ragliare <strong>un</strong><br />

asino alza la testa!”.<br />

La ragazza, che era assai scal<strong>tra</strong> , aveva già capito che doveva fare tutto il con<strong>tra</strong>rio di<br />

quello che diceva Nonno orco. Appena sentì <strong>un</strong> chicchirichì alzò la testa ed ebbe <strong>un</strong>a bella<br />

stella di brillanti sulla fronte.<br />

Quando torno a casa con la stella luccicante , dovette raccontare tutto alla matrigna.<br />

La matrigna , invidiosa , pensò:”Ora faccio fare le stesse cose a mia figlia, così lei avrà <strong>un</strong>a<br />

bella stella di brillanti!”. La chiamò, le sussurrò cosa doveva fare, gettò di nuovo la cesta nel<br />

cortile e la mandò giù.<br />

Ma la figlia, non era furba come la sorellas<strong>tra</strong>; era <strong>un</strong>a sciocca e, quando Nonno Orco le<br />

chiese le stesse cose da fare , lo prese il parola e al posto della scopa, zappò veramente il<br />

pavimento della casa e, così, lo mise sottosopra. Invece di lavare i piatti, con la zappa li fece<br />

a pezzettini. E quando Nonno orco le comandò di pettinarlo, con la zappa, per poco non lo<br />

mandò alla Croce Verde .E allora Nonno Orco le volle fare <strong>un</strong>a bella fregatura. Prima le<br />

chiese :”Vuoi <strong>un</strong>a veste di juta o <strong>un</strong>a di seta?”<br />

E quella, da sciocca spalancò tanto d’occhi :”Di seta!...Di seta!”. E le toccò <strong>un</strong>a di juta che ,<br />

quando l’indossò, sembrava <strong>un</strong> sacco di carbone. Dopo, per consiglio, il vecchio disse tutto il<br />

con<strong>tra</strong>rio della prima volta:”Se senti cantare <strong>un</strong> gallo, abbassa la testa; se senti ragliare <strong>un</strong><br />

asino alza la testa”, e quella stupida com’era , così fece.<br />

L’asino ragliò, quella sciocca alzò la testa e si buscò in faccia scorreggia e coda d’asino.<br />

GGEGGILLE TOZZE E I GALLUCCE di Pasquale Zolla<br />

Ggeggille ère nu malabbùuàtte ka kambave de spedinde è tenève 'a fernesìje p'i gallucce.<br />

Nu jurne, <strong>tra</strong>mènde facève sott'è ssòpe p'i s<strong>tra</strong>te d'ù pajese, ng<strong>un</strong>draje nu seggnòre ka tenève duje<br />

gallucce è i'ddummannaje:”Bèllò, kè l'haja vènne?”.<br />

Kuille i resp<strong>un</strong>nìje:” Sònghe venute da fòre pròbbete pe kkuiste!”.<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


33<br />

E' Ggeggille, allèreghe allèreghe, i dcìje:” Kumbà, mò t'i fazze vènne ghìje!..... Vine ke mmè!”.<br />

E' u purtaje nda cchjisagranne.<br />

“Aspittem'a kkuà!”, è u facìje fremmà a' <strong>tra</strong>sute d'a cchjìse, a ndò stace 'a stàtùue de nu<br />

seggnòre all<strong>un</strong>gate pe ndèrre. (Kakkèv<strong>un</strong>e pènze ka fusse Pire d'i Viggne, ka i Lucerine ce<br />

sputavene sòpe, kuanne jèven' a ssèndes'a mèsse, pekkè u kredèvene nu mbame pekkè avève <strong>tra</strong>dite<br />

u mberatòre Federike!). Isse, mmèce, jìj'a cchjamà u prèvete è i decìje:” Cceprè, ce stace v<strong>un</strong>e ka<br />

se vòle kumbussà!.......Statte attinde, pèrò, kaèje nu krestjane assaje kurjuse è ttèn'a fernesìje pìi<br />

gallucce!”.<br />

“A ndò stace?!”, addummannaje u prèvete.<br />

“U uì, a llà!”, è i mus<strong>tra</strong>je u pòvere krestjane k'aspettave de vènn'i gallucce.<br />

U prèvete, allòre, i facìje sèggne d'avvecenarse. Ggeggille, mmèce, dòppe salutate u cceprèvete,<br />

ggeraje kuzz è, a passe svèlte, jìje da kuillu pùuerille è i decìje:”Va', và d'ò cceprèvete! Vatt'a<br />

pegghjà i sòlde, <strong>tra</strong>mènd'i gallucce i tènghe ìje!”.<br />

U krestjane dìje i gallucce a Ggeggille è s'abbjaje vèrz'u prèvete pe ssigge; ma Ggeggille,<br />

malandrine, de Kòrze asscìje d'a cchjìse è skumbarìje.<br />

kuann'u krestjane addummannaje i sòlde, u prèvete i decìje:”Kuali sòlde?....... Ije t'agghja<br />

chjamate pe kkumbussarte!”.<br />

A kkussì kuillu pùuerille se n'asscìje d'a cchjìse a mmane mmakande: sènza sòlde è ssènza<br />

gallucce.<br />

Da tanne a Llucère è nnate u ditte, kuanne kakkèv<strong>un</strong>e tèn'a fernesìje pe kkakkèkkose, ka dice:”<br />

