Ambiente_e_Sicurezza..

INSERTO
Sicurezza delle macchine
La scheda di valutazione dei rischi
e la check list per l'utilizzo in sicurezza
della sega circolare da cantiere
L'APPROFONDIMENTO
Sostanze pericolose
ADR 2005 al via (2 a parte)
IGIENE E SICUREZZA
Sicurezza degli impianti
Impianti criogenici e analisi del rischio
AMBIENTE
Rifiuti
I rottami ferrosi tra sovranità nazionale
e giudice comunitario (1 a parte)
9 agosto 2005 ­ N. 16
ARTICOLI DA PAGINA
ARTICOLI DA PAGINA
ARTICOLO A PAGINA
Sicurezza in cantiere
Il distacco: condizioni di liceità e tutela sul lavoro
ARTICOLO A PAGINA
Le responsabilità nella gestione degli imballaggi
CASO A PAGINA
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
II
16
52
COMMENTO DA PAGINA 71
DOCUMENTO DA PAGINA 74
87
100
Tutti gli abbonati
che devono
ancora registrarsi
possono farlo
direttamente nel sito di
Ambiente&Sicurezza
cliccando su "registrati",
"nuovo utente", e ricordandosi
che per completare
la registrazione occorre
il "codice utente"
stampato sul cellophane
della rivista.
Per ulteriori informazioni
rivolgersi al servizio
clienti, telefono:
02 o 06 30225680
3

4
NOVITÀ
GAZZETTA UFFICIALE: GLI ULTIMI 15 GIORNI
GAZZETTA UFFICIALE REPUBBLICA ITALIANA
ARGOMENTO PROVVEDIMENTO TITOLO PUBBLICATO IN
Igiene
di alimenti
e bevande
Sicurezza
del lavoro
Sostanze
pericolose
Decreto del Ministero
delle Politiche agricole
e forestali 7 luglio 2005
Decreto
dell’Istituto Superiore
per la Prevenzione
e la Sicurezza del Lavoro
7 luglio 2005
Decreto
del Presidente
della Repubblica
6 giugno 2005,
n. 134
Bonifica Decreto del Ministero
dell’Ambiente e della
Tutela del territorio
2 maggio 2005,
n. 127
Energia Decreto legislativo
30 maggio 2005,
n. 128
Finanziamenti Decreto del Ministero
dell’Ambiente e della
Tutela del territorio
2 febbraio 2005
Rifiuti Decreto legislativo
11 maggio 2005, n. 133
Sostanze
pericolose
Decreto del Ministero
delle Infrastrutture
e dei Trasporti
20 giugno 2005
SICUREZZA
«Esonero di alcuni operatori del settore
biologico dagli obblighi previsti dall’articolo
8, paragrafo 1, del regolamento
(CEE) n. 2092/1991, come modificato
dall’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento
(CE) n. 392/2004, e approvazione
di nuova modulistica, sezione C, “preparazioni
alimentari”»
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
Gazzetta Ufficiale
del 12 luglio 2005,
n. 160
In sintesi a pag. 76
«Tariffario ISPESL» S.O. n. 125
alla Gazzetta Ufficiale
del 18 luglio 2005,
n. 165
«Regolamento recante disciplina per le
navi mercantili dei requisiti per l’imbarco,
il trasporto e lo sbarco di merci pericolose»
AMBIENTE
«Regolamento recante modifica dell’articolo
15 del decreto del Ministro dell’ambiente
e della tutela del territorio, di concerto
con i Ministri delle attività produttive
e della salute, 25 ottobre 1999, n. 471, in
materia di realizzazione di interventi di bonifica
dei siti inquinati»
«Attuazione della direttiva 2003/30/CE relativa
alla promozione dell’uso dei biocarburanti
o di altri carburanti rinnovabili nei
trasporti»
«Attuazione dei programmi pilota a livello
nazionale in materia di afforestazione e riforestazione,
ai sensi dell’articolo 2, punto
3, della legge 1° giugno 2002, n. 120»
«Attuazione della direttiva 2000/76/CE, in
materia di incenerimento dei rifiuti»
«Modificazioni al decreto del 13 gennaio
2004, recante procedure per il rilascio dell’autorizzazione
all’imbarco e trasporto
marittimo e per il nulla osta allo sbarco e
al reimbarco su altre navi (Transhipment)
delle merci pericolose. (Decreto n. 36/
2004)»
S.O. n. 123
alla Gazzetta Ufficiale
del 15 luglio 2005,
n. 163
In sintesi a pag. 76
Gazzetta Ufficiale
dell’11 luglio 2005,
n. 159
In sintesi a pag. 97
Gazzetta Ufficiale
del 12 luglio 2005,
n. 160
In sintesi a pag. 97
Gazzetta Ufficiale
del 16 luglio 2005,
n. 164
S.O. n. 122
alla Gazzetta Ufficiale
del 15 luglio 2005,
n. 163
In sintesi a pag. 98
Gazzetta Ufficiale
dell’8 luglio 2005,
n. 157
9 agosto 2005 ­ N. 16

Tutela
ambientale
9 agosto 2005 ­ N. 16
Legge 12 luglio 2005,
n. 130
«Adesione della Repubblica italiana al
Protocollo del 2003 alla Convenzione internazionale
del 1992 sull’istituzione di
un Fondo complementare internazionale
per il risarcimento dei danni causati dall’inquinamento
da idrocarburi, fatto a
Londra il 16 maggio 2003, e norme di adeguamento
dell’ordinamento interno»
GAZZETTA UFFICIALE DELLE COMUNITÀ EUROPEE
Il testo è disponibile on­line all’indirizzo
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
NOVITÀ
S.O. n. 120
alla Gazzetta Ufficiale
del 13 luglio 2005,
n. 161
In sintesi a pag. 97
ARGOMENTO PROVVEDIMENTO PUBBLICATO IN
Sicurezza
del lavoro
SICUREZZA
«Regolamento (CE) n. 1111/2005 del Consiglio, del 24 giugno 2005,
che modifica il regolamento (CEE) n. 1365/75 concernente l’istituzione
di una Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni
di vita e di lavoro»
«Regolamento (CE) n. 1112/2005 del Consiglio, del 24 giugno 2005,
recante modifica del regolamento (CE) n. 2062/94 del Consiglio, relativo
all’istituzione di un’Agenzia europea per la sicurezza e la salute
sul lavoro»
Rifiuti «Decisione della Commissione, del 14 giugno 2005, relativa all’adesione
della Comunità europea dell’energia atomica alla convenzione
congiunta sulla sicurezza della gestione del combustibile esaurito e
dei rifiuti radioattivi»
G.U.C.E. L del 15 luglio
2005, n. 184
G.U.C.E. L del 15 luglio
2005, n. 184
In sintesi a pag. 76
G.U.C.E. L del 16 luglio
2005, n. 185
5

SOMMARIO
In sintesi
INSERTO ................................................................................................................................... p. 10
L'APPROFONDIMENTO ................................................................................................................ p. 10
IGIENE E SICUREZZA.................................................................................................................... p. 10
AMBIENTE ................................................................................................................................. p. 13
Articoli
6
Approfondimenti
l Sega circolare da cantiere: utilizzo in sicurezza secondo
le UNI EN 1870-1 e UNI EN 1870-3
di Marco Vigone .................................................................................................................. p. II
l Sega circolare da cantiere: attrezzatura per il taglio di legname in edilizia
di Claudio Conio.................................................................................................................. p. VIII
l Contenitori per trasporto alla rinfusa distinti in base a tipologie e omologazione
di Francesco Battista........................................................................................................... p. 16
l Le cisterne per le materie pericolose tra ADR 2005 e norma T-PED
di Claudio Amantia p. 19
l Disposizioni di sicurezza antiterrorismo per il trasporto dei prodotti petroliferi
di Davide Levo .................................................................................................................... p. 23
l Imballaggi per rifiuti sanitari pericolosi tra D.P.R. n. 254/2003 e ADR 2005
di Katia Aldrigo.................................................................................................................... p. 30
l Anche gli OGM e i MOGM nell’ADR 2005
di Sergio Benassai .............................................................................................................. p. 34
l Imballaggi, cisterne ed esenzioni: i riferimenti per il trasporto dell’amianto
di Sergio Benassai .............................................................................................................. p. 36
l Sul trasporto dei materiali radioattivi precauzioni al massimo livello
di Sandro Trivelloni.............................................................................................................. p. 38
l Accordo ADR e responsabilità penale: finalmente, la prima sentenza in Italia
di Giandomenico Villa ......................................................................................................... p. 44
l Dalla sentenza del Tribunale di Ravenna meno libere interpretazioni e più rigore
di Gabriele Scibilia .............................................................................................................. p. 48
l Impianti criogenici: l’analisi del rischio per i materiali e le apparecchiature
di Gennaro Bufalo ............................................................................................................... p. 52
l Privacy e sicurezza: quali implicazioni nella gestione della tutela del lavoratore?
di Giovanni Volpe ................................................................................................................ p. 62
l I criteri di adeguatezza della formazione secondo i pareri della Corte di Cassazione
di Mario Gallo...................................................................................................................... p. 66
l Distacco del personale: dal MinLavoro chiarimenti su condizioni
di liceità e sicurezza del lavoro
di Mario Gallo...................................................................................................................... p. 71
l Il D.Lgs. n. 494/1996: la sicurezza negli appalti pubblici
di Pierguido Soprani............................................................................................................ p. 78
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
9 agosto 2005 ­ N. 16

SOMMARIO
l Quale riferimento per i materiali ferrosi: sovranità nazionale
o giudice comunitario?
di Pasquale Giampietro....................................................................................................... p. 87
l La responsabilità nella gestione degli imballaggi
di Cesare Parodi ................................................................................................................. p. 100
Legislazione
l Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro
Regolamento (CE) della Commissione 24 giugno 2005, n. 1112/2005 ............................... p. 76
l Alimenti biologici
Decreto del Ministero delle Politiche agricole e forestali 7 luglio 2005 ................................ p. 76
l Trasporto via mare di sostanze pericolose
Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2005, n. 134......................................... p. 76
l Bonifica dei siti di interesse nazionale
Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio 2 maggio 2005, n. 127...... p. 97
l Promozione dei biocarburanti
Decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 128 ........................................................................ p. 97
l Fondo internazionale di risarcimento
Legge 12 luglio 2005, n. 130 ............................................................................................... p. 97
l Incenerimento dei rifiuti
Decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133......................................................................... p. 98
Prassi
l Distacco del personale: dal MinLavoro chiarimenti su condizioni
di liceità e sicurezza del lavoro
Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali 24 giugno 2005, n. 28 .................. p. 74
Giurisprudenza
l Committente esonerato da responsabilità se l’appaltatore agisce in autonomia
Cassazione civile, sezione lavoro, 2 marzo 2005, n. 4361 ................................................. p. 81
l Obbligo di tutela dell’integrità fisica del lavoratore in capo al datore
Cassazione civile, sezione lavoro, 2 febbraio 2005, n. 3455............................................... p. 81
l Nozione di “occasione di lavoro”
Cassazione civile, sezione lavoro, 5 gennaio 2005, n. 180................................................. p. 82
l Amianto: rischio morbigeno in funzione della mansione
Tribunale di Milano, 11 marzo 2005, n. 917......................................................................... p. 83
l Utilizzo del mezzo di trasporto privato non legittimo se non necessitato
Tribunale di Milano, 28 gennaio 2005, n. 351...................................................................... p. 83
l Responsabilità del datore per omessa adozione delle misure preventive
Tribunale di Bologna, 9 marzo 2005, n. 516........................................................................ p. 84
l Definizione di rifiuto in funzione del grado di probabilità di riutilizzo
Cassazione penale, sez. III, 12 ottobre 2004, n. 46680 ...................................................... p. 104
l La Ue contrasta la nascita di una categoria di materie
intermedia tra “rifiuti” e “prodotti”
Corte di Giustizia delle Comunità europee, 28 gennaio 2005, causa C-208/04 .................. p. 104
9 agosto 2005 ­ N. 16
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
7

8
SOMMARIO
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
Direttore responsabile: FRANCESCO DEMURO
Coordinatore editoriale: Massimo Cassani
Redazione: Dario De Andrea (02/30223270),
Donatella Bollani (02/30223272)
Proprietario ed editore: IL SOLE 24 ORE S.p.A.
Presidente: INNOCENZO CIPOLLETTA
Amministratore Delegato: GIUSEPPE CERBONE
Registrazione Tribunale di Milano n. 749 del 9 novembre
1998.
Sede legale: Via Monte Rosa, 91 ­ 20149 Milano.
Amministrazione: Via Monte Rosa, 91 ­ 20149 Milano.
Direzione, redazione: Via Monte Rosa, 91 ­ 20149 Milano
­ Fax 02/30223992.
IL SOLE 24 ORE S.p.A. Tutti i diritti sono riservati.
Nessuna parte di questo periodico può essere riprodotta
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
con mezzi grafici e meccanici quali la fotoriproduzione e
la registrazione. Manoscritti e fotografie su qualsiasi supporto
veicolati, anche se non pubblicati, non si restituiscono.
Servizio clienti periodici: IL SOLE 24 ORE S.p.A. Via
Tiburtina Valeria (S.S. n. 5) km 68,700 ­ 67061 Carsoli
(AQ).
Tel. 3022 5680 (prefisso 02 oppure 06)
Fax 3022 5400 (prefisso 02 oppure 06)
I numeri non pervenuti potranno essere richiesti via fax al
n. 02­06/30225402­06 o via e­mail a servizioclienti.periodici@ilsole24ore.com
entro 2 mesi dall’uscita del numero
stesso.
Abbonamento per 12 mesi (Italia): 145 euro
Gli abbonamenti possono essere sottoscritti telefonando
direttamente e inviando una fotocopia della ricevuta di
pagamento sul c.c.p. n. 31481203.
La ricevuta di pagamento tramite c.c.p. può essere inviata
per posta a Il Sole 24 ORE, Via Tiburtina Valeria Km
68,700 ­ 67061 Carsoli (AQ) e via fax ai numeri 06/
30225406 ­ 02/30225406.
In questo ultimo caso non inviare la ricevuta per posta.
Pubblicità: Il Sole 24 ORE Edagricole s.r.l. ­ Via Goito 13
­ 40126 Bologna ­ Tel.: 051/65751
Stampa: IL SOLE 24 ORE S.p.A. ­ Via Tiburtina Valeria
(S.S. n. 5) km 68,700 ­ 67061 Carsoli (AQ).
9 agosto 2005 ­ N. 16

RUBRICA
OBBLIGHI, ADEMPIMENTI, SCADENZE
a cura di Marco Fabrizio, avvocato in Roma
15
SETTEMBRE
20
SETTEMBRE
9 agosto 2005 ­ N. 16
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SCADENZARIO
ACCENTRAMENTO INAIL: ASSICURAZIONE INFORTUNI SUL LAVORO
Il 15 settembre 2005 scade il termine entro il quale il datore di lavoro interessato a ottenere l’autorizzazione
di cui all’art. 11, D.M. 18 giugno 1988 e successive modifiche, per l’accentramento presso
un’unica sede dell’INAIL delle posizioni assicurative concernenti lavori diversi da quelli a carattere
temporaneo, deve presentare motivata istanza, corredata della copia del provvedimento di autorizzazione
all’accentramento della tenuta dei documenti di lavoro rilasciata dalla direzione provinciale
del lavoro nella cui circoscrizione è ubicata la sede dell’INAIL presso la quale si chiede l’accentramento.
(Art. 12, D.M. 18 giugno 1988; D.M. 24 febbraio 1988)
SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
Datori di lavoro interessati a ottenere
l’accentramento presso
un’unica sede dell’INAIL delle posizioni
assicurative concernenti lavori
diversi da quelli a carattere temporaneo
Annuale 15 settembre 2006
ENERGIA: TASSE E TARIFFE
Il 15 settembre 2005 scade il termine entro il quale i soggetti esercenti il servizio di pubblica utilità
nel settore dell’energia elettrica e del gas devono comunicare al Ministero dell’Economia e delle
Finanze, Direzione centrale per la riscossione, gli elementi dell’avvenuto versamento dell’onere
derivante dall’istituzione e dal funzionamento dell’Autorità di regolazione dei servizi di pubblica
utilità del settore (Autorità per l’energia elettrica e il gas). In particolare dovranno essere comunicate
le informazioni concernenti la data in cui è stato effettuato il pagamento, le modalità di pagamento
(se presso la tesoreria o attraverso bollettino di conto corrente postale) e l’indicazione dell’eventuale
tesoreria presso la quale è avvenuto il pagamento. (Art. 1, commi 1 e 2, D.M. 12 gennaio
1999; D.M. 12 luglio 1996; D.M. 29 luglio 1997)
SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
Esercenti il servizio di pubblica utilità
nel settore dell’energia elettrica
e del gas
Annuale 15 settembre 2006
DENUNCIA INFORTUNI SETTORE ESTRATTIVO
Entro il 15 settembre 2005 il “titolare” ex art. 2, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 624/1996, deve trasmettere
all’autorità di vigilanza un prospetto riassuntivo, anche se negativo, degli infortuni verificatisi
nel mese precedente e che abbiano comportato un’assenza dal lavoro di almeno tre giorni.
(Art. 25, comma 8, D.Lgs. 25 novembre 1996, n. 624)
SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
Titolare ex art. 2, comma 1, lettera
b), D.Lgs. n. 624/1996
Mensile 15 ottobre 2005
DENUNCIA PERIODICA IMBALLAGGI DEL MESE PRECEDENTE
Il 20 settembre 2005 è l’ultimo giorno per i produttori o utilizzatori di imballaggi iscritti al Consorzio
nazionale imballaggi (CONAI) e in regime di dichiarazione mensile per presentare la denuncia
e calcolare, sulla base delle fatture emesse o dei documenti ricevuti, il contributo prelevato o dovuto
nel mese precedente, distinguendo gli importi relativi a ciascuna tipologia di materiali e indicando
il relativo consorzio di appartenenza. Gli importi relativi alla dichiarazione presentata dovranno
essere versati al CONAI entro i successivi 90 giorni su uno o più dei sei conti correnti bancari,
ognuno relativo a una tipologia di materiali (acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro). (Art.
7, commi 9 e 10, regolamento CONAI)
SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
Produttori o utilizzatori di imballaggi
iscritti al Consorzio nazionale
imballaggi (CONAI) e in regime di
dichiarazione mensile.
Mensile 20 ottobre 2005
9

SINTESI
IN SINTESI
10
RUBRICA
Inserto
SICUREZZA DELLE MACCHINE
ARTICOLI………………………………………………………………………………………………...................................................da pag. II
La sicurezza delle macchine da cantiere: sega circolare da cantiere ­ Dopo una serie di approfondimenti dedicati alle terne (n.
18/2003), alle gru a torre (n. 22/2003), agli escavatori (n. 1/2004), alle gru a torre automontanti (n. 4/2004), ai dumper e agli
autocarri (n. 6/2004), alle autogrù (n. 8/2004), ai rullo compattatori (n. 10/2004), alle vibrofinitrici (n. 13/2004), alle scarificatrici (n.
14/2004), alle motolivellatrici (n. 16/2004), alle autobetoniere ( n. 18/2004), alle posatubi (n. 21/2004), alle motoruspe (n. 22/2004) e
agli argani (n. 2/2005), alle pompe per il calcestruzzo (n. 4/2005), ai carrelli semoventi a braccio telescopico (n. 6/2005), alle pale
caricatrici (n. 8/2005), agli apripista (n. 10/2005) alle piattaforme aeree sviluppabili (n. 12/2005) e alle palificatrici a massa battente (n.
14/2005), Ambiente&Sicurezza prosegue la pubblicazione degli inserti dedicati alla sicurezza delle macchine da cantiere occupandosi
della sega circolare . Impiegata per tagliare legname di diverso tipo, la sega circolare è utilizzata nel settore edilizio e risulta essere una
delle attrezzature più pericolose, poiché spesso usata in maniera anomala e con l’esclusione delle protezioni. Proprio per questa sua
pericolosità deve essere usata unicamente da personale formato e informato; inoltre, la sega presenta una solida cuffia che ne ricopre
la lama di taglio, in modo da proteggere il lavoratore da contatti accidentali e dalle schegge di legno proiettate durante la
lavorazione. L’Inserto propone un breve inquadramento normativo e un approfondimento che guida all’individuazione dei rischi
mediante l’analisi delle principali caratteristiche e modalità di impiego, indica la documentazione necessaria a corredo della macchina,
affronta il tema della formazione dell’operatore addetto alla conduzione. In chiusura, una check list per la verifica delle condizioni
della macchina.
L’Approfondimento
SOSTANZE PERICOLOSE
ARTICOLI ........................................................................................................................................................................................da pag. 16
L’ADR 2005 al definitivo via (2 a parte) ­ Dal 1° luglio 2005, dopo un periodo transitorio semestrale di adeguamento, è entrato
definitivamente in vigore la versione 2005 dell’Accordo europeo per il trasporto stradale delle merci pericolose (cosiddetto ADR). Sul
tema Ambiente&Sicurezza ha dedicato, sul n. 15/2005, il primo di due Approfondimenti realizzati dagli esperti del Comitato promotore
per l’istituzione della Fondazione Orange Project; in particolare, sono stati affrontati temi quali le novità per la classificazione e la lista
delle merci pericolose e per gli imballaggi, le esenzioni relative alla natura dell’operazione di trasporto, le conferme e le novità su
formazione, conducenti e consulenti, la “security” (insieme di misure volte a minimizzare la possibilità di un utilizzo improprio di merci
pericolose che possa rappresentare un pericolo per le persone, per l’ambiente e per la proprietà) unitamente a un vademecum operativo
sulla spedizione delle merci pericolose. In questo secondo e ultimo Approfondimento vengono analizzati i contenitori per il trasporto alla
rinfusa, le cisterne per le materie pericolose, il trasporto di prodotti petroliferi, OGM/MOGM, amianto e materiali radioattivi e gli
imballaggi per rifiuti sanitari pericolosi. Una nota a parte merita la prima sentenza in materia di responsabilità legate al trasporto di
merci pericolose (Tribunale di Ravenna 5 novembre 2004, n. 1368), che rappresenta un‘importantissima tappa verso l’aumento dei livelli
di sicurezza e professionalità nel settore; il testo della pronuncia è disponibile all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com.
Si noti che, allo stato attuale, manca ancora il decreto di recepimento della direttiva 2004/111/CE, cosa che pone gli
operatori italiani di fronte a una duplice scelta: continuare ad adottare ancora il testo 2003 fino al recepimento ufficiale dell’ADR 2005 o,
in alternativa, decidere, peraltro legittimamente, di adottare l’ADR 2005 ­ come già è possibile fare in campo internazionale fin dal 1°
gennaio 2005 ­ come una norma “self executing”.
Igiene e sicurezza
IGIENE DI ALIMENTI E BEVANDE
SINTESI...............................................................................................................................................................................................a pag. 76
Alimenti biologici ­ Il decreto del Ministero delle Politiche agricole e forestali 7 luglio 2005 reca l’esclusione, a favore degli operatori
del settore biologico che rivendono i prodotti di cui all’art. 1, regolamento (CEE) n. 2092/1991, dagli obblighi previsti dall’art. 8,
paragrafo 1, regolamento citato (previa notifica alle autorità nazionali e regime di autocontrollo igienico­sanitario). L’esclusione sarà
applicabile a condizione che la rivendita dei prodotti in questione avvenga a favore del consumatore o utilizzatore finale, in
imballaggio preconfezionato e pre­etichettato, e purché si tratti di alimenti non prodotti, non preparati, bensì soltanto immagazzinati
in connessione con il punto vendita. (in Gazzetta Ufficiale del 12 luglio 2005, n. 160 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com).
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
9 agosto 2005 ­ N. 16

RUBRICA
SINTESI
AMIANTO
MASSIMA E NOTA.............................................................................................................................................................................a pag. 83
Rischio morbigeno in funzione della mansione ­ L’art. 13 della legge n. 257/1992 non introduce alcun riferimento al grado di
esposizione come condizione per il riconoscimento dei benefici pensionistici per esposizione all’amianto. Ciò è confermato dal fatto
che, non a caso, la successiva normativa introdotta dalla legge n. 326/2003, oltre a ritoccare il coefficiente ai fini pensionistici prevede
che i relativi benefici siano condizionati all’esposizione per almeno dieci anni all’amianto in concentrazione media annua non inferiore
a 100/fibre litro su otto ore al giorno: dunque, quando il legislatore ha voluto prevedere una concentrazione specifica, lo ha detto
espressamente. Ne consegue che non risulta necessaria la prova dell’esatto quantitativo di fibre di amianto a cm/cubo quanto
piuttosto la prova dell’esposizione ad amianto con modalità tali da far ravvisare l’oggettivo rischio morbigeno. (Tribunale di Milano,
11 marzo 2005, n. 917)
SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
ARTICOLO…………………………………………………………………………………….……………............................................a pag. 52
Impianti criogenici: l’analisi del rischio per i materiali e le apparecchiature ­ L’utilizzo delle tecniche del freddo, utilizzate nel
settore industriale quando esiste la necessità di operare a basse o bassissime temperature, permettono di conservare alimenti e
farmaci, ma anche di liquefare un gas per la sua separazione e purificazione. Nel primo caso si parla di refrigerazione con temperature
che rimangono al di sopra di – 100 °C, nel secondo, le temperature sono prossime allo zero assoluto e ci si trova nel campo della
criogenia. L’adozione di quest’ultima tecnica presenta dei rischi elevati derivanti dalla produzione o dall’impiego di gas criogenici ed è
importante, quindi, valutare le possibili situazioni di pericolo ed evidenziare i fattori che vanno a influenzare in maniera particolare
queste situazioni.
SICUREZZA DEI DATI
ARTICOLO…………………………………………………………………………………….……………............................................a pag. 62
Privacy e sicurezza: quali implicazioni nella gestione della tutela del lavoratore? ­ Ogni organizzazione che gestisce dati
inerenti a una persona fisica o giuridica, deve adeguarsi a quanto disposto dal D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, «Codice in materia di
protezione dei dati personali», in particolare a quanto riportato nell’Allegato B del decreto stesso. Tra le altre cose, il codice della
privacy individua quali sono le categorie di dati che devono essere l’oggetto della protezione, quali le figure giuridicamente rilevanti ai
fini del trattamento dei dati stessi e quali i diritti della persona destinataria del trattamento. Di rilevante importanza anche
l’introduzione, sempre ai sensi dell’Allegato B al D.Lgs. n. 196/2003, del Documento Programmatico sulla Sicurezza (DPS) con il quale
l’organizzazione può provare l’avvenuta applicazione delle disposizioni del Codice.
SICUREZZA DEL LAVORO
ARTICOLO……………………………………………………………………….……………...............................................................a pag. 66
I criteri di adeguatezza della formazione secondo il parere della Corte di Cassazione ­ La qualità degli interventi formativi e
informativi, da cui dipende la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e che concorre, con l’adeguamento
tecnico­organizzativo e la vigilanza, a definire la responsabilità penale del datore di lavoro, risulta essere ancora non esattamente
definita. Sull’argomento ha posto particolare attenzione la giurisprudenza, evidenziando, nelle sue sentenze, la necessità di una
adeguata formazione differenziata per soggetto e tipologia di rischio professionale, ritenendo improprio lo stesso grado di qualificazione
per il principiante e per il lavoratore con alle spalle anni di esperienza; infatti, secondo il parere della Cassazione, è necessaria
una formazione mirata nelle due direzioni e di tipo circolare, che implica, quindi, il coinvolgimento di più soggetti e vada dalla
valutazione alla formazione e viceversa.
SINTESI...............................................................................................................................................................................................a pag. 76
Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ­ Il regolamento del Consiglio 24 giugno 2005, n. 1112/2005 apporta
numerose modifiche alla disciplina di cui al regolamento (CE) n. 2062/94 istitutivo dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul
lavoro, a cominciare dallo stesso art. 2 del regolamento, relativo all’«Obiettivo» dell’Agenzia, nata per fornire agli organi comunitari, agli
Stati membri, alle parti sociali e agli ambienti interessati le informazioni tecniche, scientifiche ed economiche utili nel campo della sicurezza e
della salute sul lavoro, «al fine di migliorare l’ambiente di lavoro, in un contesto di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori». (in
G.U.C.E. L del 15 luglio 2005, n. 184, e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)
CASO.................................................................................................................................................................................................a pag. 78
Il D.Lgs. n. 494/1996: la sicurezza negli appalti pubblici ­ Il D.Lgs. n. 494/1996 (cosiddetto “decreto cantieri”), come
anche il D.Lgs. n. 626/1994, ha definito il nuovo modello organizzativo della tutela sul lavoro, confermando la logica della
programmazione della sicurezza, arricchendola di aspetti funzionali per il suo adattamento a una realtà complessa come
9 agosto 2005 ­ N. 16
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
11

SINTESI
RUBRICA
quella del cantiere. Il decreto è stato poi modificato e integrato dal D.Lgs. n. 528/1999, con disposizioni provenienti dalla
legge Merloni­ter, la legge n. 415/1998, soprattutto per quanto attiene ai piani di sicurezza, portando il piano operativo di
sicurezza come strumento operativo e di programmazione per tutti i cantieri. Appare evidente, quindi, che il D.Lgs. n.
494/1996, si applica anche al settore degli appalti pubblici, anche se, con sfumature differenti per la coesistenza di altre
normative.
MASSIMA E NOTA.............................................................................................................................................................................a pag. 81
Committente esonerato da responsabilità se l’appaltatore agisce in autonomia ­ In tema di prevenzione infortuni nelle
costruzioni, il committente è esonerato da responsabilità per le violazioni commesse dall’appaltatore che agisca in piena autonomia,
con mezzi e personale proprio, senza ingerenze dirigenziali ed operative, anche di fatto, da parte del committente; tuttavia, quando
il soggetto commissionario venga ad operare, per necessità dell’espletamento dell’opera dei lavori commissionati, nell’ambito di un
cantiere non proprio, ma organizzato e gestito dall’appaltante; e ancora di più, quando, per contratto o per consuetudine o per
tolleranza, utilizzi strutture di supporto, opere provvisionali, strumentazioni appartenenti al committente, quest’ultimo non può
trarsi fuori di responsabilità se l’infortunio trovi sinergico riferimento nella deficienza di quegli elementi la cui manutenzione spetti a
lui stesso, sia perché secondo l’art. 7, DPR. 164/1956 le opere provvisionali devono essere mantenute “in efficienza” per tutto il
tempo in cui il cantiere sia attivo, sia perché, secondo l’art. 2087 c.c., il datore di lavoro è garante della salvaguardia dell’incolumità
fisica e psichica di coloro che prestano, nel suo interesse, la loro attività lavorativa. (Cassazione civile, sezione lavoro, 2 marzo 2005,
n. 4361)
MASSIMA E NOTA.............................................................................................................................................................................a pag. 81
Obbligo di tutela dell’integrità fisica del lavoratore in capo al datore ­ Poiché le norme di prevenzione antinfortunistica
mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza o
imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo di adottare le misure di
prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti
i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive
organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile. Peraltro, in ogni caso, nell’ipotesi di infortunio sul
lavoro originato dall’assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità
del datore, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento,
quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero
valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento. (Cassazione civile, sezione lavoro, 2 febbraio 2005, n.
3455)
MASSIMA E NOTA.............................................................................................................................................................................a pag. 82
Nozione di “occasione di lavoro” ­ La nozione di “occasione di lavoro” di cui all’art. 2 del D.P.R. n. 1124/1965 implica la
rilevanza di ogni esposizione a rischio ricollegabile allo svolgimento di attività lavorativa in modo diretto ed indiretto (con il
limite del c.d. rischio elettivo) e, quindi, anche della esposizione al rischio insito in attività accessorie o strumentali allo
svolgimento della suddetta attività. Non è richiesto, dunque, necessariamente che l’infortunio avvenga durante l’espletamento
delle mansioni lavorative essendo sufficiente anche un nesso di derivazione eziologica indiretto e mediato in quanto il
rischio assicurato non è solamente quello tipico insito nelle mansioni svolte dall’assicurato ma quello non totalmente estraneo
all’attività lavorativa. Invero, nel concetto di occasione è insita una maggiore ampiezza rispetto al rapporto di causalità, ferma
restando la connessione tra lavoro e rischio, sicché l’infortunio indennizzabile deve essere comunque attinente all’attività
lavorativa, comprendente anche le attività accessorie o strumentali, a nulla rilevando il carattere meramente occasionale del
rischio, purché non si tratti del c.d. rischio elettivo che invece esclude l’indennizzabilità del rischio. (Cassazione civile, sezione
lavoro, 5 gennaio 2005, n. 180)
MASSIMA E NOTA.............................................................................................................................................................................a pag. 83
Utilizzo del mezzo di trasporto privato non legittimo se non necessitato ­ Le modifiche apportate dall’art. 12 del D.Lgs. n.
38/2000 agli artt. 2 e 210 del D.P.R. n. 1124/1965, recante disposizioni in materia di assicurazioni sul lavoro e sulle malattie
professionali, recepiscono, se già non superano, i risultati cui era da ultimo pervenuta la giurisprudenza anche (e, anzi,
soprattutto) di legittimità nel lungo percorso compiuto, in assenza di specifiche disposizioni di legge sul punto, sulla via
dell’equiparazione dell’infortunio in itinere all’infortunio subito sul luogo di lavoro. Oggi, infatti, è la stessa legge che non solo
stabilisce che l’assicurazione INAIL “comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata
e ritorno dal luogo di abitazione a quello del lavoro” ma anche che “l’assicurazione opera nel caso di utilizzo del mezzo di
trasporto privato, purché necessitato”, escludendo, in presenza di tali due condizioni, solo i casi in cui il conducente/infortunato
sia “sprovvisto della prescritta abilitazione di guida” ed i casi in cui gli infortuni/incidenti stradali siano stati “direttamente
12
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
9 agosto 2005 ­ N. 16

