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L'art. 583 c.p. e l'individuazione delle difese culturali - Psicologia e ...

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L’art. <strong>583</strong> c.p. e l’individuazione <strong>delle</strong> <strong>difese</strong> <strong>culturali</strong><br />

Anno 2007-2008<br />

Mauro Bardi<br />

Docente: prof. avv. Guglielmo Gulotta<br />

Tutor: dott.ssa Patrizia Baietto<br />

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In uno scenario mondiale caratterizzato dai conflitti di civiltà e dagli incontri di identità si colloca la<br />

Legge n. 7 del 6 gennaio 2006 che, in particolare, introduce nel nostro sistema l’art. <strong>583</strong> bis c.p.:<br />

fattispecie dedicata al riconoscimento ed alla punizione della Mutilazioni Genitali Femminili<br />

(MGF). Le MGF si ricollegano a particolari retaggi legati a culture ancestrali e si collocano<br />

nell’ambito dei c.d. riti di passaggio, volti a scandire le fasi della vita sociale all’interno dei gruppi<br />

umani ancorati a tradizioni, usi e pratiche che vengono considerati vincolanti. Queste pratiche<br />

hanno suscitato l’attenzione del legislatore italiano anche a seguito dei fenomeni migratori<br />

dall’Africa. L’art. <strong>583</strong> bis c.p. configura indubbiamente la prima fattispecie di cultural crime nel<br />

panorama del diritto italiano; per cultural crime si intende quel reato determinato da motivazioni<br />

legate al patrimonio etnico di una popolazione. I reati <strong>culturali</strong> attivano il circuito <strong>delle</strong> <strong>difese</strong><br />

<strong>culturali</strong> fondate sulla necessità di individuare, all’interno del sistema penale, cause di esclusione<br />

dell’antigiuridicità o della colpevolezza, o cause di attenuazione della pena fondate sui particolari<br />

motivi che avevano indotto al reato. L’esperienza italiana, anteriormente alla prassi <strong>delle</strong> MGF, ha<br />

conosciuto casi di opposizione culturale riconducibili prevalentemente all’obiezione di coscienza od<br />

all’esercizio della libertà religiosa. L’art. <strong>583</strong> bis c.p. può essere esaminato sotto il profilo della<br />

condotta incriminata e della sua efficacia spaziale. Ma anche sotto l’aspetto della possibilità del<br />

riconoscimento <strong>delle</strong> scriminanti dell’art. 50 e dell’art. 51 c.p. e nell’angolo visuale <strong>delle</strong> cause che<br />

escludono od attenuano la colpevolezza; in particolare: errore di fatto, errore di diritto, non<br />

esigibilità del comportamento ed infermità mentale. In tutti i casi non è agevole ravvisare la<br />

praticabilità di <strong>difese</strong> <strong>culturali</strong> escludenti la responsabilità penale. Semmai, confidando nella<br />

saggezza del giudicante, come avvenuto in casi precedenti, è possibile configurare l’opportunità di<br />

un trattamento sanzionatorio il più possibile mite. Il dibattito resta ancora aperto, specie circa<br />

l’opportunità di riservare solo alla risposta penale i problemi di interferenza <strong>delle</strong> convinzioni e<br />

degli agìti <strong>culturali</strong> difformi da quelli ordinari.<br />

***<br />

1) Un panorama generale; 2) Le mutilazioni genitali femminili: un inquadramento fattuale e<br />

giuridico; 3) I problemi relativi a fattispecie analoghe ai reati <strong>culturali</strong>: i precedenti; 4) L’art.<br />

<strong>583</strong> bis c.p. – inquadramento generale ed i precedenti di MGF nella prassi; 5) L’art. <strong>583</strong> bis<br />

come reato con aspetti transnazionali; 6) La descrizione della condotta incriminata; 7) La<br />

fattispecie prevista dall’art. <strong>583</strong> bis c.p. e la possibilità di individuare <strong>difese</strong> <strong>culturali</strong> fondate<br />

sulla operatività di cause di giustificazione A) Il consenso dell’avente diritto – B)<br />

L’esercizio di un diritto; 8) La valutazione della cultural defense sotto il profilo più<br />

strettamente soggettivo; A) Scusabilità per errore di fatto od ignoranza della norma penale –<br />

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B) La non esigibilità come difesa culturale – C) Il tentativo di inquadramento nell’ambito<br />

del vizio di mente; 9) Conclusioni.<br />

***<br />

1) UN PANORAMA GENERALE<br />

Richiamando il pensiero di Angelo Falzea e rimanendo aderenti ad una sua particolare<br />

lezione, possiamo affermare che da circa una ventina d’anni, sul crinale del secolo breve – forse<br />

anche in seguito al venire meno di consolidati e sotto certi aspetti rassicuranti assetti geo-economici<br />

– il tema principale del diritto obiettivo è non più e non solo la classica libertà, la classica pretesa<br />

sui beni ed il conseguimento del benessere, ma sono anche i bisogni dello spirito, non sottoposti alle<br />

regole fissate per i fatti ed i bisogni della vita materiale. Beninteso: bisogni dello spirito in senso<br />

lato, nella prospettiva non solo di pure istanze spirituali (per loro indifferenti al fenomeno giuridico<br />

se non nella latitudine del diritto confessionale), ma anche di irruzione e di domanda di<br />

riconoscimento di beni e di significanti non puramente materiali; che si fanno derivare non tanto<br />

dall’uomo inteso come produttore, proprietario e consumatore, quanto dall’uomo considerato sotto<br />

l’aspetto di portatore di identità e di senso che vanno sempre più precisandosi e definendosi<br />

attraverso l’aspetto morale, culturale, etnico ed anche religioso. Una prima e decisa<br />

rappresentazione storica di quanto si va sostenendo è sicuramente stata fornita dalla rivoluzione<br />

khomeinista del 1979 in Iran, che ha sostanziato non solo la precipitazione del sacro,<br />

dell’immateriale, nello spazio pubblico, ma anche la rivendicazione e la riappropriazione di luoghi e<br />

di tempi da parte di una speciale «identità sciita» rispetto alla generalità dell’Islam.<br />

Mutuando da Hans Kelsen potremmo divagare a chiederci se il nostro compito di giuristi<br />

dell’oggi consista nell’indagare se le norme corrispondano ai fatti – anche ai fatti, agli oggetti, di<br />

origine nuova ai quali ci riferivamo prima – o se, per converso, debbano i fatti corrispondere ad<br />

esse; cioè se le strutture normative siano tese alla creazione dei medesimi fenomeni ed alla loro<br />

successiva convalida attraverso la applicazione <strong>delle</strong> stesse. In altre parole: se determinati fatti<br />

materiali, certi accadimenti nuovi, possano assumere una particolare direzione, una connotazione<br />

solo per il fatto di essere previsti da una norma giuridica che li riconosce. Un po’ come se il<br />

ragionamento giuridico complessivo non si fondasse sui dati sensibili, ma fosse volto alla<br />

costruzione di modelli da attuare a ciò che accade empiricamente per trarre conferme o smentite<br />

successive (1).<br />

Può apparire come un paradosso, però l’innovazione costituita dalla Legge n. 7 del 6<br />

gennaio 2006 (2), rappresenta un interessante banco di prova per testare se, ancora una volta, il<br />

legislatore abbia inteso prendere atto di una prassi incipiente anche in Italia e quindi riconoscerla,<br />

accoglierla nell’ordinamento riconnettendo ad essa determinate conseguenze formali. O se – al<br />

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contrario – sia stata la stessa L. n. 7/2006 in qualche modo a creare un nuovo fenomeno, con la<br />

conseguente necessità di indagare in che modo lo stesso si inquadri nel complessivo ordinamento e<br />

se e quando, il medesimo, possa attivare meccanismi o reazioni legali (o rimozioni) tali da<br />

ridefinirlo, accoglierlo, espellerlo.<br />

L’impianto riferito alla Legge n. 7/2006 si inquadra in modo sospetto nell’ambito di una<br />

visione generale del mondo che ha conosciuto il superamento <strong>delle</strong> tradizionali contrapposizioni,<br />

ma non ha ancora raggiunto quella «Fine della storia», embrionalmente adombrata da Alexandre<br />

Kojève nel noto Seminario a l’Ecole Pratique des Hautes Etudes: «succedono sempre nuovi<br />

avvenimenti, ma dopo Hegel e Napoleone non si è detto, non si può dire nulla di nuovo» e declinata<br />

sociologicamente e politicamente da Francis Fukuyama (3). Quest’ultimo, pure ammettendo la<br />

possibilità di parziali regressioni, ha sostenuto infatti che proprio al di là <strong>delle</strong> storie particolari e dei<br />

cicli locali, esiste indubbiamente un livello di azione e di progresso più alto, un senso unico della<br />

Storia teso ad un traguardo di razionalità e di omogeneità tra gli uomini.<br />

Proprio a parziale smentita dello storico nippo-americano, al giorno d’oggi, la vecchia<br />

domanda formulata nei termini di «Da che parte stai?», che sottintendeva tra le righe anche il<br />

tertium datum della possibilità di non allineamento, è però sostituita dalla più decisa e forte «Chi<br />

sei?»: la cui risposta non può non transitare attraverso la riscoperta di quel deposito di risorse<br />

obliate dalle ideologie e costituite appunto (qui il rimando a quanto sostenuto in precedenza è<br />

evidente) dai fattori identitari, etnici, <strong>culturali</strong> e religiosi, in definitiva fattori di differenziazione<br />

sempre più marcati all’interno del consorzio umano.<br />

Senza dovere cedere alle sue suggestioni, non possiamo comunque trascurare la lettura del<br />

mondo attuale fornitaci da Samuel Huntington (4) ed in parte fondata sulla famosa Revanche de<br />

Dieu che conduce con sé la revanche identitaria, di gruppo, di tradizione. Potrebbe affermarsi che<br />

più il mondo si globalizza, commercializza, consumizza, più le libertà e le democrazie sono portate<br />

ed es-portate, più riaffiorano i fiumi carsici dei patrimoni non materiali dei gruppi umani con<br />

l’ambizione di autoaffermarsi (5) o con la richiesta di essere riconosciuti.<br />

orientamento.<br />

La storia segue percorsi dei quali ancora non siamo riusciti ad intuire il preciso<br />

2) LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI: UN INQUADRAMENTO FATTUALE E GIURIDICO<br />

L’art. <strong>583</strong> bis c.p. (6), introdotto dalla Legge n. 7/2006, è segnatamente rivolto alla presa<br />

d’atto ed alla repressione penale di quelle che vengono con termine medico (e non solo, anche in<br />

termini etnografici ed antropologici) definite Mutilazioni Genitali Femminili (MGF): pratiche rituali<br />

cruente di origine extraeuropea – specie centroafricana, che hanno trovato una loro formalizzazione<br />

- classificazione formulata dal WHO (7).<br />

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Sotto l’aspetto etnografico ed antropologico il fenomeno <strong>delle</strong> MGF si rivela estremamente<br />

complesso. Da un lato è avventuroso affermare che tale pratica, seppur appartenente in prevalenza<br />

ad un territorio tradizionalmente individuabile da un punto di vista culturale e cultuale, sia prescritta<br />

e si ricolleghi a qualche precetto promanante da una autorità religiosa. Dall’altro, l’affermazione<br />

precedente, è valida ad escludere in modo piuttosto deciso quella ricollegabilità tra MGF e regole<br />

religiose islamiche che sorgeva in seguito ad una superficiale osservazione, sulla base della quale la<br />

maggior parte – se non la totalità – <strong>delle</strong> donne mutilate genitalmente presenti nel mondo<br />

occidentale, provenisse da paesi di matrice musulmana (8). In qualche modo il fenomeno è quindi<br />

interessante poiché sfugge ad un facile inquadramento nella categoria del «conflitto di civiltà», che<br />

vede lo scontro tra gruppi umani connotati religiosamente in modo piuttosto netto, per trovare una<br />

più adeguata collocazione all’interno di un disposto strettamente antropologico ed etnografico. Un<br />

tale orientamento, oltretutto, potrà rivelare la sua indubbia utilità anche nel momento in cui si<br />

tratterà di individuare l’ambito più strettamente giuridico della fattispecie. La pratica <strong>delle</strong> MGF,<br />

infatti, può essere ricompressa nello scenario più vasto del «rito di passaggio» attraverso il quale<br />

l’individuo definisce la propria identità ed il proprio ruolo sociale (di genere nel nostro caso)<br />

rispetto al gruppo d’origine (9). E’ importante per incidens considerare lo schema astratto della<br />

iniziazione e vale la pena di profilarlo al fine di una migliore comprensione della norma in rassegna.<br />

Il passaggio <strong>delle</strong> fasi biologico-sociali dell’individuo scatena generalmente una crisi personale e<br />

collettiva che va controllata ritualmente (10) in modo adeguato; le fasi della vita vissute come<br />

particolarmente minacciose ed inquietanti conoscono una scomposizione in: disagio; separazione<br />

dallo stato precedente; transizione; ingresso nel nuovo stato (11). In particolare riferimento alle<br />

MGF è stato possibile rilevare, oltre alla generale radice del rito di passaggio, una articolazione più<br />

precisa di motivazioni e spinte: psicosessuali (intese, in qualche modo, nell’ambito<br />

dell’approntamento di strumenti di controllo della sessualità femminile da parte della istituzione<br />

maschile) (12); religiose (che si fanno risalire in termini perlomeno dubbi al milieu cultuale<br />

islamico); magico-rituali (13); sociali (che riguardano appunto il cambio di fase e di rilievo sociale<br />

dell’individuo); ed in generale estetico-igieniche (14): si tratta per tutte, di motivazioni che<br />

conducono a pratiche caratterizzate da un alto grado di doverosità morale e sociale, specie per il<br />

soggetto attivo. L’idea del rituale è estremamente complessa e ricca di motivi anche<br />

multidiciplinari; ad essa si annoda il concetto di cambiamento, di passaggio e di mantenimento della<br />

coesione di gruppo in presenza di una mutazione. L’approccio antropologico ed etnografico si<br />

rivolge quindi ai rituali sotto l’aspetto della loro funzione di momento, di ponte di transizione;<br />

invece, un modo di affrontarli orientato secondo le scienze psicologiche si rivolge a loro sotto<br />

l’aspetto di sintomo, prevalentemente in relazione ad un disagio ed alla coazione a ripetere (15).<br />

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Tornando all’art. <strong>583</strong> bis c.p. possiamo accogliere l’interpretazione generale che lo qualifica<br />

come reato culturalmente orientato o culturalmente motivato (16), e lo inserisce nel più generale<br />

ambito <strong>delle</strong> società definite in modo vago e talvolta con falsa coscienza, come multi<strong>culturali</strong> o<br />

multietniche (17); anche a seguito dei notevoli flussi migratori afro-asiatici nello spazio neutro<br />

costituito dal principio di laicità-neutralità dello Stato. Si tratta di un ambito spaziale posto sempre<br />

più a rischio da nuovi attori che non hanno più la connotazione di assetti economico-sociali figli del<br />

pensiero occidentale, ma che si pongono come portatori di modelli di rapporti e concezioni<br />

dell’uomo prima sconosciuti (18). Per reato culturale, o cultural crime, ci si intende generalmente<br />

riferire al reato compiuto sotto l’impulso di quei temi identitari o folclorici che riguardano un<br />

gruppo umano di minoranza stabilitosi di recente nello spazio di un nuovo ordinamento; il reato<br />

culturale porta necessariamente con sé l’attivazione <strong>delle</strong> <strong>difese</strong> <strong>culturali</strong>, ossia di tutte quelle<br />

strategie che utilizzano proprio i motivi che avevano indotto al reato, per ottenere una assoluzione<br />

od una netta attenuazione dell’entità della pena (19). I reati <strong>culturali</strong> e le <strong>difese</strong> <strong>culturali</strong>, perlomeno<br />

sulla base <strong>delle</strong> esperienze e degli studi statunitensi, coinvolgono sempre materie ed oggetti delicati<br />

e sensibili quali la vita e l’integrità fisica (20); l’educazione ed il trattamento dei minori (21); l’uso<br />

di stupefacenti (22); il matrimonio e l’uso della sessualità (23); la cura del corpo e la<br />

somministrazione di terapie. Senza dover entrare nel merito del complesso concetto di cultura,<br />

possiamo affermare che per «cultura» (in senso sociale) possa intendersi quella serie di<br />

rappresentazioni, convinzioni, riti, miti che si riferiscono a, e che sono espressi da, un ceto etnico<br />

determinato e lo definiscono e che concorrono a delineare e scandire la vita interna di un gruppo ed<br />

al mantenimento dei suoi legami sociali e psicologici (24); si tenga presente che la cultura non<br />

costituisce un blocco monolitico di credenze e di prassi, ma risulta, da un punto di vista diacronico,<br />

un dato adattivo. In questo modo incontriamo l’ulteriore conferma di quanto affermato sopra, ossia<br />

che il reato riferito alle MGF sia da definirsi positivamente culturale nel senso descritto; in<br />

particolare come comportamento penalmente rilevante per una disposizione dell’ordinamento, ma,<br />

nel contempo, come agìto umano, prima estraneo, e comunque dettato da un background<br />

sicuramente differente rispetto a quello dei reati commessi dai gruppi umani prevalenti e posto in<br />

essere in esecuzione, in adempimento, di un senso di doverosità nei confronti di obblighi posti dalla<br />

propria comunità di appartenenza. In termini negativi il reato culturale può essere non-definito, o<br />

non pienamente individuato, come quell’illecito penale motivato da: ragioni dettate strettamente<br />

da convinzioni religiose convenzionali od accettate; motivi di coscienza individuale; istanze<br />

promananti da consuetudini di sottogruppi già inseriti comunque in una cultura omogenea.<br />

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3) I PROBLEMI RELATIVI A FATTISPECIE ANALOGHE AI REATI CULTURALI: I PRECEDENTI<br />

Sebbene l’art. <strong>583</strong> bis c.p. delinei formalmente il primo cultural crime all’italiana, viene da<br />

domandarsi se la precedente esperienza normativa, amministrativa o giudiziaria del nostro<br />

ordinamento, si siano imbattute in fattispecie relative a casi che, anche in via obliqua ed indiretta,<br />

potessero configurare una sorta di illecito penale culturalmente orientato, o potessero inquadrarsi<br />

nell’ambito del confronto di posizioni <strong>culturali</strong>. Per quanto concerne la normativa positiva si<br />

sarebbe forse potuto rinvenire un riferimento negli abrogati artt. 551 (25), 578 (26), 592 (27) c.p. i<br />

quali, e senza per questo dover entrare nel merito <strong>delle</strong> astratte fattispecie e dei riflessi applicativi,<br />

fissavano un trattamento sanzionatorio più mite per alcuni reati contro la persona in quanto<br />

commessi nella necessità di: a) salvare l’onore proprio b); reagire (nello stato d’ira) per l’onore<br />

perduto. A ben esaminare, in verità, sembra affrettata ed imprecisa la decisione di annoverare le<br />

succitate disposizioni nell’ambito della categoria di cultural crimes ante litteram; le medesime<br />

infatti:<br />

a) non si ponevano come reazione penale verso un fenomeno ed una prassi nuova scaturente<br />

da un conflitto di «culture», ma solo come adattamento normativo rispetto ad un costume<br />