Tèn'a fernesìje kum'a Ggeggille Tòzze p'i gallucce!”.<br />

LUIGI TOZZI E I GALLETTI<br />

Luigi era <strong>un</strong>o scapes<strong>tra</strong>to che viveva di espedienti e teneva la smania per i galletti.<br />

Un giorno, mentre gironzolava per il paese, incontrò <strong>un</strong> signore che aveva due galletti e gli<br />

chiese :” Bell'uomo, li devi vendere?”.<br />

Quello gli rispose:”Sono venuto dalla campagna proprio per questo!”<br />

E Luigi, allegramente, gli disse:”Compare, adesso te li faccio vendere io!.....Vieni con me !”. E<br />

lo portò in cattedrale .<br />

“Aspettami qui!”, e lo fece fermare all'ingresso della chiesa, dove sta la statua di <strong>un</strong> signore<br />

steso per terra.(Qualc<strong>un</strong>o pensa sia Pier Delle Vigne, su cui i lucerini sputavano addosso,<br />

quando andavano alla messa, perchè lo ritenevano <strong>un</strong> infame in quanto aveva <strong>tra</strong>dito<br />

l'imperatore Federico II!). Lui, invece, andò a chiamare <strong>un</strong> prete e gli disse:”Arciprete, c'è<br />

<strong>un</strong>a persona che vuole confessarsi!....Stai attento, però, che è <strong>un</strong>a persona molto curiosa, ha la<br />

smania per i galletti!”.<br />

“Dove sta?”, chiese il prete.<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

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“Eccolo là!” e gli indicò il povero uomo che era in attesa di vedere i galletti.<br />

Il prete, allora, gli fece segno di avvicinarsi. Luigi, invece, dopo aver salutato l'arciprete, si<br />

girò e, a passo svelto, andò da quel poveretto e gli disse:”Vai, vai dall'arciprete!....Vai a<br />

prenderti i soldi, mentre gli altri galletti li tengo io!”<br />

L'uomo diede i galletti a Luigi e si avviò verso il prete per riscuotere; ma Luigi,<br />

furbacchione, di corsa uscì dalla chiesa e scomparve.<br />

Quando il poveretto chiese i soldi, il prete gli disse :”Quali soldi?....Io ti ho chiamato per<br />

confessarti!”.<br />

Così quel poveretto se ne uscì dalla chiesa a mani vuote: senza denari e senza galletti.<br />

Da quel giorno a <strong>Lucera</strong> è nato il detto, quando qualc<strong>un</strong>o ha la smania per qualcosa, che<br />

dice :”Ha la smania come Luigi Tozzi peri galletti!”.<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


LE TRADIZIONI<br />

IL MATRIMONIO E IL CORREDO<br />

35<br />

Si dice sempre che il matrimonio è il sogno di ogni donna, oggi molte donne hanno obiettivi<br />

differenti ma, in passato, il matrimonio rappresentava più che <strong>un</strong> desiderio <strong>un</strong> vero e proprio<br />

obiettivo da raggi<strong>un</strong>gere. A <strong>Lucera</strong> si cominciava “ a fare l’amore” , cioè a fidanzarsi molto<br />

giovani, 15 anni in media per le ragazze, anche se non mancavano quelle più precoci. Se la<br />

storia diventava seria c’era il “fidanzamento in casa”, in questo caso, il padre del ragazzo o<br />

<strong>un</strong> parente si recava a casa della sposa per chiederne la mano, se invece si <strong>tra</strong>ttava di <strong>un</strong><br />

matrimonio d’interesse, come spesso accadeva, veniva mandata <strong>un</strong>a ruffiana ad informarsi<br />

sulla dote della ragazza e poi suben<strong>tra</strong>vano i familiari.<br />

Credenza vuole che ai regali di fidanzamento venisse data molta attenzione, quando si<br />

regalava <strong>un</strong> oggetto con le p<strong>un</strong>te bisognava p<strong>un</strong>gere con lo stesso oggetto il dito della<br />

persona cui l’oggetto è stato donato altrimenti il fidanzamento era destinato a sciogliersi. Al<br />

ragazzo, se benestante, toccava donare il mezzo finimento cioè orecchini, spilla e collana alla<br />

futura sposa che ricambiava con <strong>un</strong>a camicia ed <strong>un</strong>a cravatta.<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

36<br />

Il matrimonio andava programmato tempo prima, affinchè i pettegoli non potessero fare<br />

insinuazioni. Se la sposa era incinta non poteva indossare l’abito bianco e sposarsi all’altare<br />

della Vergine e il matrimonio doveva essere necessariamente celebrato alle prime ore<br />

dell’alba.<br />

La ragazza portava in dote il mobilio della camera da letto, il braciere con la paletta,<br />

campane di ottone, gli utensili da cucina che spesso erano in rame, <strong>un</strong>a scopa, ma,<br />

soprattutto il corredo che veniva prima esposto a casa della sposa e tutti, anche es<strong>tra</strong>nei,<br />

potevano en<strong>tra</strong>re in casa per vederlo, poi a casa degli sposi insieme ai regali di nozze. Una<br />

vera e propria festa diventava la preparazione del letto degli sposi fatta dalle donne.<br />