RUBRICA
SINTESI
cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni”. (Tribunale di Milano,
28 gennaio 2005, n. 351)
MASSIMA E NOTA ............................................................................................................................................................................a pag. 84
Responsabilità del datore per omessa adozione delle misure preventive ­ In tema di infortuni sul lavoro, per configurare la
responsabilità del datore di lavoro occorre che l’evento dannoso si sia verificato a causa dell’omessa adozione di quelle misure ed
accorgimenti imposti all’imprenditore dall’art. 2087 c.c., ai fini della più efficace tutela dell’integrità fisica del lavoratore. La
predisposizione di misure che attengono alla dotazione di sicurezza che cioè costituiscono le attrezzature di cui i dipendenti debbono
essere dotati per svolgere l’attività in sicurezza non può essere delegata a terzi: in particolare, l’apposizione di un dispositivo di
sicurezza destinato a garantire la protezione della zona di lavoro del macchinario, non può essere oggetto di delega in quanto rientra
nel campo dei mezzi (cautele) da fornire per garantire la sicurezza dei dipendenti durante l’esecuzione della prestazione che comporta
l’uso del macchinario, né la negligenza del lavoratore di per sé può avere efficacia scriminante della condotta del datore di lavoro.
(Tribunale di Bologna, 9 marzo 2005, n. 516)
SICUREZZA IN CANTIERE
COMMENTO ....................................................................................................................................................................................a pag. 71
DOCUMENTO ...................................................................................................................................................................................a pag. 74
Distacco del personale: chiarimenti dal MinLavoro su condizioni di liceità e sicurezza del lavoro ­ Il Ministero del Lavoro e
delle Politiche sociali, con circolare 24 giugno 2005, n. 28, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’8 luglio 2005, n. 157, oltre che
chiarire quali sono le condizioni di liceità con le quali l’istituto del distacco del personale risulta essere legittimo, pur non riferendosi in
modo esplicito agli obblighi di sicurezza, propone due importanti chiarimenti. La circolare, infatti, precisa, da un lato, che il distacco di
manodopera intra­gruppo non deve mai influenzare l’autonomia gestionale delle singole imprese e, dall’altro, suggerisce di non
limitarsi ad applicare le disposizioni unicamente per quanto riguarda la legittimità o meno del distacco, ma di considerare anche i
vincoli generali che lo caratterizzano, come, per esempio, il mutamento delle mansioni o lo spostamento della sede di lavoro di più di
50 Km rispetto a quella originaria.
SOSTANZE PERICOLOSE
SINTESI...............................................................................................................................................................................................a pag. 76
Trasporto via mare di sostanze pericolose ­ Il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2005, n. 134, disciplina i requisiti
a cui debbono rispondere le navi mercantili nazionali, adibite alla navigazione marittima, e le navi di bandiera estera che toccano i
porti italiani, per essere abilitate al trasporto di merci pericolose in colli e unità di trasporto del carico, nonché recante le procedure per
l’imbarco, il trasporto in mare, lo sbarco, il trasbordo dei colli e delle unità di trasporto del carico e i requisiti tecnici degli stessi (art. 1,
comma 1). Risultano, peraltro, sottratte al campo applicativo del decreto le merci e i materiali pericolosi destinati al normale
approvvigionamento e armamento della nave, nonché i carichi particolari trasportati su navi costruite appositamente o trasformate
interamente a questo scopo. (in S.O. n. 123 alla Gazzetta Ufficiale del 15 luglio 2005, n. 163 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com).
Ambiente
BONIFICHE
SINTESI...............................................................................................................................................................................................a pag. 97
Bonifica dei siti di interesse nazionale ­ Il decreto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio 2 maggio 2005, n. 127,
inserisce un’opportuna modifica all’art. 15, comma 4, D.M. n. 471/1999, sostanzialmente in materia di avvio provvisorio delle procedure di
bonifica di un sito contaminato di interesse nazionale (in Gazzetta Ufficiale del 11 luglio 2005, n. 159, e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com).
Ulteriori approfondimenti sui prossimi numeri di Ambiente&Sicurezza.
FINANZIAMENTI
SINTESI..............................................................................................................................................................................................a pag . 97
Promozione dei biocarburanti ­ Il decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 128, è finalizzato a promuovere l’utilizzazione di biocarburanti o
di altri carburanti rinnovabili, in sostituzione del carburante diesel o della benzina nei trasporti, così come meglio specificati nell’Allegato I,
inserendosi, tra l’altro, nella lotta all’inquinamento da gas serra di più ampia portata (in Gazzetta Ufficiale del 12 luglio 2005, n. 160, e
all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)
RIFIUTI
ARTICOLO.........................................................................................................................................................................................a pag. 87
Quale riferimento per i materiali ferrosi: sovranità nazionale o giudice comunitario? ­ Diversi sono gli aspetti critici legati
al clima di estrema incertezza che circonda, da almeno tre anni a questa parte, la gestione dei rottami ferrosi. In primo luogo, dal
9 agosto 2005 ­ N. 16
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
13

SINTESI
RUBRICA
unto di vista giuridico, pesa ancora l’assenza di una nozione autentica di rifiuto, che ha condizionato, fin dall’origine, tutta la
icenda e che “soffre” ancora della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 11 novembre 2004, sulla definizione
omunitaria di rifiuto e sulla incompatibilità dell’art. 14, legge n. 178/2002, con questa nozione. Ne deriva, in secondo luogo, un
mpasse di natura economico­commerciale che sta penalizzando pesantemente le imprese legate alla gestione di questo
mportantissimo materiale, come hanno posto drammaticamente in evidenza i sequestri, ad opera di alcune Procure della
epubblica, effettuati in determinate aree strategiche del Paese, veri e propri “snodi” nel flusso di approvvigionamento dall’estero
elle fonderie e/o acciaierie italiane. Il terzo dato, non meno grave, riguarda la vera e propria crisi della fisiologica e doverosa
ooperazione delle stesse istituzioni (politiche, amministrative e giudiziarie) coinvolte nella vicenda. Partendo da queste consideraioni,
Ambiente&Sicurezza inizia, da questo numero, una serie di articoli legati al tema dei rottami ferrosi, come specchio del più
mpio problema dell’individuazione della nozione autentica di rifiuto.
INTESI ..............................................................................................................................................................................................a pag. 98
ncenerimento dei rifiuti ­ Il decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133, attua la direttiva 2000/76/CE, in materia di
ncenerimento dei rifiuti. Sul provvedimento Ambiente&Sicurezza dedica, su questo numero, un’ampia nota sintetica; seguiranno
lteriori approfondimenti sui prossimi numeri (in S.O. n. 122 alla Gazzetta Ufficiale del 15 luglio 2005, n. 163, e all’indirizzo
ttp://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)
IFIUTI
ASO...............................................................................................................................................................................................a pag. 100
a responsabilità nella gestione degli imballaggi ­ Gli imballaggi, definiti come un prodotto composto di materiali di qualsiasi
atura impiegato per il contenimento e la protezione di merci, rappresentano una delle categorie di maggior impatto nello
maltimento dei rifiuti. Una delle applicazioni del D.Lgs. n. 22/1997 è quello della gestione proprio degli imballaggi, per prevenire e
idurre l’impatto sull’ambiente, favorendone la tutela. Tra le altre cose, il decreto precisa che l’attività di gestione si fonda su alcuni
articolari principi, quali l’incentivazione e promozione della qualità e della pericolosità degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggi,
’incentivazione del riciclaggio e del recupero di materia prima, la riduzione del loro flusso verso lo smaltimento nonché l’applicazioe
di misure di prevenzione; tuttavia, il momento centrale del provvedimento è rappresentato dall’istituzione del Consorzio
azionale Imballaggi nato per il perseguimento degli obiettivi di recupero e riciclo dei materiali di imballaggio previsti da disposizioni
uropee recepite, appunto, attraverso il D.Lgs. n. 22/1997.
ASSIMA E NOTA...........................................................................................................................................................................a pag. 104
efinizione di rifiuto in funzione del grado di probabilità di riutilizzo dei residui edili ­ L’art. 14, comma 2, lett. a), D.L. n.
38/2002 statuisce che non vengono considerati rifiuti, beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo, se gli stessi
ossono e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo, o in analogo o diverso ciclo produttivo, senza subire alcun
ntervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all’ambiente. Affinché si verifichi l’ipotesi di cui sopra è necessario che
i sia certezza in ordine: a) alla individuazione del produttore e/o detentore dei beni/o sostanze de quibus, b) alla provenienza degli
tessi; c) alla sede ove sono destinati; d) al riutilizzo dei medesimi in un ulteriore ciclo produttivo vedi anche Corte di Giustizia della
omunità Europea, 6 a Sezione 11/09/03 (C ­114/01) (Cassazione penale, sez. III, 12 ottobre 2004, n. 46680)
ASSIMA E NOTA...........................................................................................................................................................................a pag. 104
a Ue contrasta la nascita di una categoria di materie intermedia tra “rifiuti” e “prodotti” ­ L’articolo 1, lettera a), della
irettiva del Consiglio 15 luglio 1975 relativa ai rifiuti, come modificata con direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/Cee,
sta a che gli Stati introducano una nuova categoria di materie che non rientrano né nella categoria dei rifiuti, né in quella dei
rodotti, anche se tale nuova categoria di materie può contenere sostanze od oggetti idonei a integrare la definizione della
ozione di “rifiuto” ai sensi della predetta disposizione (Corte di Giustizia delle Comunità europee, 28 gennaio 2005, n.
­208/04)
UTELA AMBIENTALE
INTESI ..............................................................................................................................................................................................a pag. 97
ondo internazionale di risarcimento ­ La legge 12 luglio 2005, n. 130, sancisce l’adesione dello Stato italiano al Protocollo del
003 alla Convenzione internazionale del 1992 sull’istituzione di un Fondo complementare internazionale per il risarcimento dei
anni causati dall’inquinamento da idrocarburi, fatto a Londra il 16 maggio 2003 e volto a risarcire i danni da inquinamento
ausati nel territorio di uno Stato contraente (incluse le acque territoriali) e nella zona economica esclusiva di uno Stato
ontraente, nonché concernente misure di prevenzione in questo senso del (in Gazzetta Ufficiale 13 luglio 2005, n. 161, e
ll’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com). Ulteriori approfondimenti sui prossimi numeri di Ambiente&Siurezza.
14
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
9 agosto 2005 ­ N. 16

2
ADR 2005
AL VIA DEFINITIVO
Anche se non è ancora stato pubblicato ufficialmente il decreto di recepimento
della direttiva 2004/111/CE di adeguamento al progresso tecnico, dal 1° luglio
2005, dopo un periodo transitorio semestrale è entrata definitivamente in vigore
la versione 2005 dell’Accordo europeo per il trasporto stradale delle merci
pericolose (cosiddetto ADR).
Oggetto di questa seconda parte dell’Approfondimento realizzato dagli esperti
del Comitato promotore per l’istituzione della Fondazione Orange Project, sono:
• il trasporto alla rinfusa delle merci pericolose;
• le cisterne per trasporto di materie pericolose;
• il trasporto dei prodotti petroliferi;
• gli imballaggi per i rifiuti sanitari pericolosi;
• il trasporto di OGM e MOGM;
• il trasporto dell’amianto;
• il trasporto dei materiali radioattivi;
• la certificazione integrata qualità, tutela ambientale e sicurezza.
Chiude l’Approfondimento un’estesa analisi della prima sentenza in materia di
responsabilità legate al trasporto di merci pericolose (Tribunale di Ravenna 5
novembre 2004, n. 1368), che rappresenta un’importantissima tappa verso
l’aumento dei livelli di sicurezza e professionalità nel settore.
Il testo integrale della sentenza del Tribunale di Ravenna 5 novembre 2004, n. 1368,
è disponibile all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com.
Sulla prima parte (n. 15/2005 di Ambiente&Sicurezza) sono state analizzate:
• le novità per la classificazione e la lista delle merci pericolose;
• le esenzioni relative alla natura dell’operazione di trasporto;
• le conferme e le novità su formazione, conducenti e consulenti;
• la “security”;
• le novità per gli imballaggi.
A integrazione, un vademecum operativo sulla spedizione delle merci
pericolose.
In collaborazione con
Contributi di:
Francesco Battista ­ Claudio Amantia ­ Davide Levo ­ Giulio Traversi ­
Katia Aldrigo ­ Sergio Benassai ­ Sandro Trivelloni ­ Giandomenico Villa ­
Gabriele Scibilia
Si ringraziano l’ingegner Sergio Benassai e l’ingegner Giandomenico Villa per il coordinamento
dell’Approfondimento.

SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
L'APPROFONDIMENTO
Sono stati introdotti i nuovi codici alfanumerici inizianti con le lettere “BK”
Contenitori per trasporto alla rinfusa
distinti in base a tipologie e omologazione
di Francesco Battista, esperto AES trasporto merci pericolose, Comitato Tecnico Scientifico di Orange Project
Sul “trasporto alla rinfusa”,
riferito a materie solide o
d’oggetti non imballati in veicoli
o contenitori, l’ADR 2005 apporta
due rilevanti novità. Da un lato
sono stati introdotti nuovi
contenitori ad hoc, secondo
quanto previsto dalla tredicesima
edizione delle raccomandazioni
(ST/SG/AC.10/1/Rev.13), identificati
da codici alfanumerici inizianti
con le lettere “BK”; dall’altro
vengono distinte due tipologie
di contenitori con riferimento
alle modalità di omologazione
a seconda che siano conformi
o meno alla Convenzione
internazionale sulla sicurezza dei
contenitori, così come aggiornata
e pubblicata dall’Organizzazione
Marittima Internazionale
di Londra. Nel secondo caso
i contenitori devono essere
approvati dalla autorità
competente e identificati come
tali nel documento di trasporto
con un’apposita dicitura.
16
Per “Trasporto alla rinfusa”, si
intende il trasporto di materie
solide o d’oggetti non imballati
in veicoli o contenitori. Questo termine
non si applica, dunque, né alle
merci che sono trasportate come colli
né alle materie che sono trasportate
in cisterne.
Dopo avere classificato la merce
e individuato il relativo numero
ONU, nella colonna (17) della tabella
A del Capitolo 3.2 dell’ADR
si troveranno le «Disposizioni speciali
relative al trasporto - Alla
rinfusa» contenente il o i codici
alfanumerici, inizianti con le lettere
“VV”, delle disposizioni speciali
applicabili al trasporto alla rinfusa.
Queste disposizioni sono
elencate al 7.3.3.
Se non figura alcun codice, il trasporto
alla rinfusa non è permesso.
Le disposizioni generali concernenti
il trasporto alla rinfusa figurano nei
capitoli 7.1 e 7.3.
Devono, inoltre, essere osservate
le disposizioni speciali relative al
carico, allo scarico e alla movimentazione,
indicate nella colonna (18).
In tabella 1 viene riportato un
esempio.
Come si può notare, l’alluminio
in polvere, se classificato come
gruppo di imballaggio II, non
può essere trasportato alla rinfusa.
Se invece è classificato come
gruppo di imballaggio III può essere
trasportato alla rinfusa alle
condizioni previste dalla disposizione
VV1, in base alle quali il
trasporto alla rinfusa è autorizzato
in veicoli chiusi o tendonati, in
contenitori chiusi o in grandi contenitori
tendonati.
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
Le novità dell’ADR 2005
Con l’edizione 2005 dell’ADR
sono stati introdotti nuovi contenitori
per il trasporto alla rinfusa, secondo
quanto previsto dalla tredicesima edizione
delle raccomandazioni (ST/
SG/AC.10/1/Rev.13).
Questi contenitori, indicati nella
tabella A del capitolo 3.2 nella colonna
(10), sono identificati da codici
alfanumerici, inizianti con le lettere
“BK”, che designano i tipi di contenitori
per il trasporto alla rinfusa, descritti
nel capitolo 6.11, da utilizzare
per il trasporto di merci alla rinfusa,
conformemente a 7.3.1.1 a) e 7.3.2
(come indicato nell’esempio riportato
nella tabella 2).
Nell’esempio riportato si può notare
che, mentre per UN 1334 si possono
utilizzare entrambi i tipi di contenitori,
per UN 1376 si possono utilizzare
soltanto contenitori tipo BK2.
I codici BK1 e BK2 identificano i tipi
di contenitori riportati in tabella 3.
Nel capitolo 6.11 si distinguono,
inoltre, due tipologie di contenitori
con riferimento alle modalità di omologazione:
l quelli conformi alla CSC (Convenzione
internazionale sulla sicurezza
dei contenitori - Ginevra,
1972 - così come aggiornata e
pubblicata dall’Organizzazione
Marittima Internazionale - IMO -
di Londra);
l quelli non conformi alla CSC, che
devono essere approvati dalla autorità
competente e identificati come tali
nel documento di trasporto con la dicitura
«Contenitore per il trasporto
alla rinfusa “BKx” approvato dalla
autorità competente di …» (si veda il
5.4.1.1.17 dell’ADR). l
9 agosto 2005 ­ N. 16

N.
ONU
9 agosto 2005 ­ N. 16
L'APPROFONDIMENTO
Esempio di trasporto alla rinfusa
Nome e
descrizione
Classe Codice di
classificazione
Gruppo di
imballaggio
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
TABELLA 1
Disposizioni speciali di trasporto N. di identi­
Colli Alla
rinfusa
Carico, scarico e
movimentazione Esercizio
ficazione
del
pericolo
3.1.2 2.2 2.2 2.1.1.3 7.2.4 7.3.3 7.5.11 8.5 5.3.2.3
(1) (2) (3a) (3b) (4) (16) (17) 818) (19) (20)
1309
1309
N.
ONU
Alluminio
in polvere,
ricoperto
Alluminio
in polvere,
ricoperto
4.1 F3 II V11 40
4.1 F3 III VV1 40
Esempio di trasporto alla rinfusa dopo l’ADR 2005
Nome e
descrizione
Classe Codice
di classificazione
Gruppo
di imballaggio
Cisterne mobili
e contenitori
per il trasporto
alla rinfusa
Istruzioni
di
trasporto
3.1.2 2.2 2.2 2.1.1.3 4.2.5.2,
7.3.2
Disposizioni
speciali
Disposizioni speciali
di trasporto
Colli Alla
rinfusa
Carico,
scarico e
movimentazione
Esercizio
TABELLA 2
N. di identificazione
del
pericolo
4.2.5.3 7.2.4 7.3.3 7.5.11 8.5 5.3.2.3
(1) (2) (3a) (3b) (4) (10) (11) (16) (17) (18) (19) (20)
1334
1376
Naftalene
greggio o
naftalene
raffinato
Ossido
di ferro residuo
o spugna
di ferro
residua provenienti
dalla depurazione
del
gas di carbone
4.1 F1 III
4.2 S4 III
T1
BK1 BK2
T1
BK2
Tipi di contenitori per il trasporto alla rinfusa
TP33 VV2 40
TP33 V1 VV4 40
TABELLA 3
BK1 Contenitore tendonato per il trasporto alla rinfusa: un contenitore per il trasporto alla rinfusa con fondo (compresi
i fondi di tipo tramoggia), pareti laterali e testate rigidi e copertura non rigida.
BK2 Contenitore chiuso per il trasporto alla rinfusa: un contenitore interamente chiuso per il trasporto alla rinfusa avente
una copertura, pareti laterali, testate e un fondo rigidi (compresi i fondi di tipo tramoggia). Questo termine include
i contenitori per il trasporto alla rinfusa con tetto, pareti laterali o testate apribili che possono essere chiuse durante
il trasporto. I contenitori per il trasporto alla rinfusa chiusi possono essere equipaggiati con aperture che permettano
l’evacuazione dei vapori e dei gas mediante aerazione per prevenire, nelle normali condizioni di trasporto,
la perdita di materie solide e la penetrazione di schizzi d’acqua o di pioggia.
17

Sede di Pisa
tel. 050/879145
fax 050/878627
Consulenza e Formazione
nel campo delle Merci Pericolose
Trasporti
ADR/RID
IMDG Code
ICAO/IATA consulenza
ed aggiornamento normativo
Assistenza
telefonica giornaliera
tramite esperti on-line
Assistenza
tecnico-legale
per la revisione di contratti
di trasporto e perizie su
infortuni/incidenti
Check up di
valutazione aziendale
da parte di auditors qualificati
TÜV Saarland e.V.
www.flashpointsrl.com
Delega di
responsabilità
come Consulente ADR
a professionisti titolari di copertura
assicurativa esclusiva per la
responsabilità civile
Corsi di
Formazione
per Consulenti ADR
e personale aziendale approvati
da TÜV Saarland Italia S.r.l.
Scegli la Professionalità
Vinci la Sicurezza
Sede di Milano
tel. 02/66043197
fax 02/61297647

L'APPROFONDIMENTO
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
Possibile richiedere l’intervento degli enti pubblici individuati dalla disciplina previgente
Le cisterne per le materie pericolose
tra ADR 2005 e norma T-PED
di Claudio Amantia, Presidente di “AES ­ Associazione Esperti della Sicurezza”
Sulle cisterne per il trasporto di
materie pericolose l’ADR 2005
definisce una serie di norme EN
quali riferimenti per la
progettazione che, almeno
apparentemente, non sembrano
essere cogenti e autorizza la
progettazione conformemente
alle disposizioni di un codice
tecnico diverso dalle suddette
norme EN, a patto che sia in
grado di garantire lo stesso grado
di sicurezza di queste e, quindi,
sia riconosciuto dall’autorità
competente. La nuova normativa
resta, comunque, legata al D.Lgs.
n. 23/2002, che, recependo la
direttiva europea 99/36/CE, in
materia di trasporto di merci
pericolose e di attrezzature a
pressione trasportabili (“T­PED”),
ha radicalmente innovato il
quadro normativo che regola la
progettazione, la fabbricazione,
le verifiche per l’approvazione e
la fabbricazione, l’utilizzo e le
ispezioni periodiche di queste
attrezzature. Modifiche anche
per i certificati di collaudo dei
recipienti e per la circolazione,
come la soppressione dell’attuale
libretto di cisterna MC 452.
9 agosto 2005 ­ N. 16
ADR 2005: cisterne
in generale
Già con l’ADR 2001 ristrutturato,
per le cisterne era stata introdotta la
cosiddetta “codifica” ovvero l’assegnazione
(da annotare sul documento della
cisterna stessa) di un codice principale
e di una serie di codici secondari (le
disposizioni speciali). Attraverso il
“codice cisterna” è possibile:
l definire univocamente alcune caratteristiche
tecniche fondamentali del recipiente
e dei suoi accessori;
l verificare, attraverso l’uso della tabella
A del capitolo 3.2, se, data una
certa materia pericolosa, la stessa possa
essere o meno trasportata (la norma,
però, non entra nel merito della verifica
sulla compatibilità chimica tra prodotto
trasportato e materiale cisterne che è di
competenza dello speditore).
Dal 1° luglio 2005, ovvero dalla data
di entrata in vigore dell’ADR 2005,
ci saranno ulteriori novità di rilievo, soprattutto
per quanto attiene la progettazione.
Infatti l’ADR 2005:
l definisce una serie di norme EN
quali riferimenti per la progettazione
che, almeno apparentemente, non sono
cogenti;
l autorizza la progettazione conformemente
alle disposizioni di un codice
tecnico diverso dalle suddette norme
EN che garantisca, però, lo stesso grado
di sicurezza di queste e sia riconosciuto
dall’autorità competente.
In pratica, o si impiegano le norme
EN elencate al capitolo 6.8.2.6 (si veda
la tabella 1) o si usa un codice tecnico
riconosciuto, con obbligo di verifica
che questo codice conduca a un grado
di sicurezza maggiore o uguale a quello
delle stesse norme EN richiamate; in
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
definitiva, il costruttore è obbligato a
impiegare tali norme. La novità è degna
di nota; infatti:
l da un lato, si uniformano a livello
europeo i criteri di progettazione, costruzione
e prova delle cisterne;
l dall’altro, si rivoluzionano i sistemi
di calcolo e talvolta di costruzione creando,
almeno inizialmente, difficoltà
tecniche e organizzative per i costruttori.
L’elenco delle norme EN richiamate
è riportato nella tabella 1.
ADR 2005 e norma T­PED:
cisterne per la classe 2 (gas)
Il recepimento della direttiva europea
99/36/CE, in materia di trasporto di
merci pericolose e di attrezzature a
pressione trasportabili (la cosiddetta
“T-PED”) ha radicalmente innovato il
quadro normativo che regola la progettazione,
la fabbricazione, le verifiche
per l’approvazione e la fabbricazione,
l’utilizzo e le ispezioni periodiche di
queste attrezzature. Per uniformare
l’interpretazione della direttiva l’Unione
europea ha diffuso 38 linee guida a
cura di un apposito gruppo di esperti,
consultabili all’indirizzo internet http://
europa.eu.int./comm/transport/tpe/index_en.htlm;
sul tema ADR/T-PED si
segnala anche un’importante circolare
esplicativa del Ministero dei Trasporti
26 ottobre 2004, prot. n. 3982
MOT2C.
La norma T-PED si applica all’approvazione,
alla rivalutazione e alla
prova periodica di recipienti a pressione
trasportabili su strada o su ferrovia
solo per alcune materie pericolose ed
esattamente:
l tutti i gas (classe 2 ADR);
l UN 1051, cianuro d’idrogeno stabilizzato
(classe 6.1 ADR);
19

20
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
Le norme EN richiamate
l UN 1052, fluoruro di idrogeno anidro
(classe 8 ADR);
l UN 1790, acido fluoridrico (classe
8 ADR).
La norma T-PED non si applica, invece:
l alla costruzione e approvazione dei
recipienti e cisterne delle classi 3-4.1-
5.1-6.1-6.2-7-8-9 ADR (tranne che per
l’unica sostanza di classe 6.1 e le due
uniche sostanze di classe 8 anzidette);
l alla costruzione di recipienti con
scarico a pressione per trasporto di
merci non pericolose (liquide, semisolide
o pulverulente).
L'APPROFONDIMENTO
La direttiva 99/36/CE, è intimamente
connessa con l’ADR (trasporto
di merci pericolose via strada) e con il
RID (trasporto di merci pericolose via
ferrovia) e fornisce una serie di indicazioni
circa:
l le modalità operative di approvazione,
costruzione, collaudo delle apparecchiature
a pressione;
l i requisiti degli enti notificati per le
approvazioni della progettazione, costruzione
e prove iniziali e ispezioni
periodiche dei recipienti;
l i requisiti degli enti accreditati che
possono effettuare alcune verifiche di
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
TABELLA 1
Riferimento Titolo del documento
Per tutte le cisterne
EN 14025:2003 Cisterne destinate al trasporto di merci pericolose ­ Cisterne metalliche sotto
pressione ­ Progettazione e fabbricazione
Per la prova e il controllo
EN 12493:2001 (salvo Allegato C) Cisterne saldate in acciaio per gas di petrolio liquefatti (GPL) ­ Veicoli cisterna
stradali ­ Progettazione e costruzione.
Per le cisterne per i gas della classe 2
EN 12493:2001 (salvo Allegato C) Cisterne saldate in acciaio per gas di petrolio liquefatti (GPL) ­ Veicoli cisterna
stradali ­ Progettazione e costruzione.
EN 12252:2000 Equipaggiamenti dei camion cisterna per GPL
EN 13530­2:2002 Recipienti criogenici ­ Grandi recipienti trasportabili isolati sotto vuoto ­ Parte
2: Progettazione, fabbricazione, ispezione e prove
EN 14398­2:2003 (salvo tabella I) Recipienti criogenici ­ Grandi recipienti trasportabili non isolati sotto vuoto ­
Parte 2: Progettazione, fabbricazione, ispezione e prove
Per le cisterne destinate al trasporto di prodotti petroliferi liquidi e di altre materie pericolose
della classe 3 aventi pressione di vapore non superiore a 110 kPa a 50°C e di benzina
e non aventi rischio sussidiario di tossicità o di corrosività
EN 13094:2004 Cisterne destinate al trasporto di merci pericolose ­ Cisterne metalliche aventi
una pressione di servizio inferiore o uguale a 0,5 bar ­ Progettazione e fabbricazione
EN 13082:2001 Cisterne per trasporto di merci pericolose ­ Equipaggiamento di servizio per cisterne
­ Sfiato di trasferimento di vapori recuperati
EN 13308:2002 Cisterne destinate al trasporto di merci pericolose ­ Equipaggiamento di servizio
per cisterne ­ Otturatore di fondo a pressione non compensata
EN 13314:2002 Cisterne per trasporto di merci pericolose ­ Equipaggiamento di servizio per cisterne
­ Coperchio del foro di riempimento
EN 13316:2002 Cisterne destinate al trasporto di merci pericolose ­ Equipaggiamento di servizio
per cisterne ­ Otturatore di fondo a pressione compensata
EN 13317:2002 Cisterne per trasporto di merci pericolose ­ Equipaggiamento di servizio per cisterne
­ Coperchio del passo d'uomo.
costruzione e le ispezioni periodiche
dei recipienti sotto il controllo dell’ente
notificato,
rinviando alle citate norme ADR e
RID le disposizioni tecniche circa la
progettazione, la costruzione e i collaudi
dei recipienti stessi. A sua volta, come
già detto, la norma ADR 2005 fa
riferimento alle sopra citate norme EN
che costituiscono un punto di riferimento
ineludibile.
Antecedentemente alla data di entrata
in vigore del decreto legislativo 2
febbraio 2002, n. 23 [1] (con cui è stata
recepita la direttiva 99/36/CE sulla T-
[1] «Attuazione della direttiva 1999/36/CE, 2001/2/CE e della decisione 2001/107/CE in materia di attrezzature a pressione trasportabili»
(in S.O. n. 40 alla Gazzetta Ufficiale del 8 marzo 2002, n. 57).
9 agosto 2005 ­ N. 16