(quello della difesa dell’onore sessuale) già ben radicato, creando quasi un rapporto si<br />

simpatia coll’istinto arcaico di cancellare col sangue certi fatti (28);<br />

b) costituivano il riconoscimento di un trattamento penale benigno (29) in considerazione di<br />

fatti rilevanti, la cui causazione o motivazione poteva farsi risalire ad una pulsione non<br />

incoraggiata, ma in qualche modo, socialmente accettata (30) e quindi non del tutto<br />

estranea all’ambiente sociale generale.<br />

Neppure la prassi applicativa è stata in grado di enucleare dei veri e propri casi di cultural<br />

crimes anteriormente al fenomeno dell’irruzione in scena <strong>delle</strong> MGF. Non si è rivelata idonea ad<br />

integrare la fattispecie suindicata l’obiezione di coscienza (31) la quale, oltre a presupporre<br />

fondamentalmente un agìto negativo, si sostanzia in una scelta psicologica di dis-impegno, dis-<br />

adesione nei confronti di un obbligo giuridico, in una modalità oppositiva consapevole che si<br />

manifesta nell’ambito della coscienza individuale. Si rende infatti necessario considerare che sia la<br />

L. 15 dicembre 1972, n. 722 e seguenti in materia, sia la L. 22 maggio 1978, n. 194 si riferiscono al<br />

caso di convincimenti ed imperativi etico-spirituali certi e determinati, che spingono il soggetto a<br />

non adeguarsi consapevolmente ad un comando, di modo che, l’adesione coatta al medesimo<br />

provoca inevitabilmente una reazione interiore meno tollerabile rispetto alla attivazione della<br />

sanzione legale. In altre parole: l’obiezione di coscienza non consiste in una vaga e generica<br />

opposizione cultural-identitaria, ma si atteggia a dolorosa e cosciente scelta alternativa senza ritorno<br />

tra due comandi (32). In questo frangente, nell’obiezione di coscienza, non rilevano tanto i<br />

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condizionamenti comunitari – attivati invece nei cultural crimes e segnatamente nel caso <strong>delle</strong><br />

MGF – quanto piuttosto viene in gioco il singolo (solitamente individuo sufficientemente evoluto,<br />

decondizionato e ben strutturato) nella propria piena opposizione morale e razionale (33). Non<br />

entrano quindi in scena quegli stati emotivi e di fascinazione, quasi di rapimento, che sembrano<br />

presiedere all’adempimento di compiti legati a comandi (in senso molto lato) prescritti dalla<br />

tradizione, dal culto o dal rito (34). La stessa esperienza giurisprudenziale in materia di<br />

atteggiamenti oppositivi e fondati culturalmente, ha registrato il caso clamoroso del rifiuto di<br />

emotrasfusione posto in essere dai genitori appartenenti ad una confessione religiosa di minoranza<br />

(tra i cui dettami vi era appunto il divieto <strong>delle</strong> trasfusioni di sangue) e risoltosi con la morte di una<br />

minore (35). Anche in questo frangente la fattispecie si poneva in una posizione «grigia» tale da non<br />

consentire di essere collocata pienamente (ed astrattamente s’intende) nell’ambito della obiezione di<br />

coscienza; forse per la mancanza di quel contrasto morale-razionale ed individuale che la<br />

caratterizza e per il fatto che la decisione di non sottoporre la minore al trattamento terapeutico, non<br />

è risultata solo frutto di un tormentato percorso interiore, bensì è derivata anche dalla pedissequa<br />

sequela nei confronti di una prescrizione religiosa. Del resto, come è stato giustamente evidenziato,<br />

il rifiuto dell’intervento trasfusionale a favore della minore non avrebbe neppure potuto trovare<br />

astratta collocazione nell’ambito della provincia iuris definita dall’art. 19 Cost. che, correttamente<br />

declinato, prevede prevalentemente un diritto all’orientamento del pensiero, della coscienza, dei<br />

convincimenti e non sempre l’esercizio concreto e materiale di un diritto, vale a dire un diritto<br />

all’agire, al porre sempre in pratica tutti i contenuti sottesi a tali convincimenti (36). Ciò in<br />

particolare quando il conflitto è attuato tra l’orientamento confessionale ed i fondamentali obblighi<br />

di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e gli obblighi di protezione che derivano da una applicazione del<br />

secondo comma dell’art. 40 c.p. Perlomeno questo è risultato il senso della sentenza relativa al caso<br />

della trasfusione, detto caso Oneda (37). Lo spiraglio attraverso il quale il quale l’agìto dei<br />

contenuti di fede potrebbe prevalere nei confronti dei concreti obblighi di legge, non è nel nostro<br />

caso relativo alla materia della vita e della integrità fisica altrui, ma è invece collocabile ove<br />

l’operato secondo il contenuto del precetto religioso, non travalichi, nell’ambito di un adeguato<br />

bilanciamento di interessi, quei limiti esterni che confinano con altri diritti fondamentali garantiti<br />

dalla Carta Costituzionale (38). In relazione alla vicenda cagliaritana sono stati osservati<br />

acutamente alcuni profili che trascendono il dato relativo al diritto di opposizione alla norma,<br />

variamente argomentato, e si è spostata l’attenzione da una prevalente qualificazione del fatto<br />

obiettivo nella sua antigiuridicità, verso la focalizzazione nei confronti <strong>delle</strong> figure degli imputati.<br />

In effetti, argomentando da un punto di vista marcatamente soggettivo, è stato evidenziato il punto<br />

debole del sistema penale che, mediante la comminatoria della sanzione, verrebbe a punire in modo<br />

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inadeguato colui che, conformandosi ad un precetto religioso particolarmente radicato e così forte<br />

da condurre a sacrificare la vita del figlio minore, si auto-pone pur sempre in una condizione<br />

tormentosa e forse paralizzante (39). Affrontando il problema in questi termini si può mettere in<br />

luce come, al di là <strong>delle</strong> rigidità del sistema penale e della sua necessaria inderogabilità generale, sia<br />

plausibile imbattersi in casi nei quali l’agente ha posto in essere la sua condotta (specie omissiva) in<br />

una situazione di sospensione, di sequestro della razionalità e della condivisione dei valori comuni,<br />

tale da elidere, financo ad oscurare, la facoltà di decisionale rispetto alle scelte fondamentali della<br />

vita (40). Oltretutto, già in tempi non sospetti e non «invasi» e caratterizzati dai problemi relativi<br />

all’incontro/scontro di culture, si era affrontato, proprio in tema di imputabilità, il frangente della<br />

eventuale incapacità a comprendere taluni principi e conformare i propri agìti ad essi; si era, con<br />

una certa lungimiranza, posto il sospetto che il soggetto sfornito degli strumenti cognitivi e <strong>culturali</strong><br />

per la comprensione della illiceità di determinati comportamenti, potrebbe in qualche modo<br />

considerarsi tout court incapace al reato (41) ed alla conseguente punizione.<br />

4) L’ART. <strong>583</strong> BIS C.P. – INQUADRAMENTO GENERALE ED I PRECEDENTI DI MGF NELLA PRASSI<br />

I motivi che hanno indotto il legislatore ad introdurre l’impianto della L. 7/2006 possono<br />

essere grosso modo ripartiti in due ordini:<br />

- motivi espliciti e manifesti che si fanno risalire alla necessità di ottemperare ad una serie di<br />

fonti extrastrastauali (42);<br />

- motivi impliciti e non confessati, da individuarsi forse nella volontà di sottrarre il fenomeno<br />

incipiente <strong>delle</strong> MGF alla disciplina ordinaria <strong>delle</strong> lesioni personali prevista dagli artt. 582 e <strong>583</strong><br />

c.p.; e ciò per un particolare ordine di considerazioni. La dottrina e la giurisprudenza consolidate da<br />

un trentennio hanno fatto un accorto e mirato utilizzo di alcuni disposti per dichiarare determinate<br />

lesioni invalidanti, in particolare i casi di vasectomia volontaria a scopo voluttuario o ludico, come<br />

non caratterizzate dalla antigiuridicità. Nell’introdurre una fattispecie ad hoc, oltretutto contenuta in<br />

un impianto normativo più vasto, sembra si sia inteso sottrarre un fenomeno nuovo (ma<br />

astrattamente pur sempre realizzato mediante lesioni) – un fenomeno socialmente «altro» ed<br />

inconsueto – alla possibilità di essere metabolizzato dall’interpretazione e dalla prassi applicativa<br />

sviluppatasi in relazione all’art. <strong>583</strong> c.p., specie in riferimento al consenso dell’avente diritto. Non è<br />

quindi difficile, ragionando questa volta in termini più generali, ravvisare un intento, un disposto,<br />

per così dire ideologico, ossia la volontà di introdurre una norma in un certo senso prevalentemente<br />

«simbolica» o «manifesto» (43), avente funzione dichiarativa e di autoaffermazione contro-<br />

culturale di quei valori appartenenti al Paese che la esprime. Il concetto di «norma simbolica» nella<br />

sua analisi e nella sua portata, meriterebbe sicuramente una trattazione adeguata e complessa che, in<br />

questa sede, non possiamo svolgere. Possiamo soltanto considerare che - al di là dell’ossimoro<br />

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costituito dalla stessa espressione di «norma simbolo» (44) - il simbolo, attraverso il recepimento<br />

legale, cessa di essere elemento estraneo alla legge, la quale finisce inevitabilmente coll’assumere il<br />

ruolo di strumento di sovra-evocazione del fenomeno regolato, di direzione e, paradossalmente, di<br />

separazione e di lacerazione della trama sociale. Ciò in netto contrasto col ruolo della legge in una<br />

società liberale (45). Il rischio derivante da quanto considerato è quello, da un lato, di rendere<br />

inefficace la legge nella sua applicazione e, dall’altro, di condurre a favorire quel senso di maggior<br />

isolamento in capo alle minoranze che conoscono ed agiscono le MGF, con il conseguente<br />

incremento di pratiche in condizioni sempre più precarie e clandestine o magari compiute all’estero<br />

nei paesi d’origine (46). Del resto la pesante stigmatizzazione da parte di una esplicita norma ad<br />

hoc (che prevede sanzioni severe) e l’inevitabile percezione della stessa come cultural crime creato<br />

in opposizione ad una prassi di gruppo, potrebbe indurre per conseguenza – come d’altronde si è<br />

rilevato in altre esperienze straniere, specie statunitensi – ad uno sviluppo anche in Italia di una<br />

serie di <strong>difese</strong> <strong>culturali</strong> per esaminare ed affrontare le quali siamo oggi ancora scarsamente<br />

attrezzati.<br />

Il sospetto della possibilità di attivazione di disposti e di <strong>difese</strong> <strong>culturali</strong> sembra fondato nel<br />

momento in cui si considerano due isolati precedenti di MGF pervenuti all’attenzione della Autorità<br />

Giudiziaria italiana anteriormente al 2006 (47): si tratta di fattispecie caratterizzate da coordinate<br />

comuni:<br />

le coordinate di spazio: entrambi gli interventi costituenti reato erano stati fatti eseguire al di là<br />

dei confini dello Stato Italiano, con la conseguente variante della specificità del reato<br />

transnazionale;<br />

le coordinate soggettive: in ambedue i casi il reato si era concretato nell’ambito del rapporto<br />

genitori-figli minori. Sotto questo profilo si può comprendere come, passando dal caso singolo a<br />

concettualizzare in termini più generali, si corra il rischio di leggere il fenomeno <strong>delle</strong> MGF solo<br />

nell’ottica che vede il minore (recte la figlia femmina) come vittima «classica» e che,<br />

inevitabilmente, si possa spostare il focus dell’attenzione nei confronti di una rete familiare intesa<br />

come relazione sovraordinazione/subordinazione (48) pregiudizievole per il genere femminile e di<br />

giovane età, con l’inevitabile attivazione dei disposti, ad esempio, dell’art. 330 c.c. e seguenti.<br />

Del resto fu proprio il caso all’esame della Procura della Repubblica di Torino ad essere<br />

considerato in modo culturalmente orientato dal locale Tribunale per i Minorenni che, dopo un<br />

immediato decreto di ablazione della minore sottoposta ad escissione (49), il mese successivo<br />

disponeva la revoca dell’allontanamento ed il riaffidamento della bambina ai genitori (50) sulla<br />

base di un duplice ordine di considerazioni (strettamente collegabili tra loro): che l’intervento fosse<br />

stato fatto eseguire presso una regolare clinica nigeriana (quindi con esclusione di possibili<br />

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conseguenze pregiudizievoli per la salute); e la constatazione che, sulla base della tradizione tribale<br />

di appartenenza dei genitori, la ragazza non sottoposta alla pratica eseguita rischia una sanzione<br />

sociale di esclusione dalla comunità e va incontro a notevoli difficoltà nel maritarsi (51). Tutti gli<br />

argomenti portati dal secondo decreto del Tribunale per i Minorenni, ancor più <strong>delle</strong> posizioni<br />

assunte dalla Magistratura penale, hanno mostrato di saper riservare ai genitori, certo non un<br />

giudizio di astratto apprezzamento per l’atto, quanto piuttosto una valutazione di non piena ed<br />

esplicita riprovazione verso una prassi che, tra le righe, viene presentata come depotenziata nella<br />

sua gravità sociale e dal punto di vista della capacità criminale degli stessi adulti.<br />

La terza coordinata che si rileva è quella, in sintesi, della attivazione, a livello perlomeno<br />

embrionale, di una sorta di circuito virtuoso tra reato culturale, difesa culturale ed approccio<br />

culturale al medesimo, intendendo i tre passaggi, i tre momenti, non nella loro compiutezza e<br />

consapevolezza anche applicativa, bensì come tentativo di accostarsi ad un problema nuovo con<br />

tutte le possibili cautele e distinzioni. Gli aspetti che principalmente sono venuti in evidenza sono<br />

stati quelli della valutazione adeguata dell’aspetto penale, in particolare persino facendo affacciare<br />

sulla scena una possibile rilevanza della applicazione dell’art. 5 c.p. come riletto dalla Corte<br />

Costituzionale (52).<br />

5) L’ART. <strong>583</strong> BIS COME REATO CON ASPETTI TRANSNAZIONALI<br />

La prassi <strong>delle</strong> MGF trova, come noto, origine nell’ambito del complesso intreccio di<br />

motivazioni <strong>culturali</strong> e cultuali riferite a contesti antropologici extraeuropei. Anche i due precedenti<br />

citati e passati al vaglio <strong>delle</strong> Autorità Giudiziarie penali e minorili, si riferivano ad interventi di<br />

mutilazioni genitali eseguiti fuori dal territorio italiano. Tale considerazione ha forse indotto il<br />

legislatore della L. 7/2006 ad introdurre una particolare deroga temperata all’art. 7 c.p. e degli artt.<br />

9 e 10 c.p. In particolare, il terzo comma dell’art. <strong>583</strong> bis c.p. stabilisce un doppio binario di<br />

transnazionalità punitiva che attiva la sanzione per i fatti commessi all’estero da parte:<br />

ATTIVA – quando l’agente sia italiano o straniero con residenza in Italia;<br />

PASSIVA – quando la vittima sia italiana o straniera con residenza in Italia.<br />

L’efficacia spaziale della norma penale presenta quindi uno spettro di apprezzabile ampiezza<br />

che, peraltro, potrebbe suscitare problemi od insorgenze di concreti conflitti di norme ed<br />

ordinamenti penali: si pensi ad esempio al caso dell’intervento di MGF eseguito in un territorio nel<br />

quale la pratica è considerata lecita o punita con sanzioni amministrative (53).<br />

L’intervento del legislatore si è quindi rivelato zelante, sebbene la prassi applicativa insegni<br />

che, talvolta, la buona volontà si viene inevitabilmente a scontrare con le difficoltà che la realtà<br />

comporta. I problemi che possono ostacolare l’attività di repressione <strong>delle</strong> MGF su scala, possiamo<br />

dire «globale» da parte della magistratura di un singolo Stato, si appalesano molteplici: vi sono<br />

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ostacoli connessi al reperimento ed alla assicurazione <strong>delle</strong> prove, specie in considerazione che non<br />

sempre tali interventi vengono eseguiti presso ospedali o cliniche che possono vantare una certa<br />

visibilità e vengono, proprio a causa della loro derivazione tradizionale o culturale, attuate spesso<br />

presso ambiti tribali, in modo clandestino, con strumentazioni approssimative. Ostacoli oltretutto<br />

che potrebbero provenire dalla scarsa o riottosa collaborazione (54) <strong>delle</strong> Autorità del luogo nel<br />

quale il fatto è stato commesso. Invece, a sostegno della scelta della punibilità su scala<br />

transnazionale, perlomeno allo scopo di rendere maggiormente attuabile la efficacia della<br />

punizione, potrebbe ravvisarsi il criterio di collegamento inserito nella norma medesima ed espresso<br />

dalla indicazione della residenza italiana della vittima o dell’agente; questa renderebbe forse più<br />

agevole la ricostruzione dei fatti accaduti e, limitatamente, la raccolta <strong>delle</strong> prove. Una indicazione<br />

che, per attuare un parallelo con un disposto normativo analogo, non è prevista, ad esempio, nella<br />

fattispecie dell’art. 604 c.p. in tema di punizione dello sfruttamento sessuale di minori all’estero e<br />

che rende la sua applicazione talvolta difficoltosa.<br />

Ma al di là di una minuziosa esegesi del terzo comma dell’art. <strong>583</strong> bis c.p. è necessario<br />

indagare circa il senso generale della scelta connessa ad alcuni casi di punibilità anche all’estero<br />

<strong>delle</strong> MGF (55). Nell’ambito di una valutazione più ampia viene infatti in evidenza un principio di<br />

difesa (56), in base al quale la legge penale dello Stato protegge gli interessi ed i beni che in qualche<br />

modo gli appartengono; ed un correlativo principio di personalità attiva (57), in base al quale il reo<br />

viene sanzionato dalla legge penale dello Stato di appartenenza. Ed all’interno della scelta dei due<br />

principi si rinviene l’opzione normativa impostata sulla punizione nei confronti del reo, che deve<br />

intrattenere una relazione di stabilità con lo Stato rappresentata dalla residenza e in rapporto alla<br />

vittima, anch’essa legata allo Stato dal medesimo criterio. Il significato più profondo di un tale<br />

regime, e della scelta del criterio della residenza, potrebbe farsi risalire a due motivi, uno dei quali<br />

lumeggiato in precedenza, è rappresentato dalla volontà emergente di introdurre una «norma<br />

simbolica», «manifesto», a forte impatto di significati e di mòniti, specie nei confronti degli<br />

stranieri che si apprestano a stabilirsi in Italia mantenendo un contatto con la terra di provenienza.<br />

L’altro, forse più opportunistico, dettato dalla necessità di tentare di evitare al Servizio Sanitario<br />

pubblico il carico <strong>delle</strong> talvolta gravi complicanze derivate da MGF eseguite in modo clandestino e<br />

precario nel paese d’origine, su donne che successivamente fanno ritorno in Italia.<br />

Raccolte queste considerazioni possiamo trarre alcune osservazioni, certamente non<br />

conclusive. Accanto al caso di determinati reati patrimoniali, la transnazionalità del diritto penale ha<br />

occasione di venire ad efficacia e rilievo in quelle materie che, a vario titolo, riguardano il regime<br />

del corpo umano e le sue concezioni (in particolare il trattamento, la cura, anche la non cura). In<br />

tutti i casi che interessano la «fisicità» quali: aborto (58), trapianti, genetica, sessualità, risulta forse<br />