Credenza vuole che tutte le ragazze in età da marito “tocchino” il letto, in segno di buon<br />

auspicio, collaborando con le donne più esperte.<br />

Siccome “Né di Venere, né di Marte si sposa o si parte” si era soliti non celebrare il<br />

matrimonio di martedì o di venerdì, ci si sposava solitamente in primavera e in aut<strong>un</strong>no ma<br />

mai a novembre e in Quaresima. Per <strong>tra</strong>dizione gli sposi, durante il pranzo devono mangiare<br />

<strong>un</strong> uovo incallato che è <strong>un</strong> augurio evidente.<br />

Finita la festa che solitamente si svolgeva in casa i parenti andavano via e la sposa<br />

aspettava suo marito nella camera da letto, benedetta precedentemente.<br />

Una curiosità è che gli sposi per ben otto giorni non potevano uscire di casa, <strong>un</strong>a sorta di<br />

<strong>viaggio</strong> di nozze dei nostri giorni, fatto a casa, ed erano i familiari a portar loro da mangiare.<br />

LA QUARANTANA<br />

Bruciato l’emblema di<br />

Carnevale, iniziata la<br />

Quaresima, <strong>un</strong>’antica<br />

<strong>tra</strong>dizione vuole che si<br />

confezionasse la Vedova di<br />

Carnevale, la Quarantana,<br />

<strong>un</strong>a pupa con <strong>un</strong> viso da<br />

vecchietta, <strong>un</strong>a veste nera e<br />

l<strong>un</strong>ga fino alle caviglie e<br />

con <strong>un</strong>’arancia legata al<br />

sedere. Il nome<br />

“Quarantana” ricordava i<br />

quaranta giorni del tempo<br />

di Quaresima, il periodo<br />

compreso fra il mercoledì<br />

delle Ceneri e la domenica di Pasqua. Sospesa ad <strong>un</strong>a corda o ad <strong>un</strong> filo di ferro teso <strong>tra</strong> due<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


37<br />

balconi o due finestre, spesso posta agli incroci delle s<strong>tra</strong>de durante la triste e luttuosa<br />

Quaresima, rappresentava la coscienza critica di quel periodo di digi<strong>un</strong>o e di astinenza.<br />

Nell’arancia sottostante la pupa di cenci neri erano infilzate tante penne nere quante erano<br />

le domeniche di Quaresima, e <strong>un</strong>a sola penna bianca. Lasciata in s<strong>tra</strong>da, al freddo ed al<br />

vento, la pupa, infatti, era ben visibile e scandiva a mo’ di calendario il susseguirsi di giorni<br />

caratterizzati dalla tristezza, dalla preghiera e dalla meditazione, durante i non si poteva<br />

mangiare carne grassa, uova, latticini. Grazie alla presenza della “Quarantana” per le s<strong>tra</strong>de<br />

oltre a riuscire a calcolare con precisione l’intero susseguirsi dei giorni del periodo<br />

quaresimale, si riusciva anche a seguire il calendario delle numerose f<strong>un</strong>zioni religiose. I riti e<br />

le orazioni della Quaresima e della Settimana Santa, erano e sono particolarmente sentiti<br />

nella nos<strong>tra</strong> cittadina, avevano inizio con le quaranta ore di adorazione dinanzi al SS. mo<br />

Sacramento esposto ai fedeli negli ultimi tre giorni di Carnevale e celebrate anche nelle<br />

domeniche di settuagesima e quinquagesima e nei due giorni successivi. Ogni domenica si<br />

s<strong>tra</strong>ppava e portava via dalla Quarantana <strong>un</strong>a penna nera, finché rimaneva quella bianca,<br />

riservata alla domenica di Resurrezione, quando, es<strong>tra</strong>tta l’ultima penna, la pupazza<br />

spennata era bruciata in <strong>un</strong> grande falò e le arance, ormai marcite, regalate ai bambini, che<br />

le <strong>tra</strong>scinavano via distruggendole, felici della fine della Quaresima. Quella della<br />

Quarantana è <strong>un</strong>a <strong>tra</strong>dizione ancora presente nella nos<strong>tra</strong> città, infatti, da qualche anno è<br />

stata ripresa e rinvigorita dal locale Centro Italiano Femminile.<br />

CORTEO STORICO<br />

Il Corteo Storico, con oltre 200 figuranti, è ambientato in <strong>un</strong> periodo storico<br />

particolarmente intenso e<br />

ricco di avvenimenti<br />

rilevanti per la Città di<br />

<strong>Lucera</strong>.<br />

Rievoca il momento della<br />

consegna delle chiavi della<br />

città da parte di Carlo II<br />

d'Angiò all’icona della<br />

Vergine Maria, con<br />

trionfante processione in<br />

piazza Duomo della stessa.<br />

La festa poi proseguiva<br />

presso l'Anfiteatro Romano,<br />

dove all'arrivo del corteo, si<br />

svolgeva il Torneo delle<br />

Chiavi.<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

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La <strong>tra</strong>dizione è stata modificata negli ultimi anni, ora è il vescovo della città che, in Basilica<br />