PED) le norme applicabili per la progettazione,
la costruzione, le prove e
l’uso dei recipienti trasportabili per gas
della classe 2 erano contenute:
l nel D.M. 12 settembre 1925 e successive
serie di norme integrative;
l nel D.M. 22 luglio 1930 e successive
serie di norme integrative;
l nel D.M. 7 aprile 1985 di recepimento
delle direttive 84/525/CEE, 84/
526/CEE e 84/527/CEE.
Queste norme, di conseguenza, decadono
di validità.
La norma T-PED è recepita con
gradualità:
l per le bombole, i tubi, i recipienti
criogenici e i loro rubinetti e accessori
di nuova fabbricazione, l’applicazione
facoltativa ha avuto inizio il 1° luglio
2001 e, dal 1° luglio 2003, è divenuta
obbligatoria;
l per i fusti a pressione, le incastellature
di bombole e le cisterne e i loro
rubinetti e accessori di nuova fabbricazione,
la norma T-PED verrà applicata,
facoltativamente, alle nuove costruzioni
immesse sul mercato, dopo il 1° luglio
2005 e, obbligatoriamente, alle
nuove costruzioni immesse sul mercato,
dal 1° luglio 2007.
Si fa notare che il mantenimento
della prassi amministrativa attuale, ancora
possibile sino al 1° luglio 2007,
non esime il costruttore e il collaudatore
dall’applicazione integrale delle norme
EN richiamate nell’ADR che restano
obbligatorie già dal 1° luglio 2005;
in sintesi, il costruttore può continuare
a richiedere l’intervento degli
enti pubblici preposti secondo la
norma previgente, ovvero l’ISPESL
e/o la MCTC (il collaudo è collegiale
se il recipiente ha capacità superiore
a 1000 litri e può essere svolto indifferentemente
da uno dei due organi
quando la capacità è inferiore a 1000
litri), ma il progetto e la costruzione
devono obbligatoriamente seguire le
nuove norme ADR 2005.
La norma T-PED, inoltre, specifica
che per l’immissione sul mercato comunitario
di:
l bombole;
l tubi;
l recipienti criogenici;
9 agosto 2005 ­ N. 16
L'APPROFONDIMENTO
l fusti a pressione;
l incastellature di bombole;
l cisterne (e veicoli batteria) e relativi
rubinetti e accessori,
la valutazione della conformità è effettuata
da un organismo notificato (pubblico
o privato), nominato dall’autorità
competente (in Italia è il Ministero dei
Trasporti).
L’organismo notificato appone sui
recipienti il marchio “π” seguito dal
proprio numero di identificazione;
l’operato di questi enti è riconosciuto in
tutti i paesi dell’Unione europea.
Le attrezzature per trasporto di gas
esistenti, cioè già immesse sul mercato
alle date indicate precedentemente, inclusi
i loro rubinetti e accessori, possono
essere sottoposti a una procedura di
rivalutazione della conformità da parte
di un organismo ispettivo, volta ad accertare
che gli stessi garantiscano un
sufficiente livello di sicurezza.
L’organismo che ha effettuato la rivalutazione
delle attrezzature appone
sulle stesse il marchio π, seguito dal
proprio numero di identificazione.
Per la rivalutazione della conformità
delle attrezzature per trasporto di gas
collaudati in base alle norme previgenti
all’interno di uno Stato firmatario dell’accordo
ADR, l’interessato può presentare
la richiesta a un organismo
ispettivo competente, allegando alla
stessa la prescritta documentazione.
Sulla base delle verifiche e delle eventuali
prove di cui sopra, l’organismo
notificato può emettere un rapporto di
rivalutazione di conformità del tipo o
del singolo recipiente (se si tratta di una
cisterna, questo rapporto deve essere
compilato secondo le sottosezioni
6.8.2.3 - 6.8.2.4 e 6.8.2.6 ADR).
Infine, il recipiente sottoposto a rivalutazione
deve subire una prova periodica
con rilascio del documento relativo
da parte dell’ente notificato; a
ogni prova periodica successiva, il certificato
della prova periodica viene sostituito
e allegato al documento di rivalutazione
della conformità.
L’ispezione periodica delle bombole,
compresi i loro rubinetti e altri accessori,
può essere effettuata da un organismo
notificato (o accreditato) con
la procedura di cui al modulo 1 del-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
l’Allegato IV, parte III, alla direttiva
99/36/CE o, in alternativa, può essere
effettuata dal detentore delle bombole
che applichi per le ispezioni periodiche
un sistema di qualità approvato e che
operi sotto la sorveglianza di un organismo
notificato secondo il modulo 2
dell’Allegato IV, parte III, alla direttiva
99/36/CE.
L’ispezione periodica può aver luogo
in qualunque stato membro della
Unione europea.
Gli stati membri non possono vietare,
limitare o ostacolare l’immissione
in commercio, la messa in servizio e
l’utilizzazione (compresi il riempimento,
il deposito, lo svuotamento e la ricarica)
delle attrezzature a pressione conformi
alle disposizioni della T-PED e
recanti il marchio corrispondente.
Certificati di collaudo dei
recipienti e per la circolazione
Riassumendo quanto sopra detto, le
certificazioni rilasciate dall’ente notificato
sono costituite da:
l documento di valutazione della
conformità di tipo o di rivalutazione
della conformità;
l attestazione di prova periodica o di
1 a ispezione.
Questi certificati devono essere
conservati presso il proprietario e, in
copia, dall’ente che li ha rilasciati e
devono riportare:
l il nome e il numero di individuazione
dell’organismo notificato;
l il nome e la firma del responsabile
dell’approvazione o rivalutazione
l l’identificazione del tipo (o del singolo
recipiente) di recipiente approvato
o rivalutato;
l i riferimenti ai relativi disegni e specifiche.
In caso di rivalutazione della conformità,
al rapporto devono essere,
inoltre, allegati copia dei certificati da
cui sono stati ricavati i dati utilizzati per
la rivalutazione insieme alle le certificazioni
delle eventuali prove integrative
effettuate.
Nel caso delle cisterne, il documento
di approvazione o di rivalutazione dovrà
essere corredato di uno schema d’impianto
di travaso da cui si possa evincere
anche:
21

SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
l materiale, diametro e spessori delle
tubazioni;
l marca e tipo delle valvole di manovra;
l marca, tipo e matricola delle valvole
di sicurezza.
Il certificato dell’ispezione periodica
deve contenere le annotazioni circa
le prove sul recipiente e sui dispostivi
di sicurezza.
Si fa notare che, per uniformità, i
documenti relativi almeno alle cisterne
(e possibilmente anche quelli di altre
tipologie di recipienti) dovrebbero essere
emessi secondo gli allegati A e B
della citata Norma EN 12972, quantunque
la stessa non sia cogente.
L’attuale libretto di cisterna MC
452 (per recipienti superiori a 1000
litri di capacità) cadrà in disuso, non
venendo, infatti, più rilasciato per apparecchiature
nuove e solo conservato
agli atti, come documentazione d’origine,
per quelle usate e rivalutate.
I nuovi documenti sopra detti non
sono riconosciuti validi per la circolazione;
a questo fine è necessario, oltre
alla carta di circolazione del veicolo, il
certificato di approvazione ADR, modello
DTT 306 (foglio unico in formato
A4 con banda trasversale rosa), che viene
rilasciato e rinnovato annualmente
da qualsiasi ufficio provinciale della
Motorizzazione civile sulla base delle
disposizioni vigenti a seguito dell’esibi-
22
L'APPROFONDIMENTO
zione dell’originale del documento di
approvazione o rivalutazione T-PED e
dell’esibizione dell’originale del documento
di prova iniziale o periodica.
Ai veicoli circolanti non conformi
alle norme ADR, per i quali non si
potrà procedere al rilascio del modello
DTT 306 (barrato rosa), si prevede di
poter rilasciare un analogo documento
(barrato di altro colore, in attesa di definizione),
che avrà solo validità sul territorio
nazionale.
Targhette di identificazione
delle cisterne
Le cisterne già in circolazione hanno
targhette non conformi all’attuale
ADR; in sede di rivalutazione, queste
targhette dovranno essere sostituite con
altre marcate col punzone dell’ente notificato;
và da sé che le cisterne di nuova
costruzione dovranno essere corredate
di targhetta conforme all’ultima
edizione dell’ADR.
Per tutte le cisterne di tutte le classi,
inoltre, l’ADR 2005 prescrive che la
targhetta sia punzonata con la data della
prova e il punzone dell’ente di controllo,
non solo per le prove sestennali
(o dodecennali per le cisterne criogeniche)
come in precedenza, ma anche per
le prove di tenuta intermedie o triennali;
la targhetta quindi, unitamente al
certificato barrato (rosa o di altro colore)
diverrà elemento determinante ai fi-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
ni dei controlli sulla circolazione stradale,
così come da tempo già previsto
per i container (sia “tank” che “box”).
Informazioni e considerazioni
su T­PED e ADR
Attualmente, oltre agli enti notificati
per la T-PED riconosciuti dal Ministero
dei Trasporti, in Italia operano altri Enti
Notificati all’estero.
Si sottolinea che, per quanto attiene
il personale responsabile delle approvazioni
e delle ispezioni, la norma T-
PED prevede che lo stesso debba:
l possedere adeguata formazione tecnica
e solida esperienza nel settore delle
attrezzature trasportabili;
l conoscere le tecnologie di fabbricazione
dei recipienti e degli accessori.
Inoltre, l’organismo che subappalta
l’ispezione deve essere in grado di provare
che il subcontraente disponga della
competenza necessaria.
Contrariamente a quanto si sarebbe
portati a pensare, la T-PED è una norma
sensibilmente differente dalla PED
con cui condivide praticamente il solo
campo di applicazione (i recipienti a
pressione). La T-PED ha una diversa
Autorità competente e, come già anticipato,
è strettamente correlata all’ADR
che disciplina il trasporto stradale delle
merci pericolose, ivi compresi i gas
della classe 2. l
L’attività di “AES ­ Associazione Esperti della Sicurezza”
“AES ­ Associazione Esperti della Sicurezza” sulla base dell’esperienza riconosciuta nel settore dei veicoli e della
sicurezza del trasporto merci pericolose ha fortemente collaborato con il Ministero dei Trasporti per la
definizione della già richiamata circolare esplicativa ADR/T­PED n. 3982 MOT2C del 26 ottobre 2004. Per questi
motivi e sulla base dell’esperienza maturata nello specifico settore dei recipienti a pressione “AES ­ Associazione
della Sicurezza” collabora strettamente con l’Ente Notificato “Consorzio ITALCERT” per le approvazioni,
collaudi e ispezioni delle apparecchiature soggette alla Norma T­PED attraverso ben 25 Ispettori T­PED, soci
AES, che sono stati adeguatamente formati sulla materia e che operano su tutto il territorio italiano.
L’Ente Notificato ITALCERT è un Consorzio costituito tra Istituto Scientifico Breda e alcune Università (Politecnico
di Milano ­ Politecnico di Torino e Università degli studi di Salerno); la struttura tecnica scientifica è
indubbiamente di prim’ordine sia considerando l’elevata tecnologia dei tanti laboratori all’interno dell’istituto
Scientifico Breda e dei laboratori scientifici a esso correlati, sia la presenza di un nutrito gruppo di tecnici
dedicati anche ad attività di ricerca in svariati settori della tecnica.
Proprio in ragione dell’ampiezza e della profondità delle competenze richieste, il percorso formativo degli
Ispettori T­PED preparati da AES e ITALCERT è durato ben 18 mesi, prevedendo corsi di formazione presso Enti
di prestigio quali l’Istituto italiano della saldatura e numerosi corsi interni, tenuti dai tecnici di maggiore
esperienza nel settore dei recipienti a pressione, delle cisterne ADR e dell’ADR­RID in generale.
9 agosto 2005 ­ N. 16

L'APPROFONDIMENTO
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
Nuovi spunti anche per la classificazione dei rifiuti generati da attività legate a questo settore
Disposizioni di sicurezza antiterrorismo
per il trasporto dei prodotti petroliferi
di Davide Levo, consulente per la Sicurezza ­ “AES ­ Associazione Esperti della Sicurezza”
Forti i legami tra la nuova
disciplina della security e le
misure per il trasporto stradale
di prodotti petroliferi, tanto che,
per i siti logistico­petroliferi
più complessi, si dovrà fare
necessario riferimento alle
consolidate tecniche di SVA
(Security Vulnerability
Assessment) di derivazione
industriale e militare. Tuttavia,
le novità non si limitano
alla security, ma comprendono
anche la razionalizzazione dei
criteri di classificazione
dei liquidi infiammabili
di classe 3, l’estensione
delle esenzioni valide per le merci
pericolose imballate in quantità
limitate, rilevanti per alcuni
prodotti petroliferi, e i nuovi
elementi per la classificazione
dei rifiutidi origine petrolifera.
Interessati, infine, anche
la documentazione, le unità
di trasporto (veicoli­cisterna)
e le operazioni di carico
e scarico di gasolio 640M.
9 agosto 2005 ­ N. 16
Il parco nazionale delle unità di
trasporto stradale di merci pericolose
è attualmente costituito
per oltre il 70% da veicoli adibiti al
vettoriamento di prodotti petroliferi,
quotidianamente impegnati nell’approvvigionamento
delle infrastrutture
territoriali di deposito e nella distribuzione
alle utenze finali dei prodotti
per autotrazione e riscaldamento.
Il corrispondente flusso di merci
pericolose che complessivamente
transita su strada - principalmente
materie infiammabili - è senza dubbio
imponente e richiede, come tale,
la massima professionalità di tutti
gli operatori coinvolti nella filiera
logistica del settore, al fine di garantire
alla comunità le massime condizioni
di sicurezza. Questa professionalità
poggia, in primis, su un’approfondita
conoscenza delle disposizioni
tecniche e organizzative dettate
dagli allegati tecnici dell’accordo
ADR, dei quali è entrata in vigore a
partire dal 1° luglio la nuova edizione
2005.
Security per le operazioni
legate ai prodotti petroliferi
La novità operativa di maggiore
rilievo introdotta da ADR 2005
nell’ambito del trasporto stradale
di prodotti petroliferi è l’insieme
delle disposizioni di sicurezza antiterrorismo
prescritte al capitolo
1.10. L’ADR 2005 ha modulato le
nuove prescrizioni di security [1]
secondo due livelli progressivi di
adempimenti:
l le disposizioni generali di secu-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
rity valide per tutte le merci pericolose
ammesse al trasporto stradale
(ad eccezione di quelle trasportate
in quantità inferiori ai limiti
di cui alla sottosezione 1.1.3.6
dell’ADR, che ne sono esentate del
tutto) (ADR 2005, sezioni 1.10.1 e
1.10.2);
l le disposizioni specifiche (addizionali)
di security valide solo
per le merci pericolose ad alto
rischio terroristico (ADR 2005,
sezioni 1.10.3 e 1.10.5), tra le
quali si segnalano l’obbligo per
l’impresa di adottare un apposito
piano di sicurezza con finalità anticriminali.
Nella tabella 1 sono indicate le
modalità di applicazione delle disposizioni
di security ai prodotti
petroliferi.
Si noti, in particolare, come
l’elaborazione e l’adozione operativa
del Piano di Sicurezza
ADR possa costituire un onere
significativo, soprattutto per i
maggiori depositi petroliferi nazionali
che devono gestire quotidianamente
imponenti flussi di
vettori in ingresso e uscita dalle
proprie aree. Si segnalano, in
questo senso, l’obbligo particolarmente
impegnativo di effettuare
la valutazione dei rischi per
la security connessi con le modalità
operative dell’impresa,
[ADR 2005, sottosezione 1.10.3.2.2.,
lettera c)] che, almeno nel caso dei
siti logistico-petroliferi più complessi,
dovrà fare necessario riferimento
alle consolidate tecniche di
[1] Sul tema si veda il contributo di R. Mari nella prima parte dell’Approfondimento pubblicato sul n. 15/2005 di Ambiente&Sicurezza.
23

SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
SVA (Security Vulnerability Assessment)
di derivazione industriale
e militare, delle quali si
fornisce in tabella 2 una bibliografia
di riferimento specificatamente
dedicata al settore.
È anche il caso di sottolineare,
24
L'APPROFONDIMENTO
Esempi di merci pericolose petrolifere
e corrispondenti disposizioni di security ADR applicabili
Merci pericolose petrolifere
(esempi)
• UN 1202 GASOLIO, 3, PG III.
• UN 1223, CHEROSENE, 3, PG III.
• UN 1268 PRODOTTI PETROLIFERI N.A.S., 3,
PG III.
• UN 1863 CARBURANTE PER MOTORI A TUR­
BINA AERONAUTICI, 3, PG III.
• UN 1999 CATRAMI LIQUIDI, 3, PG III.
• UN 3256 LIQUIDO TRASPORTATO A CALDO,
INFIAMMABILE, N.A.S., 3, PG III.
• UN 3257 LIQUIDO TRASPORTATO A CALDO,
N.A.S., 9, PG III.
• UN 3295 IDROCARBURI LIQUIDI, N.A.S., 3,
PG III.
• Materie di rifiuto di derivazione petrolifera
classificate ADR con gruppo di imballaggio
(PG) III [2] , tra cui:
UN 3077, MATERIA PERICOLOSA DAL PUNTO
DI VISTA DELL’AMBIENTE, SOLIDA, N.A.S., 9,
PG III.
UN 3082, MATERIA PERICOLOSA DAL PUNTO
DI VISTA DELL’AMBIENTE, LIQUIDA, N.A.S., 9,
PG III.
• UN 1203 BENZINA, 3, PG II.
• UN 1268 PRODOTTI PETROLIFERI N.A.S., 3,
PG I / PG II.
• UN 1863 CARBURANTE PER MOTORI A TUR­
BINA AERONAUTICI, 3, PG I / PG II.
• UN 1999 CATRAMI LIQUIDI, 3, PG II.
• UN 3295 IDROCARBURI LIQUIDI, N.A.S., 3, PG
I / PG II.
• Materie di rifiuto di derivazione petrolifera
classificate ADR con gruppo di imballaggio
(PG) II [2] .
• UN 1011 BUTANO, 2.1.
• UN 1965 IDROCARBURI GASSOSI IN MISCELA
LIQUEFATTA N.A.S., 2.1.
• UN 1971 METANO COMPRESSO, 2.1.
• UN 1972 METANO LIQUIDO REFRIGERA­
TO, 2.1.
• UN 1978 PROPANO, 2.1.
infine, che l’obbligo di adozione
del Piano di Sicurezza è esteso da
ADR 2005 a tutti gli operatori
del trasporto che gestiscono merci
pericolose ad alto rischio, destinatari
inclusi (ADR 2005, sottosezione
1.10.3.2.1). Nel settore petroli-
Modalità e quantità di trasporto
In colli / In cisterna.
Q.tà ≤ 1.000 litri per unità di trasporto [1] .
In colli / In cisterna.
Q.tà > 1.000 litri per unità di trasporto.
In colli / In cisterna.
Q.tà ≤ 333 litri per unità di trasporto [1] .
In colli.
Q.tà > 333 litri per unità di trasporto.
In cisterna.
333 < Q.tà ≤ 3.000 litri per unità
di trasporto.
In cisterna.
Q.tà > 3.000 litri per unità
di trasporto.
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
fero ciò implica che debbano sottostare
a questo adempimento, ad
esempio, le stazioni stradali di rifornimento
carburanti, che ricevono
regolarmente approvvigionamenti
di benzine in quantitativi
superiori a 3.000 litri, nonché le
TABELLA 1
Disposizioni di
security ADR
applicabili
Nessuna
GENERALI
Nessuna
GENERALI
GENERALI
SPECIFICHE
(Merci ad
alto rischio)
[1] Trasporto di merci pericolose in quantità al di sotto dei limiti di esenzione di cui alla sottosezione 1.1.3.6 dell’ADR; le quantità
indicate valgono nel solo caso in cui non vi siano altre merci pericolose a bordo dell’unità di trasporto; in caso di carichi misti
(ad esempio gasolio + benzina) riferirsi alle regole di calcolo di cui alla sottosezione 1.1.3.6.4 dell’ADR.
[2] Indicazione di carattere generale, da confermare sulla base della specifica rubrica di classificazione ADR della sostanza.
9 agosto 2005 ­ N. 16

9 agosto 2005 ­ N. 16
L'APPROFONDIMENTO
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
TABELLA 2
Bibliografia tecnica internazionale sulla security della logistica
e del trasporto stradale di merci pericolose,
con particolare riferimento al settore petrolchimico
(molti dei testi citati sono liberamente disponibili sul Web)
AMERICAN CHEMISTRY COUNCIL, CHEMTREC, CHLORINE INSTITUTE INC., COMPRESSED GAS ASSOCIA­
TION & NATIONAL ASSOCIATION OF CHEMICAL DISTRIBUTORS, “Transportation Security Guidelines for the
U.S. Chemical Industry”, USA, Washington, 2001.
AMERICAN CHEMISTRY COUNCIL, CHLORINE INSTITUTE INC. & SYNTETHIC ORGANIC CHEMICAL MANU­
FACTURERS ASSOCIATION, “Site Security Guidelines for the U.S. Chemical Industry”, USA, Washington, 2001.
AMERICAN PETROLEUM INSTITUTE, “Security Guidelines for the Petroleum Industry”, USA, Washington, 2003.
AMERICAN PETROLEUM INSTITUTE & NATIONAL PETROCHEMICAL REFINERS ASSOCIATION, “Security Vulnerability
Assessment Methodology for the Petroleum and Petrochemical Industries”, USA, Washington, 2004.
AMERICAN SOCIETY FOR INDUSTRIAL SECURITY “Threat Advisory System Response Guideline”, USA, Alexandria,
2004.
AMERICAN SOCIETY FOR INDUSTRIAL SECURITY “Cargo Theft Prevention”, USA, Alexandria, 2001.
BENASSAI S., “SECURITY ­ Il piano di sicurezza nel trasporto stradale di merci pericolose”, Quaderno Orange
Project 04, 2005.
EUROPEAN CHEMICAL INDUSTRY COUNCIL, EUROPEAN CHEMICAL TRANSPORT ASSOCIATION & EUROPE­
AN PETROCHEMICAL ASSOCIATION, “Guidelines for Transportation Security”, Belgium, Brussels, 2003.
INTERNATIONAL ROAD TRANSPORT UNION, “The IRU Road Transport Security Guidelines”, Switzerland, Geneva,
2004.
NATIONAL CARGO SECURITY COUNCIL, “Guidelines for Cargo Security & Loss Control”, USA, Annapolis, 2002.
NATIONAL FIRE PROTECTION ASSOCIATION, “NFPA 730 Draft ­ Guide for Premises Security”, USA, Quincy, 2004.
NATIONAL TANK TRUCK CARRIERS, “NTTC Guidelines for Complying with DOT’s Security Regulations”, USA,
Alexandria, 2004.
PETROLEUMMARKETERSASSOCIATION, “Security Plan for the Transportation of Petroleum Products”, USA, 2002.
U.K. DEPARTMENT FOR TRANSPORT, “Voluntary Code of Practice for the Security of Dangerous goods by Road”,
U.K., London, 2004.
U.K. DEPARTMENT FOR TRANSPORT, “Consolidated Guidance for the Security of Dangerous Goods by road”,
U.K., London, 2004.
U.K. DEPARTMENT FOR TRANSPORT, “Road Transport Security Plan”, U.K., London, 2004.
U.S. ARMY, “Field Manual 3­19.30 ­ Physical Security”, USA, Washington, 2001.
U.S. DEPARTMENT OF DEFENSE, “Physical Security of Sensitive Conventional Arms, ammunition and Explosives”,
USA, Washington, 2000.
U.S. DEPARTMENT OF JUSTICE, “A Method to Assess the Vulnerability of U.S. Chemical Facilities”, USA, Washington,
2001.
U.S. DEPARTMENT OF TRANSPORTATION, “Intermodal Cargo Transportation: Industry Best Security Practices”,
USA, Washington, 2002.
U.S. DEPARTMENT OF TRANSPORTATION, “Enhancing Security of Hazardous Materials Shipments Against Acts of
Terrorism or Sabotage Using RSPA’s Risk Management Self­Evaluation Framework (RMSEF)”, USA, Washington, 2002.
U.S.DEPARTMENTOFTRANSPORTATION, “49 CFR Part 172 ­ Hazardous Materials: Security Requirements for the
Offerors and Transporters of Hazardous Materials”, USA, Washington, 2003.
25

26
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
utenze industriali o residenziali
dotate di serbatoi fissi di GPL con
capacità oltre 3.000 litri, ad uso
civile o produttivo, che siano periodicamente
riforniti mediante
autocisterne.
Classificazione
L’ADR 2005 razionalizza i criteri
di classificazione dei liquidi
infiammabili di classe 3, che sono
ricondotti - anche nel caso di merci
molto pericolose (PG I) - alla
sola valutazione del punto di infiammabilità
e del punto di ebollizione
della materia. In caso di
presenza di rischi sussidiari, inoltre,
si rimanda direttamente alla
tabella di preponderanza dei pericoli
riportata alla sottosezione
2.1.3.10 dell’allegato A (ADR
2005, sottosezione 2.2.3.1.3).
Nessuna modifica, invece, è introdotta
nella classificazione dei liquidi
esclusivamente infiammabili
a medio-bassa pericolosità (PG II/
III), che costituiscono la maggior
parte dei prodotti petroliferi sottoposti
a trasporto stradale.
L'APPROFONDIMENTO
Si segnala, inoltre, l’introduzione
per la benzina UN 1203
della nuova disposizione speciale
243, già prevista in altri regolamenti
di trasporto (ad esempio
IMDG Code per la modalità marittima).
Essa stabilisce che la
benzina destinata a essere utilizzata
come carburante per motori
di automobili, motori fissi e altri
ad accensione comandata, debba
essere classificata sotto la rubrica
UN 1203 (PG II) indipendentemente
dalle sue variazioni di volatilità.
Esenzioni
L’ADR 2005 introduce, al capitolo
3.4, importanti novità nel regime
di esenzione valido per le
merci pericolose imballate in
quantità limitate, cioè quelle materie
trasportate in imballaggi di
piccola capacità a loro volta inseriti
entro idonei imballaggi esterni
o in vassoi dotati di pellicola protettiva.
Si ricorda che per le merci
pericolose così condizionate non
si applicano le disposizioni del-
Confronto tra i limiti di esenzione per quantità limitate
di ADR 2003 e ADR 2005 per alcuni prodotti petroliferi
Merce pericolosa
(esempi di prodotti petroliferi)
Denominazione
UN 1203
BENZINA, 3, PG II
UN 1202
GASOLIO, 3, PG III
UN 1223
CHEROSENE, 3, PG III
Codice di
esenzione
LQ4 3 litri
LQ7 5 litri
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
l’ADR, ad eccezione dell’apposizione
su ogni collo di una losanga
recante il numero UN della merce.
L’argomento è rilevante per alcuni
prodotti petroliferi derivati - ad
esempio additivi - che, pur presentando
caratteristiche di pericolo
ai fini del trasporto (infiammabilità
oppure ecotossicità), sono
spesso commercializzati in piccoli
lattaggi alloggiati in una scatola
esterna. A questo proposito, le
nuove disposizioni prevedono,
tranne casi particolari, che per
usufruire delle esenzioni per
quantità limitate:
l la massa lorda massima di un
imballaggio combinato (contenitori
interni + imballaggio esterno)
pronto per la spedizione non superi
30 kg;
l la massa lorda massima di un
vassoio con pellicola pronto per la
spedizione non superi 20 kg.
È fatto salvo, naturalmente, il
rispetto del massimo contenuto di
prodotto per singolo imballaggio
interno. È il caso di sottolineare
che in alcuni casi i nuovi limiti
Modalità di imballaggio in quantità limitata
Imballaggi combinati
(interni + esterno)
Imballaggio
interno
Collo
ADR 2003: 12 litri
di contenuto netto
ADR 2005: 30 kg
di massa lorda
massima
ADR 2003: 45 litri
di contenuto netto
ADR 2005: 30 kg
di massa lorda
massima
TABELLA 3
Imballaggi interni
su vassoio con pellicola
Imballaggio
interno
Collo
ADR 2003: 12 litri
di contenuto netto
e 20 kg di massa
1 litro
lorda massima
5 litri
ADR 2005: 20 kg
di massa lorda
massima
ADR 2003: 20 kg
di massa lorda
massima
ADR 2005: 20 kg
di massa lorda
massima
9 agosto 2005 ­ N. 16

sono significativamente diversi
da quelli previgenti (si veda la
tabella 3). A titolo di esempio si
osservi che, mentre l’ADR 2003
ammetteva il trasporto in esenzione
per quantità limitate di un prodotto
a base idrocarburica infiammabile
con bassa pericolosità (PG
III) utilizzando imballaggi da 5
litri contenuti in una scatola esterna,
fino ad una capacità totale di
45 litri per collo, il nuovo ADR
2005 abbassa questo valore a 30
kg complessivi per collo; in particolare,
defalcando il peso degli
imballaggi e considerando la densità
media dei prodotti in questione,
si ricava una diminuzione del
limite di esenzione pari a circa
8÷10 litri di merce per ogni collo
in esenzione.
Documentazione
di trasporto
In relazione al trasporto in colli
dei gasoli UN 1202, l’ADR 2005
ha eliminato l’obbligo di apporre
la dicitura «DISPOSIZIONE SPE-
CIALE 640 “K oppure L oppure
M”» sul relativo documento di trasporto.
La prescrizione permane
per il trasporto in cisterna del medesimo
prodotto (ADR 2005, capitolo
3).
È stata leggermente modificata
la sintassi delle diciture identificative
da inserire nel documento di trasporto
per i rifiuti di merci pericolose
(formulario rifiuti); un esempio
di compilazione in funzione del
regime ADR in vigore (ADR 2005,
sottosezione 5.4.1.1.3) prevede:
l ADR 2003: RIFIUTO, UN 1202
GASOLIO, 3, III
l ADR 2005: RIFIUTO, UN
1202, GASOLIO, 3, III
È stata modificata, infine, la dicitura
obbligatoria da riportare nel
documento di trasporto che deve
accompagnare i veicoli-cisterna
vuoti non bonificati circolanti su
strada (ADR 2005, sottosezione
9 agosto 2005 ­ N. 16
L'APPROFONDIMENTO
5.4.1.1.6.2); ad esempio:
l VEICOLO-CISTERNA VUO-
TO, ULTIMA MERCE CARICA-
TA: UN 1203 BENZINA, 3, II
oppure:
l VEICOLO-CISTERNA VUO-
TO, ULTIMA MERCE CARICA-
TA: BENZINA, 3, UN 1023, II.
Per inciso, si ricordi che il trasporto
stradale di veicoli-cisterna
vuoti non bonificati, che hanno
contenuto prodotti petroliferi costituenti
merci pericolose, continua
a ricadere in toto nel campo di
applicazione dell’ADR. Conseguentemente,
il documento di trasporto
ADR di cui sopra - debitamente
compilato secondo le regole
del capitolo 5.4 del regolamento -
deve sempre accompagnare il veicolo-cisterna
che per qualsiasi ragione
circoli vuoto non bonificato
(ad es: viaggio di ritorno in deposito
dopo lo scarico dei prodotti;
trasferimento del mezzo presso officine
o stazioni di lavaggio; trasferimento
del mezzo al centro di
revisione periodica, ecc.).
Unità di trasporto
(veicoli­cisterna)
di prodotti petroliferi
L’ADR 2005 ha decisamente
innovato il quadro di riferimento
per:
l la progettazione dei veicoli-cisterna
adibiti al trasporto di merci
pericolose non gassose, ivi inclusi
quelli utilizzati per il trasporto
stradale di liquidi infiammabili
(classe 3) di derivazione
petrolifera;
l la progettazione, il collaudo e la
verifica periodica dei veicoli-cisterna
- e, in generale, delle attrezzature
a pressione - adibiti al trasporto
di merci pericolose in forma
gassosa (classe 2), ivi inclusi
quelli utilizzati per il trasporto
stradale di gas infiammabili di derivazione
petrolifera (GPL, metano
e simili).
[2] Si veda la prima parte dell’Approfondimento pubblicata sul n. 15/2005 di Ambiente&Sicurezza.
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
Senza entrare nel merito delle
novità introdotte dall’ADR 2005 [2] ,
si osserva che, per quanto concerne
la progettazione, l’ADR 2005 individua
nelle norme europee armonizzate
(EN) il riferimento tecnico
primario che consente di soddisfare
i requisiti di sicurezza stabiliti per
le cisterne dal capitolo 6.8 del regolamento.
Carico e scarico
di gasolio 640M
In relazione alle prescrizioni
supplementari per il trasporto di
alcuni tipi di gasolio, l’ADR 2005
ha recepito definitivamente le modifiche
apportate al testo della precedente
edizione dai corrispondenti
corrigendum 1 e 2 emessi nel
2003. È stata eliminata, in particolare,
la disposizione di esercizio
“S2” per il gasolio UN 1202 con
punto di infiammabilità compreso
tra 61°C e 100°C (associato alla
disposizione speciale “640M” e
diverso, si noti, dall’usuale carburante
diesel conforme alla norma
EN 590 ovvero dal gasolio generico/gasolio
da riscaldamento con
punto di infiammabilità definito
nella medesima norma). Per questo
particolare prodotto, quindi, è
venuto meno l’obbligo di dotarsi
di apparecchi di illuminazione in
esecuzione antideflagrante per entrare
nei veicoli coperti e, soprattutto,
sono decadute le seguenti
prescrizioni:
l obbligo del collegamento a terra
del veicolo cisterna di tipo FL in fase
di riempimento/svuotamento;
l obbligo di limitazione della corrispondente
velocità di carico.
In merito a questi ultimi due
punti, tuttavia, si ritiene necessario
richiamare l’attenzione su alcune
problematiche di sicurezza
che potrebbero sorgere in caso di
trasporto alternato. Si osserva, infatti,
che il gasolio in questione
può essere trasportato mediante
27

SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
veicoli-cisterna sia di tipo AT sia
di tipo FL; in quest’ultimo caso,
lo stesso veicolo è anche autorizzato
al carico di benzine UN 1203
e di molti altri liquidi a basso
punto di infiammabilità. È quindi
possibile che un veicolo-cisterna
FL vuoto non bonificato si rechi
al carico di gasolio ad alto punto
di infiammabilità dopo aver effettuato
un trasporto di benzine. In
questa eventualità - definita in
termini tecnici come “switch loading”
- il carico può determinare
gravi pericoli di esplosione a causa
della possibilità che una scintilla
elettrostatica derivante dal
flusso di gasolio in ingresso inneschi
i vapori di benzina presenti
sul pelo del liquido in risalita all’interno
della cisterna. Purtroppo,
la prevenzione dei rischi connessi
con lo switch loading si basa
proprio sulla equipotenzializzazione
della cisterna con l’impianto
di carico e sulla adeguata
limitazione della velocità di scorrimento
del gasolio nelle condutture
in funzione delle sue caratteristiche
fisico-chimiche (conducibilità
elettrica, grado di desolforazione,
presenza di additiviti
antistatici). È, quindi, raccomandabile,
al di là della avvenuta rimozione
dell’obbligo normativo,
procedere sempre e comunque alla
messa a terra del veicolo-cisterna
e alla limitazione della velocità
di riempimento di ogni tipo
di gasolio laddove non si possa
assicurare l’assenza nella cisterna
di vapori di benzina - o di altro
liquido infiammabile a basso punto
di infiammabilità - derivanti da
un carico precedente. A questo
proposito giova ricordare che le
prescrizioni tecniche dell’ADR
sono da intendersi come misure
minime di sicurezza e che, in
ogni caso, «gli operatori del trasporto
di merci pericolose devono
prendere le appropriate misure,
in relazione alla natura e dimensione
dei pericoli prevedibili, al
fine di evitare danneggiamenti o
28
L'APPROFONDIMENTO
ferite» (ADR 2005, sottosezione
1.4.1.1).
Rifiuti
Nell’ambito del settore petrolifero,
la gestione dei rifiuti che costituiscono
merci pericolose ai fini
del trasporto stradale presenta
spesso oggettive difficoltà - innanzitutto
di ordine classificatorio
- anche in conseguenza delle disomogeneità
attualmente esistenti
tra la normativa ADR e la legislazione
ambientale nazionale afferente
al D.Lgs. n. 22/1997. Se da
una parte, infatti, i rifiuti derivanti
dalle lavorazioni petrolchimiche
e/o dalle attività di manutenzione
dei depositi petroliferi presentano
talvolta caratteristiche di pericolo
diversificate e di non immediata
classificazione ADR (dalla infiammabilità/ecotossicità
sino alla
presenza di particolari agenti patogeni),
dall’altra, le attuali prassi
di laboratorio continuano a rimanere
orientate alla classificazione
esclusivamente ambientale, con
scarsa attenzione ai metodi e ai
criteri obbligatoriamente previsti
dagli allegati tecnici dell’accordo
ADR.
In questo contesto, l’ADR 2005
introduce ulteriori elementi di cui
occorrerà tenere conto nella classificazione
dei rifiuti di origine petrolifera,
soprattutto di tipo ecotossico
(quali, ad esempio, i fondami
di serbatoi in forma liquida
che, pur avendo perso ogni caratteristica
di infiammabilità, si sospetta
possano avere elementi di
ecotossicità):
l i rifiuti che non rientrano nelle
classi da 1 a 9, ma che sono contemplati
dalla «Convenzione di
Basilea sul controllo dei movimenti
transfrontalieri di rifiuti pericolosi
e sulla loro eliminazione»,
possono essere trasportati
con i numeri ONU 3077 o 3082
(materie pericolose dal punto di
vista dell’ambiente) (ADR 2005,
sottosezione 2.1.3.9);
l non sono soggetti all’ADR i ri-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
fiuti che (ADR 2005, sottosezione
2.2.9.1.10):
- non sono classificabili in una
delle classi da 1 a 8;
- non sono classificabili in una rubrica
di classe 9 diversa da UN 3077
e UN 3082;
- non sono classificabili come materie,
soluzioni o miscele “pericolose
per l’ambiente” secondo la vigente
normativa CE (direttive 64/548/CEE
e 1999/45/CEE); in altri termini a
questi rifiuti non è assegnabile la lettera
“N” e le frasi di rischio R50,
R50/R53, R51/R53.
In relazione alle modalità di
imballaggio dei rifiuti, si segnala
che ADR 2005 introduce alcune
semplificazioni laddove si debbano
gestire materiali vari contaminati
da liquidi infiammabili e
classificati sotto la rubrica UN
3175 SOLIDI CONTENENTI LI-
QUIDO INFIAMMABILE
N.A.S., 3, PG II (ad esempio: apparecchiature,
stracci, materiali
assorbenti o filtranti contaminati
da idrocarburi - CER 150202/
160213). Per questa rubrica, infatti,
è stata modificata la disposizione
speciale di imballaggio
“PP9”, secondo la quale l’imballaggio
omologato da utilizzarsi
per il trasporto del rifiuto non
deve essere necessariamente a tenuta
laddove il liquido infiammabile
sia interamente assorbito in
un materiale solido a sua volta
contenuto in un sacco sigillato;
se ciò non è possibile, rimane valido
il previgente obbligo di utilizzare
imballaggi il cui propotipo
sia stato sottoposto a una prova
di tenuta al livello di prova del
gruppo di imballaggio II [ADR
2005, sottosezione 4.1.4.1].
Per quanto concerne, infine, il carico
su veicoli dei colli di rifiuti
petroliferi costituenti materie pericolose
dal punto di vista ambientale
(classe 9), si segnala che l’ADR
2005 ha rimosso la disposizione
speciale “V1”, consentendo l’utilizzo
di veicoli o container scoperti,
anche non tendonati. l
9 agosto 2005 ­ N. 16

L'APPROFONDIMENTO
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
La certificazione integrata qualità, tutela ambientale e sicurezza
a cura di Giulio Traversi, CERTIQUALITY
Le tematiche della sicurezza (inclusa la tutela della salute) e quelle della salvaguardia ambientale hanno ormai assunto
importanza fondamentale, sia per effetto di una crescente attenzione e sensibilità da parte di vaste fasce dell’opinione
pubblica, che sotto la spinta delle direttive comunitarie in proposito.
Dopo un periodo di “incubazione”, durante il quale poco si è fatto in Italia per dare attuazione a normative orientate
alla tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente, si assiste oggi a un processo di rapida evoluzione che porta in
primo piano la difesa di questi valori e impone alle imprese di tenerne debito conto.
Le esigenze di salvaguardia di questi beni primari hanno trovato espressione, oltre che nell’apparato legislativo, anche
nelle norme ISO 14001 per la tutela ambientale e OHSAS 18001 per la sicurezza, che, pur non avendo valore prescrittivo,
in senso giuridico, incorporano le modalità di gestione dell’ambiente, della salute e della sicurezza nel più ampio
scenario sociale che fa riferimento alle conseguenze che le attività dell’impresa possono produrre anche all’esterno, a
danno di soggetti non appartenenti a essa.
Ricordando che la ISO 9001 ha la finalità di definire i requisiti di un Sistema Qualità che permetta all’impresa di ottenere
la soddisfazione del cliente mediante la prevenzione delle non conformità rispetto agli impegni assunti e il soddisfacimento
delle sue esigenze espresse e implicite, è di immediata percezione la contiguità di questi obiettivi con quelli delle
altre due norme, nonché la possibilità di integrarli in un sistema di gestione globale dell’impresa.
Inoltre, al di là della sostanziale convergenza degli obiettivi, l’integrazione è resa possibile dalle ampie aree di sovrapposizione
concettuale, e anche applicativa, delle tre normative di riferimento; si può, infatti, constatare che molte clausole della
norma ISO 9001 che definiscono il Sistema Qualità impongono implicitamente anche comportamenti e criteri atti a garantire
la sicurezza e la tutela ambientale e, reciprocamente, il soddisfacimento delle norme di sicurezza e di quelle di salvaguardia
dell’ambiente provoca implicitamente anche il soddisfacimento di alcune delle prescrizioni del Sistema Qualità.
Solo per alcuni aspetti particolari le tre normative non sono simmetriche, ma ciò accade essenzialmente in conseguenza
del fatto che i sistemi di gestione della qualità sono orientati alle necessità dei clienti, mentre i sistemi di gestione della
sicurezza e i sistemi di gestione ambientale tengono conto delle necessità di una vasto insieme di parti interessate e, in
particolare, delle crescenti esigenze della società per la difesa di valori ritenuti ormai prioritari.
Non esiste, ben inteso, alcun vincolo di interdipendenza formale fra le tre normative a cui si fa qui riferimento, nel senso
che ciascuna di esse è autosufficiente e, quindi, non presuppone che l’impresa debba, ad esempio, anteporre l’attuazione
di un Sistema Qualità alla realizzazione di un sistema di gestione ambientale o di un sistema per la tutela della sicurezza;
ma poiché le tre aree di innovazione richiedono l’attivazione delle stesse risorse aziendali e il coinvolgimento delle stesse
funzioni, risulta evidente la convenienza di unificare le iniziative rivolte al soddisfacimento delle prescrizioni riguardanti
qualità, sicurezza e ambiente, piuttosto che affrontarle separatamente.
È, infatti, evidente, anche se non richiesta dalle norme, l’opportunità di accorpare per quanto possibile gli impegni che
derivano dall’attuazione e dalla gestione del sistema integrato “qualità + sicurezza + ambiente”, assegnando agli stessi
soggetti le attività rivolte a tutti e tre gli obiettivi, dall’approntamento della documentazione, all’esecuzione dei controlli,
alla registrazione dei risultati, e a tutto quanto occorre per il mantenimento e la continua evoluzione del sistema.
Ma il beneficio veramente fondamentale per l’impresa che affronti in modo unitario, anziché separatamente, le
innovazioni imposte dal soddisfacimento delle norme riguardanti qualità, sicurezza e ambiente, consiste nella possibilità
di innescare un processo di globalizzazione del “bagaglio” di conoscenze che deve essere posseduto dal personale
coinvolto, dato che molte clausole di ognuna delle tre norme di riferimento trovano ampio riscontro in clausole
“parallele” che fanno parte delle altre due.
Qualità, sicurezza e salvaguardia ambientale sono fra loro così indissolubilmente legate, che potrebbero ipoteticamente
formare oggetto di una sola normativa onnicomprensiva, a cui l’impresa, adeguandovisi, dovrebbe ispirarsi per qualificarsi
sotto tutti e tre gli aspetti.
In conclusione, si può, dunque, affermare che, mediante un’intelligente e articolata integrazione delle norme di
sicurezza e ambientali con quelle del Sistema Qualità, l’impresa può ampliare ulteriormente il quadro dei vantaggi
ottenibili con la sola certificazione di qualità, sia in termini di miglioramento dei processi operativi che sotto il profilo
della competitività.
Con un modesto sforzo addizionale rispetto alla pura e semplice realizzazione del Sistema Qualità, l’impresa riesce a
conseguire anche la certificazione della gestione ambientale e un attestato di adesione ai criteri di prevenzione per la
sicurezza, senza dover sopportare una proliferazione di spese interne ed esterne per la consulenza e per l’attuazione
separata dei tre sistemi, ma soprattutto riesce a porsi in posizione di preminenza rispetto ai concorrenti non in possesso
di un’analoga qualificazione onnicomprensiva, sia nel giudizio della committenza che in quello dell’opinione pubblica e
dei movimenti ambientalistici.
9 agosto 2005 ­ N. 16
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
29

SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
L'APPROFONDIMENTO
Necessario armonizzare le due discipline per tutelare salute e ambiente durante tutte le fasi
Imballaggi per rifiuti sanitari pericolosi
tra D.P.R. n. 254/2003 e ADR 2005
di Katia Aldrigo, Consulente per la Sicurezza
Molto articolata la disciplina
sulla gestione dei rifiuti sanitari;
se da un lato, infatti, la normativa
di riferimento è rappresentata
dal D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254,
per le fasi di movimentazione,
raccolta e trasporto, dall’altro
sorge la necessità di armonizzare
il suddetto provvedimento con
il regolamento ADR. In
particolare, quest’ultimo prevede,
accanto al trasporto in cisterna
e alla rinfusa (solo per
determinate condizioni),
anche quello in imballaggi,
per il quale sono dettagliate
quattro differenti “Istruzioni”
corrispondenti ad altrettanti
numeri ONU (fatta eccezione
per l’istruzione di imballaggio
P620 che si applica alle merci
pericolose con numeri ONU 2814
e 2900, trasportate in imballaggi
propriamente detti). Esistono,
infine, precise disposizioni
a seconda che la materie siano
spedite a temperatura ambiente
o a una temperatura superiore,
refrigerate o congelate,
nell’azoto liquido o liofilizzate;
definite anche le marcature.
30
La gestione dei rifiuti sanitari
è regolamentata dal D.P.R.
15 luglio 2003, n. 254 «Regolamento
recante disciplina della
gestione dei rifiuti sanitari a
norma dell’art. 24 della legge 31
luglio 2002, n. 179» [1] , ma in ambito
operativo, ossia durante le fasi
di movimentazione, raccolta e
trasporto, questa normativa deve
essere armonizzata con il regolamento
ADR [2] .
I sanitari infettivi e la
disciplina sanitaria sui rifiuti
Il D.P.R. n. 254/2003, all’art. 2,
lettera d), definisce come «rifiuti sanitari
pericolosi a rischio infettivo» i
seguenti rifiuti sanitari individuati
dalle voci 18.01.03 e 18.02.02 nell’allegato
A della direttiva del Ministero
dell’Ambiente e della Tutela
del territorio 9 aprile 2002:
l tutti i rifiuti che provengono da
ambienti di isolamento infettivo nei
quali sussiste un rischio di trasmissione
biologica aerea, nonché da ambienti
ove soggiornano pazienti in isolamento
infettivo affetti da patologie
causate da agenti biologici di gruppo
4, di cui all’Allegato XI al decreto
legislativo 19 settembre 1994, n. 626,
e successive modificazioni;
l i rifiuti elencati a titolo esemplificativo
nell’Allegato I al D.P.R. n.
254/2003 che presentano almeno una
delle seguenti caratteristiche:
- provengano da ambienti di isolamento
infettivo e siano venuti a con-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
tatto con qualsiasi liquido biologico
secreto o escreto dei pazienti isolati;
- siano contaminati da:
a) sangue o altri liquidi biologici
che contengono sangue in quantità
tale da renderlo visibile;
b) feci o urine, nel caso in cui sia
ravvisata clinicamente dal medico che
ha in cura il paziente una patologia
trasmissibile attraverso questi escreti;
c) liquido seminale, secrezioni vaginali,
liquido cerebro-spinale, liquido
sinoviale, liquido pleurico, liquido
peritoneale, liquido pericardico o liquido
amniotico;
l i rifiuti provenienti da attività veterinaria,
che:
- siano contaminati da agenti patogeni
per l’uomo o per gli animali;
- siano venuti a contatto con
qualsiasi liquido biologico secreto
o escreto per il quale sia ravvisato,
dal medico veterinario competente,
un rischio di patologia trasmissibile
attraverso tali liquidi e, secondo
quanto riportato nell’Allegato
I al D.Lgs. n. 22/1997 «Caratteristiche
di pericolosità per i
rifiuti», i rifiuti contrassegnati dalla
classe H9 “Infettivo”, ossia «sostanze
contenenti microrganismi
vitali o loro tossine, conosciute o
ritenute per buoni motivi come
cause di malattie nell’uomo o in
altri organismi viventi».
La classificazione dei rifiuti
sanitari in base all’ADR
Le materie infettanti, ai sensi della
[1] In Gazzetta Ufficiale dell’11 settembre 2003, n. 211.
[2] Per una trattazione dettagliata del trasporto delle materie e dei rifiuti infettanti si rimanda al Quaderno 5 di Orange Project: «Il
trasporto stradale delle materie infettanti - Guida all’applicazione dell’ADR 2005», disponibile sul sito www.orangeproject.it/.
9 agosto 2005 ­ N. 16

normativa ADR, sono comprese nella
classe 6.2.
I rifiuti medicali o rifiuti ospedalieri
sono definiti nel paragrafo
2.2.62.1.3 dell’ADR come «i rifiuti
derivanti da trattamenti medici di
persone o animali o da ricerche biologiche»;
a questi sono assegnati i
seguenti numeri ONU:
l se contengono materie infettanti
della categoria A o della categoria
B in colture sono assegnati ai
numeri ONU 2814 o 2900 secondo
il caso;
l se contengono materie infettanti
della categoria B, purché diversi dalle
colture, sono assegnati al numero
ONU 3291, caratterizzato dal gruppo
di imballaggio II.
La designazione ufficiale per il
trasporto per il N. ONU 3291 è
«RIFIUTI OSPEDALIERI, NON
SPECIFICATI, N.A.S.», o «RIFIU-
TI (BIO) MEDICALI, N.A.S.» o
«RIFIUTI MEDICALI REGOLA-
MENTATI, N.A.S.»; vi sono inclusi
anche i rifiuti medicali o gli ospedalieri
di cui si sa o si ha ragione di
credere che presentino una probabilità
relativamente debole di contenere
materie infettanti.
Partendo da queste considerazioni,
è evidente come i procedimenti
relativi alla raccolta e al trasporto
dei rifiuti sanitari pericolosi
debbano prendere in considerazione
quanto disposto sia dal D.P.R. n.
254/2003 che dalle norme dell’ADR.
Gli imballaggi
e la disciplina sanitaria
sui rifiuti
Il D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254
all’art. 8, comma 1 («Deposito
temporaneo, deposito preliminare,
raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari
pericolosi a rischio infettivo»),
dispone che, per garantire la
tutela della salute e dell’ambiente,
il deposito temporaneo, la movimentazione,
interna alla struttura
[3] Si veda la nota 2.
9 agosto 2005 ­ N. 16
L'APPROFONDIMENTO
sanitaria, il deposito preliminare,
la raccolta e il trasporto dei rifiuti
sanitari pericolosi a rischio infettivo
devono essere effettuati utilizzando
apposito imballaggio a perdere,
anche flessibile, recante la
scritta “Rifiuti sanitari pericolosi
a rischio infettivo” e il simbolo del
rischio biologico.
Se si tratta di rifiuti contenenti
oggetti taglienti o pungenti, deve
essere predisposto apposito imballaggio
rigido a perdere, resistente
alla perforazione, recante
la scritta “Rifiuti sanitari pericolosi
a rischio infettivo taglianti e
pungenti”.
Entrambi gli imballaggi devono
inoltre essere riposti in un secondo
imballaggio rigido esterno, eventualmente
riutilizzabile, previa
idonea disinfezione a ogni ciclo
chiuso, recante la scritta “Rifiuti
sanitari pericolosi a rischio infettivo”.
Il successivo comma 2 dispone
che «gli imballaggi esterni di cui
al comma 1 devono avere caratteristiche
adeguate per resistere agli
urti ad alle sollecitazioni provocate
durante la loro movimentazione
e trasporto, e devono essere realizzati
in un colore idoneo a distinguerli
dagli altri imballaggi utilizzati
per il conferimento degli altri
rifiuti».
La resistenza a eventuali oggetti
taglienti non dovrebbe essere richiesta,
in quanto ai sensi dell’art.
2, D.M. 28 settembre 1990 recante
«Norme di protezione del contagio
professionale da HIV nelle strutture
sanitarie ed assistenziali pubbliche
e private», si richiede che «l’eliminazione
degli aghi e degli altri oggetti
taglienti, utilizzati nei confronti
di qualsiasi paziente, deve avvenire
con cautele idonee ad evitare
punture o tagli accidentali. In particolare
gli aghi, le lame di bisturi e
gli altri strumenti acuminati o taglienti
monouso non debbono esse-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
re rimossi dalle siringhe o da altri
supporti né in alcun modo manipolati
o rincappucciati, ma riposti,
per l’eliminazione, in appositi contenitori
resistenti alla puntura».
Le caratteristiche
degli imballaggi
in base all’ADR
Il trasporto dei rifiuti pericolosi
della classe 6.2, deve sottostare alle
condizioni previste dalla normativa
ADR.
Secondo questa normativa, i rifiuti
della classe 6.2 caratterizzati
dal numero ONU 3291 possono, a
certe condizioni [3] , essere trasportati
in cisterna e alla rinfusa.
Per quanto riguarda, invece, il
trasporto in imballaggi, le principali
disposizioni relative sono riportate
in forma schematica nella colonna
8 (Istruzioni di imballaggio)
della Tabella A del Capitolo 3.2
(Lista delle merci pericolose) dell’ADR.
Risultano, quindi, applicabili
le seguenti istruzioni di imballaggio:
l istruzione di imballaggio P621
per le merci pericolose con numero
ONU 3291 trasportate in imballaggi
propriamente detti;
l istruzione di imballaggio
IBC620 per le merci pericolose
con numero ONU 3291 trasportate
in GIR;
l istruzione di imballaggio LP621
per le merci pericolose con numero
ONU 3291 trasportate in grandi
imballaggi;
l istruzione di imballaggio P620
per le merci pericolose con numeri
ONU 2814 e 2900 trasportate in
imballaggi propriamente detti.
Istruzione
di imballaggio P621
Gli imballaggi:
l per i solidi devono essere rigidi,
a tenuta e adatti a contenere
liquidi e con riserva che ci sia una
quantità sufficiente di materiale
31

SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
assorbente per assimilare la totalità
del liquido nel caso sia presente
e rispondere al livello di prova del
gruppo di imballaggio II;
l per le materie liquide devono rispondere
al livello di prova del
gruppo di imballaggio II per liquidi
e devono essere conformi alle
“Prescrizioni relative alla costruzione
e alle prove di imballaggio”
enunciate nel Capitolo 6.1 dell’ADR.
Inoltre, gli imballaggi destinati a
contenere oggetti taglienti o a punta,
come frammenti di vetro e aghi,
devono resistere alla perforazione e
trattenere i liquidi.
Istruzione
di imballaggio IBC620
I GIR (grandi recipienti per il
trasporto alla rinfusa) devono essere
rigidi a tenuta, soddisfare il livello
di prova del gruppo di imballaggio
II, poter trattenere i liquidi e
contenere una quantità sufficiente
di materiale per assorbire la totalità
del liquido presente. Nel caso siano
destinati a contenere oggetti taglienti
o a punta, come frammenti
di vetro e aghi, devono resistere
alle perforazioni.
Istruzione
di imballaggio LP621
I rifiuti ospedalieri, se contenuti
in imballaggi interni, possono essere
trasportati in grandi imballaggi
rigidi a tenuta, che rispondano al
livello di prova del gruppo di imballaggio
II per le materie solide, a
condizione che ci sia una quantità
sufficiente di materiale assorbente
per assorbire la totalità del liquido
eventualmente presente e che il
grande imballaggio sia atto a contenere
liquidi. I rifiuti contenenti
grandi quantità di liquido e imballati
in colli possono essere trasportati
in grandi imballaggi rigidi che
rispondano al livello di prova del
gruppo di imballaggio II per i liquidi.
Inoltre, i grandi imballaggi
destinati a contenere oggetti taglienti
o a punta, come frammenti
32
L'APPROFONDIMENTO
di vetro e aghi, hanno l’obbligo di
resistere alle perforazioni e trattenere
i liquidi.
Istruzione di imballaggio P620
Gli imballaggi interni devono
comprendere:
l uno o più recipienti primari a tenuta;
l un imballaggio secondario a tenuta,
salvo il caso di materie infettanti
solide;
l un materiale assorbente in quantità
sufficiente per assorbire la totalità
del contenuto, sistemato tra il o
i recipienti primari e l’imballaggio
secondario; se più recipienti primari
sono messi in un imballaggio secondario
semplice, essi devono essere
avvolti individualmente o separati
per evitare ogni contatto tra
loro;
l un imballaggio esterno rigido
sufficientemente resistente, in funzione
della sua capacità, della sua
massa e dell’uso al quale è destinato,
la cui piccola dimensione
esterna non deve essere inferiore a
100 mm.
Disposizioni generiche
e marcature
Gli imballaggi interni contenenti
materie infettanti non devono
essere raggruppati con altri
imballaggi interni contenenti
merci non apparentate. I colli
completi possono essere sistemati
in un sovrimballaggio che può
contenere ghiaccio secco. Salvo
per le spedizioni eccezionali quali
quelle di organi interi, che necessitano
di un imballaggio speciale,
sono applicabili le seguenti disposizioni:
l materie spedite a temperatura
ambiente o ad una temperatura superiore:
i recipienti primari devono
essere di vetro, di metallo o di plastica.
Per garantire la tenuta, si devono
utilizzare mezzi efficaci come
termosaldatura, tappi con aderenza
esterna o capsula di metallo
serrata. Se si utilizzano tappi filettati,
essi devono essere bloccati
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
con mezzi efficaci come nastri, nastro
adesivo paraffinato, o a chiusura
con blocco;
l materie spedite refrigerate o
congelate: si deve sistemare ghiaccio
o ghiaccio secco o un’altra materia
refrigerante attorno al o agli
imballaggi secondari o nel sovrimballaggio,
contenente uno o più
colli completi marcati. Devono essere
previsti dei tramezzi interni
per mantenere il o gli imballaggi
secondari in posizione una volta
che il ghiaccio sia fuso o il ghiaccio
secco sia evaporato. Se si utilizza
ghiaccio, l’imballaggio esterno
o il sovrimballaggio deve essere
a tenuta; se si impiega ghiaccio
secco, l’imballaggio esterno o il
sovrimballaggio deve permettere il
rilascio dell’anidride carbonica. Il
recipiente primario e l’imballaggio
secondario devono mantenere la
loro integrità alla temperatura del
refrigerante utilizzato;
l materie spedite nell’azoto liquido:
si devono utilizzare recipienti
primari di materia plastica che possano
resistere a temperature molto
basse. Anche l’imballaggio secondario
deve poter resistere a temperature
molto basse e, nella maggior
parte dei casi, si dovrà adattare individualmente
su ogni recipiente
primario. Si devono applicare anche
le disposizioni relative al trasporto
di azoto liquido. Il recipiente
primario e l’imballaggio secondario
devono mantenere la loro integrità
alla temperatura dell’azoto liquido;
l materie liofilizzate: possono essere
anche trasportate in recipienti
primari costituti da ampolle di vetro
saldate alla fiamma di vetro con
tappo di gomma, sigillati con una
capsula metallica.
Quale sia la temperatura prevista
durante la spedizione, il recipiente
primario o l’imballaggio secondario
devono potere resistere, senza
perdita:
l a una pressione interna che dia
una differenza di pressione di almeno
95 kPa;
9 agosto 2005 ­ N. 16

l a temperature da -40°C a +55°C.
Tutti gli imballaggi devono essere
muniti della seguente marcatura:
l il simbolo ONU per gli imballaggi:
l il codice designante il tipo
d’imballaggio conformemente alle
prescrizioni relative al Codice di
identificazione del tipo di imballaggio
(ADR 6.1.2);
l la dicitura “CLASSE 6.2”;
l le ultime due cifre dell’anno di
fabbricazione dell’imballaggio;
l il nome dello Stato che autorizza
l’attribuzione del marchio, indicato
dalla sigla distintiva prevista
per i veicoli nel traffico internazionale;
l il nome del fabbricante o un’al-
9 agosto 2005 ­ N. 16
L'APPROFONDIMENTO
tra identificazione dell’imballaggio
secondo le prescrizioni dell’autorità
competente;
l per gli imballaggi che soddisfano
le disposizioni del 6.3.2.9 (inerente
i recipienti interni che possono
essere assemblati in un imballaggio
intermedio secondario e trasportati
senza essere sottoposti a
delle prove in un imballaggio
esterno qualora siano soddisfatte
determinate condizioni), la lettera
“U”, inserita immediatamente dopo
la dicitura di cui al secondo
punto.
Inoltre, ogni elemento del marchio
apposto conformemente a precedenti
punti deve essere chiaramente
separato, per esempio da una
barra obliqua o uno spazio, in modo
da essere facilmente identificabile.
I fabbricanti e gli ulteriori distributori
di imballaggi devono
fornire informazioni sulle procedure
da seguire come pure una
descrizione dei tipi e dimensioni
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
delle chiusure (compresi i giunti
richiesti) e ogni altro componente
necessario per assicurare che i
colli, come presentati al trasporto,
possano superare con successo le
prove di prestazione.
Deve essere redatto e messo a
disposizione degli utilizzatori dell’imballaggio
un processo-verbale
di prova che attesti che l’imballaggio,
pronto per il trasporto, è
stato provato conformemente alle
corrispondenti prescrizioni e che
l’utilizzazione di altri metodi di
imballaggio o di altri elementi di
imballaggio può invalidare il processo-verbale
di prova.
Conclusioni
Tenere conto della specificità
dei rifiuti pericolosi impone la necessità
di coordinare le norme sanitarie
e le norme che regolano il
trasporto di merci pericolose, al fine
di tutelare la salute e l’ambiente
durante tutte le fasi logistiche e di
trasporto. l
33

SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
L'APPROFONDIMENTO
Previste esenzioni per gli organismi il cui trasporto è autorizzato dalle autorità competenti
Anche gli OGM e i MOGM nell’ADR 2005
di Sergio Benassai, Presidente del SottoComitato Esperti ONU sul trasporto merci pericolose
Spazio anche per microrganismi
(MOGM) o organismi
geneticamente modificati (OGM)
nell’ADR 2005. In particolare, per
gli MOGM infettanti sono previsti
appositi numeri ONU e istruzioni
di imballaggio; esclusa, invece,
qualsiasi ipotesi di esenzione,
che, invece, si applica (anche se
in forma parziale) ai MOGM
non infettanti in quantitativi
trasportati per unità di trasporto
inferiori a 333 kg. Per quanto
riguarda le disposizioni previste
dalla security, per i primi
si applicano tutte le misure del
nuovo Capitolo 1.10,
ivi compreso l’obbligo
di adottare, attuare e seguire
un piano di sicurezza, mentre
per i non infettanti valgono solo
i provvedimenti di carattere
generale. Infine, gli OGM di cui
si conosce, o si presume,
il pericolo per l’ambiente,
devono essere trasportati
conformemente alle condizioni
specificate dall’autorità
competente del paese d’origine,
non esistendo, nell’ADR,
alcun parametro specifico
di riferimento per stabilire
la pericolosità per l’ambiente
degli OGM.
34
Nei microrganismi geneticamente
modificati (MOGM) e
gli organismi geneticamente
modificati (OGM) il materiale genetico
è stato di proposito alterato mediante
un procedimento che non si
riscontra in natura (si veda il paragrafo
2.2.9.1.11 dell’ADR).
MOGM infettanti
Se gli MOGM rispondono alle
caratteristiche delle materie infettanti,
vale a dire se possono causare
malattie all’uomo o agli animali,
devono essere classificati come tali
e, ovvero come materie della classe
6.2, numero ONU 2814 (MATE-
RIA INFETTANTE PER L’UO-
MO) o numero ONU 2900 (MATE-
RIA INFETTANTE PER GLI
ANIMALI unicamente). Le condizioni
di trasporto sono, dunque,
quelle indicate nella Tabella A della
Parte 3 («Lista delle merci pericolose»)
in corrispondenza di questi
numeri ONU.
È, quindi, richiesto che gli imballaggi
siano conformi all’Istruzione
di imballaggio
P620 e che sugli stessi (e sui veicoli)
sia apposta l’etichetta indicata
in figura 1.
In questo caso, inoltre, non è
prevista alcuna esenzione per il
trasporto in quantità limitate e
neppure alcuna esenzione parziale
ai sensi del paragrafo 1.1.3.6.3.
Essendo, inoltre, definite (nella tabella
1.10.5) come merci pericolose
ad altro rischio, si applicano
tutte le disposizioni relative alla
“security” del capitolo 1.10 (si veda
l’articolo pubblicato a pag. 56
del n. 15/2005 di Ambiente&Sicurezza),
ivi compreso l’obbligo di
adottare, attuare e seguire un piano
di sicurezza.
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
MOGM non infettanti
Se gli MOGM non rispondono alle
caratteristiche di materie infettanti,
ma possono causare agli animali, ai
vegetali o alle materie microbiologiche
modifiche che, normalmente, non
risultano dalla naturale riproduzione,
devono essere classificati come materie
della classe 9, numero ONU 3245
(MICRORGANISMI GENETICA-
MENTE MODIFICATI).
Anche in questo caso, le condizioni
di trasporto sono indicate
nella Tabella A della Parte 3 (Lista
delle merci pericolose) in corrispondenza
di tale numero ONU.
È, quindi, richiesto che gli imballaggi
siano conformi all’Istruzione
di imballaggio P904 (o alla
IBC08 se trasportati in GIR) e
che sugli stessi (e sui veicoli) sia
apposta l’etichetta riportata in figura
2.
Anche in questo caso non è prevista
alcuna esenzione per il tra-
Etichetta
per imballaggi e veicoli
per MOGM infettanti
Figura 1
9 agosto 2005 ­ N. 16

Etichetta
imballaggi e veicoli per
MOGM non infettanti
9 agosto 2005 ­ N. 16
Figura 2
sporto in quantità limitate.
Se però i quantitativi trasportati
per unità di trasporto sono inferiori
a 333 kg, si può usufruire delle
L'APPROFONDIMENTO
esenzioni parziali previste al paragrafo
1.1.3.6.3.
Quanto alle disposizioni di “security”
di cui al capitolo 1.10, si
applicano solo le misure di carattere
generale (non è richiesto il
piano di sicurezza); inoltre, per
quantitativi inferiori ai 333 kg, si è
esenti, ai sensi del paragrafo
1.1.3.6.3, da ogni disposizione di
“security”.
OGM pericolosi
per l’ambiente
Gli OGM di cui si sa, o si pensa,
che siano pericolosi per l’ambiente
devono essere trasportati conformemente
alle condizioni specificate
dall’autorità competente del
paese d’origine.
Non esiste, nell’ADR, alcun criterio
specifico al quale far riferimento
per stabilire se un OGM sia
o meno pericoloso per l’ambiente.
Cautelativamente si può, dunque,
considerare tutti gli OGM come pe-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
ricolosi per l’ambiente, a meno che
non si applichino i criteri di esenzione
(si veda in seguito).
D’altra parte, il trasporto degli
OGM pericolosi per l’ambiente non
è soggetto ad alcuna disposizione
specifica dell’ADR se non quella di
conformarsi a quanto stabilito dall’autorità
competente del paese dal
quale inizia il loro trasporto.
La ragione di ciò sta ovviamente
nel fatto che nella definizione di
“organismo” rientra un’enorme varietà
di specie viventi, dalle piante
ai primati; non è, di conseguenza,
possibile stabilire requisiti specifici,
ad esempio, per le modalità di
imballaggio, e così via.
Esenzioni
Il trasporto di OGM e MOGM
dei quali le autorità competenti dei
paesi interessati da origine, transito e
destinazione hanno autorizzato l’utilizzazione
è esente dall’ADR. l
35

SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
L'APPROFONDIMENTO
Le deroghe sono previste per quantitativi inferiori a 333 kg o a 1000 kg, a seconda della tipologia
Imballaggi, cisterne ed esenzioni:
i riferimenti per il trasporto dell’amianto
di Sergio Benassai, del SottoComitato Esperti ONU sul trasporto merci pericolose
Sebbene presenti le medesime
criticità della (ben più nota) fase
di smaltimento, il trasporto
dell’amianto resta ancora un
argomento poco discusso, pur
precedendo, in ordine di tempo,
il conferimento in discarica.
Ai fini del trasporto è importante
definire la classificazione, a sua
volta basata sulla tipologia
(amianto “blu” e “bruno” da una
parte e “bianco” dall’altra), che
prevede differenti numeri ONU,
classi, codici di classificazione,
numeri di identificazione del
pericolo e gruppi di imballaggio.
Per quanto riguarda i recipienti,
l’amianto può essere trasportato
negli imballaggi per solidi previsti
nell’istruzione di imballaggio
P002 e nei GIR previsti
dall’istruzione di imballaggio
IBC08 e nelle cisterne del tipo
SGAH, cioè per solidi (S), con
pressione di calcolo valutata
secondo 6.8.2.1.14 (G), con
aperture in basso con due
chiusure (A) e chiuse
ermeticamente (H); non è
ammesso il trasporto alla rinfusa.
Disposizioni, infine, per
documentazione ed esenzioni.
36
Normalmente ci si occupa (e
preoccupa) molto della presenza
di amianto negli edifici,
della loro bonifica e dello smaltimento,
mentre in genere poco si parla del suo
trasporto. Eppure l’amianto è una delle
poche materie cancerogene che è stata
classificata come pericolosa ai fini del
trasporto, per il quale l’effetto che ne
caratterizza la pericolosità, quello cancerogeno,
normalmente non è preso in
considerazione. D’altro canto è evidente
che l’amianto, in particolare sotto
forma di rifiuto, prima di essere smaltito,
debba essere trasportato. Ricordando
che, per la normativa sul trasporto di
merci pericolose, anche i rifiuti sono
considerati alla stessa stregua di una
qualunque miscela o soluzione o preparato
(fatto salvo quanto richiesto per il
documento di trasporto), si riassumono
alcuni obblighi ai quali si deve adempiere
per il trasporto dell’amianto (sotto
forma di rifiuto).
Classificazione
L’amianto è classificato sotto due
numeri ONU:
l 2212;
l 2590.
I dettagli sono riportati nella tabella 1.
Imballaggi
L’amianto (UN 2212 e UN 2590)
può essere trasportato negli imballaggi
per solidi previsti nell’istruzione di imballaggio
P002 e nei GIR previsti dall’istruzione
di imballaggio IBC08.
Come stabilito dalla disposizione
speciale d’imballaggio PP 37, sono
utilizzabili anche i sacchi di carta
5M1 a condizione che siano trasportati
in veicoli o contenitori
chiusi o come carichi unitari con
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
copertura termoretraibile o stirabile.
La disposizione speciale d’imballaggio
B 4, inoltre, prevede l’utilizzo di
GIR flessibili di cartone o legno, a condizione
che siano a tenuta di polveri e
resistenti all’acqua o muniti di una fodera
a tenuta di polveri e resistente all’acqua.
Infine, secondo dalla disposizione
speciale MP 10, l’amianto può essere
imballato in comune in un imballaggio
combinato con altre merci, pericolose
o non, a condizione che in ogni imballaggio
interno non vi siano più di 5 kg
di amianto e che non vi sia il pericolo
di sviluppo di reazioni pericolose.
Solo per l’amianto bianco (UN
2590):
l è ammesso l’imballaggio in imballaggi
metallici leggeri in accordo con
l’istruzione di imballaggio R 001;
l i colli devono essere caricati in veicoli
o contenitori chiusi o tendonati.
Dal 2005 questa disposizione speciale
sarà cancellata, ferme restando
le disposizioni generali del 7.2.4
Cisterne
L’amianto (sia UN 2212 che UN
2590) può essere trasportato in cisterne
del tipo SGAH, cioè in cisterne per
solidi (S), con pressione di calcolo valutata
secondo 6.8.2.1.14 (G), con
aperture in basso con due chiusure (A)
e chiuse ermeticamente (H).
Va notato che, al di là della definizione,
la disposizione speciale TE 15
precisa che sono da considerarsi chiuse
ermeticamente le cisterne con valvole
di depressione che si aprono ad una
pressione negativa di almeno 21 kPa.
Queste cisterne (si veda la disposizione
speciale TU 15) non devono essere
utilizzate per il trasporto di derrate
alimentari, oggetti di consumo e pro-
9 agosto 2005 ­ N. 16

9 agosto 2005 ­ N. 16
L'APPROFONDIMENTO
La classificazione dell’amianto ai fini del trasporto
TIPO AMIANTO
dotti per l’alimentazione degli animali.
Secondo quanto previsto dalla disposizione
speciale TE 1, se le cisterne
sono munite di valvole di sicurezza,
queste devono essere precedute da un
disco di rottura, con un manometro o
altro dispositivo installato fra il disco di
rottura e la valvola di sicurezza. Dal
2005 questa disposizione speciale sarà
cancellata.
I veicoli devono essere del tipo AT.
Trasporto alla rinfusa
Non è ammesso il trasporto alla rinfusa
dell’amianto.
Documento di trasporto
Sul documento di trasporto deve essere
riportata, insieme alle altre informazioni
previste, la seguente dicitura:
RIFIUTO, UN 2212 AMIANTO
BLU, 9, II
oppure
RIFIUTO, UN 2212 AMIANTO
BRUNO, 9, II
oppure
RIFIUTO, UN 2590 AMIANTO
BIANCO, 9, III
Altre disposizioni
Quanto sopra non esaurisce ovviamente
gli obblighi previsti dall’ADR ai
quali si deve ottemperare (si veda, ad
esempio, le disposizioni relative all’etichettatura,
alla formazione, al consigliere
per la sicurezza, all’equipaggiamento
dei veicoli, ecc. ecc.).
Esenzioni
Esenzioni generali
In accordo con la disposizione spe-
Amianto blu (crocidolite)
e amianto bruno (amosite o misorite)
ciale 168, l’amianto immerso o fissato
in un materiale legante naturale o artificiale
(come cemento, plastica, asfalto,
resina o minerali), in modo tale che durante
il trasporto non possano essere liberate
quantità pericolose di fibre
d’amianto respirabili, non è sottoposto
alle disposizioni dell’ADR. Gli oggetti
manufatti che contengono amianto e
che non soddisfano questa disposizione
non sono, comunque, sottoposti alle disposizioni
dell’ADR, se sono imballati
in modo tale che, durante il trasporto
,non possano essere liberate quantità pericolose
di fibre di amianto respirabili.
Esenzioni per quantità limitate
Qualora l’amianto blu o bruno
(UN 2212) sia trasportato:
l in imballaggi combinati la cui massa
lorda non sia superiore a 4 kg e costituiti
da imballaggi interni, ognuno dei quali
contenente non più di 1 kg,
o
l in imballaggi interni, ognuno dei
quali contenente non più di 1 kg, sistemati
in vassoi con pellicola termoretraibile
o estensibile con massa lorda
non superiore a 20 kg
e sui colli sia riportato il seguente marchio:
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
TABELLA 1
Amianto bianco
(antofillite, crisotilo, actinolite,
tremolite*)
NUMERO ONU UN 2212 UN 2590
CLASSE 9 9
CODICE DI CLASSIFICAZIONE M1 M1
NUMERO DI IDENTIFICAZIONE
DEL PERICOLO
90 90
GRUPPO DI IMBALLAGGIO II III
Per quanto riguarda l’amianto bianco, la disposizione speciale 542 specifica che è assegnato a questa rubrica anche il talco contenente actinolite o
tremolite.
non si applica alcun’altra disposizione
dell’ADR (si veda il capitolo
3.4).
Qualora l’amianto bianco
(UN2590) sia trasportato:
l in imballaggi combinati la cui
massa lorda non sia superiore a 24 kg
e costituiti da imballaggi interni,
ognuno dei quali contenente non più
di 6 kg,
o
in imballaggi interni, ognuno dei quali
contenente non più di 6 kg, sistemati in
vassoi con pellicola termoretraibile o
estensibile con massa lorda non superiore
a 20 kg
e sui colli sia riportato il seguente marchio:
non si applica alcun’altra disposizione
dell’ADR (si veda il capitolo 3.4).
Esenzioni parziali
Qualora l’amianto sia trasportato in
quantitativi inferiori a:
l 333 kg (per UN 2212);
l 1000 kg (per UN 2590),
si è esentati (vedi 1.1.3.6) da alcune
disposizioni dell’ADR, quali
l’etichettatura dei veicoli, l’obbligo
delle istruzioni scritte, ecc. l
37

SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
L'APPROFONDIMENTO
Definite, tra l’altro, le condizioni per l’applicazione del nuovo Capitolo 1.10 sulla security
Sul trasporto dei materiali radioattivi
precauzioni al massimo livello
di Sandro Trivelloni, esperto trasporto materiali radioattivi
Sul tema del trasporto dei
materiali radioattivi, l’ADR 2005
ha recepito le nuove disposizioni
della regolamentazione 2003
dell’IAEA (International Agency
for Atomic Energy). In particolare,
è stata introdotta una nuova
sezione 1.7.6 nell’ADR con titolo
“Non conformità” che stabilisce
le disposizioni da osservare e gli
obblighi di responsabilità
per i diversi operatori (speditore,
trasportatore e destinatario)
nel caso di non conformità
(superamento) per uno
qualunque dei limiti ADR
applicabili all’intensità
di irraggiamento o alla
contaminazione superficiale dei
colli. Inoltre, sono stati precisati
i casi in cui le materie radioattive
sono definite “merci pericolose
ad alto rischio” e, quindi, da
sottoporre al nuovo Capitolo 1.10
sulla security. Altre misure
riguardano, tra l’altro, le
condizioni di insolazione sulle
superfici di determinate tipologie
di colli e il programma
di aggiornamento della
formazione per i conducenti
38
Specificità
delle materie radioattive
I materiali radioattivi, classe 7
delle merci pericolose, si caratterizzano
per alcune specificità al pari
delle classi 1, 2, 5.2, 6.2 per quanto
attiene, ad esempio, la classificazione,
l’imballaggio, l’etichettatura, ecc.
Si deve considerare, infatti, che le
materie radioattive manifestano la loro
pericolosità, al contrario di tutte le
altre classi, anche in condizioni di
trasporto cosiddette “di routine” cioè
in assenza di incidenti durante il trasporto.
Questo è dovuto alla caratteristica
del rischio da radiazioni ionizzanti
che è associato al fenomeno
della radioattività. Altra specificità riguarda
la classificazione delle materie,
nel caso in cui queste presentino
caratteristiche di pericolo rientranti in
più classi o gruppi di materie. Infatti,
in questi casi, la materia va classificata
in relazione al pericolo preponderante
che, nella classifica di pericolosità
riportata dall’ADR, vede le
materie radioattive al primo posto.
I requisiti tecnici e molte disposizioni
che regolano il trasporto delle
materie radioattive presenti nell’ADR,
così come negli altri regolamenti
modali di trasporto (RID,
ICAO TI, IMDG Code), derivano,
come per le altre classi, dalle «raccomandazioni
ONU sul trasporto di
merci pericolose», ma anche in questo
caso con una specificità. Infatti, le
raccomandazioni ONU per la classe
7 non fanno altro che incorporare il
testo della «regolamentazione IAEA
per il trasporto di materie radioatti-
[1] «Impiego pacifico dell’energia nucleare» (in Gazzetta Ufficiale del 30 gennaio 1963, n. 2).
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
ve» che, a livello internazionale, indipendentemente
dalla modalità di
trasporto, stabilisce i requisiti di sicurezza
per il trasporto delle materie
radioattive. La prerogativa della International
Agency for Atomic Energy
(IAEA) di stabilire questi requisiti
di sicurezza deriva dal suo statuto.
La IAEA, infatti, come agenzia delle
Nazioni Unite fondata nel 1957 con
sede a Vienna, rappresenta il centro
mondiale per la cooperazione in
campo nucleare. La sua missione è
quella di promuovere l’uso pacifico e
in condizioni di sicurezza delle tecnologie
nucleari; pertanto, essendo il
trasporto delle materie radioattive
funzionale all’uso delle tecnologie
nucleari ai fini industriali, di ricerca,
medici e per la produzione di energia
da fonte nucleare, la IAEA ha anche
il compito di stabilire i requisiti di
sicurezza del trasporto. La regolamentazione
IAEA, al pari delle raccomandazioni
ONU e dei regolamenti
modali di trasporto, subisce un
ciclo di revisione biennale; di conseguenza,
nell’edizione 2005 dell’ADR
sono incorporati i requisiti
previsti dalla regolamentazione IA-
EA, edizione 2003.
Va, comunque, sottolineato che il
rispetto dei requisiti dell’ADR per il
trasporto delle materie radioattive è
condizione necessaria, ma non sufficiente,
per poter esercitare questo tipo
di attività, almeno in Italia. Infatti,
in applicazione di norme nazionali
(legge 31 dicembre 1962, n. 1860 [1] e
relativi decreti applicativi) che regolamentano
l’uso pacifico dell’ener-
9 agosto 2005 ­ N. 16

gia nucleare e il trasporto di materie
radioattive (funzionale a questo fine),
tale attività è soggetta ad autorizzazione
e deve essere gestita in
accordo alle norme di protezione
dalle radiazioni ionizzanti per i lavoratori
e la popolazione stabilite nel
decreto legislativo 17 marzo 1995, n.
230 [2] , e successive modifiche e integrazioni.
Ulteriori requisiti di tipo,
soprattutto amministrativo, nel caso
di trasporto di materie radioattive
con valori di attività del materiale
superiore a determinati limiti espressi
in termini di A 1 ed A 2, sono, inoltre,
stabiliti dalla circolare del Ministero
dei Trasporti e della Navigazio-
9 agosto 2005 ­ N. 16
L'APPROFONDIMENTO
Rischio da radiazioni crescente
ne 16 dicembre 1996, n. 162 «Materie
radioattive (classe 7 di cui alla
classifica contenuta negli allegati A
e B del D.M. 4/9/1996) - Prescrizioni
di sicurezza relative al trasporto
nazionale ed internazionale su strada».
Ai fini di una disamina dei requisiti
tecnici e delle disposizioni dell’ADR
relative al trasporto delle
materie radioattive in colli è opportuno
distinguere due famiglie nella
Classe 7:
l trasporto di materie radioattive in
colli esenti;
l trasporto di materie radioattive in
colli diversi dai colli esenti.
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
Etichetta I - BIANCA Etichetta II - GIALLA Etichetta III - GIALLA
Figura 1
Trasporto di materie
radioattive in colli esenti
Il trasporto di colli esenti in Italia
rappresenta circa il 47% del totale
dei colli contenenti materie radioattive
su un totale di circa 200.000 colli/
anno. Questa tipologia di colli viene
usata principalmente per il trasporto
di kit per radiodiagnostica contenenti
piccole quantità, da centinaia di KBq
a qualche MBq, di isotopi radioattivi
( 125 I, 201 Tl, 67 Ga, ecc.) e, in molti casi,
gli stessi colli si identificano con
strumenti o articoli contenenti piccole
sorgenti radioattive utilizzate in
vari settori (rilevamento degli inquinanti
nell’aria, misure di spessori di
Estratto dalla Tabella 1.1.3.6.3 per le materie radioattive
trasportate in colli esenti
Categoria di trasporto
Sostanza o articolo
gruppo di imballaggio
o codice di classificazione/gruppo
o n. ONU
TABELLA 1
Quantità massima totale
per unità di trasporto
4 Classe 7: n. ONU da 2908 a 2911 illimitato
[2] «Attuazione delle direttive 89/618/ Euratom, 90/641/Euratom e 92/3/Euratom e 96/29/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti»
(in Gazzetta Ufficiale del 13 giugno 1995, n. 136)
39

40
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
materiali - carta, acciaio - durante il
ciclo di produzione industriale, misure
di livello di liquidi nei serbatoi,
rilevamento di fumi negli edifici). Il
trasporto di materiali radioattivi in
colli esenti gode delle deroghe previste
dall’ADR alla sotto-sezione
1.1.3.6 relative alle quantità trasportate
per unità di trasporto. Come si
evidenzia dalla tabella 1, la quantità
totale massima per unità di trasporto
per questi numeri ONU è illimitata.
La quantità massima per unità di
trasporto illimitata indica che il rischio
radiologico associato al trasporto
di colli esenti è estremamente
limitato tenuto conto delle quantità e
delle caratteristiche fisiche del materiale
radioattivo contenuto nei colli.
Nella tabella 2 sono riportati i limiti,
in termini di A 1 e A 2, nel caso di
trasporto di strumenti od oggetti contenenti
materie radioattive identificati
come colli esenti o di materiali radioattivi
all’interno di colli esenti.
Le principali esenzioni previste
alla sotto-sezione 1.1.3.6 che si appli-
L'APPROFONDIMENTO
Tabella 2.2.7.7.1.2.1 ­ Limiti di attività per colli esenti
Stato fisico dei contenuti
Solidi:
forma speciale
altre forme
Strumento o oggetto Materiali
cano nel caso di trasporto di soli colli
esenti riguardano:
l le misure relative alla sicurezza
(security) nel trasporto delle merci
pericolose (capitolo 1.10);
l la necessità per le aziende della
nomina del consulente della sicurezza
(sezione 1.8.3);
l l’etichettatura e la segnalazione
arancio dei contenitori e dei veicoli
(capitolo 5.3);
l le istruzioni scritte per il conducente
(sezione 5.4.3);
l il possesso del certificato di formazione
professionale del conducente
(patentino ADR);
Trasporto in colli diversi
dagli esenti
Il trasporto di materie radioattive
con colli diversi da quelli esenti riguarda
tutte le tipologie di imballaggi le cui
caratteristiche e requisiti di progetto
sono codificati dalla regolamentazione
IAEA per il trasporto delle materie radioattive
e riportati completamente
nell’ADR. Le materie radioattive tra-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
TABELLA 2
Limiti per oggetto Limiti per collo Limiti per collo
10 ­2 A 1
10 ­2 A 2
A 1
A 2
10 ­3 A 1
10 ­3 A 2
Liquidi 10 ­3 A 2 10 ­1 A 2 10 ­4 A 2
Gas
trizio
forma speciale
altre forme
2x10 ­2 A 2
10 ­3 A 1
10 ­3 A 2
2x10 ­1 A 2
10 ­2 A 1
10 ­2 A 2
2x10 ­2 A 2
10 ­3 A 1
10 ­3 A 2
sportate in questo tipo di imballaggi
sono quelle individuate dai numeri
ONU nella tabella 3, dalla quale si
evidenzia come per questi numeri
ONU non si applichino le esenzioni
dell’1.1.3.6, in quanto la massima
quantità per unità di trasporto è 0.
I limiti in termini di attività delle
materie radioattive trasportate e in
termini di restrizione sul tipo di materie
radioattive trasportate sono indicati
nella tabella 4.
Il trasporto di questi colli, secondo
le diverse tipologie, riguarda per:
l circa il 50%, colli di tipo A;
l il 2,5%, colli di tipo B;
l lo 0,5%, colli di tipo industriale
su un totale di circa 200.000 colli/anno
trasportati in Italia.
I colli di tipo A sono prevalentemente
usati per il trasporto di materie
radioattive usate in campo medico
(diagnostica, rifiuti radioattivi ospedalieri),
nella ricerca e in campo industriale,
mentre i colli di tipo B sono
usati per il trasporto in campo
medico (terapie contro i tumori), in
Estratto dalla Tabella 1.1.3.6.3 per le materie radioattive
trasportate in colli diversi dai colli esenti
Sostanza o articolo
Categoria di trasporto
gruppo di imballaggio
o codice di classificazione/gruppo o n. ONU
0 (*) Classe 7: n. ONU da 2912 a 2919, 2977,
2978 e da 3321 a 3333
TABELLA 3
Quantità massima totale
per unità di trasporto
0
9 agosto 2005 ­ N. 16

9 agosto 2005 ­ N. 16
Limiti e restrizioni
campo industriale (sterilizzazione di
prodotti a uso medicale, controlli non
distruttivi con sorgenti radioattive) e
nel ciclo di produzione dell’energia
elettrica da fonte nucleare. Questi
colli devono essere marcati con le
etichette di pericolo, previste per le
altre merci pericolose, che forniscono
informazioni importanti ai fini
della protezione dal rischio di radiazione
per i lavoratori, la popolazione
e l’ambiente. Infatti, le etichette di
pericolo, che devono essere applicate
in base ai valori dell’irraggiamento
sulla superficie del collo e al valore
dell’indice di trasporto, forniscono
l’informazione sul grado di pericolosità
del collo legata al rischio da radiazioni.
Le tre etichette riportate
nella figura 1 (I-BIANCA, II-GIAL-
LA e III-GIALLA) indicano un rischio
da radiazioni crescente che
consente di poter adottare le corrette
azioni da osservare, da parte dei lavoratori
coinvolti nel trasporto, al fi-
L'APPROFONDIMENTO
ne di ridurre al minimo le dosi da
radiazioni. Inoltre, in base al tipo di
etichetta, possono essere stabilite le
distanze di segregazione da osservare
sia nella disposizione del carico nel
veicolo o unità di trasporto sia nel
caso di immagazzinamento in transito.
Le tabelle A e B (tabelle 5 e 6)
indicano i valori delle distanze di segregazione
in funzione dell’indice di
trasporto totale a bordo del veicolo e
le ore all’anno di esposizione alle radiazioni
che consentono sia di rispettare
i limiti di dose previsti dalle norme
di radioprotezione per la popolazione
e i lavoratori sia di preservare
dal danneggiamento merci sensibili
all’effetto delle radiazioni ionizzanti.
L’ADR 2005 e il trasporto
di materie radioattive
L’edizione 2003 della regolamentazione
IAEA per il trasporto delle
materie radioattive ha introdotto nuove
disposizioni che sono state inserite
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
Tipo di collo Limiti e restrizioni sui contenuti
TABELLA 4
Colli industriali di Tipo 1 (Colli di Tipo IP­1)* Quantità di materiali LSA e SCO limitata dall’avere un irraggiamento
esterno non superiore a 10 mSv/h a 3 m dal materiale non schermato
Colli industriali di Tipo 2 (Colli di Tipo IP­2)*
Colli industriali di Tipo 3 (Colli di Tipo IP­3)*
Colli di Tipo A A 1 per materie radioattive sotto forma speciale
A 2 per le altre materie radioattive
Colli di Tipo B(U) Attività, tipo di radionuclidi, forma geometrica, stato fisico e forma
chimica come autorizzati dal certificato di approvazione di modello
Colli di Tipo B(M)
di collo rilasciato dall’autorità competente
Colli di Tipo C
Colli per materie fissili Massa di materie fissili, attività, tipo di radionuclidi, forma geometrica,
stato fisico e forma chimica come autorizzati dal certificato di approvazione
di modello di collo rilasciato dall’autorità competente
Colli per esafluoruro di uranio Per quantità di esafluoruro > di 0,1 kg, i limiti autorizzati dal certificato
di approvazione di modello di collo rilasciato dall’autorità competente
* I colli industriali Tipo IP-1, Tipo IP-2 e Tipo IP-3 sono usati per il trasporto dei materiali LSA (Low Specific Activity) e degli oggetti
superficialmente contaminati SCO (Surface Contaminated Object).
nell’edizione 2005 dell’ADR. Alcune
di queste sono scaturite sia dall’analisi
dell’esperienza operativa legata all’attività
di trasporto delle materie radioattive
che dall’impatto degli attentati
terroristici dell’11 settembre 2001.
In particolare, a seguito della
scoperta, effettuata dall’autorità di
controllo francese (1998), di contaminazione
sugli imballaggi per il
trasporto degli elementi di combustibile
irraggiato, dagli impianti nucleari
agli stabilimenti di riprocessamento,
è stata introdotta una nuova
sezione 1.7.6 nell’ADR con titolo
“Non conformità”. In questa sezione
vengono stabilite le disposizioni
da osservare e gli obblighi di
responsabilità per i diversi operatori
(speditore, trasportatore e destinatario)
nel caso di non conformità
(superamento) per uno qualunque
dei limiti ADR applicabili all’intensità
di irraggiamento o alla contaminazione
superficiale dei colli.
41

SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
L’impatto sul trasporto delle
merci pericolose e, pertanto, anche
delle materie radioattive, dovuto
agli attacchi terroristici dell’11
settembre 2001, ha portato all’introduzione
nell’ADR 2005 di un
nuovo capitolo 1.10 dal titolo «Disposizioni
concernenti la sicurezza»
[3] . In questo caso, la sicurezza
è intesa come “security” e il capitolo
contiene sia disposizioni di
carattere generale, in termini di
identificazione del personale coinvolto
nel trasporto, che misure
particolari quali la predisposizione
di appositi piani di sicurezza, qualora
le merci pericolose trasportate
si configurino come “merci pericolose
ad alto rischio”. Questa
classificazione è riportata nella
Tabella 1.10.5 dell’ADR 2005 per
le varie classi di merci pericolose.
Le materie radioattive sono definite
“merci pericolose ad alto rischio”,
quando il contenuto radioattivo
degli imballaggi di tipo B o
tipo C è superiore a 3000 A 1 (per
materie radioattive in forma spe-
42
L'APPROFONDIMENTO
ciale) e 3000 A 2 (per le materie
radioattive in altre forme)
Ulteriori novità, di seguito elencate,
riguardano diversi aspetti quali:
l l’esclusione dall’applicazione dell’ADR
per oggetti solidi non radioattivi
per i quali le materie radioattive presenti
sulla loro superficie non superano
i valori di 0,4 Bq/cm 2 per emettitori
β e γ e 0,04 Bq/cm 2 per gli emettitori a
a bassa tossicità [2.2.7.1.2 f)];
l la disposizione riguardante il calcolo
del valore totale del CSI (Criticality
Safety Index) sia per i sovrimballaggi
e contenitori con cui vengono
trasportati colli di materie fissili
sia per i veicoli che trasportano colli
di materie fissili (2.2.7.6.2.2);
l il nuovo valore di A 1 = 1x10 -1 per
il 252 Cf (Tabella 2.2.7.7.2.1);
l la disposizione riguardante il trasporto
in colli esenti di materie radioattive
contenute in prodotti di consumo
(approvati dall’autorità competente),
a condizione che la quantità
totale di materie radioattive nella
spedizione non superi il limite per
spedizioni esenti della Tabella
Tabella A ­ Distanza minima tra i colli
di categoria II­GIALLA e III­GIALLA e le persone
Somma
degli indici
di trasporto
non superiore a
Durata dell'esposizione per anno (ore)
Zone in cui persone del pubblico
hanno regolarmente accesso
3] Sul tema si veda il contributo di R. Mari nella prima parte dell’Approfondimento pubblicato sul n. 15/2005 di Ambiente&Sicurezza.
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
2.2.7.7.2.1 e che i colli riportino l’indicazione
“RADIOATTIVO” su una
superficie interna in modo da segnalare
la presenza del materiale radioattivo
all’atto dell’apertura del collo
[2.2.7.9.3 b)];
l l’attribuzione del numero di identificazione
del pericolo 70 ai numeri
ONU 2913, 2915, 2916, 2917 e dal
numero ONU 3323 a 3333 [3.2.1 -
Tabella A (colonna 20)];
l le nuove prescrizioni concernenti
gli imballaggi per il trasporto di esaflururo
di uranio (6.4.6.1 - 6.4.6.4);
l le condizioni di insolazione sulle
superfici dei colli di Tipo B(U) che
rappresentano un elemento delle condizioni
ambientali da considerare come
parametro di progetto dell’imballaggio
(6.4.8.5);
l il programma di aggiornamento
della formazione per i conducenti
che deve essere previsto a intervalli
regolari, effettuato prima della scadenza
di validità del certificato di
formazione professionale (CFP), e
deve avere la durata di almeno due
giorni (8.2.2.5.3). l
Zone di lavoro
regolarmente occupate
50 250 50 250
Distanza di separazione in metri, senza materiale di schermaggio
2 1 3 0,5 1
4 1,5 4 0,5 1,5
8 2,5 6 1,0 2,5
12 3 7,5 1,0 3
20 4 9,5 1,5 4
30 5 12 2 5
40 5,5 13,5 2,5 5,5
50 6,5 15,5 3 6,5
TABELLA 5
9 agosto 2005 ­ N. 16

9 agosto 2005 ­ N. 16
L'APPROFONDIMENTO
Glossario
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
TABELLA 6
Tabella B ­ Distanze minime tra i colli delle categorie II­GIALLA
e III­GIALLA e i colli recanti una etichetta “FOTO” o i sacchi postali
Numero totale
Durata del trasporto
di colli superiore a
III­GIALLA II­GIALLA
Somma totale degli indici di
trasporto non superiore a 1 2
o del deposito in ore
4 10 24 48 120 240
Distanza minima in metri
0,2 0,5 0,5 0,5 0,5 1 1 2 3
0,5 0,5 0,5 0,5 1 1 2 3 5
1 1 0,5 0,5 1 1 2 3 5 7
2 2 0.5 1 1 1,5 3 4 7 9
4 4 1 1 1,5 3 4 6 9 13
8 8 1 1,5 2 4 6 8 13 18
1 10 10 1 2 3 4 7 9 14 20
2 20 20 1,5 3 4 6 9 13 20 30
3 30 30 2 3 5 7 11 16 25 35
4 40 40 3 4 5 8 13 18 30 40
5 50 50 3 4 6 9 14 20 32 45
A1 Valore massimo dell’attività in TBq di materiali radioattivi sotto forma speciale che può essere trasportata
in un collo di Tipo A ed è elencato nella tabella 2.2.7.7.2.1 per ciascun radionuclide.
A2 Valore massimo dell’attività in TBq di materiali radioattivi non sotto forma speciale che può essere
trasportata in un collo di Tipo A ed è elencato nella tabella 2.2.7.7.2.1 per ciascun radionuclide.
Indice di trasporto (IT): numero attribuito al collo al fine di controllare l’esposizione alle radiazioni che
fornisce indirettamente il valore del massimo irraggiamento in mSv/h a 1 m dalla superficie del collo.
43

SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
L'APPROFONDIMENTO
La pronuncia riguarda l’infortunio occorso a un autista durante le operazioni di carico di bitume
Accordo ADR e responsabilità penale:
finalmente, la prima sentenza in Italia
di Giandomenico Villa, Presidente del Comitato Orange Project
Vista la più volte lamentata
assenza di una consolidata
posizione giurisprudenziale che
contribuisca ad aumentare i livelli
di sicurezza e di professionalità
nel settore del trasporto di merci
pericolose, non può che essere
vista favorevolmente la sentenza
5 novembre 2004 del Tribunale di
Ravenna n. 1368/2004, prima
pronuncia italiana in assoluto sul
tema. Il caso prende le mosse da
un infortunio occorso nel 2000 a
un autista durante le operazioni
di carico con bitume alla
temperatura di 150° C. Al di là del
fatto di costituire un precedente,
la sentenza ribadisce alcuni
principi fondamentali, come
il fatto che l’ADR non riguarda
solo il trasporto, ma anche
le operazioni di carico/scarico
di merci pericolose e l’assoluta
importanza di adottare
prassi/procedure conformi
all’ADR, anche in termini
di formazione obbligatoria
degli addetti coinvolti, di attività
di verifica del “Consulente”
e di obblighi/responsabilità
del “Capo dell’Impresa”.
44
Il quadro sanzionatorio della normativa
vigente sul trasporto stradale
di merci pericolose (ADR,
Consulente, Codice della Strada) è da
tempo oggetto di studio da parte degli
esperti che indagano sulle conseguenze
civili e penali derivanti da violazioni
di prescrizioni tecniche che, normalmente,
prevedono sanzioni esclusivamente
di tipo amministrativo.
In Italia, a fronte della più volte
lamentata mancanza di controlli efficaci
e di sanzioni adeguate, ogni analisi
sulle prospettive di crescita dei
livelli di sicurezza e di professionalità
del settore deve concludersi rinviando
l’evoluzione tanto attesa al consolidamento
di una giurisprudenza specifica.
Importantissimo, quindi, è il
fatto che in data 14 ottobre 2004 sia
stata pronunciata la sentenza del Tribunale
di Ravenna n. 1368/2004,
depositata in cancelleria il 5 novembre
2004 dal Giudice Unico di 1°
grado Piero Messini D’Agostini; si
tratta della prima sentenza a seguito
di un incidente con «lesioni aggravate
colpose» derivante dalla violazione
di alcune prescrizioni dell’ADR.
I fatti sono accaduti nel settembre
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
Il testo integrale della sentenza del Tribunale di
Ravenna 5 novembre 2004, n. 1368/2004, è disponibile
all’indirizzo
2000, vigendo l’ADR 1999 ed essendo
stato introdotto da circa 6 mesi il
D.Lgs. n. 40/2000 [1] , sul “Consulente”.
Tra le altre cose, la sentenza di Ravenna
riguarda un caso piuttosto rappresentativo
proprio in ragione dell’elevata
incidenza dell’attività coinvolta (trasporti
petroliferi in cisterna) sull’intero
comparto delle merci pericolose; si
tratta di:
l attività di carico di un veicolo-cisterna
in ambito petrolifero (raffineria);
l operazioni di carico affidate per la
maggior parte all’autista;
l violazione delle prescrizioni ADR
sui controlli visivi e documentali precedenti
il carico.
Breve ricostruzione
dell’incidente
Il 26 settembre 2000 erano in corso
operazioni di carico con bitume 80/
100 alla temperatura di 150 °C, dai
serbatoi di stoccaggio dello stabilimento
di produzione a un semirimorchio-cisterna
posizionato presso l’apposita
pista di carico.
Le operazioni avvenivano a cielo
aperto, tenendo aperto il passo d’uomo
della cisterna nel quale l’autista
[1] «Attuazione della direttiva 96/35/CE relativa alla designazione e alla qualificazione professionale dei consulenti per la sicurezza dei
trasporti su strada, per ferrovia o per via navigabile di merci pericolose» (in Gazzetta Ufficiale del 3 marzo 2000, n. 52). Si veda
anche il Supplemento n. 2/2000 di Ambiente&Sicurezza.
9 agosto 2005 ­ N. 16

aveva introdotto l’apposito braccio di
carico dell’impianto collegato ai serbatoi
di stoccaggio dello stabilimento.
Dalla sua postazione fissa, a terra,
l’operatore dello stabilimento addetto
al carico aveva avviato le pompe di
travaso dopo il segnale dell’autista il
quale, operando sulla sommità della
cisterna, aveva il compito di governare
il braccio di carico durante le operazioni
e di controllare il grado di riempimento
della cisterna. L’autista, assunto
da poco, era affiancato ad un
altro esperto (esterno alla ditta), che
aveva il compito di istruirlo sul lavoro
da svolgere per conto della ditta di
trasporti operante nell’ambito dello
stabilimento.
Purtroppo, a causa di una serie di
circostanze sfavorevoli e di comunicazioni
insufficienti, il semirimorchiocisterna
presentato al carico era “gemello”
di quello che era stato programmato
e, a differenza di quest’ultimo
che aveva trasportato bitume, conteneva
i residui di “emulsione di bitume
con acqua” dell’ultimo trasporto
effettuato alcuni giorni prima.
In circa 10 minuti, la cisterna - monoscomparto
da 29.100 litri - era stata
riempita intorno al 75% della capacità
quando l’autista è stato investito a più
riprese da violenti getti di bitume che
fuoriuscivano dal passo d’uomo. È
successo che l’acqua - presente in
grossa quantità nei residui di emulsione
e separatasi dal bitume durante il
tempo trascorso - è evaporata improvvisamente
e violentemente a seguito
del prolungato contatto con il bitume
a 150 °C che veniva immesso nella
cisterna. Fuoriuscendo dal passo d’uomo,
il vapore acqueo trascinava il bitume
nei getti che si sono generati.
L’autista è stato investito dal bitume
bollente e ha riportato gravi ustioni
che richiedono, tuttora, cure mediche
specialistiche. Anche l’autista esperto,
che si trovava sulla stessa cisterna, anche
se in posizione arretrata, è stato
investito da schizzi di bitume riportando
danni guaribili in pochi giorni.
9 agosto 2005 ­ N. 16
L'APPROFONDIMENTO
Procedimento penale
A seguito delle indagini sull’infortunio,
svolte dal competente Servizio
dell’Azienda USL di Ravenna, gli Ufficiali
di Polizia Giudiziaria incaricati
inviarono alla Procura della Repubblica
di Ravenna conclusioni del seguente
tenore: «L’infortunio poteva essere
evitato qualora i datori di lavoro
avessero per quanto di competenza
prevista un’organizzazione del lavoro
tesa alla verifica delle modalità certe
della idoneità della cisterna per il carico
di bitume a 150 °C». Infatti,
«l’osservanza delle norme di prevenzione
infortuni vigenti (…) citate come
violate, avrebbe in ogni caso impedito
il carico di quella cisterna non
idonea a ricevere bitume 80/100 a
150 °C e l’organizzazione del lavoro
relativa avrebbe evidenziato gli errori
commessi dagli autisti già in fase
d’ingresso del mezzo in stabilimento».
Tra le norme indicate come violate
dagli Ispettori ASL (si veda oltre) non
vi era il minimo riferimento all’ADR.
Di conseguenza, nella successiva
causa penale risultavano imputati:
l il legale rappresentante dello stabilimento
(due titolari della funzione);
l il direttore di stabilimento con delega
alle funzioni di sicurezza
(RSPP);
l il “datore di lavoro” dell’autista infortunato
nonché legale rappresentante
di una seconda ditta di autotrasporti
che aveva subappaltato il trasporto da
effettuare.
I principali capi di imputazione,
qui riportati in forma indistinta, che si
riferivano esclusivamente alle norme
di prevenzione infortuni e sulla sicurezza
del lavoro, erano i seguenti:
l violazione art. 4, comma 2, lettera
b), D.Lgs. n. 626/1994 (Obblighi
del datore di lavoro, del dirigente e
del preposto - Valutazione dei rischi);
l violazione art. 7, comma 2, lettera
a), D.Lgs. n. 626/1994 (Contratto
d’appalto o contratto d’opera - Azioni
di cooperazione e coordinamento);
l violazione art. 249, D.P.R. 27
[2] «Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro» (in Gazzetta Ufficiale del 12 luglio 1955, n. 158).
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
aprile 1955, n. 547 [2] (Impiego di serbatoi
contenenti materie “comunque
dannose”).
Dall’esame dei testi e dei consulenti
tecnici degli imputati nel corso
dell’istruttoria, il Giudice ha ritenuto
non pertinente la violazione dell’art.
249, D.P.R. n. 547/1955 (che, peraltro,
non si applica ai veicoli).
Per quanto riguarda la normativa
ADR, introdotta soltanto in corso di
istruttoria dal consulente tecnico dell’autista
infortunato, come norma specifica
di settore, nonostante:
l l’omissione della specifica contestazione
nel capo di imputazione,
l gli stessi ispettori dell’ASL avessero
sostenuto in udienza che l’ADR
«non è di nostra competenza. Non la
conosco. (…) Si è verificato non durante
il trasporto, è un’operazione di
carico svolta in uno stabilimento, viene
applicata la 626»,
lo stesso Giudice ha scritto nella
sentenza: «cosicché, con fondamento
si può affermare che la specifica violazione
della normativa ADR è un
profilo di colpa entrato “a pieno titolo”
nel processo. Ritiene il giudicante
che l’individuazione di un profilo di
colpa specifica, ulteriore rispetto alla
contestazione contenuta nel capo
d’imputazione, non determini alcuna
immutazione del fatto».
Seguono riferimenti di giurisprudenza
e considerazioni del Giudice a
proposito del «principio di correlazione
tra la sentenza e l’accusa contestata»,
sancito dall’art. 521 c.p.p.
Sempre dalla sentenza, testualmente:
«Ben altro profilo di colpa specifico
avrebbe dovuto essere contestato
nel capo di imputazione: ci si riferisce
alla già citata normativa ADR sul
trasporto stradale di merci pericolose
(…) e, in particolare, al D.M. 28/09/
1999 vigente al momento dell’incidente»
(ADR 1999), «le cui disposizioni
- secondo quanto riconosciuto
dai consulenti tecnici di tutte le parti -
erano applicabili nel caso in specie,
atteso che per un verso la normativa
45

SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
sul trasporto comprende certamente
anche le fasi di carico e di scarico,
essenziali per la gestione delle sostanze
pericolose (ved. marginale 10400
che si citerà oltre), e che per altro
verso il bitume a 150 gradi è sostanza
pericolosa, rientrando nella rubrica
delle materie trasportate a caldo della
“classe 9” (marginale 2901) (…).
Detta normativa, che integra le disposizioni
generali sulla sicurezza del
lavoro, prevedeva (e prevede, nei testi
aggiornati nel 2001 e nel 2003) precise
disposizioni in ordine alla sicurezza
del trasporto di merci pericolose
(…)»; segue il dettaglio delle disposizioni
ADR che qui viene riportato sotto
forma di elenco numerato, testuale
dalla stessa sentenza e commentato:
l «Ai sensi del marginale 2002, lo
speditore della merce pericolosa
avrebbe dovuto emettere un documento
di trasporto e consegnare al
trasportatore istruzioni scritte, contenenti
la sintesi delle informazioni di
sicurezza e l’indicazione dei dispositivi
di protezione individuale» (questo
obbligo non era stato assolto).
l «Il libretto della cisterna da utilizzare
per il trasporto di merci pericolose,
poi, deve contenere alcuni dati
importanti, fra i quali l’elenco delle
materie trasportabili nella cisterna,
la data dell’ultima revisione del mezzo,
la temperatura di calcolo della
cisterna» (il veicolo era dotato di un
duplicato per smarrimento del Libretto
MC 813 richiesto da norme
nazionali, dal quale non risultavano
alcuni dati ADR necessari).
l «Il conducente deve essere in
possesso del “patentino” ADR»
(l’autista era in possesso di idoneo
CFP ADR in corso di validità).
l «Secondo quanto previsto dal
marginale 10316, “le persone le cui
funzioni riguardano il trasporto di
merci pericolose su strada devono
ricevere una formazione riguardante
le prescrizioni che regolano il trasporto
di tali merci, secondo la loro
46
L'APPROFONDIMENTO
responsabilità e i loro compiti. Tale
obbligo si applica al personale impiegato
dal gestore del veicolo stradale
o dallo speditore, al personale
che carica o scarica le merci pericolose
e al personale che lavora nelle
spedizioni delle merci o per le agenzie
marittime» (questo obbligo non
era stato assolto).
l «La formazione doveva (e deve)
essere specifica e periodicamente
aggiornata; “una descrizione dettagliata
di tutta la formazione deve
essere conservata dal datore di lavoro”»
(questo obbligo non era stato
assolto).
l «Quanto alle prescrizioni speciali
relative al carico, allo scarico e alla
movimentazione, previste nella sezione
4 dell’allegato A al D.M. 28/09/
1999, il marginale 10400 prevede
che: “il carico non deve essere effettuato
se si accerta, con un controllo
dei documenti ed un esame visivo del
veicolo e dei suoi equipaggiamenti,
che il veicolo o il conducente non
rispettano le disposizioni regolamentari”»
(l’ignoranza di tale disposizione,
fondamentale al fine dell’attribuzione
delle responsabilità nella fase
di carico di una cisterna stradale, è
emersa in modo clamoroso e preoccupante
durante l’istruttoria).
l «Infine, (…) oltre sei mesi prima
dell’infortunio era entrato in vigore
il D.Lgs. 4/2/2000, n. 40, (…)».
Seguono gli obblighi imposti dalla
normativa sul “Consulente” che si riportano
in forma sintetica dalla sentenza:
l il capo dell’impresa deve nominare
un Consulente che, all’epoca dei fatti,
poteva essere un dipendente munito di
“certificato provvisorio” in attesa di
poter sostenere l’esame di abilitazione
regolamentare;
l il Consulente deve redigere una relazione
annuale;
l sulle mansioni di competenza del
Consulente, testualmente: «“il consulente,
poi, deve esaminare varie pras-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
si e procedure relative alle attività
dell’impresa riguardanti il trasporto
di merci pericolose e le operazioni di
carico e scarico di tali merci pericolose”
ad esempio accertando “il possesso,
da parte del personale interessato
dell’impresa, di un’adeguata formazione
nei rispettivi fascicoli personali”
prevedendo “l’applicazione di
procedure d’urgenza adeguate agli
eventuali incidenti o eventi imprevisti
che possano pregiudicare la sicurezza
durante il trasporto di merci pericolose
o le operazioni di carico o scarico”,
verificando “che il personale incaricato
del trasporto di merci pericolose
oppure al carico o dello scarico
di tali merci disponga delle procedure
di esecuzione e di istruzioni dettagliate”
istituendo “procedure di verifica
dell’osservanza delle norme relative
alle operazioni di carico e scarico”».
Sentenza
La mancanza di formazione e della
nomina del Consulente sono state
considerate in modo particolarmente
negativo dal Giudice che, in proposito,
scrive «dunque, non vi era stata la
formazione scritta del personale (che
avrebbe dovuto riguardare i dipendenti
interessati di tutte le imprese
coinvolte a vario titolo nel carico!) e
non erano stati nominati dalle imprese
stesse i consulenti per la sicurezza,
cosicché non deve stupire più di
tanto, purtroppo, il quadro di disarmante
superficialità con la quale il
problema specifico della pericolosità
delle manovre di carico e scarico del
bitume e di sostanze analoghe era stato
affrontato dalle società».
In definitiva, l’istruttoria ha accertato
che le operazioni di carico della
cisterna con «bitume a 150 °C», merce
pericolosa sottoposta alla normativa
ADR 1999 (D.M. 28 settembre
1999) [3] , venivano svolte:
l in assenza di idonee procedure
conformi all’ADR, sulla base di sole
informazioni verbali, secondo una
[3] «Attuazione della direttiva 1999/47/CE della Commissione dell’Unione europea, che adegua per la seconda volta al progresso
tecnico la direttiva 94/55/CE» (in S.O. n. 186 alla Gazzetta Ufficiale del 22 ottobre 1999, n. 249).
9 agosto 2005 ­ N. 16

prassi che non teneva nella dovuta
considerazione i rischi propri delle attività
di carico e spedizione della merce
pericolosa;
l in assenza del prescritto coinvolgimento
di un “Consulente per la sicurezza
dei trasporti di merci pericolose”
- figura professionale obbligatoria
ai sensi del D.Lgs. n. 40/2000 -
per la prevista verifica delle procedure/prassi
in uso nell’attività di carico/trasporto;
l senza consegnare al conducente,
prima del carico, i documenti e le
“istruzioni scritte” di cui ai marginali
2002 e 10385 dell’ADR 1999;
l ignorando completamente le prescrizioni
del marginale 10400 dell’ADR
1999 sui controlli documentali
e visivi prima del carico di merce
pericolosa, con particolare riferimento
a:
- idoneità del veicolo-cisterna,
della cisterna e dello stesso conducente
al trasporto in cisterna di «bitume
a 150 °C»;
- presenza di acqua o di altre sostanze
incompatibili/estranee nella
cisterna da caricare con «bitume a
150 °C»;
- disponibilità e uso corretto delle
dotazioni di sicurezza che dovevano
essere richieste al conducente attraverso
le “istruzioni scritte” da fornirsi
a cura dello stesso speditore;
l senza aver effettuato gli interventi
di formazione obbligatoria e documentata
richiesti dal marginale 10316
dell’ADR 1999 a carico di tutti gli
addetti a qualsiasi titolo impiegati
presso tutte le imprese coinvolte (speditore
e trasportatore);
l senza tenere nella dovuta considerazione
la circostanza che l’autista era
ai primi giorni di lavoro e in fase di
“tirocinio”.
Pertanto, gli errori che hanno portato
a caricare una cisterna diversa
da quella programmata, generando
l’incidente, per il Giudice «non furono
“fatalità” imprevedibili, comportamenti
abnormi, atipici ed eccezionali,
bensì furono una sfortunata
ma ben possibile conseguenza di
una mancanza di adeguata e specifi-
9 agosto 2005 ­ N. 16
L'APPROFONDIMENTO
ca preparazione e sensibilizzazione
del personale deputato a quelle operazioni
sulla pericolosità delle stesse
e, in particolare, dell’assenza di precise
e specifiche disposizioni ed
istruzioni scritte (non l’avviso contro
la porta a vetri!) idonee ad evitare
anche omissioni e condotte negligenti
quali quelle verificatesi. La facilità
con la quale le imprese si adeguarono
in breve tempo alle prescrizioni
imposte dagli ispettori del lavoro
è sintomatica di quanto poco
sarebbe bastato per scongiurare
l’infortunio».
La sentenza si conclude con i tre
imputati dichiarati responsabili per
violazione degli artt. 40, comma 2,
113, 590 c.p. - tutti in cooperazione
tra loro, con colpa consistita per tutti
in generica negligenza, imprudenza
e imperizia e nell’aver violato le norme
per la prevenzione degli infortuni
- in particolare dell’art. 4, comma 2,
lettera b), D.Lgs. n. 626/1994, per
avere il legale rappresentante dello
stabilimento elaborato un documento
di valutazione dei rischi non comprendente
misure di prevenzione e
protezione efficaci e atte a evitare il
rischio di proiezione del bitume nella
fase di carico delle cisterne. Gli
imputati sono stati condannati (qui
in forma indistinta):
l alla pena rispettivamente di 1 - 1,5
- 2 mesi di reclusione (ciascuna sostituita
con la corrispondente pena pecuniaria);
l al pagamento in solido delle spese
processuali;
l al risarcimento in solido dei danni
subiti dalle parti civili costituite, rimettendo
la questione al giudice civile
e quantificando in € 200.000 ed €
20.000 le provvisionali a favore delle
stesse parti civili.
Considerazioni finali
La prima cosa che deve essere
colta nella sentenza del Tribunale di
Ravenna 5 novembre 2004, n. 1368,
è che non si devono mai ritenere
sufficienti gli sforzi per ribadire che,
contrariamente a quanto ritenuto da
gran parte degli organi di controllo e
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
degli stessi operatori, l’ADR non riguarda
solo il trasporto, ma anche
le operazioni di carico/scarico di
merci pericolose. In questo senso, il
settore petrolifero è sempre stato caratterizzato
da una particolare esposizione
derivante dall’uso di affidarsi
quasi esclusivamente agli autisti per
le operazioni di carico/scarico dei
veicoli negli impianti.
Per chi considera la questione come
novità recente, magari collegata
all’introduzione del “Consulente”, è
il caso di sottolineare come il “vecchio”
marginale 10316 (introdotto
proprio nell’ADR 1999) e l’ancora
più vecchio marginale 10400 dell’ADR
1999, pur nella loro apparente
semplicità, sono stati sufficienti a
definire i profili di responsabilità su
cui si è basata la sentenza in oggetto.
A partire dall’ADR 2001 “ristrutturato”
essi sono stati sostituiti rispettivamente
dai nuovi e ben più articolati
Capitoli 1.3 («Formazione degli addetti»)
e 1.4 («Obblighi di sicurezza
degli operatori»).
Ove ce ne fosse ancora bisogno, la
sentenza in commento dimostra l’assoluta
importanza di adottare prassi/procedure
conformi all’ADR, anche
in termini di formazione obbligatoria
degli addetti coinvolti, di attività
di verifica del “Consulente” e di obblighi/responsabilità
del “Capo dell’Impresa”.
Infine, la pronuncia conferma
che le norme ADR e sul “Consulente”:
l benché contengano solo disposizioni
di natura tecnica le cui infrazioni
vengono sanzionate soltanto per via
amministrativa, consentono l’individuazione
di precisi profili di responsabilità
e, in definitiva, dei soggetti su
cui deve ricadere l’azione penale e/o
di risarcimento;
l nello specifico settore della sicurezza
del trasporto di merci pericolose,
comprese le operazioni di carico e
scarico, le stesse norme sono considerate
a tutti gli effetti come “norme
speciali” che integrano le disposizioni
generali sulla sicurezza del lavoro
riconducibili al D.Lgs. n. 626/
1994. l
47

SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
L'APPROFONDIMENTO
La pronuncia evidenzia alcune “leggerezze di fondo” commesse durante le operazioni di carico
Dalla sentenza del Tribunale di Ravenna
meno libere interpretazioni e più rigore
di Gabriele Scibilia, amministratore Flashpoint e vicepresidente Orange Project
La sentenza del Tribunale
di Ravenna 14 ottobre 2004,
n. 1368, ha finalmente introdotto
principi di responsabilità penale
(art. 40 c.p. ­ rapporto di causalità
e art. 590 c.p. ­ lesioni personali
colpose), oltre che civile (2087 c.c.
­ tutela delle conduzioni
di lavoro), nell’articolatissimo
settore del trasporto delle merci
pericolose, confermando così
le previsioni di alcuni esperti
del settore che, da tempo
(in alcuni casi persino da 8 anni),
paventavano un rischio
del genere. Inoltre, sebbene
le prescrizioni disattese
(formazione del personale,
verifica di veicolo e autista
e nomina del Consulente)
si riferiscano all’edizione dell’ADR
allora vigente (1999), è possibile
analizzare tali infrazioni alla luce
dell’attuale versione, in modo
da rendere più aggiornate
(e quindi operativamente utili)
per gli operatori le indicazioni
emerse dalla sentenza.
48
Per la prima volta un Giudice, con
sentenza del Tribunale di Ravenna
5 novembre 2004, n. 1368, ha rilevato
che le infrazioni al regolamento
ADR debbano configurare, in occasione
di infortuni sul lavoro, responsabilità di
rilevanza penale oltre che civile, che implicano
un adeguato indennizzo alla parte
lesa. Era chiaro che le conseguenze
non potevano essere soltanto quelle previste
dal Codice della Strada e, soprattutto,
era auspicabile che fossero attribuite
responsabilità civili e penali anche a quei
soggetti che continuano a essere ignorati
dall’articolo 168 dello stesso Codice.
Il fatto
Nel settembre del 2000 un autista che
stava operando in fase di carico in uno
stabilimento petrolchimico è stato coinvolto
in un evento incidentale per aver
utilizzato una cisterna “incompatibile”
con il carico da effettuare.
L’incidente è stato determinato in pratica
dal carico di bitume ad alta temperatura
(circa 150°C) in una cisterna contenente
residui di un’emulsione acqua-bitume
da cui si è generata una pressione di
vapore d’acqua tale da proiettare il bitume
verso l’autista che stava seguendo
l’operazione di carico dal passo d’uomo
della cisterna. Per una serie di circostanze
negative dovute principalmente a un
inesistente flusso informativo fra le funzioni
coinvolte nella gestione del carico,
è stata indicata all’autista “inesperto” una
cisterna “incompatibile” come cisterna
conforme per il carico in questione [1] .
Le infrazioni
all’Accordo ADR
Lo stabilimento in cui avvenne l’incidente,
come è stato accertato successivamente
dalle perizie e testimonianze raccolte,
aveva disatteso clamorosamente
[1] Per una ricostruzione dell’incidente si veda il contributo di G. Villa a pag. 44.
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
alcune prescrizioni fondamentali dell’Accordo
ADR (all’epoca dell’incidente
era vigente l’edizione 1999 recepita
con il D.M. 28 settembre 1999):
- formazione del personale (marginale
10316);
- verifica di veicolo e autista (marginale
10400);
- nomina del Consulente per la sicurezza
di trasporti su strada di merci
pericolose (decreto legislativo 4 febbraio
2000, n. 40).
Formazione del personale
(marginale 10316)
«Le persone le cui funzioni riguardano
il trasporto di merci pericolose su
strada devono ricevere una formazione
riguardante le prescrizioni che regolano
il trasporto di tali merci, secondo la loro
responsabilità e i loro compiti. Tale obbligo
si applica al personale impiegato
dal gestore del veicolo stradale o dallo
speditore, al personale che carica o scarica
le merci pericolose e al personale
che lavora nelle spedizioni delle merci o
per le agenzie marittime».
L’autista infortunato era stato assunto
da meno di un mese, aveva scarsa esperienza
con la materia pericolosa “bitume”
e, purtroppo, non aveva ricevuto alcuna
formazione specifica sul caricamento di
bitume ad alta temperatura e sui rischi
connessi a questa operazione. La formazione,
da aggiornare periodicamente anche
per gli altri addetti al carico, non era
presente in forma scritta e conservata dal
datore di lavoro.
Verifica di veicolo
ed autista (marginale 10400)
«Il carico non deve essere effettuato
se si accerta, con un controllo dei documenti
ed un esame visivo del veicolo e
dei suoi equipaggiamenti, che il veicolo
o il conducente non rispettano le disposizioni
regolamentari».
9 agosto 2005 ­ N. 16

Il libretto della cisterna MC 813 non
conteneva alcune importanti indicazioni
quali l’elenco delle materie trasportabili,
la data dell’ultima revisione e la temperatura
di calcolo.
Nomina del Consulente
(D.Lgs n. 40/2000)
«La nomina deve essere effettuata
dalle imprese che effettuano operazioni
di trasporto di merci pericolose su strada,
per ferrovia o per via navigabile interna,
oppure operazioni di carico e scarico
connesse a tali trasporti».
Non era stato nominato un Consulente
secondo il D.Lgs. n. 40/2000, che doveva
svolgere la funzione di supervisore
delle prassi e procedure aziendali, eventualmente
suggerendo le modifiche necessarie.
La mancata nomina del suddetto Consulente
ha determinato in cascata le seguenti
inadempienze normative:
l redazione della relazione annuale
del Consulente per la sicurezza, da consegnare
al capo dell’impresa, con l’indicazione
delle eventuali modifiche procedurali
o strutturali necessarie per l’osservanza
delle norme in materia di trasporto,
di carico e scarico di merci pericolose
nonché per lo svolgimento dell’attività
dell’impresa in condizioni ottimali di sicurezza;
l esame delle prassi e procedure relative
all’attività dell’impresa riguardanti il
trasporto di merci pericolose e le operazioni
di carico e scarico di queste merci
pericolose e, in particolar modo, riguardanti
i seguenti aspetti:
- il possesso, da parte del personale interessato
dell’impresa, di un’adeguata formazione
nei rispettivi fascicoli personali;
- l’applicazione di procedure d’urgenza
adeguate agli eventuali incidenti o
eventi imprevisti che possano pregiudicare
la sicurezza durante il trasporto di
merci pericolose o le operazioni di carico
e scarico;
- la disponibilità delle procedure di
esecuzione e di istruzioni dettagliate per
il personale incaricato del trasporto di
merci pericolose o del carico e dello scarico
di queste merci;
- la pianificazione di procedure di verifica
dell’osservanza delle norme relative
alle operazioni di carico e scarico.
A questo proposito, l’autista infortunato
non era stato sensibilizzato sulla verifica
della compatibilità dei carichi ovvero,
nel caso specifico, fra il bitume e i
9 agosto 2005 ­ N. 16
L'APPROFONDIMENTO
residui di materie presenti nelle cisterne
interessate da precedenti trasporti.
Pertanto, l’infortunio è derivato da
una mancanza di adeguata e specifica
preparazione e sensibilizzazione del personale
incaricato delle operazioni di carico
e, in particolare, dall’assenza di precise
disposizioni e istruzioni scritte idonee
a evitare anche omissioni e condotte negligenti
quali quelle che si sono verificate
nello stabilimento.
Le infrazioni all’ ADR aggiornate
all’edizione 2005
Risulta sorprendente il numero di
aziende che ancora oggi disattendono
una o più delle disposizioni sopra menzionate,
esponendo i lavoratori a rischi
(non valutati) e assumendosi responsabilità
(ignorate) di carattere civile ed eventualmente
penale.
A questo proposito, si riportano le disposizioni
di interesse, precedentemente
riferite all’edizione 1999, aggiornate all’edizione
in vigore dell’ADR 2005, con
qualche commento critico con l’auspicio
di indurre gli operatori a un’analisi attenta
e puntuale di queste disposizioni relative
alla gestione del trasporto delle merci pericolose.
Formazione del personale
l 1.3.2.1 Formazione di base
«Il personale si deve familiarizzare
con le disposizioni generali delle disposizioni
relative al trasporto di merci pericolose».
► Quale funzione aziendale definisce
il “personale” coinvolto nel trasporto
delle merci pericolose e stabilisce i nominativi
delle persone che necessitano di
formazione di base?
► Il Consulente per la sicurezza ha
carisma e/o portafoglio per far partecipare
alle azioni formative tutte le persone
che ritiene siano coinvolte nella gestione
del trasporto di merci pericolose?
l 1.3.2.2 Formazione specifica
«Il personale deve ricevere una formazione
dettagliata, direttamente proporzionale
ai suoi compiti e alle sue responsabilità,
alle disposizioni delle regolamentazioni
relative al trasporto di merci
pericolose. Nel caso in cui il trasporto di
merci pericolose comporti un’operazione
di trasporto multimodale, il personale deve
essere informato delle disposizioni relative
agli altri modi di trasporto».
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
► Esiste un organigramma ADR nell’azienda
in cui sono assegnati compiti e
responsabilità relative al trasporto delle
merci pericolose ?
► Viene pianificata una formazione
specifica per la classificazione di pericolosità,
l’imballaggio, la redazione della documentazione
e il trasporto intermodale ?
l 1.3.2.3 Formazione in materia di sicurezza
«Il personale deve ricevere una formazione
relativa ai rischi e i pericoli che
presentano le merci pericolose, in misura
proporzionata alla gravità dei rischi di
ferite o d’esposizione derivanti dal verificarsi
d’incidenti durante il trasporto di
merci pericolose, compreso il loro carico
e scarico. La formazione deve mirare a
sensibilizzare il personale sulle procedure
da seguire per la movimentazione in
condizioni di sicurezza e negli interventi
d’emergenza».
► La formazione è estesa anche agli
operatori esterni che lavorano all’interno
del perimetro aziendale ?
► È stata richiesta idonea certificazione
per la formazione dei suddetti operatori
prima che svolgano attività che
coinvolgono le merci pericolose (ad es.
carico e scarico) ?
l 1.3.3 Documentazione
«Una descrizione dettagliata di tutta
la formazione ricevuta deve essere conservata
dal datore di lavoro e dal dipendente
e deve essere verificata all’atto di
una nuova assunzione. Questa formazione
deve essere completata periodicamente
mediante corsi d’aggiornamento per
tenere conto dei cambiamenti intervenuti
nella regolamentazione».
Verifica di veicolo e autista
l 1.4.3.3 Riempitore
«Nell’ambito del 1.4.1, il riempitore
ha in particolare i seguenti obblighi:
(omissis)
c) riempire le cisterne solo con le
merci pericolose autorizzate al trasporto
in queste cisterne».
► Il riempitore ha la responsabilità
di valutare la compatibilità del serbatoio
con la materia pericolosa da caricare tramite
verifica del codice cisterna oppure,
per il periodo transitorio, dell’elenco delle
materie trasportabili riportato sul libretto
della cisterna.
l 1.4.1 Misure generali di sicurezza
«1.4.1.1 Gli operatori del trasporto di
merci pericolose devono prendere le appropriate
misure, in relazione alla natura
49