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un po’ miope non essere in grado di individuare una matrice comune costituita dal rilievo che il<br />

diritto occidentale in genere – in nome, esteriormente o magari anche in buona fede, dei diritti<br />

umani – intenda espandere ed imporre anche al di là dei propri confini le proprie rappresentazioni<br />

relative alla salute ed al benessere fisico, e ciò partendo dal presupposto che le medesime debbano<br />

considerarsi bene o male universali.<br />

6) LA DESCRIZIONE DELLA CONDOTTA INCRIMINATA<br />

Un approccio integrato che consideri il sapere medico unitamente ad una costante lettura del<br />

dato normativo, consente di pervenire ad una prima valutazione della descrizione della condotta<br />

incriminata dall’art. <strong>583</strong> bis c.p. La medesima contempla due distinte fattispecie costituenti reato: il<br />

primo comma si occupa di vere e proprie menomazioni che possono integrare la mutilazione<br />

d’organo, caratterizzate dalla permanenza (59) e che si concentrano nelle due distinte manovre della<br />

escissione della infibulazione e della clitoridectomia, con una la pena della reclusione da quattro a<br />

dodici anni. L’espressione utilizzata dal legislatore di «organi genitali femminili» è oltretutto<br />

impropria poiché si riferisce genericamente a tutto l’apparato riproduttivo (anche utero, tube,<br />

ovaio), quando invece le MGF interessano quasi esclusivamente la zona vulvare (59 bis). La<br />

seconda ipotesi delinea una condotta di non agevole individuazione che si deve realizzare nella<br />

produzione, allo scopo di «menomare la funzione sessuale», di lesioni ai genitali (60) che diano<br />

luogo ad una malattia del corpo o della mente, con una pena ordinaria della reclusione da tre a sette<br />

anni. Ciò che interessa ai nostri fini non è tanto una descrizione precisa <strong>delle</strong> condotte descritte, in<br />

questa sede è prioritaria l’individuazione di eventuali indici o segni che possano far emergere la<br />

specificità della norma – intesa anche come cultural crime rispetto alla disciplina ordinaria degli<br />

artt. 582, <strong>583</strong> c.p. Una verifica condotta sul campo comparativo ci consente di stabilire che, se la<br />

sanzione più importante per le lesioni personali aggravate oscilla da un minimo di sei anni ad un<br />

massimo di dodici; quella per la prima ipotesi di MGF può essere quindi quoad poenam e quoad<br />

gravitatem venire equiparata ai casi previsti dai nn. 1), 2), 3), 4) del secondo comma dell’art. <strong>583</strong><br />

c.p. (61) Altrettanto chiaro risulta l’aggancio sanzionatorio previsto dall’ipotesi di cui al secondo<br />

comma dell’art. <strong>583</strong> bis c.p. che equipara le MGF meno gravi alle lesioni ordinarie gravi. Vi è un<br />

ulteriore aspetto da considerare: se è vero che le pratiche di mutilazione genitale, secondo arcaiche<br />

concezioni, costituiscono il momento di passaggio verso l’età adulta e quindi si pongono pur<br />

sempre come prodromiche all’esercizio della sessualità, non si comprende l’inserimento della<br />

locuzione normativa del «fine di menomare le funzioni sessuali» che sembra peccare di genericità e<br />

di assenza di precisi riferimenti <strong>culturali</strong> (62) e che può incontrare rilevanti difficoltà sul piano<br />

probatorio (63), proprio perché il dolo dell’agente non è quasi mai volto a menomare in senso<br />

stretto (64). Quindi non può dirsi che i rituali di MGF siano generalmente compiuti allo scopo<br />

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specifico di «menomare le funzioni sessuali», quanto, piuttosto, sono posti allo scopo di far<br />

conoscere e riconoscere una differenza di genere della condizione femminile, conosciuta e<br />

riconosciuta da colei che ne è investita e dagli altri. Queste operazioni sui corpi hanno un significato<br />

sociale e di carattere simbolico. La previsione, pertanto, di un dolo specifico di menomazione <strong>delle</strong><br />

funzioni sessuali sembra il portato di un inadeguato approccio culturale al fenomeno regolato. Il<br />

sospetto è quello che la norma possa proprio incontrare difficoltà applicative proprio a causa di tale<br />

connotazione soggettiva in capo all’agente (65).<br />

Oltretutto non si può far a meno di rilevare come il secondo comma della disposizione in<br />

esame preveda una sanzione che, pur nell’ipotesi più attenuata (diminuzione fino a due terzi in caso<br />

di lesione di lieve entità), si rivela chiaramente sproporzionata rispetto a quella prevista per le<br />

lesioni più lievi dell’art. 582 c.p. che prevede una pena da tre mesi a tre anni. Tale sperequazione<br />

sanzionatoria renderebbe praticamente inattuabile, sotto il profilo strettamente penalistico, anche<br />

quella soluzione di ripiego proposta nel 2004 da un medico somalo, esercente in Italia, e consistente<br />

in una puntura di spillo praticata nell’area genitale (66) volta ad una surrogazione simbolica <strong>delle</strong><br />

pratiche di MGF attuate altrimenti in modo cruento e clandestino. L’utilità di un trattamento<br />

sanzionatorio molto severo, specie in riferimento ai casi di lesioni più lievi, può essere sicuramente<br />

posta in dubbio e rivelarsi come l’indice di una <strong>delle</strong> intenzioni del legislatore del 2006 il quale,<br />

oltre ad introdurre una norma penale ha palesato, anche sotto questo aspetto, la volontà di<br />

configurare un vero cultural crime, una norma di opposizione nei confronti di una prassi che<br />

proviene da ambienti estranei e ritenuti connotati da caratteristiche considerate primitive e<br />

disumane. E tutto questo senza tenere in conto anche che, come esposto in precedenza, la risposta<br />

penale forte è in genere inadeguata a reagire nei confronti di reati compiuti senza una vera e propria<br />

volontà malvagia, ma sulla base, ad esempio, di condizionamenti <strong>culturali</strong> e di convinzioni radicate.<br />

E’ infatti intuitivo pensare che le pratiche di MGF non siano accompagnate e connotate da quella<br />

prava voluntas che si ha modo di riscontrare nella sfera soggettiva di colui che, ad esempio, pone in<br />

essere le lesioni volontarie comuni; in altre parole l’agente, nel nostro caso, commette l’illecito che<br />

è pensato come doveroso nella propria comunità di appartenenza (66 bis). Possiamo anticipare sin<br />

d’ora che una astratta operazione di dosimetria della pena sulla base dei parametri individuati<br />

dall’art. 133 c.p. potrà condurre a risultati ambivalenti e non univoci, cioè a dire: che si dovrà tenere<br />

in conto il n. 2) del primo comma della norma in esame (67), ma, altrettanto, il giudicante sarà<br />

tenuto a confrontarsi con i nn. 1) e 4) del secondo comma che potrebbero far pendere il piatto della<br />

bilancia verso una valutazione e quantificazione della sanzione decisamente meno severa (68).<br />

In entrambe le ipotesi di condotte incriminate, cioè sia nel caso di mutilazione che in quello<br />

di lesione, la norma in esame stabilisce, per il suo realizzarsi, il requisito della «assenza di esigenze<br />

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terapeutiche». Prima di chiedersi il significato preciso dell’espressione in parola è opportuno,<br />

sempre ai fini di una considerazione più ampia della norma, domandarsi quale sia la natura<br />

giuridica, nell’ambito della complessiva fattispecie formale, del requisito negativo («in assenza…»)<br />

previsto dal dettato legislativo. La dottrina sembra essere d’accordo nel qualificarlo come elemento<br />

costitutivo della fattispecie (69) con la conseguenza ovvia che la carenza (cioè l’assenza <strong>delle</strong><br />

esigenze terapeutiche), dovrà essere dedotta dall’organo dell’accusa nel delineare il fatto-reato (70).<br />

Anche questa formulazione, questo posizionamento del requisito negativo all’interno del corpo<br />

normativo, sembra poter corrispondere ad un particolare intento del legislatore, che vuole la<br />

fattispecie integrata tutte le volte in cui l’intervento sui genitali non sia stato effettuato per le<br />

esigenze riconosciute ed accettate dal sapere medico occidentale (71); che, peraltro, proprio in<br />

materia di necessità terapeutiche ginecologiche, ha conosciuto anche singolari oscillazioni (72) e,<br />

per la verità, persino notevoli stravaganze anche in altri ambiti di specializzazione (73). Possiamo<br />

aggiungere, ragionando a contrario, che qualora il requisito della assenza di esigenze terapeutiche<br />

fosse stato posizionato esternamente rispetto al corpo della norma, probabilmente lo si sarebbe<br />

potuto interpretare come espressione avente altra natura giuridica. Forse di causa di giustificazione,<br />

che avrebbe per conseguenza offerto all’indagato-imputato la possibilità di svolgere, sin da subito e<br />

con un impatto diverso, le proprie <strong>difese</strong> su base culturale e più in generale esponendo le proprie<br />

soggettive motivazioni. Può sembrare forse irrilevante sotto il profilo della sostanza giuridica, ma<br />

non lo è da un punto di vista del generale atteggiamento e <strong>delle</strong> possibilità degli assetti difensivi. Un<br />

conto, infatti, è l’essere accusati di lesioni personali sic et simpliciter e contrapporre subito una<br />

qualche causa di giustificazione, ben diversa pare essere, invece, una accusa fondata sull’aver<br />

cagionato lesioni ontologicamente caratterizzate dall’assenza di «esigenze terapeutiche».<br />

7) LA FATTISPECIE PREVISTA DALL’ART. <strong>583</strong> BIS C.P. E LA POSSIBILITÀ DI INDIVIDUARE DIFESE<br />

CULTURALI FONDATE SULLA OPERATIVITÀ DI CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE<br />

A) IL CONSENSO DELL’AVENTE DIRITTO<br />

Allo scopo di focalizzare in modo più adeguato l’art. <strong>583</strong> bis c.p. nella prospettiva di<br />

cultural crime è ora necessario abbandonare una prospettiva oggettiva di approccio, legata perlopiù<br />

alla descrizione della condotta incriminata, per assumere un punto di vista soggettivo: in particolare<br />

avendo riguardo alla posizione dei protagonisti del fatto-reato. Questa operazione potrebbe proprio<br />

prendere le sue mosse da una rinnovata valutazione del contenuto della nota espressione normativa<br />

di «in assenza di esigenze terapeutiche»; specie tenendo presente la relativa variabilità storico<br />

scientifica della nozione. Si deve infatti tenere in conto che, anche il sapere medico occidentale, può<br />

ammettere oggi una lecita praticabilità di operazioni di mutilazione genitale (74) in presenza di<br />

esigenze terapeutiche. Nel contempo, si debbono considerare i problemi che possono insorgere in<br />

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elazione ad un aspetto soggettivo che la novella sembra avere obliato: quello del consenso della<br />

persona sottoposta ad MGF. Sgombrando subito il campo da possibili equivoci possiamo premettere<br />

che il problema non rileva in relazione ad una paziente minorenne (75) - si potrebbero porre in<br />

questo caso i medesimi quesiti che si pongono in materia di circoncisione maschile a scopo rituale,<br />

ma non è questa la sedes materiae precisa – che non è in grado di esprimere un valido ed efficace<br />

assenso ad un intervento del genere. Quindi la questione pare correttamente posta (e da porsi) in<br />

relazione alla donna maggiorenne che intenda sottoporsi ad un intervento rituale di MGF. Il punto si<br />

rivela cruciale, in specie se si tengono presenti gli orientamenti assunti in sede dei Lavori<br />

Parlamentari che avrebbero condotto alla formulazione definitiva dell’art. <strong>583</strong> bis c.p. e che<br />

rivelavano l’intenzione di introdurre una norma penale dotata di una esplicita forza di resistenza nei<br />

confronti della operatività dell’art. 50 c.p. (76). L’esito della stesura definitiva della norma, che non<br />

prevede l’esclusione espressa della operatività del consenso dell’avente diritto (si noti che la bozza<br />

non parlava di , ma di ), può essere sottoposto ad una duplice lettura<br />

interpretativa. Da un lato, come si afferma, il legislatore ha ritenuto di omettere l’inciso proprio allo<br />

scopo di rimarcare la sua inutilità e di ribadire la indisponibilità del diritto offeso dal reato (77);<br />

quindi – aggiungiamo – di rafforzare la carica simbolica della norma stessa. Dall’altro, l’omissione<br />

del medesimo inciso, anche sulla base di una corretta ermeneutica penalistica, potrebbe in qualche<br />

modo aprire l’operatività ad uno scenario che consente la applicazione dell’art. 50 c.p. ed una sua<br />

necessaria interazione coll’art. 5 c.c.<br />

Una soluzione può transitare attraverso l’esame di argomenti paralleli già affrontati dalla<br />

letteratura e dalla giurisprudenza; in particolare di quelli relativi al consenso a quelle diminuzioni<br />

(anche permanenti) della integrità somatica che – sulla base di una lettura costituzionalmente<br />

orientata – sembra poter operare ove tendente al benessere psico-fisico della persona (78). Ed un<br />

luogo parallelo particolarmente significativo e pregnante, poiché tiene conto del coinvolgimento<br />

della sfera della sessualità in senso lato, è sicuramente indicato dal tema della liceità degli interventi<br />

(volontari) volti a cagionare l’impotentia generandi. Illeciti anteriormente alla L. n. 194 del 22<br />

maggio 1978 e con la vigenza dell’art. 552 (79) c.p. sulla procurata impotenza alla procreazione,<br />

attraverso l’abrogazione di quest’ultima disposizione, tali interventi sono ricaduti nell’ambito<br />

normativo dell’art. <strong>583</strong> n. 3) secondo comma, che doveva ritenersi ontologicamente applicabile solo<br />

quando la lesione si verificava senza o contro la volontà dell’avente diritto. Il dibattito, specie sulla<br />

c.d. sterilizzazione di comodo, è quindi transitato da un ambito di rilievo strettamente penalistico,<br />

sino a giungere a considerazioni più ampie, in particolare legate ad una lettura evolutiva dell’art. 5<br />

c.c. e dell’art. 32 Cost.<br />

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In sostanza, dopo gli inziali disorientamenti (80) a cavallo tra la fine degli anni ’70 e la<br />

prima metà degli anni ’80, il problema sembra essere stato definitivamente risolto dalla<br />

giurisprudenza (81); risolto nel senso di considerare la piena liceità della sterilizzazione anche a<br />

scopo voluttuario. Ma al di là dei principi portati dai pronunciamenti giudiziari, la non illiceità della<br />

sterilizzazione nei termini suindicati deriva comunque da una interpretazione del diritto alla salute<br />

di cui all’art. 32 Cost. Salute intesa globalmente come benessere psico-fisico della persona e sempre<br />

tenendo ferma una concezione dell’art. 5 c.c. che abbia riguardo all’«integrità fisica», non solo in<br />

senso strettamente anatomico, ma personalistico ed anche riferito alla vita sociale.<br />

Tanto premesso si pone la domanda se, il medesimo schema individuato, cioè il ricorso ad<br />

una lettura combinata ed evolutiva degli artt. 5 c.c. e 50 c.p., possa trovare accoglienza anche in<br />

relazione ad una possibile causa esclusione della antigiuridicità dell’art. <strong>583</strong> bis c.p.<br />

Il quesito si atteggia sulla base di due coordinate: quella formale e quella sostanziale.<br />

Per quanto riguarda l’aspetto formale, considerando l’assetto normativo in sé a prescindere<br />

dall’esame dei suoi contenuti, bisogna rilevare la presenza di due aspetti che, in linea di massima, ci<br />

conducono ad una ambiguità rispetto all’applicazione della medesima interpretazione utilizzata per<br />

il caso della sterilizzazione voluttuaria. Da un lato, infatti, possiamo considerare che ove la norma<br />

penale non prevede, allora in conformità non dispone; quindi, ad un approccio puramente testuale, il<br />

consenso dell’avente diritto potrebbe essere operativo. D’altro canto, però, il fatto che la stesura<br />

originaria della norma prevedesse l’inciso , non può autorizzarci<br />

tout court a ritenere che la versione definitiva permetta l’operatività scriminante del consenso. Non<br />

è del tutto infondato ritenere infatti che una norma speciale come l’art. <strong>583</strong> bis c.p., così carica di<br />

significati oppositivi, possa non costituire una sorta di «doppione» rispetto a quella comune dell’art.<br />

<strong>583</strong> c.p. che, al contrario della prima, lascia a certi limiti operare il consenso.<br />

Avendo invece riguardo alla descrizione della condotta incriminata ed in considerazione che,<br />

sin dalle origini, il portato dell’art. 5 c.c. fosse da intendersi più come il divieto di alterazioni<br />

funzionali del corpo umano che non puramente anatomiche (82), non possiamo escludere che<br />

lesioni come quelle indicate magari al secondo comma, magari nella graduazione più lieve, possano<br />

venire scriminate dal consenso della donna che vi si sottopone (83). Questa interpretazione potrebbe<br />

avere una sua consistenza applicativa (84) e non solo teoretica, solo se se considera però il rispetto<br />

dei limiti individuabili in relazione alla sterilizzazione voluttuaria: cioè che l’intervento sia svolto<br />

da un medico, nell’ambito di una struttura sanitaria (85) e dopo la prestazione di un consenso<br />

informato (86).<br />

E’ evidente che si tratta in questo caso di una pura ipotesi di lavoro, poiché porre sullo<br />

stesso piano di impatto, persino emotivo, la sterilizzazione voluttuaria e le MGF anche nel caso più<br />

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lieve pare sotto certi aspetti un azzardo. La prima infatti è ormai unanimemente accettata nella<br />

coscienza sociale poiché volta al conseguimento di traguardi (procreazione responsabile ed<br />

esercizio della sessualità) in linea di massima altamente condivisibili. Per la seconda, invece, in una<br />

eventuale difesa fondata sull’art. 50 c.p., si dovrebbe non solo dimostrare il consenso pieno<br />

(operazione non facile in capo a donne che possono patire di spaesamento e diffidenza nei confronti<br />

<strong>delle</strong> procedure giudiziarie) (87), ma sarebbe necessario ricorrere ad una sorta di «scriminante<br />

culturale» (od applicazione culturale della medesima) deducendo che l’operazione è stata eseguita<br />

allo scopo di beneficiare la donna stessa, migliorarne l’integrazione nella comunità di appartenenza<br />

e prevenire il suo isolamento da essa. Su questo punto non ci si può esimere dal rilevare che,<br />

nonostante in entrambi i casi si verta in materia di lesioni di una certa importanza (specie per il caso<br />

della sterilizzazione irreversibile), la fattispecie <strong>delle</strong> MGF – ancorché volontarie/«voluttuarie» –<br />

produrrà una impressione sul pensiero del giudicante sicuramente diversa da quella che si prova di<br />

fronte ad un intervento di sterilizzazione volontaria. Dove le seconde saranno sempre associate ad<br />

un contesto di arretratezza e costrizione (perlomeno diffusa), la prima risulterà funzionale ad una<br />

concezione edonistica della vita largamente accettata. Non sappiamo se sia qui il caso di prendere in<br />

considerazione remote idee di «biopolitica» (88) (ad esempio nel senso di igienismo), attraverso le<br />

quali le istituzioni gestiscono le discipline del corpo ed orientano le scelte ed i costumi: possiamo<br />

comunque affermare che ci troviamo di fronte ad un probabile atteggiamento che innesca una sorta<br />

di scontro «culturale» circa le concezioni del corpo e della sessualità. E ciò sembra ancora più<br />

plausibile solo se si pensa che la chirurgia estetica riferita ai genitali femminili e praticata in Europa<br />

e Nordamerica, risulta essere una pratica medica accettata, apprezzata e per la quale non si sono<br />

avute sollevazioni di carattere etico (88 bis).<br />

Si tratta, come evidente, di operazione non agevole che deve tener conto di notevoli variabili<br />

valutative e di un certo atteggiamento della giurisprudenza che, in un noto precedente (sentenza<br />