Cattedrale, dona le chiavi alla Vergine, che in seguito viene portata in processione in piazza<br />

Duomo.<br />

Il Corteo veniva organizzato nella seconda settimana di agosto. Per le ben note difficoltà<br />

delle amminis<strong>tra</strong>zioni com<strong>un</strong>ali, queste prestigiose rappresentazioni non trovano risorse<br />

necessarie ogni anno per essere svolte e questo è il rischio più alto che la cul<strong>tra</strong> affronta ogni<br />

giorno.<br />

“FEST D’AGUST”<br />

Il 14, 15 e 16 Agosto si festeggia l’Ass<strong>un</strong>zione in cielo di santa Maria , la festa di S. Maria<br />

Patrona.<br />

Già molti giorni prima si iniziava con la<br />

preparazione e l’addobbo a festa della città, si<br />

impiantavano pali sui quali si stendevano di<br />

drappi colorati, stendardi e stemmi, si<br />

allestivano le luminarie.<br />

La sera del 13 agosto venivano portate dalle<br />

varie chiese tante statue di Santi fino al<br />

Duomo, che avrebbero accompagnato santa<br />

Maria Patrona nella processione del 16.<br />

Durante la processione solenne, che<br />

percorreva tutta la città, in prima fila c’era la<br />

statua della Patrona con gli stendardi delle<br />

varie arciconfraternite, nei tempi passati la<br />

processione si svolgeva in tarda mattinata e<br />

rien<strong>tra</strong>va verso le due del pomeriggio.<br />

La statua della Patrona era scortata da<br />

quattro Angeli e Arcangeli e si affacciava alle<br />

porte a benedire le campagne e allora c’era<br />

<strong>un</strong>a gara <strong>tra</strong> i vari rioni di ogni Porta per<br />

salutare la Madonna con lo sparo di petardi.<br />

Ancora oggi di grande effetto è lo spettacolo pirotecnico del rione porta Foggia.<br />

Alla processione partecipava il Sindaco in frac preceduto dal gonfalone del Com<strong>un</strong>e portato<br />

dai valletti in livrea.<br />

Nel programma era previsto l’arrivo degli amminis<strong>tra</strong>tori che, da Palazzo Mozzagrugno<br />

arrivavano in carrozza scoperta fino alla porta del Duomo, salutati dalla banda com<strong>un</strong>ale<br />

con la solennità della Maria Reale. Chiudeva la processione <strong>un</strong>a l<strong>un</strong>ga fila di carrozze<br />

padronali.<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


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Santa Maria indossava <strong>un</strong> ricco manto, preziosi vestiti e <strong>un</strong>a pesante corona sul capo.<br />

Dopo la processione, la gente si disperdeva per vie e vicoli per raggi<strong>un</strong>gere la propria casa<br />

dove l’attendeva il <strong>tra</strong>dizionale pranzo del ferragosto: trucchjele, “kekozze longhe”, gallucce<br />

k’u rau, <strong>un</strong> bicchiere di robusto ribollito o di “cacc’e mmitte” e per concludere <strong>un</strong>a dolcissima<br />

“sfugghjiatèlle”.<br />

Rallegravano la festa le bande, soprattutto quelle “d’a’ marine”, provenienti cioè dal barese.<br />

Dopo la fine dell’esecuzione riprendeva “’u strussce”, cioè la passeggiata <strong>tra</strong> Piazza Duomo e<br />

Piazza Umberto, ora Via Gramsci ed era <strong>un</strong> rito gustare lo “s<strong>tra</strong>cchino” cioè il gelato.<br />

Molti preferivano comprare cubi di “kupéte”,<strong>un</strong>a specie di torrone appiccicoso,altri “nocelle<br />

“ e castagne”.<br />

Per i bambini i “fest” erano l’occasione giusta per avere <strong>un</strong> regalino,”a pupe” <strong>un</strong>a bambola,<br />

in cartapesta, senza braccia e senza gambe, tutta di <strong>un</strong> pezzo, per le femminucce ; per i<br />

maschietti “ù fressckètte”, <strong>un</strong> fischietto di creta colorata a forma di cavalluccio.<br />

A chiusura della festa i fuochi d’artificio. Una “Kalekasse”, cioè <strong>un</strong> razzo rumoroso, era il<br />

preavviso. E allora la folla correva per le s<strong>tra</strong>de cercando di trovare il posto migliore da cui<br />

vedere lo spettacolo pirotecnico. La banda suonava per l’occasione “na rucciulella”, vale a<br />

dire <strong>un</strong>’allegra, ritmata marcetta dal tono campestre o militaresco.<br />

Il fuoco aveva inizio con intervallate “Kalekasse”, che via via s’infittivano fino a riempire il<br />

buio della notte di magici fiocchi, stelle, spruzzi dai molteplici colori.<br />

<strong>Lucera</strong>… da gustare<br />

La <strong>tra</strong>dizione enogastronomica della cittadina sveva è sicuramente riconducibile a quanto il<br />

territorio ha espresso in termini agricoli; possiamo pertanto definirla impropriamente<br />