SOSTANZE PERICOLOSE
Articolo
e dimensione dei pericoli prevedibili, al
fine di evitare danneggiamenti o ferite e,
se il caso, di minimizzare i loro effetti. Essi
devono, in ogni caso, rispettare le disposizioni
dell’ADR per quanto li concerne».
► Fra le appropriate misure rientra
anche l’affidamento del carico a un autista
dotato di Certificato di formazione
professionale ADR in corso di validità e
la verifica dell’abilità dell’autista a effettuare
le operazioni di carico e scarico.
Nomina del Consulente
A livello nazionale il decreto legislativo
4 febbraio 2000, n. 40, rimane il riferimento
legislativo cogente.
Le conseguenze civili
Nell’incidente avvenuto a Ravenna si
può configurare una responsabilità civile
dei soggetti coinvolti, che determinerà un
congruo indennizzo alla parte lesa nel
rito civile, a causa dell’inosservanza dei
seguenti articoli del codice.
Art. 2050 c.c. - Responsabilità
per l’esercizio di attività pericolose
«Chiunque cagiona danno ad altri
nello svolgimento di un’attività pericolosa,
per sua natura o per la natura dei
mezzi adoperati, e tenuto al risarcimento,
se non prova di avere adottato tutte le
misure idonee a evitare il danno».
Per “attività pericolosa” si deve intendere
quella che, per la natura dell’attività
stessa o per i mezzi impiegati, rende probabile
il verificarsi di un evento dannoso.
In questa norma vi è una disciplina particolare
quanto all’onere della prova, poiché
in essa è prevista una presunzione di
colpa a carico di chi esercita una tale
attività. Per esimersi dalla responsabilità,
infatti, l’operatore deve provare di aver
adottato tutte le misure idonee a evitare il
danno. L’attività di trasporto di merci pericolose,
operazioni di carico e scarico
comprese, rientra in questa ipotesi specificamente
contemplata dall’art. 2050.
In generale, si può affermare che la
normativa specifica per il trasporto di
merci pericolose individua proprio quelle
misure che l’operatore deve adottare per
evitare i danni. Infatti, il Capitolo 1.4
impone precisi obblighi agli operatori del
trasporto di merci pericolose (speditore,
trasportatore, destinatario, caricatore, imballatore,
riempitore e gestore della cisterna),
prescrivendo, inoltre, alla sottosezione
1.4.1.1, che «gli operatori del
trasporto di merci pericolose devono
prendere le appropriate misure, in rela-
50
L'APPROFONDIMENTO
zione alla natura e alla gravità dei pericoli
prevedibili, al fine di evitare i danni
e, eventualmente, di minimizzare i loro
effetti. Essi devono, in ogni caso, rispettare
le disposizioni dell’ADR per gli
aspetti di loro competenza».
Pertanto, da questa disposizione si
può dedurre che la responsabilità dei soggetti
che svolgono questa attività è esclusa
se, oltre ad adottare le misure esplicitamente
imposte dall’ADR, gli operatori
attuano tutte quelle cautele idonee a evitare
danni. Cosicché le “misure idonee”,
previste dall’art. 2050 c.c. per questo
specifico ambito di attività, sono, innanzitutto
quelle previste dall’ADR più tutte
quelle che, tenuto conto delle circostanze
concrete, sono opportune e idonee a
scongiurare la produzione di danni.
Art. 2087 c.c. - Tutela delle conduzioni
di lavoro
«L’imprenditore e tenuto ad adottare
nell’esercizio dell’impresa le misure che,
secondo la particolarità del lavoro,
l’esperienza e la tecnica, sono necessarie
a tutelare l’integrità fisica e la personalità
morale dei prestatori di lavoro».
In contrasto con le disposizioni previste
dall’art. 4, comma 2, lettera b),
D.Lgs. n. 626/1994, il datore di lavoronon
ha individuato, nella relazione sulla
valutazione dei rischi per la sicurezza e la
salute durante il lavoro, efficaci misure di
prevenzione e protezione dal rischio di
proiezione del bitume dalle cisterne in
fase di carico. In definitiva, la valutazione
dei rischi e, quindi, le misure di prevenzione
non erano state aggiornate in
relazione ai mutamenti organizzativi e
produttivi che avevano rilevanza ai fini
della salute e della sicurezza del lavoro,
ovvero in relazione al grado di evoluzione
della tecnica della prevenzione e della
protezione, che comprendeva, a detta del
Giudice, l’osservanza delle disposizioni
contenute nell’Accordo ADR e nei collegati
dispositivi legislativi vigenti all’epoca
dell’incidente:
l decreto del Ministero dei Trasporti e
della Navigazione del 28 settembre 1999
(ADR 1999);
l decreto legislativo 4 febbraio 2000,
n. 40.
Le conseguenze penali
Art. 40 c.p. - Rapporto di causalità
«Nessuno può essere punito per un
fatto preveduto dalla legge come reato,
se l’evento dannoso o pericoloso, da cui
dipende l’esistenza del reato, non è con-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
seguenza della sua azione od omissione.
Non impedire un evento, che si ha l’obbligo
giuridico di impedire, equivale a
cagionarlo».
Il datore di lavoro ha il dovere di accertarsi
che l’ambiente di lavoro abbia i requisiti
di affidabilità e di legalità quanto a
presidi antinfortunistici, idonei a realizzare
la tutela del lavoratore, e di vigilare costantemente
a che le condizioni di sicurezza
siano mantenute come pure le disposizioni
specifiche contenute del D.Lgs. n. 626/
1994 e successive modifiche.
Art. 590 c.p. - Lesioni personalicolpose
«Chiunque cagiona ad altri, per colpa,
una lesione personale è punito con la
reclusione fino a tre mesi o con la multa
fino a lire seicentomila.
Se la lesione è grave la pena è della
reclusione da uno a sei mesi o della multa
da lire duecentoquarantamila a un milione
duecentomila; se è gravissima, della
reclusione da tre mesi a due anni o
della multa da lire seicentomila a due
milioni quattrocentomila.
Se i fatti di cui al precedente capoverso
sono commessi con violazione delle
norme sulla disciplina della circolazione
stradale o di quelle per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro, la pena per le
lesioni gravi è della reclusione da due a
sei mesi o della multa da lire quattrocentottantamila
a un milione duecentomila;
e la pena per lesioni gravissime è della
reclusione da sei mesi a due anni o della
multa da lire un milione duecentomila a
due milioni quattrocentomila.
Nel caso di lesioni di più persone si
applica la pena che dovrebbe infliggersi
per la più grave delle violazioni commesse,
aumentata fino al triplo; ma la pena
della reclusione non può superare gli anni
cinque.
Il delitto è punibile a querela della
persona offesa, salvo nei casi previsti nel
primo e secondo capoverso, limitatamente
ai fatti commessi con violazione delle
norme per la prevenzione degli infortuni
sul lavoro o relative all’igiene del lavoro
o che abbiano determinato una malattia
professionale».
Si evidenzia che le sanzioni previste
dall’art. 590 divengono più severe in caso
di lesioni cagionate a terzi per violazione
delle norme sulla disciplina della
circolazione stradale (ad es. art. 168 Codice
della Strada - disciplina del trasporto
di merci pericolose) o di quelle per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro
(D.Lgs. n. 626/1994). l
9 agosto 2005 ­ N. 16

SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Osservatorio ISPESL ­ Articolo
52
IGIENE E SICUREZZA
Impianti criogenici: l’analisi del rischio
per i materiali e le apparecchiature
di Gennaro Bufalo
ricercatore Dipartimento territoriale di Napoli - ISPESL
ISPESL
Solitamente riferita alle tecniche utilizzate nel settore industriale per ottenere temperature prossime allo zero assoluto, la criogenia
comprende anche tutte quelle tecniche usate nei procedimenti di refrigerazione. Anche se la distinzione tra i due processi non è molto
netta, in effetti i processi di criogenia avvengono a bassissime temperature, inferiori ai – 100 °C, mentre le temperature di riferimento per
la refrigerazione non sono mai al di sotto di –100 °C. L’impiego delle tecniche del freddo sono differenti, si va dalla conservazione degli
alimenti e dei farmaci, ai processi, nel caso di bassissime temperature, di liquefazione di un gas per la sua separazione e purificazione.
L’adozione di queste tecniche comporta dei rischi e dei pericoli derivanti dalla produzione o dall’utilizzo dei fluidi criogenici, è necessario,
quindi, analizzare le possibili condizioni di pericolo e studiare i fattori che maggiormente influenzano queste situazioni.
Nel campo industriale il termine criogenia
si riferisce alle diverse tecniche utilizzate
per ottenere temperature prossime allo
zero assoluto. Tuttavia, nell’uso corrente,
indica anche le tecniche di impiego del
freddo così come lo sono, più propriamente,
i procedimenti di refrigerazione.
Si distinguono, pertanto, le applicazioni
nel campo delle basse temperature, refrigerazione,
da quelle delle bassissime temperature,
criogenia, anche se la distinzione
tra i due campi non è netta; si usa
parlare di refrigerazione nel caso di una
diminuzione della temperatura sino a valori
non inferiori a –100 °C, mentre al
disotto di questo valore si fa corrispondere
il campo della criogenia.
Le applicazioni delle tecniche del freddo sono
molteplici, le più comuni sono quelle
riguardanti la conservazione di prodotti alimentari
e farmaceutici, una sintesi delle diverse
applicazioni è riportata nella tabella 1.
Scopo principale della criogenia è quello
della liquefazione di un gas per la sua
separazione e purificazione o del suo impiego
come sorgente di freddo per altre
industrie.
Gli impianti per la produzione e l’utilizzo
del freddo si differenziano tra loro apprezzabilmente,
tuttavia, in quasi tutte le
applicazioni, è presente un particolare tipo
di impianto, per il contenimento e
l’erogazione del fluido criogenico, ripor­
Osservatorio a cura dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico
tato nella figura 1, che sarà ampiamente
descritto nel seguito.
Le principali sostanze impiegate come fluidi
refrigeranti­criogenici sono elencate nella
tabella 2, dove vengono indicate le loro
temperature di ebollizione a pressione atmosferica.
Il comportamento di queste sostanze
e di quelle che ne vengono a contatto
(organiche, metalliche, plastiche, ecc.), a
bassa e bassissima temperatura, è molto
diverso da quello ricavabile dall’abituale
esperienza. Pertanto, i pericoli e i rischi derivanti
dalla produzione o dall’utilizzo dei
fluidi, come quelli criogenici, devono essere
oggetto di un attento esame in relazione a
una loro possibile errata percezione e fondamentale
risulta, inoltre, l’esatta conoscenza
dei fattori che li determinano.
Si intende analizzare, in maniera sistematica,
le diverse condizioni di pericolo che possono
realizzarsi ed esaminare, per alcuni casi,
i fattori che maggiormente caratterizzano
queste situazioni, ciò al fine di evidenziare
elementi univoci per effettuare una corretta
analisi e gestione del rischio. Questa particolare
necessità si rileva anche in relazione sia
all’entrata in vigore del D.Lgs. 25 febbraio
2000, n. 93 (recepimento direttiva n. 97/23/
CE ­ PED), e del D.M. 1° dicembre 2004, n.
329 (art. 19, D.Lgs. 25 febbraio 2000, n.
93), sia per l’emanazione di specifiche circolari
(per esempio, circolare ISPESL 19 luglio
2004, n. 9).
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
Condizioni di pericolo
alle basse temperature
I fattori che determinano la pericolosità di
un fluido freddo o criogenico sono, fondamentalmente,
la sua temperatura e la sua
tipologia. Vengono distinti, per tipologia,
fluidi criogenici inerti (elio, azoto, argon,
anidride carbonica, ecc.) e non inerti (metano,
idrogeno, ossigeno, ecc.); rispetto ai primi
questi ultimi possono determinare, oltre
al pericolo di asfissia e di esplosione, anche
quello di incendio; inoltre, il tipo di fluido
caratterizza la compatibilità chimica con altri
materiali interessati dal suo contatto. La
temperatura del fluido criogenico e le sue
variazioni, determinano pericoli di tipo “diretto”,
come quelli dell’assideramento e delle
ustioni per assideramento, e di tipo “indiretto”,
come quelli della condensazione dell’aria,
della condensazione­ghiacciamento
dell’umidità e dello stress termico dei materiali
costituenti l’impianto. I principali pericoli
di tipo diretto e alcune precauzioni da prendere
per evitarli sono analizzati, in sintesi,
nei riquadri 1 e 2, mentre alcuni pericoli di
tipo indiretto e le relative precauzioni sono
brevemente esaminati nei riquadri 3 e 4.
Si intende considerare lo “stato dell’arte”
relativo alla gestione del rischio negli impianti
criogenici riferito al pericolo di esplosione
o di proiezioni incontrollate di fluido.
Si esamineranno, essenzialmente, i fattori
primari che comportano situazioni di peri­
9 agosto 2005 ­ N. 16

colo per il contatto di un fluido criogenico
con un materiale non idoneo, o reso tale,
alle basse temperature (infragilimento del
materiale) e di quelli che determinano pericoli,
come esplosioni o proiezioni incontrollate
di fluido, dovuti all’eccessivo aumento
della pressione con il superamento dei limiti
di esercizio. Nel primo caso, oltre alla compatibilità
chimico­fisica del materiale con il
fluido, risultano importanti le variazioni delle
caratteristiche fisiche e meccaniche del
materiale al variare della temperatura.
Il ruolo delle proprietà fisiche
e meccaniche dei materiali
Per i materiali più comunemente utilizzati
nelle applicazioni alle basse temperature, le
caratteristiche fisiche di conducibilità termica,
calore specifico, coefficiente di dilatazione
termica e di emissività, diminuiscono con
la temperatura. Le caratteristiche meccaniche,
come il modulo di elasticità, la resistenza
alla rottura, la resistenza a fatica e il
carico limite di snervamento, subiscono un
incremento al diminuire della temperatura.
Di particolare interesse è la resilienza e la
duttilità che sono funzione della temperatura
in dipendenza del tipo di struttura cristallina
del materiale; materiali con struttura
cubica a corpo centrato presentano un decremento
di queste proprietà (qualche volta
anche con brusche variazioni), quelli con
struttura a facce centrate o esagonale ne
evidenziano un leggero aumento o una costanza;
nel diagramma 1 è riportato l’andamento
della resilienza in funzione della
temperatura per alcuni materiali metallici.
Pertanto, per la progettazione di un impian­
9 agosto 2005 ­ N. 16
IGIENE E SICUREZZA
Applicazioni nel campo delle basse temperature
to e per una conseguente analisi­gestione
dei rischi, oltre a valutare le proprietà intrinseche
del materiale occorre considerare tutti
quei fattori esterni che potrebbero influire
sull’alterazione della sua struttura cristallina.
Questi fattori certamente interessano i
procedimenti di fabbricazione, le modalità
di collaudo e quelle di esercizio.
Considerando la resilienza e l’allungamento
percentuale di un materiale metallico in
funzione della temperatura, così come
schematicamente esplicitati dall’andamento
delle curve riportate nel diagramma
2, è possibile distinguere tre intervalli
di temperatura, ciascuno caratterizzato da
un differente comportamento a frattura.
Al di sopra della temperatura Td (si veda il
diagramma 2), la frattura si presenta duttile
con energia assorbita e allungamento
percentuale alto (frattura inclinata di 45°
rispetto alla linea di carico). Al di sotto di
Tf, la frattura è tipicamente fragile con
energia assorbita e allungamento percentuale
basso (frattura perpendicolare alla
linea di carico); mentre, per valori della
temperatura compresi tra Td e Tf, la frattura
assume un aspetto intermedio. In
particolare, se la sollecitazione è monoassiale
e a bassa velocità, la frattura è di tipo
duttile, mentre è fragile se la sollecitazione
è triassiale e ad alta velocità. La frattura
fragile ha bisogno di una piccola energia
per la sua propagazione (è sufficiente anche
quella potenziale elastica della struttura)
mentre quella duttile si sostiene, in
genere, solo se vi è un apporto esterno di
energia. Diventa, quindi, importante caratterizzare
quei fattori esterni che posso­
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Osservatorio ISPESL ­ Articolo
TABELLA 1
1 Applicazioni per la stessa produzione di fluidi criogenici.
2 Separazione di miscele gassose.
3 Conservazione con il freddo di prodotti farmaceutici, biologici, alimentari.
4 Realizzazione di piste ghiacciate.
5 Controllo dei reattori nucleari.
6 Funzionamento di superconduttori.
7 Trattamento degli acciai per eliminare l’austenite residua (per esempio, a – 80 °C o in azoto liquido a – 192 °C).
8 Criostati speciali (per esempio, rivelatori all’infrarosso per misure astronomiche).
9 Propulsione spaziale e apparati criogenici spaziali (per esempio, a elio superfluido operante in assenza di gravità).
10 Sensori e apparati di misure criogeniche (per esempio, impianto di calibrazione di sensori di portata di fluidi criogenici
e per la determinazione delle caratteristiche elastiche dei materiali per criogenia e superconduttori)
11 Criochirurgia.
no determinare una variazione della zona
termica di transizione. Si può avere, infatti,
un pericoloso slittamento delle curve
nel verso dell’innalzamento della soglia di
rottura Tf con un infragilimento del materiale
già a temperature superiori a quella
di esercizio. Ciò può essere provocato, anche
localmente, da diversi fattori come
modificazioni in zone termicamente alterate
(per esempio, la saldatura), carichi dinamici,
incrudimenti da deformazioni a
freddo, ingrossamenti dei grani cristallini,
aumenti di spessore, fattori di forma (per
esempio, raggi di curvatura), irraggiamento
neutrinico, ecc. Evidentemente, questi
fattori sono la causa di possibili pericoli
per l’esercizio di un impianto funzionante
a basse temperature o criogeniche. In particolare,
per una saldatura, l’eventuale deterioramento
dei valori originari di resilienza
del materiale nella zona termicamente
alterata dipende principalmente dai cicli
termici ai quali è sottoposto il materiale
durante la saldatura (quindi, ingrossamento
o affinamento dei grani, invecchiamento
da deformazione plastica a caldo); nella
pratica, nel caso di giunti saldati, si è accertato
che queste evidenze possono essere
colte solo con una stima dell’effettivo
valore medio della resilienza per confronto
con quelli del metallo base (la stima,
per essere sufficientemente accurata, deve
essere ricavata da un numero di provini
più elevato di quello richiesto per il metallo
base). Pertanto, è essenziale una opportuna
scelta dei procedimenti di saldatura
delle condizioni di preriscaldo e del trattamento
termico dopo saldatura. Dato che il
53

SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Osservatorio ISPESL ­ Articolo
54
IGIENE E SICUREZZA
Andamento caratteristico della resilienza di alcuni
materiali metallici alle basse temperature
a) alluminio; b) titanio; c) monel; d) rame legato; e) acciaio al
carbonio; f) acciaio inox; g) acciaio al nichel
pericolo di rottura fragile dipende essenzialmente
dalla natura e dalla dimensione
dei difetti esistenti, dovrebbe sempre
essere effettuato un esteso esame non
distruttivo per le parti delle apparecchiature
soggette a temperature basse o
Diagramma 1
criogeniche. Altro fattore è il contenuto
di umidità degli elettrodi usati per le saldature
che dovrebbe essere limitato, in
quanto si può avere accumulo di idrogeno
nella zona termica alterata con produzione
di cricche e fessurazioni (questo
Temperatura di ebollizione dei principali fluidi refrigeranti-criogenici
Fluido Temperatura di ebollizione (*)
(°C) (K)
He ­ 268,9 4
H 2 ­ 252,7 20
Ne ­ 245,9 27
N 2 ­ 195,8 77
CO ­ 192,0 81
Ar ­ 185,7 87
O 2 ­ 183,0 90
Kr ­ 151,8 121
Xe ­ 109,1 164
N 2O ­ 90,7 182
CO 2 (**) ­ 78,5 195
NH 3 ­ 33,4 240
(*) Valutata a pressione atmosferica, riferimento R.H. Perry, C.H. Chilton, Chemical Engineers’ Handbook, McGraw­Hill.
(**) Sublimazione.
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
inconveniente è superabile con l’uso di
un adatto metallo di apporto). La progettazione
di una apparecchiatura a
pressione per usi criogenici deve, quindi,
tendere a evitare concentrazioni locali di
sollecitazione e stati di sollecitazione
triassiali in zone ristrette (per esempio, in
giunti saldati o a loro vicino). Le parti
ausiliarie saldate al mantello di un contenitore
criogenico vanno particolarmente
curate prevedendo, se possibile, il loro
allontanamento dalle saldature principali
e dalla loro relativa zona termicamente
alterata. Altro importante fattore, da
considerare unitamente alle condizioni
di carichi dinamici, sono i transitori termici
previsti da condizioni operative o
ottenibili per fermate dell’impianto, oppure
da escursioni termiche dell’ambiente
esterno. È necessario considerare che
lo slittamento della zona di transizione
può avvenire nel materiale in zone localizzate
per il raggiungimento, non previsto,
di temperature relativamente alte. I
transitori termici accentuano anche il pericolo
di rottura derivante della contrazione
differenziale dei diversi materiali.
Le condizioni climatiche esterne dovrebbero
essere poco influenti se si considera
che, per la maggior parte delle applicazioni,
il materiale è ampiamente coibentato;
tuttavia, potrebbe essere utile valutarla
nel caso di alcune apparecchiature
(per esempio, scambiatori ad aria e
valvole esposti all’ambiente esterno)
TABELLA 2
9 agosto 2005 ­ N. 16

o per i tratti in cui possa mancare o ridursi
la coibentazione come nelle zone di collegamento
(per esempio, tronchetti, raccordi
di tubazioni, valvole). La presenza della coibentazione
è oltremodo utile come “barriera”
agli urti accidentali che possono portare
alla rottura del materiale fragile.
L’aumento della pressione
oltre i limiti di esercizio
Altre situazioni di pericolo che si vengono
a determinare in questi impianti sono dovute,
ovviamente, all’aumento della pressione
oltre i limiti di quella di esercizio. Ciò
può derivare, fondamentalmente, da una
vaporizzazione del liquido attraverso un
suo riscaldamento. Tuttavia, molti fattori
possono intervenire per produrre un aumento
di pressione come la formazione di
contropressioni durante il moto del fluido,
l’instaurarsi di un moto sub­supersonico,
l’aumento incontrollato della temperatura
della fase gassosa, fenomeni di metastabilità,
ecc. Tutti questi eventi possono determinare
il pericolo di proiezione di fluidi
freddi verso l’esterno (per esempio, per la
non tenuta delle guarnizioni) fino allo
scoppio dell’apparecchiatura.
Individuazione
dei punti critici di pericolo
Considerando le applicazioni derivanti dall’uso
di sostanze criogeniche (quelle riportate
nella tabella 1), è evidente che i pericoli e
i fattori di rischio potranno essere molteplici,
specialmente quelli connessi alla tipologia
dell’impianto considerato e, quindi, delle
apparecchiature utilizzate.
Dall’analisi della costituzione dell’impianto
è possibile individuare i “punti fisici” oggetto
di eventuali pericoli e quindi determinare
gli accorgimenti necessari per prevenirli o
fronteggiarli.
Fermo restando la necessità di utilizzare
materiali adatti per le basse temperature,
per quanto riguarda il pericolo di sovrapressioni
incontrollate, occorre considerare dove
possano generarsi e quali parti dell’impianto
ne siano coinvolte.
In questo approfondimento verrà analizzato
nei particolari un solo tipo di impianto (in
effetti, è da considerarlo più come un’apparecchiatura)
che risulta, però, ricorrente in
quasi tutte le applicazioni in quanto realizza
il contenimento del liquido criogenico e la
9 agosto 2005 ­ N. 16
IGIENE E SICUREZZA
sua erogazione in fase liquida o gas. Questo
impianto, nella sua più semplice realizzazione,
è costituito da un contenitore, da un
eventuale evaporatore e dal complesso di
tubazioni, valvole e accessori atti a rendere
funzionale il sistema.
Ci si trova, quindi, di fronte ad apparecchiature
a pressione contenenti fluidi a temperatura
bassissima, gas criogenici, vincolati a
determinate pressioni e temperature tali da
mantenerli allo stato liquido.
I vantaggi derivanti da questi tipi di impianti
sono molteplici, non ultimo quello di poter
disporre di un grande volume di gas utilizzando
un serbatoio di stoccaggio relativamente
piccolo (di gas liquido). Si Ricorda,
per esempio, che l’ossigeno liquido alla
temperatura di –183 °C genera, a pressione
atmosferica, un volume di gas pari a circa
800 volte il volume iniziale del liquido.
Questi apparecchi si differenziano, nella
pratica corrente, in “tank” e in “evaporatori
freddi”.
Nel primo caso si ha la possibilità di prelevare
solo la fase liquida. Nel secondo caso,
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Osservatorio ISPESL ­ Articolo
invece, tramite un vaporizzatore, si può
produrre e prelevare, nelle quantità volute,
anche la fase gassosa.
Si esaminerà, nel seguito, il solo funzionamento
di un evaporatore freddo in quanto
il tank non è altro che la sua versione semplificata;
dall’analisi dei suoi componenti
fondamentali si individueranno i principali
punti critici di pericolo.
Evaporatore criogenico
L’evaporatore criogenico è costituito da due
recipienti, l’uno interno all’altro, separati da
una intercapedine isolante. L’involucro interno
(collaudato secondo le normative) è
realizzato con un materiale atto a sopportare
le basse temperature, come un acciaio
inossidabile speciale. Per il contenitore
esterno non è richiesta una particolare caratteristica
di resistenza in quanto ha solo la
funzione di supporto del recipiente interno.
Per garantire nel tempo il persistere della
bassa temperatura della massa liquida all’interno
del serbatoio criogenico si adottano
una serie di accorgimenti:
Tipico andamento della resilienza e dell'allungamento
percentuale in funzione della temperatura
Diagramma 2
55

SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Osservatorio ISPESL ­ Articolo
l per limitare la trasmissione di calore
per conduzione, si cerca di ridurre al minimo
i punti di contatto tra i due recipienti.
Il recipiente interno è, quindi,
mantenuto centrato, rispetto all’involucro,
tramite delle bandelle sottili e lunghe
di acciaio;
l per ridurre il calore per convezione, l’intercapedine
è mantenuta sotto vuoto (circa
100 μHg);
l per limitare il calore per irraggiamento,
l’intercapedine è riempita di sostanze
altamente isolanti (per esempio, perlite
espansa composta di silicati di alluminio).
Per compensare il riscaldamento del
fluido, che comunque avviene nel tempo,
si utilizza una apparecchiatura ausi­
56
IGIENE E SICUREZZA
liaria, detta pressurizzatore­economizzatore,
che fa evaporare una parte dello
stesso fluido criogenico per raffreddare
il sistema.
Nella figura 2 è riportato uno schema di
evaporatore criogenico con il relativo
pressurizzatore­economizzatore, mentre
in figura 1 è riportato una vista d’insieme
dell’evaporatore criogenico e del vaporizzatore.
Analisi
dei componenti fondamentali
Recipienti
Il recipiente interno, come tutte le apparecchiature
sotto pressione, deve essere
Evaporatore criogenico con vista del pressurizzatore
e del vaporizzatore
VS3 Valvola di sicurezza vaporizzatore
Figura 1
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
salvaguardato da un pericoloso aumento
di pressione dovuto, per esempio, alla
evaporazione per scambio termico con
l’esterno o al malfunzionamento del pressurizzatore­economizzatore.
Per questo
scopo può essere impiegata una valvola
di sicurezza, opportunamente dimensionata
e posizionata (VS1 nella figura 2),
del tipo a semplice sede (calcolata, per
esempio, secondo la Raccolta E­ISPESL,
anche per un eventuale incendio esterno).
In aggiunta alla valvola di sicurezza,
pur non essendo obbligatorio, per la fase
gas può essere utilizzato un disco di rottura
di acciaio inossidabile (DR1 nella figura
2). Nel caso di manutenzione della
valvola di sicurezza è opportuno, per evitare
di scaricare il recipiente, utilizzare un
cassetto di deviazione con due valvole di
sicurezza.
Il recipiente esterno, per una eventuale
perdita di quello interno, deve essere protetto
da eventuali sovrapressioni; pertanto,
si dovrà utilizzare una valvola di sicurezza
o un disco di scarico di sicurezza
(DS3 nella figura 2), in acciaio al carbonio,
la cui tenuta può essere assicurata
dala pressione esterna essendo il recipiente
tenuto in depressione.
Per la valvola di sicurezza e i dischi deve
essere valutata, in relazione al tipo di
fluido e all’ambiente circostante, la necessità
di canalizzarne e/o confinarne lo
scarico.
Pressurizzatore-economizzatore
Il pressurizzatore può essere oggetto di
pericolosi incrementi di pressione, per
esempio, per un ristagno del liquido criogenico
tra la valvola V1 e quella VC2 (si
veda la figura 2) all’atto della loro chiusura;
pertanto, il sistema deve essere salvaguardato
da una valvola di sicurezza (VS2
nella figura 2).
Vaporizzatori
Per effettuare l’erogazione in fase liquida
bastano tubazioni coibentate in modo da
mantenere il gas allo stato liquido durante
il trasferimento, mentre per l’erogazione
in fase gassosa occorrono adatti scambiatori
di calore (vaporizzatori) che si differenziano,
per il tipo di fluido riscaldante,
in:
l atmosferici, composti di tubi alettati
9 agosto 2005 ­ N. 16

n lega di alluminio;
riscaldati ad acqua;
riscaldati a vapore;
riscaldati a olio diatermico.
n questo caso, così come visto per il pressuizzatore­economizzatore,
deve essere preista
una valvola di sicurezza per evitare
ventuali sovrapressioni (VS3 nella figura 1).
ubazioni
tubi di trasferimento devono essere ogetto
di particolare attenzione in quanto
ono spesso non sufficientemente proetti
contro le sovrapressioni. Normalente,
i tubi di trasferimento sono deliitati
da valvole e, dopo un trasferimeno
del liquido criogenico, si deve chiudere
na sola valvola per poi aspettare fino a
uando, all’interno del tubo, si è formato
bbastanza gas da spingere il liquido al di
uori attraverso la valvola rimasta aperta
successivamente si richiude anche quet’ultima).
hiudendo la valvola troppo velocemene,
il liquido sarà spruzzato dal tubo cauando
eventuali danni, oppure, se enrambe
le valvole sono chiuse contempoaneamente,
si intrappola liquido nel tuo
e si può ottenere una sovrappressione
ericolosa; pertanto, per assicurare che i
iquidi non possano essere intrappolati tra
e valvole, devono essere presi opportuni
ccorgimenti specialmente quando si imiegano
valvole addizionali.
onsiderazioni
i carattere generale
utti i materiali devono essere resilienti e
datti per il tipo di fluido considerato.
utti gli organi di sicurezza sono posti in
orrispondenza della fase gassosa in modo
a non permettere l’uscita di liquido.
li automatismi utilizzati devono manteere
all’interno del recipiente una presione
di poco superiore a quella di eserciio.
La quantità, in peso, di liquido che
assa per la conversione deve essere corispondente
a quella della fase gas richieta
dall’utenza (verifica del bilancio di
assa); in questo modo non dovrebbero
rearsi aumenti di pressione dovuti a un
ventuale quantitativo di gas, più o meno
aporizzato, e non utilizzato.
el caso di pressione nel contenitore sueriore
a quella di esercizio (per esempio,
9 agosto 2005 ­ N. 16
IGIENE E SICUREZZA
per un periodo di inattività), la sola fase
gas del contenitore dovrà alimentare
l’utenza sino al raggiungimento della
pressione di esercizio.
Normativa di riferimento
Dal punto di vista normativo, nell’ambito
dell’applicazione della direttiva PED
(Pressure Equipment Directive, direttiva
n. 97/23/CE recepita con il D.Lgs.
25 febbraio 2000, n. 93) sono disponibili
una serie di norme armonizzate europee,
alcune di queste sono riportate nel
riquadro 4. È da notare che molte di
queste norme, essendo recenti e presen­
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Osservatorio ISPESL ­ Articolo
tando un’ampia articolazione, tendono a
colmare dei “vuoti preesistenti”. Per
quanto riguarda la messa in servizio e
utilizzazione delle attrezzature e degli insiemi
(di cui all’art. 19, D.Lgs. 25 febbraio
2000, n. 93) il riferimento è, essenzialmente,
il D.M. 1° dicembre 2004, n.
329. L’ISPESL ha, inoltre, previsto, per le
applicazioni a basse e a bassissime temperature,
una serie di specifiche tecniche
il cui schema generale è riportato nello
schema 1. In particolare, la recente circolare
19 luglio 2004, n. 9, considera quei
casi in cui non si utilizzano materiali resilienti.
l
Schema semplificato di un evaporatore criogenico
con pressurizzatore ed economizzatore
VS1, VS2 valvola di sicurezza
DR1 disco di rottura
DS3 disco di sicurezza della intercapedine sottovuoto
VRN valvola di non ritorno
VC1 valvola di regolazione economizzatore
VC2 valvola di regolazione pressurizzatore
V1 valvola di intercettazione
Figura 2
57

SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Osservatorio ISPESL ­ Articolo
IGIENE E SICUREZZA
Pericoli di tipo diretto dovuti alle basse temperature ed alle caratteristiche dei fluidi criogenici
Assideramento
58
Schema riassuntivo della normativa ISPESL
riferibile al campo della criogenia
Per basse temperature
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
Schema 1
Verifica di Stabilità dei Recipienti - Raccolta norme VSR
VSR.2.B.6. Sollecitazione massima ammissibile per temperatura media di parete < -10°C
Per la verifica di stabilità si assume come sollecitazione max ammissibile il valore delle formule indicate in
VSR.2.B.2, VSR.2.B.3, VSR.2.B.4, VSR.2.B.5 (che si riferiscono a T media parete tra -10 e 50°C) salvo quanto
previsto per impieghi particolari nel fascicolo M.14 della Raccolta M
Materiali - Raccolta M
M.14. Disposizioni per l'impiego dei materiali a bassa temperatura
- I criteri si riferiscono ai requisiti della resilienza e alle prove per il loro accertamento
- Sono previsti tre metodi alternativi per determinare le caratteristiche di tenacità al fine di evitare la rottura
fragile dei materiali impiegati
- Per gli acciai si fa riferimento a materiali classificati secondo gruppi le cui caratteristiche di fonderia sono
indicate nella Tab. S.1.1 della Raccolta S
M 14.7. Disposizioni per metalli e leghe non ferrose
Saldature - Raccolta S
S.1 Suddivisione dei diversi materiali un gruppi
- Tab. S.1.1 Acciai
Saldature - Raccolta S
S.1B. Impiego dei materiali a bassa temperatura
- Le stesse proprietà, garantite dalle norme dei materiali base stessi, dovranno essere verificate anche in
corrispondenza delle giunzioni saldate.
Pertanto, i criteri si riferiscono ai requisiti della resilienza e sono previsti i tre metodi alternativi per determinare
le caratteristiche di tenacità come indicati in M.14, in aggiunta sono considerati i materiali
d'apporto e un gruppo di materiali a base di getto di acciaio inossidabile austenitico
Adeguamento impianti
Circolare ISPESL n. 9 del 19/7/2004
Riquadro 1
Il freddo ha una azione anestetizzante, il congelamento può non essere avvertito. Gli occhi possono essere
danneggiati permanentemente, prima della pelle, anche da una esposizione ad un gas freddo.
9 agosto 2005 ­ N. 16