Bajrami) di concezione (messa concretamente poi in atto) relativa a metodi educativi arcaici, ha<br />

ribadito, con toni talvolta enfatici, la non praticabilità di una difesa culturale fondata<br />

sull’accondiscendenza – od il consenso – della cerchia familiare destinataria di quelli che furono<br />

giudicati veri e propri intollerabili maltrattamenti (89).<br />

B) L’ESERCIZIO DI UN DIRITTO<br />

Una causa di giustificazione fondata sull’art. 51 c.p., inteso come esercizio di un diritto (90),<br />

potrebbe condurre ad evidenziare ulteriori conflitti a seguito della messa in pratica di una difesa<br />

culturalmente orientata. Innanzitutto è necessario sottolineare la fonte del diritto che si intende<br />

esercitare e, in secondo luogo, qualificarlo nei suoi contenuti. Potrebbe trattarsi del diritto<br />

costituzionale garantito dall’art. 19, specie nella parte in cui fa riferimento agli atti di culto. Però<br />

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affrontando tutti limiti visti in precedenza, ossia: i limiti interni rappresentati dai principi<br />

fondamentali della stessa Costituzione (91) e, quelli esterni, consistenti nella consapevolezza che le<br />

MGF possono solo confusamente farsi rientrare in una prassi religiosa o di fede vera e propria. Se<br />

ad esempio immaginiamo il caso astratto di un diritto dei genitori a praticare alle figlie minorenni<br />

«mutilazioni» a scopo cultuale (92), possiamo renderlo attuabile, magari limitandolo al caso della<br />

puntura di spillo «simbolica» come proposta qualche anno fa; anche in riferimento alla parallela<br />

pratica della circoncisione israelita. L’accostamento merita un certo approfondimento: la seconda<br />

pratica, quella israelita, trova il suo fondamento in un testo religioso positivo (93) che, in qualche<br />

modo, fa parte di un certo patrimonio dalla civiltà occidentale. E’ legittimata da una prassi ormai<br />

secolare e recepita ed è richiamata in modo implicito in una serie di luoghi contenuti nella legge n.<br />

101 dell’8 marzo 1989 (94); ad esempio all’art. 2, comma primo (95), all’art. 21, comma secondo,<br />

punto f) (96), all’art. 25, comma primo (97) ed all’art. 26, comma primo (98). La prima, invece,<br />

nonostante partecipi con la seconda al generale ambito antropologico dei riti di iniziazione (99), e<br />

nonostante possa trovare una virtuale copertura in una lettura combinata dell’art. 19 e dell’art. 30<br />

Cost. in materia di diritto dei genitori ad educare i minori secondo la loro religione o cultura,<br />

sembra, allo stato, potersi escludere dal novero <strong>delle</strong> attività lecite. Ciò anche sulla base della<br />

considerazione del Parere negativo del Comitato Nazionale di Biotetica del 25 settembre 1998<br />

(100), che sembra raccogliere una serie di diffidenze <strong>culturali</strong>, e dell’ambiguo Parere, quanto alla<br />

già citata puntura «simbolica», del Comitato Regionale Toscano di bioetica del 9 marzo 2004 che<br />

auspica il superamento totale di ogni pratica di MGF in vista della loro eliminazione dal panorama<br />

culturale e cultuale (101).<br />

Il problema si pone con minore difficoltà nel caso in cui un intervento manipolatorio<br />

genitale «lieve» sia attuato su donna maggiorenne, con le accortezze e le cautele alle quali si faceva<br />

riferimento in relazione all’applicazione dell’art. 50 c.p. In questo frangente è forse possibile<br />

approntare una strategia difensiva che si basi sul concorso dell’esimente del consenso dell’avente<br />

diritto e sull’esercizio del diritto dell’art. 19 Cost., dell’art. 21 Cost. ed infine dell’art. 2 Cost.<br />

L’ultimo aspetto da esaminare è costituito dalla considerazione in base alla quale l’agente<br />

potrebbe eccepire, specie nei casi di MGF compiute fuori dai confini nazionali, di aver agito sulla<br />

base di un diritto riconosciuto dalla legge del luogo o meglio, sulla base del silenzio o della<br />

tolleranza della legge penale del paese d’origine. In questo caso la risposta appare prima facie<br />

negativa, considerate le difficoltà connesse con il richiamo ed il riconoscimento da parte del nostro<br />

ordinamento di quei presupposti <strong>culturali</strong> sottesi ad una norma straniera, che proprio vengono<br />

esplicitamente stigmatizzati dall’impianto della legge n. 7 del 2006 (102).<br />

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SOGGETTIVO<br />

8) LA VALUTAZIONE DELLA CULTURAL DEFENSE SOTTO IL PROFILO PIÙ STRETTAMENTE<br />

Sono state esaminate le possibilità ed i limiti connessi all’approntamento di una difesa<br />

fondata su motivi <strong>culturali</strong>, ma pur sempre transitante nell’ambito di referenti normativi (quali le<br />

cause di giustificazione ad esempio) che presentano peculiarità abbastanza consolidate ed<br />

approntano strumenti concettuali di soluzione caratterizzati da una discreta certezza.<br />

A questo punto è però necessario avviare l’indagine verso un campo altrettanto noto, ma<br />

altresì connotato da maggiori sfumature e, forse, da più proficue opportunità di ricerca.<br />

Affrontiamo l’argomento della colpevolezza, in particolare nell’ambito dell’elemento<br />

soggettivo, o della sua mancanza. Abbiamo raccolto sufficienti nozioni per poter immaginare che<br />

coloro che eseguono mutilazioni genitali non solo non pensano di fare del male; anzi essi sono<br />

convinti di agire in modo corretto. Per poterci avvicinare in maniera più tecnica all’aspetto ed al<br />

momento della volontarietà, dobbiamo organizzare i pensieri e fissare adeguati percorsi<br />

argomentativi.<br />

A) SCUSABILITÀ PER ERRORE DI FATTO OD IGNORANZA DELLA NORMA PENALE.<br />

Quanto a questo profilo ci rivolgiamo subito nei confronti dell’error facti (103) per due<br />

ordini di motivi. Innanzitutto perché l’esperienza applicativa statiunitense ha individuato nella<br />

preesistente e nota categoria del «Mistake of fact» la possibilità di approntare una difesa culturale.<br />

Si è verificato un caso in cui l’imputato non ha valutato correttamente, in buona fede e sulla scorta<br />

dei propri condizionamenti <strong>culturali</strong> e tradizionali, la situazione di fatto nella quale il reato è stato<br />

commesso, in specie in relazione all’atteggiamento oppositivo tenuto dalla vittima (104) - in realtà<br />

una sorta di equivoco sulla vis grata puellae. In seconda battuta, per poter affermare che nella<br />

nostra fattispecie sulle MGF non risulta affatto agevole l’opportunità di modellare una difesa<br />

culturale fondata sull’art. 47 c.p. come declinato nel caso precedente. In specie se si tiene conto del<br />

fatto che, talvolta, durante l’esecuzione <strong>delle</strong> MGF le ragazze o le donne dimostrano un notevole<br />

spirito di sopportazione, di coraggio (105) e di non opposizione. Semmai potrebbe accadere proprio<br />

il contrario: cioè il caso – invero raro a verificarsi – in cui l’agente potrà scambiare l’arrendevolezza<br />

esteriore della ragazza o della donna per consenso tacito alla pratica mutilatoria; in altre parole:<br />

incorrendo in un errore interpretativo rispetto all’atteggiamento di apparente acquiescenza della<br />

vittima.<br />

Per quanto concerne l’errore di diritto è necessario prendere le mosse dal dato normativo<br />

introdotto dal l. n.7/2006 all’art. 3 (106) che, a scopo di contrasto e prevenzione, individua, tra<br />

l’altro, la predisposizione di strumenti comunicativi e mediatici volti a porre a conoscenza il divieto<br />

dell’art. <strong>583</strong> bis c.p. Al di là <strong>delle</strong> buone intenzioni manifestate ci sono diversi motivi per ritenere<br />

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che l’efficacia reale di tale norma sarà scarsa poiché, tra l’altro, sembra rivolgere la maggior parte<br />

<strong>delle</strong> risorse informative prevalentemente nei confronti di coloro che si apprestano a chiedere i visti<br />

consolari – cioè ai soggetti in ingresso. Oltretutto, per inquadrare il problema in modo ancora più<br />

adeguato, si tenga conto di un dato di fatto che potrebbe risultare inaspettato, ossìa la<br />

considerazione in base alla quale una certa parte di coloro (specie uomini) che provengono da paesi<br />

africani che già formalmente puniscono (indipendentemente dalle punizioni effettive e dalla<br />

tolleranza) le MGF, sono a conoscenza della illegalità della pratica (107). Quindi, le strategie<br />

informative, che spesso risultano carenti od inefficaci per mancanza di stanziamenti finanziari o per<br />

pigrizia istituzionale, dovranno essere virtualmente rivolte alla restante parte di coloro che in teoria<br />

ignorano la sanzione penale e la generale riprovazione nei confronti <strong>delle</strong> MGF.<br />

Ma al di là di questo: è stato osservato che per poter far ricorso all’art. 5 del c.p. in relazione<br />

ad una piena applicazione dell’errore inevitabile, quindi scusabile, sia necessario perlomeno che il<br />

soggetto destinatario del precetto si sia attivato per «conoscere» la legge e non, invece, che sia<br />

rimasto con atteggiamento inerte ad attendere l’occasione della «conoscenza» o «conoscibilità»<br />

della medesima (108). Pretendere che il migrante si attivi allo scopo di conoscere le leggi del luogo,<br />

rappresenta, a nostro avviso, una pretesa eccessiva; ma possiamo forse rivolgerci ad un approccio<br />

diverso al problema. Notoriamente il ricorso alla inevitabilità dell’errore sulla legge penale si attua,<br />

rispetto ai casi di soggetti socialmente svantaggiati e non integrati, quando si deve giudicare della<br />

applicazione di fattispecie relative ai c.d. reati di produzione legislativa od artificiali (109). Il nodo è<br />

però costituito dal fatto che l’art. <strong>583</strong> bis c.p., in quanto reato culturale ed in qualche modo in<br />

quanto simbolo di certi valori e concezioni di fondo dell’occidente, non può essere considerato<br />

pienamente fattispecie artificiale o puramente formale. Semmai bisognerebbe cominciare a<br />

rinunciare a pensare in termini di «naturale» ed «artificiale» tout court quando si parla di fattispecie<br />

penali per considerarle tendenzialmente tutte di produzione legislativa. Comunque: in questa<br />

prospettiva la scelta applicativa da seguire è ambivalente: o si accetta la tesi che l’imputato non<br />

conosceva la norma ed in ogni caso non poteva, vista la sua formazione e provenienza culturale,<br />

neppure intuire l’illiceità del comportamento che la medesima stigmatizza. Altrimenti ci si deve<br />

indirizzare nei confronti di un giudizio che dia prevalenza al fatto materiale <strong>delle</strong> lesioni in sé<br />

considerate e decontestualizzate dalla cornice culturale e folclorica, per giungere quindi alla<br />

affermazione di una responsabilità, se non fondata sull’art. <strong>583</strong> bis c.p., magari sostenuta<br />

dall’applicazione dell’art. <strong>583</strong> c.p. nella sua declinazione più grave. Il problema più spinoso che si<br />

potrebbe a questo punto incontrare riguarda una considerazione più apicale e verte sull’interrogativo<br />

se possa parlarsi in generale di capacità, nel senso di colpevolezza, nei confronti di coloro che siano<br />

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intellettualmente e culturalmente (anche nell’accezione di patrimonio di nozioni) meno attrezzati<br />

rispetto alla media dei consociati – ma questo lo affronteremo più avanti.<br />

Le soluzioni che mettono in luce l’elemento soggettivo del reato che può teoricamente<br />

mancare in considerazione della complessiva condizione personale dell’agente, debbono tenere<br />

conto di quella giurisprudenza che ha escluso la non configurabilità, o la diminuzione dell’intensità,<br />

del dolo nella fattispecie dell’art. 572 c.p. agìta in un contesto di arretratezza culturale e religiosa<br />

(110). Potrebbe obbiettarsi che nei casi esaminati (Cass., 24 novembre 1999 e Cass., 8 gennaio<br />

2002) la Corte fosse chiamata a valutare i maltrattamenti in famiglia, cioè un reato che richiede una<br />

certa abitualità o reiterazione (111) di atti e quindi una coscienza e volontà particolarmente<br />

rafforzata in capo all’agente, in grado di persistere anche in confronto alla pratica dei modelli<br />

socialmente prevalenti di vita familiare. Mentre, da parte loro, le MGF si sostanziano in atti<br />

tendenzialmente istantanei che subiscono in misura minore l’influsso dei principi fondamentali<br />

della dignità e dell’integrità della persona che la norma punitiva intende tutelare. Si potrebbe<br />

aggiungere che l’assetto dei rapporti intrafamiliari e, in specie dei rapporti genitori-figli, sia meno<br />

influenzato e determinato da fattori folclorici o cultuali rispetto alle MGF. Ma tutto ciò considerato,<br />

non ci sono appigli normativi ed interpretativi che possano farci concludere per una affermazione di<br />

carenza della colpevolezza causata da una eventuale non riuscita conoscenza della norma per<br />

mancata integrazione socio-culturale dell’imputato (112).<br />

Semmai sarebbe forse praticabile il percorso di una attenuazione dell’elemento soggettivo<br />

che può condurre ad una diminuzione del trattamento sanzionatorio mediante un uso accorto<br />

dell’art. 133 c.p., o con l’applicazione dell’art. 62 bis c.p. Ci si chiede, infine, se alla pratica <strong>delle</strong><br />

MGF, come soggettivamente inquadrate rispetto all’agente, possa essere riconosciuta l’applicazione<br />

dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 1) c.p. La risposta è allo stato negativa in considerazione dello<br />

sbarramento costituito dalla interpretazione che individua i «valori morali o sociali» come quelli<br />

prevalenti in un luogo ed in un tempo (113) presso una popolazione e non valuta i motivi, ancorché<br />

considerati meritevoli, che trovano origine esterna od in gruppi ristretti (114). In particolare, sembra<br />

di comprendere, che vengano presi in esame solo quegli aspetti psicologici motivanti al reato che<br />

possono, in un certo modo, trovare consenso od apprezzamento da parte della collettività. Solo<br />

attraverso un cambio di posizione, che possa magari considerare l’interpretazione più soggettiva, e<br />

di portata quindi più ampia, dell’art. 62, n. 1) c.p. suggerita nel caso dell’obiezione di coscienza<br />

(115) e riadattata attraverso opportuna modulazione ai motivi, non strettamente filosofico religiosi,<br />

bensì a quelli di carattere latamente culturale legati alle minoranze umane (116), si potrebbe<br />

giungere alla possibilità di formulare un giudizio sul quantum della pena che tenga conto in modo<br />

più completo del grado di colpevolezza manifestato concretamente dell’agente (117). A grandi linee<br />

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potrebbe trattarsi di una soluzione praticabile, anche se, comunque, non si può sottacere la<br />

fondamentale discrasìa di atteggiamento interiore che sussiste tra l’obiettore di coscienza, che<br />

agisce sulla base di motivi generalmente razionali e meditati, e colui che obbedisce, sebbene in<br />

buona fede, ad un richiamo ancestrale di gruppo (118) ritenuto cogente. Oltretutto è necessario<br />

considerare una variante di carattere «etnico»: se l’obiezione di coscienza fa parte in qualche modo<br />

del patrimonio culturale del mondo occidentale, altrettanto non può dirsi per quei motivi ad agire<br />

arcaici che conducono a porre in essere pratiche cruente come le MGF.<br />

La applicabilità di altre circostanze attenuanti specifiche è difficilmente praticabile se non a<br />

costo di una forzatura eccessiva dei già presenti disposti normativi.<br />

B) LA NON ESIGIBILITÀ COME DIFESA CULTURALE<br />

Allo scopo di individuare ulteriori cause che potrebbero mettere in discussione la<br />

colpevolezza di coloro che pongono in essere MGF nel contrasto con l’art. <strong>583</strong> bis c.p., si potrebbe<br />

fare un breve cenno a quella particolare costruzione di creazione dottrinale, talvolta ritenuta od<br />

invocata, ed intesa come clausola generale e non esplicitata nel sistema, volta ad incidere<br />

sull’elemento soggettivo dell’agente allo scopo di sottrarlo in qualche modo alla responsabilità. In<br />

particolare rinviamo alla c.d. clausola di «non esigibilità del comportamento» per la quale non può<br />

darsi rimprovero e colpevolezza tutte le volte in cui l’azione o l’omissione costituenti astrattamente<br />

reato, siano state poste in essere in una condizione anomala per l’agente e per la sua sfera<br />

intellettivo-volitiva. Si tratta quindi di circostanze del reato, nelle quali l’agente non avrebbe potuto<br />

«umanamente» o «ragionevolmente» fare a meno di tenere o non tenere un comportamento che la<br />

legge considera come illecito penale. Ci si riferisce specialmente alle ipotesi in cui, date le<br />

contingenze di fatto non ordinarie, non si sarebbe potuto esigere da parte del reo un comportamento<br />

diverso da quello da lui tenuto ed integrante un reato (119). Ed è proprio l’inesigibilità penale ad<br />

essere stata riportata all’attenzione della dottrina in occasione della presa d’atto della verificazione<br />

di alcuni casi di reati culturalmente orientati, posti in essere in Europa da allogeni, a causa di una<br />

mancata integrazione sociale o per la persistenza di convinzioni contrarie rispetto a quelle invalse<br />

nei paesi ospitanti (120). Si tratterà in specie di quei reati, la cui motivazione e ideazione ed il cui<br />

realizzarsi (121), non sono vissuti nella mens rea come illeciti e vietati, ma anzi, come doverosi<br />

specie sotto la spinta di condizionamenti rituali e di gruppo.<br />

L’opportunità di rinvenire una fattispecie analoga nell’ambito dell’esperienza statunitense,<br />

proviene dalle regole generali attraverso le quali la dottrina definisce i presupposti per attuare una<br />

cultural defense, specie in relazione alle situazioni in cui l’agente non ha avuto la capacità di aderire<br />

alla norma penale a causa della sua condizione individuale e per «…le forti pressioni ricevute dal<br />

gruppo sociale in cui è inserito, (che) lo portano a violare la norma penale, non riconoscendo<br />