“povera” in quanto basata su ingredienti semplici quali la farina, il pomodoro e l'olio. La<br />

capitanata è stata sempre identificata come il granaio d'Italia e <strong>Lucera</strong> con la sua posizione<br />

s<strong>tra</strong>tegica, che affascinò Federico II, ne ha determinato anche le caratteristiche alimentari.<br />

Tali piatti li ritroviamo, invece, <strong>tra</strong> i più gettonati delle nuove tendenze alimentari, in<br />

quanto praticamente tutti rien<strong>tra</strong>no nei parametri della dieta mediterranea , vero p<strong>un</strong>to di<br />

forza del made in Italy gastronomico.<br />

L’AKKUESALE (L’acquasale)<br />

Ingredienti:<br />

fette di pane raffermo, pomodorini freschi, olive nere, pezzetti d’aglio, cipolla a fette,<br />

qualche<br />

fettina di cetriolo, origano, olio d’oliva, sale fino.<br />

Procedimento:<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

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Bagnare le fette di pane per pochi attimi in acqua salata in modo da non ammorbidirlo<br />

troppo, sgocciolarlo ben bene, tagliarlo a piccoli pezzi, aggi<strong>un</strong>gere i pomodorini freschi e le<br />

olive.<br />

Condire con olio ex<strong>tra</strong>vergine d’oliva, con sale, aglio o cipolla tagliati a pezzetti ed <strong>un</strong>a<br />

spolverata di origano.<br />

A FELLATE (antipasto misto)<br />

Ingredienti:<br />

uova sode, salame, prosciutto crudo, qualche acciuga sott’olio, nodini di burro, olive e<br />

sottaceti.<br />

I CIKATILLE K’A RUKELE E/O K’Ì FENUCCHJETTE (cicatelli con rucola e finocchietti)<br />

Ingredienti: semola, uova, rucola o finocchietti, olio e peperoncino o sugo di pomodoro.<br />

Preparazione: lessare la rucola o i finocchietti insieme alle orecchiette fatte in casa, scolare il<br />

tutto a cottura ultimata. A parte far soffriggere l’olio con aglio e peperoncino e far saltare in<br />

padella o condire con sugo di pomodoro.<br />

Uno dei detti più popolari a <strong>Lucera</strong> è:“Chi se magna ‘a rukele d’u kastille réste a Lucére”.<br />

I LAGHÉNE E FAFE (tagliatelle con fave secche)<br />

Ingredienti: semola, uova, fave secche, olio e peperoncino.<br />

Preparazione: mettere a bagno le fave e lessarle. Preparare le tagliatelle, cuocerle e<br />

aggi<strong>un</strong>gere le fave. Da parte soffriggere l’olio d’oliva con il peperoncino e mescolare il tutto.<br />

A CHECOZZE GIALLE ARRAGANATE (zucca gialla insaporita con origano)<br />

Ingredienti: zucca gialla, mollica di pane, formaggio, olio d’oliva, aglio, prezzemolo, origano,<br />

sale q. b.<br />

Procedimento:<br />

In <strong>un</strong>a teglia oleata disporre a s<strong>tra</strong>ti la zucca tagliata a piccole fette, la mollica di pane, il<br />

formaggio,l’aglio e il prezzemolo finemente tritati. Aggi<strong>un</strong>gere origano, olio d’oliva e poca<br />

acqua.<br />

Cuocere in forno a 180° per 20/25 minuti. Servire ben caldo e a <strong>tra</strong>nci.<br />

I CIUCURIELLE CH’L’OV E CA’ GNILL (cicorie con le uova e agnello)<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


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Ingredienti: cicorie di campagna, uova, formaggio, prezzemolo, agnello.<br />

Preparazione: pulire, lavare e lessare la cicoria, metterla in acqua fresca per 3 o 4 ore in<br />

modo da renderla meno amara. Farla insaporire nell’olio in cui è stato fatto rosolare<br />

l’agnello e lasciarla insaporire per mezz’ora. Successivamente coprirla con le uova battute,<br />

prezzemolo, formaggio.<br />

I “ Ciccecutte” sono chicchi di grano cotti, conditi con pezzetti di cioccolato fondente,<br />

melograno, noci e mosto cotto che vengono solitamente preparati nel giorno della<br />

commemorazione dei def<strong>un</strong>ti. I “ ciccecutte “ rappresentano la vita che rinasce nell’ aldilà;<br />

il melograno l’abbondanza e l’immortalità e il vincotto la compagnia e l’amicizia.<br />

La “FARRATA”<br />

Ingredienti per la pasta frolla<br />

600 g di farina<br />

3 uova + 1 tuorlo<br />

250 g di burro o strutto<br />

1 limone grattuggiato<br />

1 bustina di lievito<br />

Procedimento:<br />

Fare la pasta frolla, mescolare tutto velocemente e lasciare riposare per mezz'ora in frigo.<br />

Ingredienti per ripieno:<br />

1 kg di ricotta<br />

150 g di riso cotto nel latte<br />

500 g di zucchero<br />

5 tuorli +1 albume<br />

1 bicchierino di liquore ( strega o limoncello)<br />

cedro +cannella<br />

Frullare la ricotta con lo zucchero, le uova, il liquore, il riso,la cannella.<br />