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quest’ultima come motivo sufficiente da impedire la realizzazione della sua condotta (122)». Ma<br />

l’esperienza americana stessa insegna che la tendenza generale è, in modo esplicito, espressa dalla<br />

necessità di operare una sistematizzazione del concetto astratto, dottrinale ed extralegislativo, di<br />

difesa culturale nell’ambito di cause già previste, già codificate che escludono od attenuano<br />

l’antigiuridicità del fatto o la colpevolezza rispetto al medesimo (123). In questo modo, sempre<br />

avuto riguardo alla prassi nordamericana, si sono notoriamente registrati casi in cui le cultural<br />

defenses (in senso lato esimenti od attenuanti), sono state fatte ricadere nell’ambito di categorie<br />

normative positive già note. Ed allo stesso modo dovrebbe accadere per quanto riguarda la clausola<br />

di non esigibilità che, pur suggestiva come costruzione, sconta però il limite quasi invalicabile<br />

costituito dal fatto di non trovare precisi appigli nel sistema positivo (124) e, in ogni caso, corre il<br />

rischio di aprire la strada ad un inaccettabile soggettivismo ed arbitri nel criterio di giudizio (125).<br />

Oltretutto, nella pratica, il riconoscimento della non esigibilità, si risolverebbe in una sorta norma (o<br />

prassi applicativa) ad hoc per svantaggiati, o sradicati, sociali e <strong>culturali</strong>, quindi nuovamente in una<br />

«norma simbolica» in grado di creare, potenzialmente, altri conflitti ed occasione di spaccature tra i<br />

consociati.<br />

Siamo perfettamente consapevoli della necessità di un canone ermeneutico il più possibile<br />

umano del diritto penale: dove per umano non si deve intendere indulgente, ma si vuole fare<br />

riferimento ad un criterio applicativo della norma che sappia tener conto <strong>delle</strong> concrete condizioni<br />

ambientali ed interiori che hanno accompagnato le percezioni e le deliberazioni dell’agente. D’altra<br />

parte non possiamo neppure sottacere le difficoltà (attestate anche dalla psichiatria) che possono<br />

accompagnare una minuziosa e completa operazione ricostruttiva dei procedimenti intellettivo-<br />

volitivi dell’essere umano e volta alla individuazione dell’eventuale condizionamento.<br />

C) IL TENTATIVO DI INQUADRAMENTO NELL’AMBITO DEL VIZIO DI MENTE<br />

La possibilità di sistematizzare determinati casi di cultural defenses nell’ambito dell’azione<br />

posta in essere in presenza di un vizio totale o parziale mi mente, in sé, non risulta a prima vista del<br />

tutto infondata (126) ; è necessario comunque operare un adeguato inquadramento. Un celebre caso<br />

(Kimura) tratto dall’esperienza della giurisprudenza statunitense vedeva come imputata una donna<br />

giapponese non sufficientemente ambientata la quale nel 1985, a seguito del tradimento coniugale<br />

del marito, assunse la decisione di uccidersi con i propri figli in giovane età. Il motivo del gesto<br />

(oyako-shinyu) (127) risultava influenzato in modo preponderante dalla convinzione di essere<br />

indegna come madre e sposa proprio a causa del comportamento fedifrago del marito. All’atto di<br />

compiere il suicidio allargato per annegamento, la donna venne salvata, ma i figli perirono. Lo stato<br />

di grave isolamento nel quale viveva la medesima, il grave stress cagionato dalla vergogna subita ed<br />

il riaffiorare di motivi della cultura tradizionale (128), tutti insieme considerati dalla Corte,<br />

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condussero ad una dichiarazione di «Diminished Capacity» (129) che tutto sommato ha destò<br />

l’attenzione della dottrina. Al di là di quelle che furono le decisioni assunte, non si possono<br />

certamente nascondere le difficoltà e le perplessità derivanti dal collegamento tra un dis-<br />

adattamento, un senso di spaesamento e <strong>delle</strong> anomalie rilevanti da un punto di vista del corretto<br />

procedimento di formazione cognitivo-volitiva (130). Del resto, anche il caso Metallides, meno<br />

famoso e più risalente rispetto al caso Kimura, ha evidenziato, sempre in una fattispecie di<br />

omicidio, la debolezza di un approccio psichiatrico-forense fondato sull’ «irresistibile impulse» (in<br />

sostanza un riflesso emotivo), causato dal richiamo alle consuetudini di comportamento mantenute<br />

nella terra di origine (131).<br />

Si tratta ora di evidenziare gli argomenti che potrebbero condurre al riconoscimento<br />

eventuale della infermità mentale, come prevista nel nostro ordinamento, a casi di <strong>difese</strong> fondate su<br />

motivi <strong>culturali</strong> particolarmente profondi. Gli snodi attraverso i quali affrontare questo delicato ed<br />

involgente aspetto sono fondamentalmente due.<br />

In specie.<br />

Senza particolare enfasi e sicuramente senza avere l’ambizione di operare una ermeneutica<br />

sistematica ed approfondita, si può sostenere che, dalla lettura della sentenza <strong>delle</strong> Sezioni Unite 25<br />

gennaio – 8 marzo 2005, n. 9163, sia evidenziabile come l’imputabilità si atteggi a «capacità di<br />

reato, o meglio a capacità di colpevolezza» e come la valutazione circa la colpevolezza medesima,<br />

possa farsi risalire in qualche modo ad un approccio multidisciplinare, mediante il ricorso a<br />

«concetti aperti» che possono rivelarsi idonei ad attribuire rilevanza anche ai «disturbi della<br />

personalità», in quanto gravi ed incidenti.<br />

D’altro canto, sulla base di un certo approccio culturale, si potrebbe sostenere che i motivi<br />

che spingono la mentalità arcaica (quella all’interno della quale sono sorte ad esempio le MGF) a<br />

seguire le pratiche rituali, siano da ricollegarsi ad uno stato di ansietà (132), di alterazione. Un certo<br />

stato di angoscia, di smarrimento, di fragilità personale di fronte al rischio del perder-si della<br />

soggettività, del perdere l’unità e la coesione anche sociale, potrebbe trovare il proprio superamento<br />

attraverso strategie istitutive di riti, di modalità di azione condivise in grado di operare una sorta di<br />

reintegrazione dell’orizzonte messo in pericolo (133). Si potrebbe avanzare l’ipotesi che, quanto<br />

l’uomo «civilizzato», che presenta forse un senso di identità maggiore, trova risorse di fronte allo<br />

smarrimento esistenziale mediante l’istanza verso «espedienti» razionali e <strong>culturali</strong> propri, la<br />

mentalità arcaica – non occidentalizzata – è in grado di individuare «vie di scampo» attraverso<br />

l’istituzione del rito che, posto in atto, avrebbe la funzione di ricomposizione della soggettività e di<br />

un certo ordine esteriore. A questo punto resterebbe da chiedersi quanto gli stati anomali che<br />

possono caratterizzare la messa in atto di comportamenti rituali prescritti o previsti dai disposti di<br />

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«culture altre», possano incidere sulla colpevolezza intesa come capacità/imputabilità ai fini di un<br />

coinvolgimento della applicazione degli artt. 85, 88 o 89 c.p. La domanda risulta legittima specie se<br />

si considera che le argomentazioni svolte in precedenza circa una spiegazione dell’istituzione del<br />

rito, attengono a valutazioni di carattere prevalentemente antropologico o connesse ad un approccio<br />

semmai di psichiatria fenomenologica (134) e non possono trovare pieno accoglimento nell’ambito<br />

di un discorso prettamente orientato verso la psichiatria forense che, il più possibile, cerca di<br />

sfuggire alle lusinghe di un «modello sociologico» della infermità mentale.<br />

Gli agìti che trovano la loro radice nell’ambito di motivazioni specificatamente «<strong>culturali</strong>»,<br />

anche estranee od inconsuete, non presentano necessariamente aspetti patologici: affermare il<br />

contrario condurrebbe ad una prospettiva eccessivamente etnocentrica che porta ad etichettare<br />

automaticamente come incapace o inidoneo colui che sia poco dotato sotto il profilo <strong>delle</strong><br />

cognizioni o a considerare incapace, come caso limite, il selvaggio (135), o colui che conforma la<br />

propria vita a concezioni stravaganti (136) o non condivise. Diversamente ragionando da una<br />

corretta prospettiva clinica, si correrebbe il rischio di giungere a sottrarre al binomio<br />

responsabilità/pena coloro che professano ed agiscono convinzioni e visioni della vita diverse da<br />

quelle della maggioranza dei consociati, con la conseguenza estrema di negare loro la qualifica di<br />

uomini ragionevoli: perlomeno nella nota impostazione hegeliana in base alla quale la sanzione si<br />

atteggia come una sorta di riconoscimento del delinquente (137) come essere umano libero.<br />

Oltretutto, una tale tentazione interpretativa ed applicativa non farebbe altro che avvalorare quanto<br />

considerato in precedenza, ossia che l’art. <strong>583</strong> bis c.p. può correre il rischio di diventare una «norma<br />

simbolo» in grado di creare ed alimentare una spaccatura tra un «noi (capaci)» e un «loro<br />

(incapaci)». Gli atti rituali possono, al contrario, rilevare ai fini dell’imputabilità tutte le volte in cui<br />

siano innestati in un ambito soggettivo clinicamente definito o significativo (138), in particolare<br />

scatenato o slatentizzato dal contatto con le nuove realtà o i nuovi ambienti. Sotto quest’ultimo<br />

profilo sembra quindi difficile ipotizzare che le operazioni di MGF siano determinate, da sole, da<br />

una reazione, da un impatto, con il mondo o con l’ambito di accoglienza o risultino essere un<br />

prodotto dello sradicamento dall’ambiente d’origine; le stesse infatti possono venir praticate in<br />

Italia come venivano praticate nei paesi d’origine.<br />

Non potendo negare il mistero di potente fascinazione connesso a determinate ritualità<br />

(139), all’ambiente nel quale queste vengono poste in essere, d’altra parte però, non siamo ancora in<br />

possesso di evidenze scientifiche che possano fornire spunti utili per trovare agganci nei confronti<br />

<strong>delle</strong> prospettive dischiuse dalla sentenza Sezioni Unite 25 gennaio – 8 marzo 2005, n. 9163 in<br />

materia di infermità mentale.<br />

9) CONCLUSIONI<br />

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Trarre alcune conclusioni rispetto all’art. <strong>583</strong> bis c.p. non è sicuramente una operazione<br />

agevole, anche perché il giudizio da attribuire ad una norma non può limitarsi soltanto all’esame del<br />

suo testo, a congetture più o meno fondate circa le sue potenzialità, o a previsioni circa l’impatto<br />

che potrà dispiegare sulla prassi giudiziaria e sulla realtà sociale. Oltretutto è necessario tener<br />

presente che la norma non è il frutto di un intervento isolato, ma si colloca nel contesto di un<br />

impianto legislativo più ampio che, a sua volta andrebbe ulteriormente analizzato ed approfondito in<br />

modo adeguato nelle sue articolazioni e nelle sue implicazioni. Comunque: dalla lettura della nostra<br />

fattispecie possono essere, sin dall’inizio, notati alcuni nodi problematici – già evidenziati in<br />

precedenza – ed in particolare costituiti dalla ambivalenza interpretativa connessa alla possibilità di<br />

ammettere o meno il consenso (con le cautele del caso) dell’avente diritto; dall’incerto ed aperto<br />

significato del requisito negativo sancito dalla «assenza di esigente terapeutiche» e dalla<br />

connotazione del dolo specifico presente nell’ipotesi prevista dal secondo comma, finalizzato alla<br />

«menomazione <strong>delle</strong> funzioni sessuali». Se la menomazione, correttamente intesa, va riferita in<br />

senso fisico-materiale, ossìa va riguardata sotto il profilo di una operazione tendente tout court alla<br />

riduzione della funzionalità; allora – come già affermato – possiamo insistere nel ripetere che le<br />

MGF, specie quelle previste nel secondo comma, non sempre vengono poste in essere per diminuire<br />

la funzione puramente fisica dell’atto sessuale, ma, piuttosto, sono più propriamente finalizzate a<br />

conferire un particolare «segno» alla sessualità ed all’essere femminile in senso ontologico e<br />

sociale. Del resto, e quest’ultimo aspetto potrebbe forse essere chiarito attraverso il contributo del<br />

sapere medico e sessuologico, l’espressione utilizzata dal legislatore non appare neppure precisa,<br />

specie nel momento in cui si voglia considerare che per «funzione sessuale» possono intendersi<br />

diverse modalità che vanno dall’atto sessuale biologicamente inteso, sino a coinvolgere ambiti più<br />

profondi e delicati che toccano il discorso culturale, del senso e del significato.<br />

Ma al di là di questi problemi interpretativi, che potrebbero venire resi meno evidenti<br />

dall’intervento della giurisprudenza e più in generale da una prassi applicativa che ha dimostrato nel<br />

periodo anteriore alla novella una certa saggezza rispetto alle MGF, resta pur sempre l’interrogativo<br />

di fondo che rinnova il quesito circa la reale utilità dell’introduzione di una norma ad hoc per<br />

regolare e reprimere un fenomeno nuovo ed inconsueto. Si potrebbe rispondere, forse con falsa<br />

coscienza, che la norma (e la legge intera) si è resa necessaria dall’atteggiamento «forte» assunto<br />

dall’opinione pubblica mondiale rispetto all’irrompere sulla scena <strong>delle</strong> pratiche di MGF, dalla<br />

pressione costituita da una certa normativa di carattere sovrastatuale. Ci si potrebbe accontentare di<br />

queste considerazioni che quasi sembrano legittimare e rendere ammissibile ogni sorta di intervento<br />

legislativo. E’ certo evidente che la risonanza planetaria di un fenomeno e l’unanime rimprovero<br />

che ad esso si riserva, possono costituire la giustificazione per l’introduzione di una norma. Ma<br />

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forse queste, non sono sufficienti come motivazioni, specie se si considera che anche il legislatore<br />

italiano ha inteso, e l’intenzione emerge dal dato complessivo, introdurre una «norma simbolica»,<br />

ossìa una norma che, oltre a reprimere un reato di lesioni, possa costituire un mònito, una espressa<br />

stigmatizzazione, non solo della lesione, ma anche della stessa mentalità od il retroterra sottesi<br />

all’atto.<br />

Sia beninteso, in questa sede non si vuole difendere la prassi <strong>delle</strong> MGF, né tantomeno<br />

configurare un improbabile diritto generale ad eseguire mutilazioni genitali: si vorrebbe soltanto<br />

avanzare l’idea che l’aver introdotto una norma speciale prevista per il caso di lesioni genitali ed<br />

indirizzata espressamente a quelle popolazioni che, di tali pratiche, hanno una concezione<br />

tradizionale collegata ad un senso di doverosità, possa fondatamente andare incontro a due rischi in<br />

rapporto di complementarietà tra di loro. In particolare: da un lato, quello di sovraesporre – specie<br />

nell’opinone pubblica – il fenomeno e più in generale lo stesso ambito di diversità culturale dal<br />

quale lo stesso proviene; dall’altro, sicuramente quello di non assecondare l’integrazione sociale di<br />

alcune minoranze etniche, contribuendo così al loro isolamento e, come più volte sottolineato da<br />

diversi Autori, favorendo la maggior clandestinizzazione e precarizzazione <strong>delle</strong> mutilazioni<br />

genitali. Incombe oltremodo il pericolo di fondo che le specificità <strong>culturali</strong> in genere si trasformino<br />

in gabbie, prigioni e forse manicomi imposti a determinate minoranze.<br />

L’ambito sociale e ideale delineato dallo Stato e dai suoi confini non dovrebbe risultare né<br />

troppo rigido né eccessivamente «mobile», dovrebbe semmai diventare la «casa di tutti gli uomini»,<br />

il luogo nel quale, per conseguenza, tutti siano indotti in qualche modo a «fare un passo indietro»<br />

rispetto a certe convinzioni personali e siano posti nella condizione di partecipare ad uno spazio<br />

comune ed il più possibile neutrale; in definitiva a privilegiare la polis rispetto all’ethnos. Questo lo<br />

si potrebbe ottenere ottenere attraverso il confronto reciproco e, specialmente, forse mediante la<br />

proposizione di modelli e di stili di vita alternativi che, in riferimento al nostro caso, siano in grado<br />

di mostrare che l’opzione <strong>delle</strong> MGF non risulta ineluttabile e determinata da un condizionamento<br />

invincibile, ma che si possa in fondo profilare la possibilità di sottrarsi alla loro oscura fascinazione.<br />

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1 Il paradigma argomentativo è liberamente tratto da LÉVI-STRAUSS, Tristi tropici. L’avventura<br />

dell’antropologo, Saggiatore, Milano, 2004, p. 56.<br />

2 G.U. Serie gen. – n. 14 del 18 gennaio 2006.<br />

3 FUKUYAMA, La fine della storia e l’ultimo uomo, BUR, Milano, 2003, pp. 81 ss.<br />

4 HUNTINGTON, lo scontro <strong>delle</strong> civiltà, Garzanti, Milano, 2000, p. 131 ‘Nella prima metà del XX<br />

secolo le élite intellettuali hanno di norma creduto che la modernizzazione economica e sociale<br />

dovesse condurre alla scomparsa della religione quale elemento significativo dell’esistenza<br />

umana… La seconda metà del XX secolo ha mostrato l’infondatezza di quelle speranze come di<br />

quelle paure. La modernizzazione economica e sociale ha raggiunto dimensioni mondiali, eppure al<br />

tempo stesso si è verificata una generale rinascita religiosa. Questo fenomeno la Revanche de<br />

Dieu…’ ‘I sistemi che avevano offerto ai cittadini identità ed autorità sono crollati. Masse di uomini<br />

e donne si spostano dalle campagne alle città, recidono le proprie radici e si tuffano in un nuovo<br />

lavoro oppure restano disoccupati. Interagiscono con una moltitudine di stranieri e stabiliscono<br />

nuovi tipi di rapporti sociali. Necessitano di nuove forme di identificazione, nuove e stabili forme di<br />

comunanza, nuovi corpi di regole morali che diano un senso ed uno scopo alla loro vita. La<br />

religione, sia quella tradizionale che quella fondamentalista, risponde a queste necessità’.<br />

5 FUKUYAMA, La fine della storia, cit. pp. 198 ss.<br />

6 Art. <strong>583</strong> bis. Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili.<br />

[1] Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali<br />

femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai fini del presente articolo, si<br />

intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia,<br />

l'escissione e l'infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo.<br />

[2] Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali,<br />

lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una<br />

malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è diminuita<br />

fino a due terzi se la lesione è di lieve entità.<br />

[3] La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche di cui al primo e al secondo comma sono<br />

commesse a danno di un minore ovvero se il fatto è commesso per fini di lucro.<br />

[4] Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì quando il fatto è commesso all'estero da<br />

cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o di<br />

straniero residente in Italia. In tal caso, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia.<br />

7 Tipo I. Escissione del prepuzio con o senza escissione di parte o dell’intero clitoride. Sunna è il<br />

nome tradizionalmente usato per designare questo tipo di mutilazione. Tipo II. Escissione del<br />

clitoride con escissione totale oparziale <strong>delle</strong> piccole labbra. Tipo III. Escissione di parte o di tutti i<br />

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genitali esterni con sutura e chiusura dell’ostio vaginale (infibulazione). Tipo IV. Puntura.,<br />

perforazione o incisione del clitoride e/o <strong>delle</strong> labbra; stiramento del clitoride e/o <strong>delle</strong> labbra;<br />

cauterizzazione del clitoride e dei tessuti circostanti; raschiamento dell’orifizio vaginale (angurya) o<br />

taglio della vagina (gishiri); introduzione di sostanze corrosive in vagina, per provocare<br />

sanguinamento o di erbe in vagina, allo scopo di restringerla o di chiuderla. (TURILLAZZI – NERI,<br />

Luci ed ombre nella legge in tema di mutilazioni genitali femminili: una visione di insieme medico-<br />

legale, in Riv. It. Med. Leg., 2006, p. 289).<br />

8 In argomento cfr. VERCELLIN, Istituzioni del mondo islamico, Einaudi, Torino, 2007, p. 217 che,<br />

premessa una certa dicotomia tra le forme ufficiali <strong>delle</strong> manifestazioni religiose e quelle popolari<br />

considera che il caso della circoncisione khitan, mai citata nel Corano, è spesso tratta nei hadit (i<br />

dicta <strong>delle</strong> Autorità) ed in qualche modo facente parte e derivante dalle istituzioni pre islamiche. Da<br />

alcune fonti emergono comunque posizioni assi difformi per quanto ne concerne l’applicazione; in<br />

certi ambiti viene considerata come mandub (raccomandata) per i maschi e sunna ‘tradizionale’ per<br />

le femmine, mentre sulla base di altre è addirittura obbligatoria (wajib). L’infibulazione vera e<br />

propria viene invece considerata come pratica estranea al dar al-islam. Sul punto v. anche DE<br />

CARLI, Tra diritto e tradizione. Riflessione sulla circoncisione femminile in Kenya, in<br />

http://www.jus.unitn.it/cardozo/Review/2007/decarli.pdf., consultato il 26 gennaio 2007, p. 6 ‘Per<br />

contro…sarà chiarito che essa ha origini preislamiche e che i popoli musulmani che la praticano<br />

non si ispirano esclusivamente al credo religioso’.<br />

9 VAN GENNEP, I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 1981, pp. 57 ss.; GALIMBERTI,<br />

Iniziazione, in Dizionario di <strong>Psicologia</strong>, UTET, Torino, 2006, p. 481 che evidenzia come, da un<br />

punto di vista prettamente antropologico, l’iniziazione si inscriva nell’ambito vasto dello schema<br />

della assunzione di nuovo status del soggetto, di assunzione di nuovo ruolo. Dal punto di vista della<br />

psicologia l’iniziazione è da leggersi come momento di trasformazione che richiede il rito quando<br />

l’energia psichica deve essere deviata dalle abitudini acquisite verso una nuova identità che richiede<br />

la morte del vecchio Io in vista di una sua rinascita.<br />

10 Sul punto ALESSANDRINI, Oltre i diritti umani: la questione della mutilazione genitale femminile<br />

e il concetto di crimine culturale, in Diritto & Diritti, maggio 2001, pp. 1 –2 considera che: ‘Nelle<br />

culture pre-letterate, il rito è indubbiamente l’affermazione più eclatante della socialità, legato a<br />

doppio filo al mito che, attraverso di esso, si manifesta e si tramanda. Il rituale iniziatici, in<br />

particolar modo, ha il compito fondamentale di trasformare un essere proveniente dal mondo<br />

marginale e potenzialmente pericoloso della natura, ossia il bambino, in un individuo sociale,<br />

attraverso una complessa preparazione fatta di pratiche e insegnamenti che spesso riguardano ogni<br />

aspetto della vita, dalla religione alla sessualità’.<br />

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11 STRECK, Dizionario di etnologia, Sugarco, Varese, 1987, pp. 127-128; cfr. anche AMBER –<br />

AMBER, Antropologia culturale, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 317.<br />

12 BILOTTI, La pratica della mutilazione genitale femminile, in Un mare di donne, gennaio-giugno,<br />

1997, pp. 7-18; in particolare cfr. anche GALIMBERTI, Circoncisione, in Dizionario di psicologia,<br />

cit., p. 169, il quale riferisce che le pratiche di clitoridectomia ed infibulazione apparterrebbero<br />

all’ambito dei tentativi di contenere l’autonomia della sessualità femminile; ma su questo vedi<br />

anche DI STEFANO, Cosa sono le mutilazioni genitali femminili?, in Diritto&Diritti.it, dicembre<br />

2004, p. 4. Ma vedi anche la prospettiva di PASQUINELLI, Infibulazione, il corpo violato, Meltemi,<br />

Roma, 2007, p. 70 secondo la quale ‘Le MGF non sono una mera pratica culturale ma sono un fatto<br />

sociale totale… le MGF costituiscono quella particolare istituzione sociale che ha la prerogativa di<br />

coinvolgere una serie di tratti in cui si articola la società, e che in questo caso si chiamano prezzo<br />

della sposa, poligamia, matrimonio combinato, età prematura della sposa e tutto quello che segue’.<br />

13 Sul funzionamento e le motivazioni del pensiero magico possiamo riferire l’astrazione fissata da<br />

MALINOWSKI, Magia ed esistenza nelle società primitive, p. 212, da DE MARTINO, Magia e civiltà,<br />

Garzanti, Milano, 1962. ‘Abbiamo visto che ogni istinto ed emozione, ogni attività pratica, conduce<br />

l’uomo in vicoli ciechi dove le sue conoscenze si svuotano e le limitazioni del suo primitivo potere<br />

di osservazione e di ragionamento lo tradiscono in modo cruciale. L’organismo umano reagisce con<br />

una carica spontanea, nella quale si generano modi rudimentali di comportamento e li standardizza<br />

in forme tradizionali permanenti. Così la magia offre all’uomo primitivo un numero di atti rituali e<br />

di credenze prefabbricate ed una tecnica mentale e pratica ben definita, che serve a superare il<br />

baratro pericoloso che si apre in ogni attività importante o in ogni situazione critica’.<br />

14 BILOTTI, La pratica, cit., ibidem.<br />

15 Su questo cfr. ad esempio KAFKA, Le nuove realtà, Bollati Boringhieri, Torino, 1992, pp. 152 –<br />

153.<br />

16 Su questo cfr. fondamentalmente RENTELN, Cultural Defense, Oxford Universty Press, 2004;<br />

BASILE, Società multi<strong>culturali</strong>, immigrazione e reati culturalmente motivati (comprese le<br />

mutilazioni genitali femminili), in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Ottobre 2007, p. 2<br />

17 Sul controverso e, per certi versi inaccettabile ed inapplicabile concetto cfr. RUSCONI, Come se<br />

Dio non ci fosse. I laici, I cattolici e la democrazia, Einaudi, Torino, 2006, pp. 56 che bene pone in<br />

luce un certo contrasto tra ‘principio laico’ e ‘principio multiculturale’: ‘Il principio laico infatti non<br />

si limita a neutralizzare le pretese <strong>delle</strong> diverse culture e religioni ad occupare in modo improprio e<br />

monopolistico il terreno pubblico, né si limita ad affermare il principio di benevolente tolleranza,<br />

ma esige positivamente un vincolo reciproco su cui costruire una comunità politica che è solidale in<br />

quanto si riconosce in principi, regole e istituti che prescindono da ragioni <strong>culturali</strong> particolari e che<br />

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non sono generalizzabili’. Ma sul problema della convivenza di ‘culture cfr. anche DAL LAGO, Non<br />

persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano, 2005, pp. 150 ss.<br />

18 Su questo l’attenzione può cadere sul recente intervento di HALTER, In un mondo alla Orwell Bin<br />

Laden ha già vinto, in la Repubblica, 5 febbraio 2008, p. 29 ‘Al Quaeda ha rimpiazzato il<br />

Komintern, e Maometto Karl Marx. Gli ex comunisti che ho conosciuto al Cairo o ad Alessandria<br />

pregano oggi per i fratelli musulmani, con il rosario in mano. Francis Fukuyama scrive «Il conflitto<br />

attuale è una battaglia di retroguardia condotta da quelli che si sentono minacciati dalla<br />

modernizzazione e quindi dalla sua componente morale, il rispetto dei diritti dell’uomo». Osserva<br />

inoltre che, per i terroristi islamici, il nemico assoluto è il carattere laico della concezione<br />

occidentale del diritto.’<br />

19 RENTELN, Cultural defense, cit., p.187.<br />

20 RENTELN, Cultural defense, cit., pp. 23 ss.<br />

21 RENTELN, Cultural defense, cit., pp. 48 ss.<br />

22 RENTELN, Cultural defense, cit., pp. 73 ss. In materia, per quanto riguarda l’esperienza<br />

applicativa italiana cfr. Cass. Pen., Sez. V, 10 luglio 2008, n. 28720 (Guaglione), in Altalex,<br />

Quotidiano di informazione giuridica on line, consultato il 24 agosto 2008; in realtà la decisione<br />

non affronta in recto e compiutamente la relazione tra detenzione di sostanze stupefacenti<br />

(Marijuana) e l’esercizio della libertà religiosa sotto il profilo dei riti.<br />

23 RENTELN, Cultural defense, cit., pp. 114 ss.<br />

24 FABIETTI, L’identità etnica, Storia e critica di un concetto equivoco, Carocci, Roma, 2003, pp. 51<br />

ss. Ma sul punto cfr. anche FREUD, Il disagio della civiltà, Editrice scienza moderna, Collana<br />

psicoanalitica, Roma, 1949, p. 58 ‘Va considerato l’ultimo, ma non certo il minore, dei componenti<br />

della cultura, cioè il modo in cui sono regolate le relazioni sociali, i rapporti fra uomo e uomo, tutto<br />

quel che ha a che fare con l’uomo, come prossimo, come fonte di aiuto, oggetto sessuale, membro<br />

di una famiglia o di uno stato’.<br />

25 ‘Se taluno dei fatti preveduti dagli articoli 545, 546, 547, 548, 549 e 550 è commesso per salvare<br />

l’onore proprio o quello di un prossimo congiunto, le pene ivi stabilite sono diminuite dalla metà ai<br />

due terzi’.<br />

26 ‘Chiunque cagiona la morte di un neonato immediatamente dopo il parto, ovvero di un feto<br />

durante il parto, per salvare l’onore proprio o di un proprio congiunto, è punito con la reclusione da<br />

tre a dieci anni’.<br />

27 ‘Chiunque abbandona un neonato, subito dopo la nascita, per salvare l’onore proprio o di un<br />

proprio congiunto, è punito con la reclusione da tre mesi ad un anno…’.<br />

28 Così CARACCIOLI, Causa d’onore, in Enc. D. Dir., VI, Giuffrè, Milano, 1960, p. 581.<br />

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29 ANTOLISEI, Manuale di Diritto Penale – Parte generale, Giuffrè, Milano, 1955, p. 317 valutava<br />

l’applicazione della attenuante di cui all’art. 62, n. 1 c.p. anche in relazione ai casi di delitti in<br />

genere contro l’onore familiare.<br />

30 Anche in riferimento alla normativa penale europea vigente all’epoca: sul punto cfr. FIORE,<br />

Infanticidio, in Enc. D. Dir. XXI, Giuffrè, Milano, 1971, p. 395.<br />

31 Per un caso anteriore al 1972 di obiezione di coscienza alla prestazione del servizio militare cfr.<br />

Trib. Militare di Torino, 30 agosto 1949, cit. in CAPOGRASSI, Obbedienza e coscienza, in AAVV,<br />

Filosofia del diritto, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002, pp. 166 – 167.<br />

32 Cfr. GARINO, Obiezione di coscienza al servizio militare, in Dig. Disc. Pen., VIII, UTET, Torino,<br />

1994, p. 342.<br />

33 Cfr. RUSSELL, Autorità e individuo, Longanesi, Milano, 1975, p. 188; PALAZZO, Obiezione di<br />

coscienza, in Enc. D. Dir., XXIX, Giuffrè, Milano, 1979, pp. 539 ss. Come riportato da LARICCIA,<br />

Diritto Ecclesiastico, Cedam, Padova, 1986, p. 398 in passato era prassi risolvere i casi di obiezione<br />

di coscienza al servzio militare, da parte della Autorità giudiziaria militare, con il procedere alla<br />

riforma dell’imputato per neurosi cardiaca od infermità fisica oppure internarlo nell’O.P.G. di<br />

Aversa per delirio religioso.<br />

34 Sul punto PASQUINELLI, Infibulazione, cit., p. 74 considera che ‘Le MGF sono accettate dalle<br />

donne come un destino a cui è impossibile sottrarsi’.<br />

35 La sentenza resa in primo grado è della Corte d’Assise di Cagliari, 10 marzo 1982, in Foro It.,<br />

1983, I, 27 ss.<br />

36 FINOCCHIARO, Confessioni religiose e libertà religiosa nella Costituzione, art. 7-8-19-20,<br />

Zanichelli, 1983, Bologna, pp. 470 ss. Sull’argomento cfr. anche CARDIA, Religione (libertà di), in<br />

Enc. D. Dir., II, Aggiornamento, Giuffrè, Milano, 1998, pp. 932, che introduce il limite del buon<br />

costume che l’art. 19 Cost. pone nei confronti dei riti; resterebbe da domandarsi se il caso dei<br />

genitori che non hanno consentito la trasfusione possa ricadere nell’ambito del rito e più in generale<br />

del culto.<br />

37 Cfr. in particolare dalla sentenza resa dalla Cassazione, 13 dicembre 1983, in Foro It., 1984, II,<br />

361 ‘Ne deriva che si è al di fuori dell’esercizio della libertà religiosa allorquando si pongano come<br />

sua espressione contegni elusivi dei divieti e <strong>delle</strong> imposizioni di cui alle norme penali’. Ma sempre<br />

in materia di libertà religiosa e minori, con diverse connotazioni e declinazioni, cfr. anche Trib.Min.<br />

Venezia, 10 maggio 1990, Foro It., 1990,II, 271 ‘L’educazione del figlio secondo i principi<br />

integralisti e intransigenti dei Testimoni di Geova non costituisce condotta pregiudizievole al<br />

minore se effettuata in modo tale da non turbare la crescita equilibrata e il più possibile integrata<br />

con l’ambiente circostante…’ e Trib. Palermo, 12 febbario 1990, ibidem, ‘A seguito di separazione<br />

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giudiziale, in ipotesi di contrasto tra i genitori circa l’educazione religiosa della figlia undicenne, è<br />

possibile imporre alla madre affidataria l’obbligo di non condurre la figlia con sé alle riunioni dei<br />

testimoni di Geova e di non condizionarne in alcun modo gli orientamenti religiosi e le scelte<br />

religiose’.<br />

38 cfr. ad esempio Pretura di Torino, 16 gennaio 1981, Foro It. 1982, 317 ss.<br />

39 In effetti la nota a sent. di FIANDACA, Diritto alla libertà religiosa e responsabilità per omesso<br />

impedimento dell’evento, alla Corte di Assise Cagliari, cit. p. 28, riporta una celebre sentenza della<br />

Corte Costituzionale della Repubblica Federale Tedesca, 19 ottobre 1971 dove si afferma che ‘in<br />

ogni caso si deve rinunciare alla sanzione punitiva tutte le volte che ilo conflitto concreto tra un<br />

obbligo di attivarsi esistente alla stregua <strong>delle</strong> concezioni generali ed un precetto religioso pone<br />

l’autore in una situazione psicologicamente tormentosa, rispetto alla quale la sanzione criminale,<br />

che lo stigmatizza come reo, potrebbe rappresentare una reazione sociale eccessiva e perciò lesiva<br />

della sua dignità umana’. Sulla nota sentenza e sulla sua riattualizzazione rispetto ai problemi<br />

dell’oggi, cfr. DE FRANCESCO, Multi<strong>culturali</strong>smo e diritto penale nazionale, in Multi<strong>culturali</strong>smo,<br />

diritti umani, pena, a cura di Alessandro Bernardi, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 153 ss.<br />

40 NUVOLONE, Religione e diritto alla vita, in Ind. Pen., 1982, p. 134, riferiva avvedutamente i<br />

propri dubbi circa la possibilità di individuare l’elemento propriamente soggettivo del dolo in capo<br />

ai genitori del caso Oneda.<br />

41 NUVOLONE, Il sistema del diritto penale, Cedam, Padova, 1982, pp. 244 ss.<br />

42 v. LA MONACA-AUSANIA-SCASSELLATI SFORZOLINI, Le mutilazioni genitali femminili. Aspetti<br />

antropologici, giuridici e medico legali e contributo casistico, in Riv. It. di Med. Legale, 2004,<br />

pp.654 ss; GENTILOMO-PIGA-KUSTERMANN, Mutilazioni genitali femminili: la risposta giudiziaria,<br />

in Riv. It. di Med. Legale, 2008, pp. 13 ss.<br />

43 Queste caratteristiche emergono anche dalla lettura dell’art. 1 della legge n. 7 (Finalità) ‘1. In<br />

attuazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione e di quanto sancito dalla Dichiarazione e dal<br />

Programma di azione adottati a Pechino il 15 settembre 1995 nella quarta Conferenza mondiale<br />

<strong>delle</strong> Nazioni Unite sulle donne, la presente legge detta le misure necessarie per prevenire,<br />

contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali violazioni dei diritti<br />

fondamentali all'integrità della persona e alla salute <strong>delle</strong> donne e <strong>delle</strong> bambine.’ e dell’art. 2 della<br />

medesima (Attività di promozione e coordinamento) 1. La Presidenza del Consiglio dei ministri-<br />

Dipartimento per le pari opportunità promuove e sostiene, nell'ambito degli ordinari stanziamenti di<br />

bilancio, il coordinamento <strong>delle</strong> attività svolte dai Ministeri competenti dirette alla prevenzione,<br />

all'assistenza alle vittime e all'eliminazione <strong>delle</strong> pratiche di mutilazione genitale femminile. 2. Ai<br />

fini dello svolgimento <strong>delle</strong> attività di cui al comma 1, la Presidenza del Consiglio dei ministri-<br />

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34


Dipartimento per le pari opportunità acquisisce dati e informazioni, a livello nazionale e<br />

internazionale, sull'attività svolta per la prevenzione e la repressione e sulle strategie di contrasto<br />

programmate o realizzate da altri Stati.’<br />

44 In questo senso, sotto certi aspetti, la norma giuridica, perlomeno da un punto di vista formale, è<br />

più diabolica (cioè separa), piuttosto che simbolica (cioè unisce).<br />

45 Sul punto cfr. CHRISTIANS, La legge civile come simbolo religioso: dalla genealogia della norma<br />

alla logistica della stigmatizzazione, pp. 53 ss. in AA.VV., Simbolon/Diabolon. Simboli, Religioni,<br />

Diritti nell’Europa multiculturale, Il Mulino, Bologna, 2005. Sull’argomento del c.d. diritto penale<br />

simbolico, con il quale «… si incrimina non la lesione ad un bene giuridico, ma un’ideologia, un<br />

modello di pensiero, appunto un simbolo; e il fine del diritto penale non è più quello della<br />

prevenzione, ma quello di dare un messaggio, di proporre un feticcio, di individuare un nemico<br />

obiettivo» v. anche CANESTRARI-CORNACCHIA-DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Parte<br />

generale, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 233.<br />

46 Su questo v. RENTELN, Cultural defense, cit., p. 53 ‘The new laws have been subject to criticism.<br />

One mayor problem with the laws criminalizing the tradition is that they drive the practice<br />

underground’; ma anche DI PIETRO, Le norme sul divieto <strong>delle</strong> pratiche di mutilazione genitale<br />

femminile, in Diritto&Diritti (www.diritto.it), consultato il 23 gennaio 2008, p. 39.<br />