Lasciare insaporire per mezz'ora in frigo. Stendere la pasta frolla, versarvi sopra il ripieno<br />

con tutti gli ingredienti.<br />

Formare <strong>un</strong>a griglia con striscioline di pasta da porre sopra il ripieno ed infornare a 180° per<br />

40 minuti.<br />

I ‘MBRIACHILLE (tarallini dolci al vino rosso)<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

200 g di zucchero<br />

200 g di olio<br />

200 g di vino rosso Cacc'è Mmitte<br />

1/2 bustina di lievito<br />

dai 600 ai 700 g di farina a seconda di quanto ne assorbe l'impasto<br />

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Procedimento<br />

Creare <strong>un</strong>a fontana con la farina, al centro aggi<strong>un</strong>gere l'olio, lo zucchero e il lievito sciolto<br />

nel vino intiepidito.Lavorare fino a creare <strong>un</strong> morbido panetto.<br />

Creare dei tarallini e , prima di infornare a 180° per 30 minuti, passarli nello zucchero.<br />

U cacc’e Mmitte è sicuramente il vino simbolo della <strong>tra</strong>dizione enologica della nos<strong>tra</strong> città,<br />

<strong>tra</strong>dizione molto antica anche perché la nos<strong>tra</strong> città sorge su di <strong>un</strong> terreno calcareo –<br />

marnoso, particolarmente vocato alla viticoltura. E’ <strong>un</strong> vino prodotto con uva di Troia,<br />

Montepulciano e Bombino Bianco, si accompagna ad arrosti di carni, minestre , legumi e<br />

pasta asciutta ed ha <strong>un</strong> sapore corposo , pieno asciutto ed armonico. Negli anni passati<br />

veniva prodotto nei “ palmenti”, vasche messe a disposizione dai latifondisti proprietari<br />

delle masserie padronali della zona, a chi ne facesse richiesta per la pigiatura delle uve. Le<br />

attrezzature venivano affittate per <strong>un</strong>a solo giornata , quindi il viticoltore doveva<br />

completare le operazioni di vinificazione nella giornata stessa e poi spostare il mosto dalla<br />

masseria alla propria cantina che solitamente si trovava in città. E’ proprio da questo<br />

procedimento che deriva l’espressione “Cacc’e Mmitte” e cioè cacciare fuori dal palmento il<br />

mosto ottenuto dalla pigiatura e mettere nel palmento vuoto l’uva del successivo<br />

utilizzatore.<br />

<strong>Lucera</strong>… da toccare<br />

Molti anticamente erano gli antichi mestieri svolti nella cittadina sveva. Un rilievo statistico<br />

ci dice che circa il settanta per cento di essi ormai è solo <strong>un</strong> ricordo, altri invece si sono<br />

evoluti sfruttando nuove tecnologie.<br />

Uno dei più importanti esempi di antico mestiere e di artigianato lucerino è la lavorazione<br />

del ferro. Il lavoro del fabbro era, soprattutto in passato, molto richiesto. I prodotto<br />

realizzati erano moltissimi: le parti in ferro dei balconi, i lampadari, le porte, i cancelli, le<br />

ringhiere, gli utensili per la cucina. Le parti in ferro delle vanghe, dei picconi, delle zappe e<br />

tanti altri oggetti ancora. I principali strumenti che il fabbro utilizzava per il suo lavoro<br />

erano la fucina, l’incudine, vari tipi di martello per lavorare il ferro a caldo e la saldatrice.<br />

La fucina ( in lucerino u mandece) f<strong>un</strong>zionava a carbon coke e su di essa veniva riscaldato il<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


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ferro da lavorare . Quando l’oggetto aveva preso la forma voluta, veniva calato in <strong>un</strong>a pila<br />

(in ferro) piena d’acqua per il raffreddamento.<br />

Altri vecchi mestieri erano “u sellare” cioè il sellaio, “u ferracavalle”, cioè il maniscalco, “u<br />

<strong>tra</strong>jnire” ossia il carrettiere , u “tavernare”, il gestore della taverna, “u metajule” che si<br />

occupava dell’allestimento delle balle di paglia, u “cestare”, colui che confezionava i cesti di<br />

vimini, “l’acquajule” ossia l’acquaiolo, era colui che andava in giro per la città con <strong>un</strong><br />

carretto e delle botti in legno piene di acqua che vendeva a che ne faceva richiesta.<br />

<strong>Lucera</strong> … e il sesto senso<br />

Non è Vero........ma ci credo!<br />

E' quello che hanno pensato molti lucerini da sempre quando i nonni raccontavano, magari<br />

al caldo del camino, le storie degli spiriti più "famosi" di <strong>Lucera</strong>.<br />

Uno spirito benigno molto conosciuto è l'augurie d'a casa, cioè l'ombra di <strong>un</strong> uomo o di<br />

<strong>un</strong>a donna, vissuti e morti in <strong>un</strong>a casa, che rimane lì a proteggerla. Ogni casa ne ha <strong>un</strong>o che<br />

compare ogni tanto seduto nei posti più impensabili e che, con la sua presenza silenziosa,<br />

tiene compagnia agli abitanti della casa stessa.<br />

Ancora oggi non sono pochi i commercianti a <strong>Lucera</strong> che ritengono che la fort<strong>un</strong>a della loro<br />

attività sia solo conseguenza della presenza di questo spirito.<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.<br />

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Maria Cappotte è l'ombra di <strong>un</strong>a donna molto, molto alta che esce dalle pozzanghere di<br />

acqua piovana. Non si sa se veramente sia mai esistita o se sia lo spirito di <strong>un</strong>a donna morta<br />

affogata.<br />

U scazzamurill è <strong>un</strong> folletto, alto quanto <strong>un</strong>a mano,che girava era le case portando <strong>un</strong>a<br />

papalina rossa. E' <strong>un</strong> folletto dispettoso che compare di solito di notte e si siede sullo<br />

stomaco di chi dorme, proprio per questo le donne consigliavano ai propri figli di non<br />

dormire supini.<br />

U scazzamurill, spesso, en<strong>tra</strong>ndo nelle case nascondeva gli oggetti, facendoli poi riapparire<br />

solo quando ormai i padroni di casa avevano perso le speranze.<br />

U scazzamurill ama molto i cavalli e spesso si diverte ad intrecciare la criniera e la coda.<br />

Questo folletto diventa lo schiavetto fedele di chi<strong>un</strong>que riesce a togliergli il cappellino rosso<br />

che porta in testa, pur di riaverlo, infatti, era disposto a rivelare l'esistenza di <strong>un</strong> tesoro<br />

segreto nascosto.<br />

U M<strong>un</strong>acille è molto simile allo scazzamurill , è <strong>un</strong> folletto agile e sveglio che salta sui muri<br />

e sui mobile, il suo potere è nel cappuccioche, se tolto, lo rende schiavo del possessore del<br />

cappuccio.<br />

U Sdragh è <strong>un</strong>a forza malefica, nemica dei contadini e parente delle streghe. E' <strong>un</strong> uomo<br />

che nei giorni più caldi e afosi di giugno e luglio, quando il raccolto è ormai pronto, si<br />

avventura nei campi e nei vigneti tutto <strong>un</strong>to di <strong>un</strong> <strong>un</strong>guento misterioso sotto le ascelle e<br />

sotto i piedi e al suo passaggio distrugge tutto il raccolto. Neanche i santi riuscivano a<br />

fermarlo, u sdragh infatti è protetto dal diavolo.<br />

Solo <strong>un</strong> contadino coraggioso può affrontarlo con <strong>un</strong>o scongiuro che spesso comincia<br />

così:"Disegna sul terreno <strong>un</strong> cerchio con <strong>un</strong> coltello a p<strong>un</strong>ta, in <strong>un</strong> luogo non circondato da<br />

alberi e infisso il coltello con la p<strong>un</strong>ta , in su al centro del cerchio"<br />

Sdragh: " Che cosa è <strong>un</strong>o ?"<br />

Contadino:" Uno è il solo Dio che mi mantiene".<br />

Sdragh:" che cosa è due?"<br />

Contadino:"Due sono le tavole di Mosè ed no è il solo Dio che mi mantiene".<br />

Sdragh: "che cosa è tre?"<br />

Contadino:" Tre sono le tre persone Divine, due sono le tavole di Mosè ed <strong>un</strong>o è il solo Dio<br />

che mi mantiene!.<br />

sdragh: "Che cosa è quattro?"<br />

Contadino:"Quattro sono i quattro evangelisti, tre sono le Persone divine, due sono le tavole<br />

di Mosè e <strong>un</strong>o è il solo Dio che mi mantiene".<br />

Sdragh:" Che cosa è cinque?"<br />

Contadino:" Cinque sono le piaghe di Cristo, quattro sono i quattro Evangelisti, Tre sono le<br />

Persone Divine, due sono le tavole di Mosè ed <strong>un</strong>o è il solo Dio che mi mantiene".<br />

Sdragh:" Che cosa è sei?"<br />

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“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.


45<br />

Il contadino non risponde<br />

Sdragh:"Che cosa è sette?"<br />

Contadino:"Sette sono i sette dolori di Maria, ..........,cinque sono le piaghe di Cristo, quattro<br />

sono i quattro evangelisti, tre sono le Persone Divine, due sono le tavole di Mosè ed <strong>un</strong>o è il<br />

solo Dio che mi mantiene".<br />

Sdragh:" Che cosa è otto?<br />

Il contadino non risponde.<br />

Sdragh:"Che cosa è nove?"<br />

Contadino:"nove sono i nove cori degli angeli,........, sette sono i dolori di Maria,........, cinque<br />

sono le piaghe di Cristo, quattro sono i quattro Evangelisti, tre sono le Persone Divine, due<br />

sono le tavole di Mosè, ed <strong>un</strong>o solo è l'<strong>un</strong>ico Dio che mi mantiene".<br />

Sdragh:" Che cosa è dieci?"<br />

Contadino:" Dieci sono i dieci comandamenti, nove sono i nove cori degli angeli,........, sette<br />

sono i dolori di Maria,........, cinque sono le piaghe di Cristo, quattro sono i quattro<br />