47 Il primo caso risalente al 1997 viene risolto con decreto di archiviazione richiesto dalla Procura<br />

della Repubblica di Torino per mancanza di condizioni atte a legittimare l’azione penale poiché<br />

l’intervento di escissione sulla minore ordinato dai genitori nigeriani era avvenuto in Nigeria (cfr.<br />

VITALONE, Mutilazione genitale femminile e diritti umani, in Giur. di Merito, 2001, p. 867); il<br />

secondo, all’attenzione del Tribunale di Milano è stato definito ex art. 444 c.p.p. con l’applicazione<br />

della reclusione relativamente mite di due anni al padre che aveva fatto sottoporre in Egitto la figlia<br />

ad infibulazione ed il figlio a circoncisione (cfr. AMATO, L’introduzione in Italia di un apposito<br />

reato è un’innovazione opportuna ma perfettibile, Guida al Diritto, 5, 2006, p. 23). La sentenza è<br />

comunque pubblicata in OLIR, Osservatorio <strong>delle</strong> libertà ed istituzioni religiose, Rivista telematica,<br />

consultata il 21 gennaio 2008, e vale riportare uno stralcio della motivazione “<br />

- rilevato che all’odierna udienza il P.M. e gli imputati hanno chiesto l’applicazione della pena ex<br />

art. 444 c.p.p. nella misura di anni due di reclusione, così determinandola come da prospetto;<br />

- considerato che non può essere pronunciata sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129<br />

c.p.p. viste le risultanze processuali ed, in particolare, dalle lesioni subite dai due ragazzi e dalla<br />

dichiarazione, da ultimo fatta pervenire, nella quale il Dott.(…) dice di avere sottoposto ad<br />

infibulazione, che costituisce lesione grave volontaria, la figlia dell’imputato su esplicita richiesta di<br />

questi;<br />

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- ritenuta esatta la qualificazione giuridica del fatto contestato e corretta l’applicazione <strong>delle</strong><br />

circostanze attenuanti come riportato nella richiesta dell’imputato;<br />

- ritenuto che la pena determinata dalle parti è congrua valutati i criteri di cui all’art. 133 c.p.;<br />

- rilevato che la sospensione condizionale della pena può essere concessa sussistendo i presupposti<br />

di legge e la particolare natura del reato….”<br />

48 Su questo problema cfr. MOLLER OKIN, Multi<strong>culturali</strong>smo e femminismo. Il multi<strong>culturali</strong>smo<br />

danneggia le donne?, in wifilosofia, sito web italiano per la filosofia, 7 giugno 1999, pp. 3 e ss.<br />

49 Trib. Min. Torino, 21 giugno 1997, in Minori giustizia, 1999, p. 143.<br />

50 Trib. Min. Torino, 17 luglio 1997, in Minori giustizia, 1999, p. 145.<br />

51 Parere di AGATISE, mediatrice culturale, ibidem, pp. 144-145.<br />

52 In particolare cfr. CASTELLANI, Infibulazione ed escissione: fra diritti umani e identità culturale,<br />

in Minori giustizia, 1999, p. 141.<br />

53 Si tenga presente il problema della coesistenza, specie nei Paesi africani, di un diritto statuale di<br />

derivazione verosimilmente coloniale o post-coloniale con norme di origine consuetudinaria ed<br />

ancestrale. Una situazione che dà luogo ad una vera e propria condizione di “pluralismo giuridico”.<br />

Sul punto cfr. diffusamente SACCO, Antropologia giuridica, Il Mulino, Bologna, 2007, pp. 75 ss.<br />

54 Sul punto v. NATALINI, Prima condanna per turismo sessuale grazie a un’intervista televisiva, in<br />

Guida al Diritto, 49, 2007, p. 68.<br />

55 Una motivazione, per così dire “esterna” potrebbe essere individuata nella sempre più sentita ed<br />

attuata necessità della armonizzazione della normativa penale tra Stati, sul punto v. BERNARDI,<br />

Modelli penali e società multiculturale, Giappichelli, Torino, 2007, p. 7.<br />

56 BERNARDI, Modelli penali, cit., p. 5.<br />

57 BERNARDI, Modelli penali, cit., p. 5.<br />

58 Si consideri ad esempio il § 5 dello Strafgesetzbuch che punisce, tra l’altro ed a certe condizioni,<br />

il caso di aborto commesso anche all’estero.<br />

59 CAZZANIGA-CATTABENI, Compendio di medicina legale e <strong>delle</strong> assicurazioni, XII ed., UTET,<br />

Torino, 2006, p. 292.<br />

59 bis Così rilevano giustamente GENTILOMO-PIGA-KUSTERMANN, Mutilazioni genitali femminili:<br />

la risposta giudiziaria, cit., p. 21.<br />

60 GENTILOMO, Mutilazioni genitali femminili. La risposta giudiziaria e le questioni connesse, in<br />

Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, Rivista telematica, maggio 2007, p. 10 parla, in relazione<br />

all’espressione in parola, di grossolanità di approccio.<br />

61 Con l’inconveniente però, come segnalato da GENTILOMO, Mutilazioni genitali femminili. La<br />

risposta giudiziaria e le questioni connesse, cit., p. 10, che la disposizione generale dell’art. <strong>583</strong><br />

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prevede al contrario di quella in esame un più variegato ventaglio per la graduazione dell’entità<br />

della pena.<br />

62 Anche perché come detto in precedenza le MGF non hanno la funzione di menomare la<br />

sessualità, bensì quella di porla sotto simbolico controllo.<br />

63 DI PIETRO, Le norme, cit. p. 20.<br />

64 Menomare, rendere o far apparire più piccolo, più esiguo; danneggiare fisicamente.<br />

65 DUBOLINO, Commentario al Codice Penale, La Tribuna, Piacenza, 2007, p. 1813.<br />

66 TURILLAZZI-NERI, Luci ed ombre, cit. p. 296 ; ZOLO, Infibulazione e circoncisione, in Jura<br />

gentium, Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale, consultato il 21<br />

gennaio 2008.<br />

66 bis Così DE FRANCESCO, Multi<strong>culturali</strong>smo e diritto penale nazionale, cit., p. 151.<br />

67 Gravità del danno o del pericolo cagionato dalla persona offesa.<br />

68 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Zanichelli, Bologna, 2007, Parte Generale, I, p. 584, “La<br />

valutazione di questi elementi (condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo, n.d.r.)<br />

serve a calcolare l’incidenza dell’ambiente esterno all’interno del processo criminogenetico: la<br />

misura di una tale incidenza assume rilevanza sotto più punti di vista. Se ci si pone ad es. nell’ottica<br />

della colpevolezza, una forte pressione esterna nella dinamica del fatto farà apparire meno<br />

riprovevole l’autore.” Tutto questo detto con la possibilità di accogliere ad applicare se non una<br />

cultural defense in senso esimente, una sua accezione nel senso di cultural defense attenuante: su<br />

questo, cfr. MONTICELLI, Le cultural defenses (esimenti <strong>culturali</strong>) e i reati “culturalmente orientati”<br />

e possibili divergenze tra pluralismo culturale e sistema penale, in Ind. pen., 2003, p. 570.<br />

69 DOLCINI-MARINUCCI, Codice Penale Commentato, IPSOA, Milano, 2006, p. 3883.<br />

70 DI PIETRO, Le norme, cit., p. 18.<br />

71 DI PIETRO, Le norme, cit., p. 18 che in verità parla <strong>delle</strong> nozioni della medicina sviluppatasi in<br />

Italia ed evidenzia le difficoltà relative alla prova del dolo quando l’agente sia soggettivamente<br />

convinto di agire per fini terapeutici.<br />

72 AMATO, L’introduzione, cit. p. 22, riporta che, la stessa medicina occidentale, tra il XVIII e gli<br />

anni ’30 del ‘900 consigliava la clitoridectomia allo scopo di prevenire le patologie derivanti<br />

dall’abitudine onanistica e praticata anche presso alcuni ospedali psichiatrici.<br />

73 Si pensi ad esempio l’impiego dell’MDMA, soprattutto negli Stati Uniti intorno agli anni ’70,<br />

nell’ambito nella c.d. terapia ‘psicolitica’. Su questo cfr. CAMILLA, L’MDMA e le terapie<br />

psichedeliche: una prospettiva storica, in Altrove, 1995, 3, p. 91 ss.<br />

74 AMATO, L’introduzione in Italia, cit., p. 23; MORRONE, Usanza che crea danni fisici e psicologici,<br />

in Guida al Diritto, 2006, 5, p. 31; DI PIETRO, Le norme, cit., p. 18. Non si deve oltretutto escludere<br />

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l’esigenza terapeutica nell’ambito <strong>delle</strong> operazioni volte alla rettificazione del sesso di cui alla L. n.<br />

164 del 14 aprile 1982 che, comunque, sarebbero filtrate e valutate dal provvedimento<br />

giurisdizionale del Tribunale: in materia cfr. STANZIONE, Transessualità, in Enc. D. Dir., XLIV,<br />

1992, Giuffrè, Milano, pp. 882 – 883.<br />

75 MONTICELLI, Le cultural defenses, cit. p. 569.<br />

76 La formulazione originale del testo era la seguente: “Chiunque, in assenza di esigenze<br />

terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili,<br />

, è punito…”: v. TURILLAZZI-NERI, Luci ed ombre, cit., p. 301.<br />

77 TURILLAZZI-NERI, Luci ed ombre, cit., p. 301; DI PIETRO, Le norme, cit. p. 23.<br />

78 Sul punto BESSONE-FERRANDO, Persona fisica (dir. Priv.), in Enc.D. Dir., XXXIII, 1983, Giuffrè,<br />

Milano, pp. 200 e ss. evidenziano come il concetto di persona, superata una visione<br />

patrimonialistica e forse pan-pubblicistica, si vada inevitabilmente sviluppando nella direzione di<br />

una concezione che privilegia la libertà del singolo; con la conseguenza che il concetto di salute<br />

sancito dall’art. 32 Cost. non coincide più strettamente con quello di integrità fisica dell’art. 5 c.c. e<br />

con la conclusione che talvolta è proprio l’esigenza del conseguimento della salute personale in<br />

senso ampio che rende necessaria una offesa della integrità fisica. Ma cfr. anche PALAZZO, Persona<br />

(delitti contro), in Enc. D. Dir., XXXIII, 1983, Giuffrè, Milano, p. 312, il quale pone in luce che per<br />

l’ammissibilità degli atti di disposizione del corpo dovrebbe individuarsi un punto di equilibrio che<br />

tenga conto del rilievo del vantaggio individuale – soggettivo – ed un principio personalistico<br />

costituzionalmente orientato e non coincidente con il mero individualismo od indifferenza per il<br />

contesto sociale.<br />

79 Art. 552 – Procurata impotenza alla procreazione – Chiunque compie, su persona dell’uno o<br />

dell’altro sesso, col consenso di questa, atti diretti a renderla impotente alla procreazione è punito<br />

con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire mille a cinquemila.<br />

80 Cfr. STELLA, La configurabilità della sterilizzazione volontaria come lesione personale<br />

gravissima, in Riv. It. Med. Leg., 1979, p. 369.<br />

81 Corte d’Appello di Firenze, 6 marzo 1985, in Giur. Di merito, 1986, p. 634.<br />

82 Cfr. in particolare la Relazione Solmi al progetto definitivo del Codice Civile per la quale<br />

l’integrità fisica e le proprie diminuzioni non vanno intese in termini meramente anatomici, bensì in<br />

chiave funzionale: il divieto riguarderebbe le lesioni che impediscono all’individuo l’assolvimento<br />

dei suoi doveri sociali e familiari e che riguardano il valore sociale della persona. Il dato è di<br />

AMATO, L’introduzione, cit., p. 29.<br />

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83 DI PIETRO, Le norme, cit., p. 23; BASILE, Società multi<strong>culturali</strong>, immigrazione e reati<br />

culturalmente motivati (comprese le mutilazioni genitali femminili), in Stato, Chiese e pluralismo<br />

confessionale, Riv. Telematica, Ottobre 2007, p. 55.<br />

84 Sul punto DOLCINI – MARINUCCI, Commentario al Codice penale, cit., p. 3884, in riferimento<br />

all’art. <strong>583</strong> bis affermano che ‘I diritti offesi dal fatto tipico del delitto in esame – ovverosia,<br />

l’integrità fisica, la salute psico-sessuale, la dignità personale della donna – possono, infatti, essere<br />

considerati quali diritti individuali, relativamente disponibili (cioè disponibili nei limiti dell’art. 5<br />

c.c. o, comunque, entro limiti analoghi) e quindi, in quanto tali, teoricamente rientranti nel campo<br />

d’applicazione della scriminante del consenso…Il problema è, piuttosto, quello di verificare il<br />

rispetto dei limiti, entro i quali tali diritti sono disponibili’. Ma anche DUBOLINO, Commentario al<br />

Codice Penale, cit., p. 1814.<br />

85 Con la difficoltà che può sorgere dalla considerazione che, talvolta, alcuni gruppi manifestano<br />

contrarietà alle mutilazioni in ambito ospedaliero, specie a causa dell’utilizzo dell’anestesia che<br />

attenua la sofferenza ed il dolore che sono considerati condizioni fondamentali per l’efficacia del<br />

rito: su questo cfr. DE CARLI, Tra diritto e tradizione, cit., p. 13. In materia PADOVANI,<br />

Sterilizzazione, in Enc. D. Dir., XLIII, Giuffrè, Milano,1990, p. 1088, ribadisce che ‘Riducendo la<br />

capacità di procreare a bene disponibile della persona, si corre tuttavia il rischio di dover<br />

riconoscere la liceità di qualunque intervento, ancorché attuato da un soggetto sprovvisto di una<br />

adeguata qualificazione tecnico-professionale, quasi si trattasse di un taglio di capelli o di una<br />

operazione di manicure. In realtà ogni intervento destinato ad incidere sulla integrità anatomica<br />

assume un intrinseco carattere medico, e deve essere quindi effettuato da persone abilitate e con i<br />

mezzi consentanei a tale attività’.<br />

86 Sul punto cfr. le proposte di consenso informato formulate già i primi anni ’80 da RÖGGLA,<br />

Osservazioni cliniche ed etnico-<strong>culturali</strong> in tema di sterilizzazione femminile a scopo<br />

anticoncezionale, in Riv. It. Med. Leg., 1982, p. 21.<br />

87 RENTELN, Cultural defense, cit., p. 53 in ambito generale parla della prevedibile diffidenza della<br />

vittime rispetto alla presentazione avanti all’Autorità Giudiziaria: ‘It is also probabile that girls will<br />

be disinclined to testify in court against their relatives, particulary if the consequence will be the<br />

incarceration of their relatives’.<br />

88 Sul concetto di biopolitica cfr. fondamentalmente FOUCAULT, Antologia. L’impazienza della<br />

libertà, Feltrinelli, Milano, 2006, pp. 102 – 103 e 105.<br />

88 bis Su questo cfr. GENTILOMO-PIGA-KUSTERMANN, Le mutilazioni genitali femminili: la risposta<br />

giudiziaria, cit., pp. 30 ss.<br />

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89 Cass., 24 novembre 1999, n. 3398, in Riv. Pen., 2000, 238 – 239 ‘I principi costituzionali dettati<br />

dall’art. 2, attinenti alla garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo (ai quali appartiene indubbiamente<br />

quello relativo alla integrità fisica), sia come singolo sia nelle formazioni sociali (e fra di esse è da<br />

ascrivere con certezza la famiglia); dall’art. 3, relativi alla pari dignità sociale, alla eguaglianza<br />

senza distinzione di sesso e al compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che, limitando di<br />

fatto la libertà e l’eguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della personalità umana; dagli artt. 29<br />

e 30, concernenti i diritti della famiglia e i doveri verso i figli; costituiscono uno sbarramento<br />

invalicabile contro l’introduzione di diritto e di fatto nella società civile di consuetudini, prassi,<br />

costumi che suonano come barbari a fronte dei risultati ottenuti nel corso dei secoli per realizzare<br />

l’affermazione dei diritti inviolabili della persona’…. ‘L’imbarbarimento del diritto e della<br />

giurisprudenza, quale si pretende invocando la scriminante di cui all’art. 50 c.p. di fronte a<br />

comportamenti lesivi dell’integrità fisica, della personalità individuale, della comunità familiare,<br />

trova un insormontabile ostacolo nella normativa giuridica (per non dire nella coscienza sociale)<br />

che presiede all’ordinamento vigente’. Per una trattazione che escluda dal reato di cui all’art. 572<br />

c.p. l’operatività della scriminante del consenso dell’avente diritto cfr. MONTICELLI, I reati contro la<br />

famiglia, in Trattato diretto da Cadoppi, Canestrari, Papa, UTET, Torino, 2006, pp. 381 ss. Sul<br />

caso del consenso dell’avente diritto applicato a determinati diritti personalissimi cfr. CANESTRARI-<br />

CORNACCHIA-DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Parte generale, cit., p. 526, nella parte in cui<br />

ne ammette l’operatività quando lo stesso consenso abbia ad oggetto il verificarsi di lesioni<br />

circoscritte ed episodiche dei diritti.<br />

90 In generale, cfr. MANTOVANI, Esercizio del diritto (dir. pen.), in Enc. D. Dir., XV, Giuffrè,<br />

Milano, 1966, p. 671.<br />

91 CARDIA, Religione (libertà di), cit., p. 932.<br />

92 Qui inteso, grosso modo, come diritto alla educazione dei figli alla religione.<br />

93 Cfr. Gen. 17, 9 – 14; Lev. 12, 3: ‘L’ottavo giorno si circonciderà il bambino’.<br />

94 Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’unione <strong>delle</strong> Comunità Ebraiche italiane.<br />

95 ‘…esercitare in privato il culto o i riti’.<br />

96 ‘Conservano la personalità giuridica i seguenti enti aventi finalità di culto… f) … ospedale<br />

Settimio Saadun – Firenze.’<br />

97 ‘L’attività di religione e di culto della Unione… si svolge a norma dello Statuto dell’ebraismo<br />

italiano’.<br />

98 ‘La Repubblica italiana prende atto che secondo la tradizione ebraica le esigenze religiose<br />

comprendono quelle di culto, assistenziali e <strong>culturali</strong>.’<br />

99 Cfr. GALIMBERTI, Circoncisione, cit. p. 169.<br />

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100 2. La circoncisione femminile. Con questa espressione riassuntiva si fa riferimento a tre forme di<br />

mutilazione sessuale femminile, di diversa e progressiva gravità e invasività, la clitoridectomia,<br />

l'escissione e l'infibulazione, tutte obiettivamente finalizzate a impedire l'orgasmo femminile<br />

durante l'atto sessuale e quindi ad alterare definitivamente, e in peius, l'esercizio della sessualità da<br />

parte della donna. Tali pratiche si riscontrano tuttora nell' Africa islamica, e in particolare nelle<br />

nazioni sub-sahariane, in Arabia, nelle Filippine, in Malaysia, in Pakistan e in Indonesia, sempre<br />

comunque in stretta connessione con la pratica della fede islamica; esse però non appaiono in tutti i<br />

paesi islamici, non avendo alcun fondamento coranico (si può anzi fondatamente presumere che le<br />

popolazioni che le praticano le derivino da culture precedenti alla loro islamizzazione). Per quanto<br />

molto antiche e radicate, le diverse pratiche di circoncisione femminile non sembrano rivestire<br />

alcun carattere propriamente religioso, né possono avere alcuna giustificazione dal punto di vista<br />

igienico e sanitario; esse peraltro sono giustificate, dalle popolazioni che le pongono in essere, con<br />

argomentazioni di tipo tradizionale (un esplicito tabù proibirebbe agli uomini di sposare donne non<br />

circoncise) o culturale (la circoncisione radicherebbe la sessualità femminile esclusivamente nella<br />

procreazione e favorirebbe così la difesa della castità coniugale, togliendo alla donna un istinto<br />

ritenuto in essa da reprimere, come quello del piacere sessuale). I vistosi fenomeni di immigrazione<br />

dall'Africa nel nostro paese, così come in altri paesi europei, che si sono moltiplicati in questi ultimi<br />

anni, ci hanno fatto prendere coscienza della diffusione di questa pratica, finora ben poco nota, e<br />

che crea evidentemente immensi problemi bioetici, anche perché essa è in genere non solo accettata,<br />

ma richiesta ed esigita dalle adolescenti che appartengono alle etnie nelle quali essa è comunemente<br />

posta in essere. Il CNB è ben consapevole del rispetto che è doveroso prestare alla pluralità <strong>delle</strong><br />

culture, anche quando queste si manifestino in forme estremamente lontane da quelle della<br />

tradizione occidentale, e del gran valore del giusto confronto con la diversità culturale, che è<br />

oggetto di continuo studio. Ritiene non di meno - e consapevolmente contro il parere di pur illustri<br />

antropologi - che nessun rispetto sia dovuto a pratiche, ancorché ancestrali, volte non solo a<br />

mutilare irreversibilmente le persone, ma soprattutto ad alterarne violentemente l'identità psico-<br />

fisica, quando ciò non trovi una inequivocabile giustificazione nello stretto interesse della salute<br />

della persona in questione. E' evidente che le pratiche di circoncisione femminile non sono poste in<br />

essere per ovviare a problemi di salute né fisica, né psichica <strong>delle</strong> donne che le subiscono, anzi esse<br />

comportano gravi conseguenze negative sulla salute <strong>delle</strong> donne che ad esse vengono sottoposte. Il<br />

CNB non può quindi che ritenerle eticamente inammissibili sotto ogni profilo ed auspicare che<br />

vengano esplicitamente combattute e proscritte, anche con l'introduzione di nuove, specifiche<br />

norme di carattere penale.’<br />

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101 ‘Tale procedura… (la puntura simbolica n.d.r.), comunque deve essere intesa come parte<br />

integrante di un percorso volto al superamento di ogni forma di mutilazione e manipolazione dei<br />

genitali femminili’.<br />

102 MANTOVANI, Esercizio del diritto (dir. pen.), cit., p. 676.<br />

103 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit. p. 62 che individuano la possibilità di trovare nella<br />

fattispecie dell’errore di fatto una cultural defense.<br />

104 L’imputato originario del Laos, ed appartenente alla comunità Hmong, era accusato di sequestro<br />

di persona di e violenza sessuale sulla fidanzata: secondo la tradizione laotiana è ammesso che gli<br />

uomini possano ricorrere a tali modalità violente di relazione e di rapporto intimo allo scopo di<br />

contrarre successivamente il matrimonio; sempre secondo la tradizione la donna oppone una<br />

resistenza di maniera che le parti sanno essere fittizia. Sul punto v. RUNTELN, Cultural defenses,<br />

cit., p.126 ‘There have been manny reports of marriage by capture, or zij pojniam, among the<br />

Hmaong communities in California, Colorado, Minnesota, and Wisconsin. After a Hmong man and<br />

woman exchange gifts, on a certain nights, the man carries the woman off from her parent’s home.<br />

In order to prove that she is virtous, she is supposed to engage in a ritualised protes, cryng “no, no,<br />

no; I’m not ready”, even if she, in fact, wants to marry the man. The man to demonstrate his virility,<br />

has has to forciblytake the woman.’, ma v. anche MONTICELLI, Le cultural defenses, cit., pp. 543,<br />

558-559.<br />

105 DE CARLI, Tra diritto e tradizione, cit., p.13.<br />

106 1. Allo scopo di prevenire e contrastare le pratiche di cui all'articolo <strong>583</strong>-bis del codice penale, il<br />

Ministro per le pari opportunità, d'intesa con i Ministri della salute, dell'istruzione, dell'università e<br />

della ricerca, del lavoro e <strong>delle</strong> politiche sociali, degli affari esteri e dell'interno e con la Conferenza<br />

permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,<br />

predispone appositi programmi diretti a:<br />

a) predisporre campagne informative rivolte agli immigrati dai Paesi in cui sono effettuate le<br />

pratiche di cui all'articolo <strong>583</strong>-bis del codice penale, al momento della concessione del visto presso<br />

i consolati italiani e del loro arrivo alle frontiere italiane, dirette a diffondere la conoscenza dei<br />

diritti fondamentali della persona, in particolare <strong>delle</strong> donne e <strong>delle</strong> bambine, e del divieto vigente<br />

in Italia <strong>delle</strong> pratiche di mutilazione genitale femminile;<br />

b) promuovere iniziative di sensibilizzazione, con la partecipazione <strong>delle</strong> organizzazioni di<br />

volontariato, <strong>delle</strong> organizzazioni no profit, <strong>delle</strong> strutture sanitarie, in particolare dei centri<br />

riconosciuti di eccellenza dall'Organizzazione mondiale della sanità, e con le comunità di immigrati<br />

provenienti dai Paesi dove sono praticate le mutilazioni genitali femminili per sviluppare<br />

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l'integrazione socio-culturale nel rispetto dei diritti fondamentali della persona, in particolare <strong>delle</strong><br />

donne e <strong>delle</strong> bambine;<br />

c) organizzare corsi di informazione per le donne infibulate in stato di gravidanza, finalizzati ad una<br />

corretta preparazione al parto;<br />

d) promuovere appositi programmi di aggiornamento per gli insegnanti <strong>delle</strong> scuole dell'obbligo,<br />

anche avvalendosi di figure di riconosciuta esperienza nel campo della mediazione culturale, per<br />

aiutarli a prevenire le mutilazioni genitali femminili, con il coinvolgimento dei genitori <strong>delle</strong><br />

bambine e dei bambini immigrati, e per diffondere in classe la conoscenza dei diritti <strong>delle</strong> donne e<br />

<strong>delle</strong> bambine;<br />

e) promuovere presso le strutture sanitarie e i servizi sociali il monitoraggio dei casi pregressi già<br />

noti e rilevati localmente.<br />

2. Per l'attuazione del presente articolo è autorizzata la spesa di 2 milioni di euro annui a decorrere<br />

dall'anno 2005.<br />

107 DE CARLI, Tra diritto e tradizione, cit., p. 19.<br />

108 AMATO, L’introduzione in Italia, cit. pp. 21 –22.<br />

109 Sulla distinzione già nota in dottrina cfr. FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., pp. 392-393 i<br />

quali ribadiscono l’ambiguo e superabile concetto in base al quale i delitti ‘naturali’ siano quelli<br />

‘lesivi di valori etico-sociali tutelati in quasi tutte le legislazioni storiche’ e quelli artificiali che<br />

sono ‘tali per volontà del legislatore, senza che ad essi preesista una corrispondente e diffusa<br />

disapprovazione sociale’.<br />

110 Cass. Pen., 8 gennaio 2002, in Dir. pen. proc., 2003, p. 285 ‘La Corte ha perciò ritenuto<br />

pienamente integrato il dolo richiesto dall’art. 572 c.p., stante l’obbligo per l’imputato di conoscere<br />

ai sensi dell’art. 5 c.p., il divieto imposto dalla legge di comportamenti lesivi da lui posti in essere,<br />

quale che possa essere stata la valutazione della propria condotta (eventualmente ritenuta innocua o<br />

socialmente utile)’.<br />

111 Cfr. MONTICELLI, I reati contro la famiglia, cit., pp. 395 ss.<br />

112 Sul punto cfr. BERNARDi, Modelli penali, cit., p. 125.<br />

113 Cfr. ad esempio: Cass. Pen., 14 novembre 1994, in Riv. Pen., 1995, ‘Ai fini del riconoscimento<br />

dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 1 c.p., i particolari motivi morali e sociali sono solo quelli che<br />

traggono origine da valori avvertiti dalla prevalente coscienza collettiva che non si identificano con<br />

quelli radicati nel ristretto ambiente di alcuni strati sociali in particolari aree geografiche.’ Cass.<br />

Pen., 29 febbraio 1988, in Riv. Pen., 1990, 285: ‘L'attenuante di cui all'art. 62, n. 1, c. p. richiede<br />

che l'azione criminosa sia nell'intenzione dell'agente diretta ad eliminare una situazione,<br />

effettivamente esistente, ritenuta immorale o antisociale ed inoltre che tale movente sia<br />

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oggettivamente conforme alla morale ed ai costumi del tempo e del luogo del commesso reato.’<br />

Cass. Pen., 3 novembre 1986, in Riv. Pen., 1988, 300 ‘L'attenuante di cui all'art. 62, n. 1,. c. p. si<br />

realizza allorché il soggetto abbia agito per raggiungere uno scopo nobile, conformemente alla<br />

morale del tempo e del luogo…’<br />

114 MALINVERNI, Circostanze del reato, in Enc.D.Dir., VII, Giuffrè, Milano, 1960, pp. 86 – 87.<br />

115 PALAZZO, Obiezione di coscienza, cit., p. 550 ‘Invece, se si muove dalla più esatta premessa che<br />

sono di particolare valore morale e sociale i motivi che, nella generalità dei casi, determinano azioni<br />

di valore assolutamente positivo per la comunità e cioè molto utili per il bene comune, pare difficile<br />

negare che il sistema morale, religioso o filosofico cui s’ispira solitamente l’obiettore conduca<br />

normalmente – e prescindendo ovviamente dal singolo episodio criminoso – al compimento di<br />

azioni socialmente utili.’E’ MANTOVANI, Diritto penale, Cedam, Padova, 2001, p. 428 a parlare del<br />

riconoscimento, contro l’opinione tradizionale, della attenuante di cui all’art. 62, 1 c.p. al caso della<br />

autentica obiezione di coscienza.<br />

116 Come perlomeno lascia intuire BELLOTTO, Il particolare valore morale della disperazione, in<br />

Giust. Pen., 1993, p. 217: ‘Ma non si può non considerare,a questo proposito, quanto si andava<br />

dicendo… in relazione alla struttura pluralistica del nostro sistema costituzionale: gli artt. 2, 3, 5, 6,<br />

8, 19, 20, 21 non solo prevedono il riconoscimento <strong>delle</strong> realtà locali e <strong>delle</strong> minoranze <strong>culturali</strong> e<br />

religiose, ma fanno riferimento ad esse come ad un patrimonio umano da tutelare. Appare quindi<br />

corretto fare riferimento alla morale ed ai costumi del tempo e del luogo del commesso reato,<br />

proprio perché la ratio dell’art. 62 n. 1 impone di dare rilevanza giuridica proprio alla solidarietà<br />

proveniente dall’ambiente di appartenenza che ha indotto nel reo un minor senso di riprovevolezza<br />

nei confronti della violazione…’<br />

117 Sulle <strong>difese</strong> <strong>culturali</strong> attenuanti nel diritto degli Stati Uniti cfr. RENTELN, Cultural defense, cit.,<br />

p. 191.<br />

118 Per qualche suggestione sulla mentalità primitiva o non civilizzata cfr. JUNG, L’uomo arcaico,<br />

pp. 124 ss.e CASSIRER, Spazio tempo e causalità magiche, pp. 87 ss., in DE MARTINO, Magia e<br />

Civiltà, cit.<br />

119 Su questo v. BETTIOL, Diritto penale, Padova, Cedam, 1976, p. 463.<br />

1 20 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., p. 404, n. 157.<br />

121 Sarebbe forse il caso di rivalutare, in modo distaccato ma non troppo critico, una risalente<br />

pronuncia di merito del Tribunale di Bologna, riportata dal BETTIOL, Diritto penale, cit., p. 464,<br />

nota (373) per la quale ‘occorre che la sua volontà (dell’agente n.d.r.) si sia potuta determinare<br />

normalmente all’azione: tale determinazione non si può richiedere quando le condizioni di fatto<br />

nelle quali l’individuo opera sono tali da rendere impossibile o molto difficile la formazione di un<br />

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volere immune da difetti, posto che in tale ipotesi – date le condizioni dell’operare – non si può<br />

esigere dal soggetto agente un comportamento diverso da quello effettivamente tenuto’.<br />

122 MONTICELLI, Le cultural defenses, cit., p. 547.<br />

123 MONTICELLI, Le cultural defenses, cit., p. 547.<br />

124 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., p. 62 fanno riferimento alla non esigibilità proprio per<br />

quanto riguarda i reati etnicamente orientati. In effetti, forse come scappatoia, la giurisprudenza<br />

statunitense talvolta ha giudicato come vi fosse una sorta di carenza della suitas, a fronte di una<br />

cultural defense: cfr. MONTICELLI, Le cultural defenses, cit., p. 548.<br />

125 MANTOVANI, Diritto penale, cit. pp.375 – 376. Più di recente CANESTRARI-CORNACCHIA-DE<br />

SIMONE, Manuale di diritto penale, Parte generale, cit., p. 642 per i quali, una clausola di non<br />

esigibilità non predeterminata ed atipica, condurrebbe, non solo ad arbitri, ma anche a gravi ed<br />

irragionevoli disparità di trattamento tra imputati.<br />

126 Ne fanno riferimento FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., p. 62.<br />

127 Per la complessità dei motivi che si trovano alla base del gesto, inteso come suicidio fondato su<br />

motivi <strong>culturali</strong> nipponici, cfr. YOSHITOMO TAKAHASHI, m.d., DOUGLAS BERGER, m.d., Cultural<br />

Dynamics and the unconscius in suicide in Japan, in<br />

http://www.japanpsychiatrist.com/Abstracts/Shinju.html, che proprio riferisce il caso trattato<br />

nell’aula di giustizia americana.<br />

128 This mother had attempted oyako-shimju about a week after discovering that her husband had<br />

been having a secret extramarital affair for years, leaving her depressed and ruminating about<br />

suicide. The reason for her despair were personal, and although maladaptive, the method she chose<br />

to resolve it was cultural, and very Japanese. Although she had lived in the Uninited States for 14<br />

years, she remained Japanese in her thinking and life style, isolated from American culture. She did<br />

not drive, spoke little English, knew nothing of her husband’s businnes, and had no hobbies or close<br />

friends outside the family. In other words, she was virtually without any kind of support system<br />

wich might have sustained her in time pf emotional distress. Social supports have also been found<br />

to be important for preventing suicide in Western society.’ YOSHITOMO TAKAHASHI, m.d.,<br />

DOUGLAS BERGER, m.d., Cultural Dynamics , cit.<br />

129 Cfr. RENTELN, Cultural Defense, cit., p. 25 che fa riferimento all’accordo di sei psichiatri sulla<br />

diagnosi di infermità mentale. Così anche MONTICELLI, Le Cultural defenses, cit., p. 550.<br />

130 RENTELN, Cultural Defense, cit., p. 24-25.<br />

131 RENTELN, Cultural Defense, cit., p. 26: dove l’ambito di riferimento non era oltretutto esotico<br />

come nel caso Kimura, ma era riferito a usi e modalità di comportamento e reazione diffusi in<br />

Grecia.<br />

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132 Su questo cfr. DE MARTINO, La fine del mondo. Contributo all’analisi <strong>delle</strong> apocalissi <strong>culturali</strong>,<br />

Einaudi, Torino, 1977, p. 153.<br />

133 Sul punto v. le pagine suggestive di DE MARTINO, Il mondo magico. Prolegomeni ad una storia<br />

del magismo, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, pp. 70 ss. Ma si consideri anche FORNARI, Trattato<br />

di psichiatria forense, UTET, Torino, 2004, p. 482 ‘Di fronte ad uno o più dei fattori disgreganti o<br />

anomizzanti che possono condurre ad una crisi di identità nel singolo o nel gruppo, uno dei<br />

meccanismi di compenso maggiormente utilizzati, anche perché più antico e carico di quel potere e<br />

quel fascino che è proprio dell’occulto, è costituito dal recupero del rituale e del mitologico’.<br />

134 Qui, per fenomenologia, si intende la connessione prevalentemente ad un metodo euristico di<br />

carattere descrittivo: sul punto cfr. GALIMBERTI, Fenomenologia, in Diz. di <strong>Psicologia</strong>, cit., pp. 397-<br />

398.<br />

135 Per questa prospettiva cfr. CONTENTO, Corso di diritto penale, cit., p. 219.<br />

136 FORNARI, Trattato, cit., p. 482 ‘Si deve infatti stare bene in guardia dall’interpretare – tout court<br />

– alla luce della psichiatria credenze, culti, riti e tradizioni’.<br />

137 HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto, Milano, Bompiani, 2006, sez. III, II, § 100 ‘La lesione<br />

che s’abbatte sul delinquente è non soltanto giusta in sé – in quanto giusta, essa è a un tempo la<br />

volontà essente-in sé del delinquente stesso, è un’esistenza della sua libertà, è un suo diritto -, ma è<br />

anche un diritto posto nel delinquente, cioè nella sua volontà esistente, nella sua azione.’ § 101 ‘La<br />

volontà del delinquente nella sua azione come vera base giuridica e l’onore del delinquente nella<br />

pena. – Inoltre, ciò che lo Stato deve far valere non è soltanto il concetto del delitto, cioè il suo<br />

aspetto razionale in sé e per sé, con o senza il consenso dei singoli; nell’azione del delinquente<br />

infatti è insita la razionalità formale, cioè il volere del singolo: è da questo lato che la pena viene<br />

considerata come il diritto proprio del delinquente stesso, e qui viene onorato come essere<br />

razionale.’<br />

138 Su questo FORNARI, Trattato, cit., p. 482 ‘Nel secondo caso (malattia nostalgica o veri e propri<br />

episodi psicotici), entrano in gioco primariamente manifestazioni depressive reattive caratterizzate<br />

da pessimismo, ansia, apatia, preoccupazioni ipocondriache, idee rivendicative e ostili contro<br />

l’ambiente ospitante. Può svilupparsi, in un secondo tempo, un sistema delirante con idee di<br />

persecuzione, di riferimento, di nocumento, di gelosia e altro (psicosi paranoide); a ciò può<br />

conseguire un uso patologico dei contenuti <strong>culturali</strong> o superstiziosi d’origine che sfocia in un<br />

quadro complesso in cui – a livello psichiatrico – predomina da un lato la depressione, dall’altro la<br />

tematica paranoie, mentre, a livello comportamentale si possono registrare condotte auto- o<br />

eteroaggressive’.<br />

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139 Su questo v. DE MARTINO, Sud e magia, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 15 ‘…la fascinazione…<br />

Con questo termine si indica una condizione psichica di impedimento e di inibizione, e al tempo<br />

stesso un senso di dominazione, un essere agito da una forza altrettanto potente quanto occulta , che<br />

lascia senza margine l’autonomia della persona, la sua capacità di decisione e di scelta’.<br />

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