Evangelisti, tre sono le Persone Divine, due sono le tavole di Mosè, ed <strong>un</strong>o solo è l'<strong>un</strong>ico Dio<br />

che mi mantiene".<br />

Se il contadino riuscirà a rispondere a tutte le domande dello sdragh questi dovrà sfogare la<br />

sua ira sul coltello e non sui campi. Laddove invece il contadino non riesca a rispondere a<br />

tutte le domande soccombe e viene sprofondato nella terra.<br />

U lup<strong>un</strong>are è colui che nasce la notte di Natale. Il lupanare soffre di mal di l<strong>un</strong>a, quando<br />

c’è la l<strong>un</strong>a piena è preso da <strong>un</strong> malessere che lo spinge ad uscire di casa per correre ed ululare<br />

mentre il suo corpo cambia riempiendosi di peli e le sue <strong>un</strong>ghie si all<strong>un</strong>gano, rendendolo<br />

simile ad <strong>un</strong> animale.<br />

Pare che u lupanare sia così crudele da s<strong>tra</strong>ngolare chi<strong>un</strong>que incontri per s<strong>tra</strong>da ma, laddove<br />

questi sia più svelto e riesce a colpirlo facendolo sanguinare lo farà guarire dalla terribile<br />

malattia e i due diventeranno compari.<br />

La fattura era <strong>un</strong>a pratica magica molto praticata a <strong>Lucera</strong> soprattutto sui capelli o sugli<br />

indumenti della vittima prescelta. Non sono mancati casi di fatture praticate con le ossa dei<br />

morti, rubate presso il cimitero, nascoste sotto l’altare e quindi inconsapevolmente<br />

benedette dal sacerdote, polverizzate e fatte mangiare con altre pietanze alle vittime<br />

inconsapevoli.<br />

Nella maggior parte dei casi ricorrevano alle fattucchiere pretendenti delusi, donne <strong>tra</strong>dite.<br />

Temuto come la fattura è il malocchio, la cui “esistenza” si accerta versando delle gocce di<br />

olio in <strong>un</strong> piatto di acqua, se queste prendono forma di occhio allora il malocchio c’è e<br />

bisogna intervenire recitando tre Pater, tre Ave, tre Gloria fin quando, ripetendo il<br />

procedimento le gocce di olio non prenderanno più forma di occhio.<br />

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Pratica diffusa era anche lo strofinare vigorosamente il palmo della mano sul dorso dell’al<strong>tra</strong><br />

per sentire l’odore dei morti.<br />

Dopo sei figli dello stesso sesso, il settimo nato è ciaràvule cioè imm<strong>un</strong>e dal morso dei<br />

serpenti.<br />

Segno di prossima disgrazia era il versare sale o olio a terra o sulla tovaglia, diverso invece è<br />

versare vino, è segno di futura abbondanza. Di buon auspicio anche la pipì di <strong>un</strong> bambino e<br />

gli escrementi di uccelli, buon segno è anche l’indossare <strong>un</strong> indumento al rovescio,<br />

preann<strong>un</strong>cia l’invito ad <strong>un</strong>a festa.<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

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PER APPROFONDIMENTI:<br />

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA<br />

47<br />

La fortezza di <strong>Lucera</strong>, edizione 1990 , N<strong>un</strong>zio Tomaiuoli<br />

La Fortezza di <strong>Lucera</strong> e altri scritti, editrice Costantino Catapano 1978,<br />

Giambattista Gif<strong>un</strong>i<br />

Per <strong>un</strong>a visita a <strong>Lucera</strong>, editrice Costantino Catapano 1983, Leonardo De<br />

Luca<br />

Un po’ di… Federico II, tipografia Rotostampa, Melina De troia<br />

Il sipario del Teatro Garibaldi, editrice Costantino Catapano 1986, Filippo<br />

Gif<strong>un</strong>i ( quaderno della pro loco n 11)<br />

U Farnale, editrice EDISTAMPA 1991, Domenico D’aAgruma, Lella<br />

Chiarella .<br />

Le <strong>tra</strong>dizioni popolari di <strong>Lucera</strong>, Grafiche Quadrifoglio 2011, Giuseppina<br />

Bellucci<br />

Ce stève ‘na vòte… A’kkussi s’akk<strong>un</strong>dav’a Llucère, Catapano grafiche,<br />

Pasquale Zolla<br />

<strong>Lucera</strong> per i giovinetti, Catapano Grafiche 2002, Gaetano Conte<br />

Cifre di Memoria , Litostampa 2009, Enrico Venditti<br />

La devozione di <strong>Lucera</strong> a Santa Maria, Pubblisud 2008, Gaetano Schiraldi<br />

Il duomo di <strong>Lucera</strong> 700 anni di storia, Medistampa 2005, Gaetano Schiraldi<br />

www.com<strong>un</strong>e.lucera.fg.it<br />

le immagini fotografiche sono state gentilmente concesse dallo studio fotografico di<br />

Raffaele Battista.<br />

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Relazione finale del progetto di Servizio Civile Nazionale: “La Provincia di Foggia <strong>tra</strong> arte, storia e natura”.<br />

“<strong>Lucera</strong>, <strong>un</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>tra</strong> i <strong>sensi</strong>” di Rosanna Schiraldi.

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