IGIENE E SICUREZZA
SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Osservatorio ISPESL ­ Articolo
Ustioni da assideramento
L’ustione da freddo può non essere dolorosa subito dopo il contatto. Con lo scongelamento il tessuto si gonfia e
possono aversi delle vesciche (possono essere anche interessati i tessuti sottostanti).
Ustioni da contatto con fluidi per:
l contatto prolungato;
l contatto breve con il liquido (rischio è limitato per la formazione di un film di gas tra il fluido e la pelle);
l contatto con gas freddo (può congelare più del contatto con un liquido);
l impregnazione di vestiti o di capelli.
Ustioni da contatto con superfici fredde (in particolare con i metalli)
l per l’elevata conducibilità termica dei metalli, l’umidità della pelle si trasforma in ghiaccio e fa aderire la pelle
alla superficie, il calore rapidamente sottratto ne provoca l’ustione.
Per basse temperature e caratteristiche dei fluidi criogenici
Inalazione ed asfissia (gas inerti e non)
Una prolungata inalazione di vapori di gas freddi può produrre seri danni ai polmoni. La maggior parte dei gas
liquefatti inerti hanno una bassa tossicità ma ad alte concentrazioni possono comunque causare nausea o
vertigini.
I gas inerti ­ He, Ar, N2 sono incolori e inodori ­ spesso soffocano senza sintomi premonitori.
I gas freddi possono sostituirsi all’ossigeno in ambienti piccoli non ventilati e accumularsi in luoghi bassi (es. fosse
nelle vicinanze delle quali vengono usati o trasferiti fluidi criogenici) ed il rischio di asfissia è quindi alto. Il pericolo
non è legato alla tossicità ma alla mancanza di ossigeno (le maschere antigas non proteggono ed occorre usare gli
autorespiratori).
Non è opportuno entrare in ambienti industriali con meno del 20% di ossigeno senza respiratori e l’equipaggiamento
deve essere sempre preventivamente controllato e correttamente utilizzato (es. la barba può fare da punto
di infiltrazione del gas).
9 agosto 2005 ­ N. 16
Precauzioni per evitare alcuni pericoli di tipo diretto
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
Riquadro 2
Per evitare alcune tipologie di pericolo di tipo dietto, è necessario:
l utilizzare indumenti adeguati come guanti e occhiali per criogenia;
l procedere nel caso di ustioni da freddo con modalità simili per le bruciature:
­ sciacquare con acqua appena tiepida;
­ dopo lo scongelamento coprire con garza sterile;
­ non utilizzare aria calda per scongelare;
­ non strofinare la parte congelata;
­ non applicare pomate;
­ in casi gravi ricorrere all’intervento medico;
l usare recipienti specifici per applicazioni criogeniche;
l non chiudere ermeticamente i recipienti;
l usare equipaggiamenti adeguati;
l evitare ambienti chiusi o limitati per la manipolazione o ventilare adeguatamente;
l effettuare i travasi lentamente;
l evitare getti di gas o di liquidi criogenici;
l se si prevedono rischi di saturazione degli ambienti, ricorrere a sensori­allarmi di carenza di ossigeno collegati
a sistemi di ventilazione;
l evitare di entrare in recipienti chiusi da molto tempo anche se contenenti aria;
l evitare di entrare in recipienti che hanno contenuto gas o che siano stati puliti con gas;
l accertare con test frequenti che l’aria sul luogo di lavoro sia respirabile;
l assicurarsi un aiuto vicino ed equipaggiamenti per la respirazione;
l riferirsi a procedure standardizzate ed istruire adeguatamente il personale;
l assicurarsi che l’eventuale aria sintetica da respirare sia stata testata;
l non considerare affidabili le valvole per la tenuta dei gas.
59

SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Osservatorio ISPESL ­ Articolo
60
IGIENE E SICUREZZA
Pericoli di tipo indiretto
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
Riquadro 3
Condensazione dell’aria
La condensazione dell’aria, ossia dell’azoto, può portare alla concentrazione di ossigeno (che condensa a
temperatura più alta dell’azoto) con il pericolo di accumulo in materiali infiammabili
Fluidi criogenici non inerti
Idrogeno, metano:
l infiammabili ed esplosivi in miscela con l’aria.
Mentre le fiamme da idrocarburi sono luminose e chiaramente visibili alla luce del giorno, le fiamme
dell’idrogeno sono poco visibili; è quindi più facile venire a contatto con fiamme di idrogeno senza
accorgersene.
Ossigeno, come comburente:
l abbassa la temperatura di ignizione in quanto l’energia richiesta per incendiare materiali organici
diminuisce con l’aumentare della quantità di ossigeno (materiali resistenti al fuoco in aria, possono bruciare
in aree con concentrazioni di ossigeno >30%);
l può accumularsi in materiali infiammabili.
Condensazione, ghiacciamento dell’umidità
Nelle vicinanze di impianti elettrici possono rendere pericoloso l’utilizzo di interruttori, prese, apparecchi
sotto tensione.
La formazione di ghiaccio intorno ad impianti può portare a situazioni di pericolo sia per l’infragilimento dei
materiali che al blocco di valvole o altre apparecchiature.
Può inoltre ridurre o bloccare l’uscita di vapori o gas provocando un aumento di pressione.
Infragilimento e contrazione differenziale dei materiali
l I materiali diventano fragili a bassa temperatura e si ha il pericolo di una loro rottura (per esempio,
plastiche, gomme ecc.);
l la diversa contrazione termica, al freddo, può provocare tensioni tra materiali diversi e si ha il pericolo di
una loro rottura.
Esplosioni (gas inerti e non)
Rischio rilevante in impianti che contengono liquidi, solidi o gas freddi (criogenici) è quello dell’esplosione
data dall’aumento della pressione interna di un recipiente o di una tubazione
Precauzioni per evitare alcuni pericoli di tipo indiretto
Riquadro 4
Per evitare alcune tipologie di pericolo di tipo indiretto, è necessario:
l verificare che non si formino tappi di ghiaccio
l non chiudere mai ermeticamente i recipienti o i tubi contenenti liquidi o gas a bassa temperatura
l devono sempre essere installati dispositivi di sicurezza;
l utilizzare materiali a bassa conducibilità termica (per esempio, utilizzare acciaio inox al posto del rame, in
tal modo si può cercare di mantenere la superficie esterna dei tubi e delle valvole al di sopra di 0°C per
evitare il ghiacciamento).
9 agosto 2005 ­ N. 16

9 agosto 2005 ­ N. 16
IGIENE E SICUREZZA
Normativa applicabile in campo PED
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Osservatorio ISPESL ­ Articolo
TABELLA 3
Materiali
UNI EN 1252 Recipienti criogenici ­ Materiali ­ Requisiti di tenacità
1) per le temperature minori di ­ 80°C
2) per le temperature comprese tra ­80°C e ­20°C
UNI EN 10222­3 ­ Fucinati di acciaio per apparecchi a pressione
­ Acciai al nichel con caratteristiche specifiche per basse temperature.
UNI EN 1797 ­ Recipienti criogenici
­ Compatibilità tra gas e materiali
UNI EN 12213 Metodi per la valutazione dell’isolamento termico
Apparecchiature
UNI EN 1251 Recipienti criogenici ­ Recipienti trasportabili isolati sotto vuoto, di volume non maggiore di 1000 litri
Requisiti fondamentali; Progettazione, fabbricazione, controlli e prove; Requisiti di funzionamento
UNI EN 13458 Recipienti criogenici ­ Recipienti fissi isolati sotto vuoto
Requisiti fondamentali; Progettazione, costruzione, ispezione e collaudo; Requisiti operativi
EN 14197 Recipienti criogenici ­ Recipienti fissi non isolati sotto vuoto
Requisiti fondamentali; Progettazione, costruzione, ispezione e collaudo
UNI EN 13530 Recipienti criogenici ­ Grandi recipienti trasportabili isolati sottovuoto
Requisiti fondamentali; Requisiti di esercizio.
UNI EN 10216­4 Tubi senza saldatura di acciaio per impieghi a pressione ­ Condizioni tecniche di fornitura ­ Tubi di acciaio non legato
e legato per impieghi a bassa temperatura
UNI EN 10217 Tubi saldati di acciaio per impieghi a pressione
­ Condizioni tecniche di fornitura ­ Tubi saldati elettricamente di acciaio non legato per impieghi a bassa temperatura
Dispositivi di sicurezza
UNI EN 13648 ­ Recipienti criogenici
­ Dispositivi di sicurezza per la protezione contro la sovrappressione
Valvole di sicurezza per il servizio criogenico; Dischi di rottura per il servizio criogenico; Determinazione della portata
di scarico richiesta;
Capacità e dimensionamento.
UNI EN 1626 Valvole per il servizio criogenico
61

SICUREZZA DEI DATI
Articolo
IGIENE E SICUREZZA
L’RSPP deve ottenere il consenso al trattamento dei dati dell’organizzazione da cui ha ricevuto l’incarico
Privacy e sicurezza: quali implicazioni
nella gestione della tutela del lavoratore?
di Giovanni Volpe, Amministratore Unico di COMITES s.r.l., formatore e consulente
qualità e certificazione, management e sviluppo organizzativo, comunicazione interna
Con l’introduzione del D.Lgs.
n. 196/2003, «Codice in materia
di protezione dei dati personali»,
ogni organizzazione che gestisce
dati riferiti a una persona fisica
o giuridica, deve adeguarsi
alle disposizioni della legge
e alle misure minime di sicurezza
contenute nell’Allegato B della
norma stessa.
Fino al 31 dicembre 2003, il testo
normativo di riferimento è stato
la legge n. 675/1996, considerata
dalla maggior parte delle
organizzazioni non più che
un adempimento burocratico.
Invece, il Codice della privacy
chiarisce, tra le altre cose, quali
sono le categorie di dati da
proteggere, individua le figure
giuridicamente rilevanti ai fini
del trattamento dei dati stessi
nonché i diritti della persona
interessata dal trattamento.
Inoltre, l’Allegato B al D.Lgs.
n. 196/2003, introduce il
Documento Programmatico
sulla sicurezza (DPS),
unico mezzo attraverso il quale
ogni organizzazione è in grado
di testimoniare l’applicazione
concreta del TU sulla privacy
62
Lalegge n. 675/1996, definita la
legge “madre” della privacy, è
stata definitivamente abrogata il
31 dicembre 2003 così come tutte le
leggi e i decreti a essa correlati. Questa
legge aveva introdotto nel nostro
ordinamento uno strumento di tutela
della riservatezza dei dati riferiti alle
persone. Fino ad allora nel nostro Paese
non esisteva una disciplina dedicata
alla tutela della privacy. Al contrario
le legislazioni degli altri Stati europei
avevano regolamentato il diritto
alla protezione dei dati personali già a
partire dagli anni ’70. La legge n.
675/1996 è stata considerata da più
parti semplicemente come un ulteriore
adempimento burocratico senza
che a questo seguisse un’effettiva applicazione
imposta dalla normativa.
La maggior parte delle organizzazioni
ha recepito i contenuti della legge
n. 675/1996 come una pura formalità
da riportare nei moduli di raccolta
dati o informativi, attraverso frasi di
circostanza. In queste organizzazioni
la problematica della tutela dei dati e
della persona non era ancora stata
presa in seria considerazione non rappresentando
per queste realtà una criticità
o comunque una priorità di intervento.
Oggi, il D.Lgs. n. 196/2003
(Codice per la tutela dei dati personali)
obbliga tutte le organizzazioni che
gestiscono dati riferiti alla persona
(fisica o giuridica) ad adeguarsi ai dispositivi
inseriti nel testo della legge e
alle misure minime di sicurezza previste
dall’Allegato B.
Quali dati proteggere
Per definire le tipologie di dato
previste dal Codice privacy è neces-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
sario chiarire quando avviene un trattamento
di dati.
Il trattamento dei dati normalmente
è «qualunque operazione o complesso
di operazioni, effettuati anche
senza l’ausilio di strumenti elettronici,
concernenti la raccolta, la registrazione,
l’organizzazione, la conservazione,
la consultazione, l’elaborazione,
la modifica, la selezione,
l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo,
l’interconnessione, il blocco, la comunicazione,
la diffusione, la cancellazione
e la distruzione di dati, anche
se non registrati in una banca dati»,
come si legge al comma 1, lettera a),
art. 4, D.Lgs. n. 196/2003.
Questa definizione appare chiara,
qualsiasi operazione che si effettua
con dati di terzi sia relativa a documentazione
cartacea sia a inserimento
in una banca dati elettronica, si può
definire “trattamento di dati”.
In base all’art. 4, i principali dati,
le cui definizioni sono riportate nella
tabella 1, comprendono:
l dati personali;
l dati identificativi o comuni;
l dati sensibili;
l dati giudiziari;
l dati anonimi.
Le figure coinvolte
nel sistema gestione dati
Il D.Lgs. n. 196/2003 ha introdotto
nel nostro ordinamento nuove figure
giuridicamente rilevanti ai fini dell’applicazione
pratica della legislazione
in materia di tutela della privacy e
di trattamento dei dati personali.
In particolare, il legislatore ha previsto
le figure di:
l titolare del trattamento;
9 agosto 2005 ­ N. 16

9 agosto 2005 ­ N. 16
Definizione dei principali dati
l responsabile;
l incaricato;
l responsabile dei sistemi informativi.
L’interessato al trattamento è il
soggetto a cui si riferiscono i dati personali
e può assumere qualsiasi forma
(fisica, giuridica, ente o associazione)
ed esiste nel momento in cui i dati
oggetto del trattamento siano a esso
direttamente riconducibili.
L’interessato può rivolgersi a
chiunque egli ritenga possessore di
suoi dati personali per:
l sapere se questo soggetto possiede
effettivamente questi dati;
l conoscere le modalità di conservazione,
di gestione e di trattamento e
ottenerne comunicazione.
Venuto a conoscenza dell’esistenza
dei propri dati personali, l’interessato
può inoltrare richieste più specifiche
nei confronti del titolare o responsabile
del trattamento.
Nella tabella 2 si riassumono i diritti
che ogni interessato può esercitare.
Le misure minime
per la sicurezza e il DPS
Il comma 19 del Disciplinare
Tecnico sulle misure minime di sicurezza
(Allegato B, D.Lgs. n. 196/
IGIENE E SICUREZZA
2003) introduce uno strumento di
protezione già noto a chi, in passato,
ha prodotto il manuale operativo in
base al D.P.R. n. 318/1999, il Documento
programmatico sulla sicurezza
(DPS).
Il DPS può essere definito come
«manuale della sicurezza fisica e logica
dei sistemi informativi con analisi
di rischi e difese». Si tratta essenzialmente
di un documento che, partendo
dall’analisi dei rischi del proprio
sistema informativo contenente
dati personali, sensibili e giudiziari,
focalizza contromisure di vario tipo
per contrastare questi pericoli; inoltre,
il documento deve essere periodicamente
aggiornato (almeno annualmente).
Il DPS rappresenta l’unico mezzo
attraverso il quale ogni organizzazione
è in grado di testimoniare l’applicazione
concreta del TU sulla privacy, fornendo,
attraverso il documento, la descrizione
dei dati (personali, sensibili o
giudiziari) che si trova a dover trattare,
le misure di prevenzione che l’organizzazione
ha adottato, la rappresentazione
delle responsabilità associate alla
gestione dei dati, le attività di formazione,
mantenimento e miglioramento
necessarie.
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DEI DATI
Articolo
TABELLA 1
Dati personali: qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati
o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione,
compreso un numero di identificazione personale. Qualsiasi informazione riferita ad un soggetto
fisico,giuridicoosoggettocollettivo(ente,società,fondazione,associazione,ecc.)costituisceundato
personale o comune e, come tale, deve essere trattata nel rispetto della normativa sulla privacy.
Dati identificativi
o comuni:
dati personali che permettono l’identificazione diretta dell’interessato.
Dati sensibili: dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di
altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a
carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato
di salute e la vita sessuale.
Dati giudiziari: dati personali idonei a rivelare provvedimenti in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle
sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato
o di indagato secondo quanto previsto dagli articoli 60­61 del Codice di procedura penale.
Dati semi-sensibili: sono dati personali a metà tra dati comuni e sensibili; per esempio dati relativi alle liste dei sospettati
di frode, nominativi inseriti nelle centrali rischi, i dati relativi alla situazione finanziaria. Per
questa nuova categoria il Garante deve individuare le apposite tutele e i relativi accorgimenti da
adottare (art. 24­bis).
Dati anonimi: dati che in origine, o a seguito di trattamento, non possono essere associati a un interessato identificato
o identificabile.
Laprivacye il sistema
di sicurezza sul lavoro
Per sistema di sicurezza deve intendersi
l’insieme delle disposizioni e
degli obblighi raccomandati dal legislatore
nei decreti n. 626/1994 e n.
494/1996 e loro successive modifiche.
Questi decreti sono stati pensati
per tutelare la salute e la sicurezza
dei lavoratori di tutte le organizzazioni,
nessuna esclusa. Al centro
del sistema di gestione viene posta
la persona alla quale sono dirette le
azioni dell’organizzazione per prevenire
il manifestarsi di eventi dannosi,
nocivi o, nei casi più gravi,
letali.
Partendo dalla tutela di questi diritti
il legislatore obbliga le organizzazioni
a dotarsi di un sistema che sia
orientato alla prevenzione dei rischi e
alla tutela della salute del lavoratore.
Ogni organizzazione, così, dovrà gestire,
al suo interno, documenti che
raccolgono la descrizione dei potenziali
rischi legati ai processi e, quindi,
all’attività svolta dalla stessa organizzazione.
La figura che ha responsabilità all’interno
del sistema sicurezza è il
RSPP (Responsabile del servizio di
63

SICUREZZA DEI DATI
Articolo
prevenzione e protezione) che può essere
anche una figura esterna all’organizzazione,
come spesso accade,
svolgendo un’attività di servizio a copertura
dell’incarico assegnato.
In questo caso la persona gestisce,
di fatto, i documenti di sicurezza, di
cui riceve copia, all’interno dei quali
ci possono essere dati personali e sensibili.
Per questa ragione è necessario
che, da parte della persona incaricata
di ricoprire il ruolo di RSPP, ci sia
una richiesta di consenso al trattamento
dei dati nei confronti dell’organizzazione
committente, in fase di
formalizzazione dell’incarico o in fase
di consegna o affidamento dei documenti.
La sorveglianza sanitaria
e la privacy
La sorveglianza sanitaria è prevista
dal D.Lgs. n. 626/1994 per la verifica,
attraverso accertamenti sanitari
mirati, esami clinici e biologici, indagini
diagnostiche, dell’assenza di
controindicazioni al lavoro a cui i lavoratori
sono destinati, ma anche per
la valutazione dell’idoneità alla mansione
specifica e per l’accertamento
periodico dello stato di salute dei lavoratori
stessi.
Il “medico competente” è la figura
preposta all’attività di sorveglianza
sanitaria in collaborazione con il da-
Diritto
di conoscere
Diritto
di ottenere
Diritto
di opporsi
64
I diritti dell’interessato
IGIENE E SICUREZZA
tore di lavoro e con il Servizio di
Protezione e Prevenzione.
Il medico competente ha l’incarico
di istituire e tenere aggiornata, per
ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza,
una cartella sanitaria e di rischio
da custodire presso il datore di
lavoro con salvaguardia del segreto
professionale.
Riguardo al tema della privacy occorre
sottolineare che la sorveglianza
sanitaria deve essere interpretata come
norma che salvaguarda l’incolumità
fisica e la salute del lavoratore.
In quanto tale la raccolta delle informazioni
avviene senza autorizzazione
preventiva.
Tuttavia, la gestione (comunicazione,
conservazione e aggiornamento)
dei dati contenuti nella cartella sanitaria
deve essere garantita nel pieno
rispetto del D.Lgs. n. 196/2003.
In particolare, il medico competente
si configura come responsabile del
trattamento dei dati sanitari, in quanto
figura preposta dal datore di lavoro.
Questi si definisce titolare del trattamento
in quanto ha la responsabilità
di conservare i dati (soggetti, comunque,
a segreto professionale);
questa responsabilità obbliga il datore
di lavoro ad adottare tutte le misure
minime di sicurezza necessarie a
prevenire e a ridurre i rischi di perdita
e distruzione dei dati, ma anche
Esistenza ed origine dei dati che lo riguardano
Finalità e modalità del trattamento
Logica del trattamento informatico
Identità del titolare, responsabile e del rappresentante in Italia
Ambito di comunicazione e diffusione dei dati
Diritti concessi dal codice
Aggiornamento, variazione, rettifica ed integrazione dei dati
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
accesso o trattamento, da parte di terzi,
non consentito.
Riguardo alla comunicazione dei
dati, lo stesso D.Lgs n. 626/1994 prevede
un obbligo di comunicazione
degli esiti degli accertamenti effettuati
durante la sorveglianza sanitaria, all’interno
dei luoghi di lavoro nei confronti
del lavoratore.
Il medico competente informa il
lavoratore degli esiti di tutti gli esami
e degli accertamenti effettuati e, nel
caso questi ne faccia richiesta, rilascia
copia della documentazione.
La comunicazione nei confronti
del datore di lavoro è limitata unicamente
ai dati che rivelano patologie
incompatibili con le mansioni affidate
al lavoratore.
Per tutti gli altri casi il medico
competente, tenuto al segreto professionale,
non può e non deve comunicare
al datore di lavoro altre patologie
o condizioni sanitarie emerse durante
gli esami e gli accertamenti.
Riguardo alla diffusione dei dati
all’interno dell’azienda legati all’accertamento
sanitario, il datore di lavoro,
come titolare del trattamento
dei dati, potrà rilevare unicamente
quelle informazioni indispensabili
per assumere decisioni che riguardano
le mansioni del lavoratore, le soluzioni
proposte, gli accorgimenti
suggeriti, i provvedimenti decisi e
Cancellazione, trasformazione in forma anonima o blocco dei dati trattati in violazione di legge
TABELLA 2
Attestazione che la cancellazione od aggiornamento siano stati inoltrati a soggetti terzi che hanno preso conoscenza
dei dati a causa del trattamento
Per motivi legittimi al trattamento di dati che lo riguardano
Ai trattamenti riguardanti l’invio di materiale pubblicitario
9 agosto 2005 ­ N. 16

non i dati che rivelano lo stato di
salute ed eventuali patologie riscontrate
diverse dalle prime.
Altro aspetto che riguarda la diffusione
dei dati all’interno può essere
collegato alla gestione delle riunioni
periodiche sulla sicurezza, all’interno
delle quali possono essere trasmesse
informazioni che riguardano l’attività
di sorveglianza sanitaria, i risultati
degli accertamenti clinici effettuati,
le patologie rilevate, purché tutto avvenga
in forma anonima e collettiva,
senza alcun riferimento diretto alle
persone, fatto che configura una netta
violazione della privacy.
Conclusioni
Dall’analisi del D.Lgs n. 626/1994
emerge che la gestione dei dati sanitari
e di altri riferiti alle organizzazioni sono
sostanzialmente in linea con quanto
previsto dal D.Lgs. n. 196/2003, a tutela
della privacy della persona.
Tuttavia, è utile leggere il rapporto
tra il sistema di gestione dei dati,
regolato dalle disposizioni contenute
9 agosto 2005 ­ N. 16
IGIENE E SICUREZZA
nel TU sulla privacy, e il sistema di
prevenzione e protezione della salute
e sicurezza dei lavoratori nella forma
di una relazione continua e integrata.
In primo luogo, occorre sottolineare
come, nella politica per la sicurezza
di ciascuna organizzazione, è necessario
porre i diritti del lavoratore al
centro di ogni attività, compreso il
diritto alla tutela delle informazioni e
dei dati riferiti alle persone.
In secondo luogo, è necessario che
il Responsabile del servizio di prevenzione
e protezione, nell’esercizio delle
sue funzioni, adotti un approccio di
lavoro orientato al massimo rispetto
dei principi contenuti nel D.Lgs n.
196/2003, attenendosi alle norme per
il trattamento, comunicazione, diffusione,
conservazione e gestione dei dati
riferiti al sistema sicurezza.
È bene ricordare che l’interessato
al trattamento dei dati non è solo il
lavoratore come persona fisica ma
anche l’organizzazione come figura
giuridica, alla quale possono essere
riferiti i dati gestiti e diffusi.
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DEI DATI
Articolo
Altro elemento che collega privacy
e sicurezza si riferisce alla corretta
gestione dei dati prodotti all’interno
dell’attività di sorveglianza sanitaria
che ha come protagonisti i lavoratori
e le informazioni sanitarie a
essi riferite.
L’ultimo aspetto che deve essere
messo in evidenza si riferisce alla gestione,
diffusione e conservazione di
tutti i dati e i documenti della sicurezza
all’interno di ciascuna organizzazione
che rientrano nella fattispecie prevista
dal D.Lgs. n. 196/2003, il quale richiede
l’adozione di misure minime per
garantire la corretta gestione.
Da questo punto di vista, per un
pieno rispetto sia del D.Lgs. n. 626/
1994 sia del D.Lgs. n. 196/2003, è
necessario che siano adottate misure
minime sulla sicurezza dei dati, anche
attraverso l’adozione del
DPS che dovrà essere integrato con
tutti i sistemi di gestione presenti nell’organizzazione,
compreso il sistema
di prevenzione e protezione della
sicurezza e salute dei lavoratori. l
65

SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
IGIENE E SICUREZZA
Anche il lavoratore con anni di esperienza deve essere destinatario di un continuo rinnovamento della sua preparazione
I criteri di adeguatezza della formazione
secondo i pareri della Corte di Cassazione
di Mario Gallo, docente di Diritto della Sicurezza del lavoro presso il Corso di Perfezionamento per
Consulenti del Lavoro ­ Università degli Studi di Cassino, componente Comitato Formazione AIAS
Particolare attenzione è stata
posta dalla giurisprudenza sulle
problematiche inerenti alla
formazione dei lavoratori in
materia di sicurezza e salute sul
posto di lavoro; atto, questo, di
grande rilevanza poiché non solo
contribuisce alla prevenzione
degli infortuni e delle malattie
professionali, ma, soprattutto,
pone in evidenza le opportune
metodologie per la qualificazione
delle responsabilità penali del
datore di lavoro. La Suprema
Corte, tra le diverse cose,
evidenzia, nelle sue sentenze,
la necessità di una adeguata
formazione differenziata per
soggetto e tipologia di rischio
professionale; non ritiene
ammissibile la stessa formazione
per l’apprendista e per il
lavoratore con anni di esperienza,
ma, secondo il suo parere, sono
indispensabili interventi mirati
nelle due direzioni.
66
Gli ultimi interventi della Corte
di Cassazione e, in particolare,
le recenti sentenze nn. 18638/
2004 e 1238/2005 hanno portato nuovamente
alla ribalta la spinosa questione
della qualità degli interventi informativi
e formativi e, in particolare,
l’adeguatezza degli stessi in termini
d’utilità sul piano antinfortunistico. La
tematica è particolarmente delicata in
quanto, com’è noto, da un lato da essa
dipende la prevenzione degli infortuni
e delle malattie professionali mentre,
dall’altro, rappresenta uno degli aspetti
- sicuramente il più innovativo -
che, insieme all’adeguamento tecnicoorganizzativo
e alla vigilanza, concorre
a qualificare la responsabilità penale
del datore di lavoro. Tuttavia, l’obbligo
di valutare l’efficacia della formazione
ha contenuti non esattamente
definiti in quanto ancorato all’altrettanto
generica nozione di adeguatezza
contenuta nell’art. 22, D.Lgs. 19 settembre
1994, n. 626. Sul piano applicativo,
negli ultimi anni, gli studiosi
hanno suggerito diverse metodologie
più o meno efficaci, ma appare indispensabile
compiere anche una ricerca
indirizzata all’area giurisprudenziale,
finalizzata all’identificazione dei principali
criteri di adeguatezza della formazione
e i relativi approcci metodologici
suggeriti dalla Suprema Corte
di Cassazione.
Il processo formativo circolare
L’avvento del D.Lgs. 19 settembre
1994, n. 626, inevitabilmente ha inci-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
so anche sul controllo di merito dei
Tribunali e delle Corti d’Appello e sul
giudizio di legittimità della Suprema
Corte di Cassazione. In particolare,
nei procedimenti penali per reati in
materia di sicurezza e igiene del lavoro,
il giudice, per effetto delle nuove
disposizioni, è chiamato a una valutazione
delle responsabilità che non è
più solo di tipo esclusivamente tecnicistico,
ma più complessa, in cui la
variabile formativa comincia ad avere
un peso sempre maggiore (si veda lo
schema 1). Tuttavia, mentre i giudici
di merito ancora balbettano su questa
questione con provvedimenti spesso
di segno contrario, la S.C. ha assunto
un orientamento che, sia pure ancora
acerbo, è caratterizzato da coerenza e
continuità. L’elemento che più costantemente
si afferma nelle sentenze della
S.C. è la necessità di un nuovo
approccio di base alla formazione
che, in primo luogo, deve integrarsi
efficacemente con quello della valutazione
del rischio [1]. Nella prassi professionale
non di rado questi due elementi
camminano per strade separate
con il risultato di azioni formative del
tutto sterili. La S.C., viceversa, nelle
proprie sentenze, promuove l’evoluzione
da un processo formativo di tipo
lineare ed esclusivo dal datore di
lavoro al lavoratore, a uno di tipo circolare,
che implica un coinvolgimento
di più soggetti, che va dalla valutazione
alla formazione e viceversa. In
questa ottica si colloca la citata sentenza
della Cassazione Penale, sez.
[1] La Corte di Cassazione, nella sentenza 24 novembre 2004, ha affermato che l’informazione e formazione non sono altro che la
logica proiezione della norma dell’art. 4, D.Lgs. n. 626/1994, laddove l’art. 4 prescrive la valutazione dei rischi.
9 agosto 2005 ­ N. 16

IV, 22 aprile 2004, n. 18638, in cui la
S.C. ha affermato che gli obblighi che
gravano sul datore di lavoro in tema
informazione e formazione dei lavoratori
«non sono limitati ad un rispetto
formale, come può essere quello
derivante dalla predisposizione di
opuscoli e lettere informative e dalla
apposizione di cartelli ma esigono
che vi sia una positiva azione del datore
di lavoro volta a verificare l’effettiva
assimilazione da parte di lavoratori».
In altri termini, la S.C. ritiene che
l’obbligazione formativa ha un contenuto
complesso che è esattamente
adempiuta solo se a una corretta progettazione
e disseminazione fa seguito
anche un’azione valutativa finalizzata
a un preciso accertamento; ogni discente
deve aver realmente assimilato
le nozioni impartite e tenere, in concreto,
un comportamento conforme
alle disposizioni di sicurezza (si veda
la tabella 1). Pertanto, la S.C. ritiene
insufficiente un intervento valutativo
che si fermi ai classici test - spesso
indifferenziati e scopiazzati - ma come
magistralmente insegnato nella
sentenza della Cassazione Penale, sez.
IV, 3 giugno 1995, n. 6486, (cc. 3
marzo 1995), Grassi (rv 201706), occorre
anche un «controllo continuo,
pressante, per imporre che i lavoratori
rispettino quelle norme, si adeguino
alla misure in esse previste e sfuggano
alla superficiale tentazione di trascurarle.
Il responsabile della sicurezza,
sia egli o meno l’imprenditore, deve
avere la cultura e la “forma menus”
del garante del bene costituzionalmente
rilevante costituito dalla integrità
del lavoratore ed ha perciò il
preciso dovere non di limitarsi ad assolvere
normalmente il compito di informare
i lavoratori sulle norme antinfortunistiche
previste, ma deve attivarsi
e controllare sino alla pedanteria,
che tali norme siano assimilate
9 agosto 2005 ­ N. 16
IGIENE E SICUREZZA
dai lavoratori nella ordinaria prassi
di lavoro». A questa sentenza s’ispira
anche la successiva sentenza della
Cassazione Penale, sez. IV, 7 dicembre
2000, n. 12775, Pres. Sciuto, Rel.
Battisti, P.M. Murie, che ha, inoltre,
posto in evidenza che il datore di lavoro
non può limitarsi a fornire strumenti
adeguati ma è necessario anche
che «educhi il lavoratore ad avvalersene
e accerti, quindi, sia che quegli
sia “formato/educato” a servirsene,
sia che sia solito a farlo, vincendo le
prevedibili pigrizie».
L’intensità formativa
Ultimamente la S.C. è andata oltre
definendo i confini dei diritti all’informazione
e alla formazione. Infatti, la
sentenza della Cassazione 19 gennaio
2005, n. 1238, ha fornito una fondamentale
interpretazione dell’estensione
dell’art. 21, D.Lgs. n. 626/1994. Secondo
i giudici della S.C., il dovere di
informazione concerne esclusivamente
i rischi a cui è esposto il singolo
lavoratore nell’ambito delle sue specifiche
mansioni, sia pure con riferimento
alle operazioni a lui non direttamente
affidate ma che, comunque, in qualche
modo interessino la sfera di quelle.
Resta escluso, viceversa, dal diritto
d’informazione ogni altro settore che,
comunque, rimanga estraneo al campo
di azione nel quale si esplicano le
mansioni di una specifica competenza.
Un altro importante insegnamento
della S.C. è che è inadeguata una formazione
indifferenziata per soggetto e
tipologia di rischio professionale.
Questo approccio viene censurato in
quanto rappresenta di per sé fattore di
rischio. Non è ammissibile una formazione
uguale per tutti - per esempio,
apprendisti e lavoratori con anni di
esperienza alle spalle - ma sono indispensabili
interventi mirati in due direzioni.
La prima riguarda l’intensità
dell’azione formativa - sia progettuale
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
che di accertamento - che deve essere
maggiore per alcune categorie di lavoratori
i quali, per caratteristiche soggettive
e per natura delle mansioni
svolte, sono più esposti a rischi. La
S.C. ha identificato 6 categorie:
l neo assunti [2] ;
l dipendenti di terzi;
l lavoratori flessibili - si veda il
D.Lgs. n. 276/2003 [3] ;
l lavoratori impiegati in attività in
luoghi solitari e pericolosi;
l lavoratori giovani;
l lavoratori esposti a rischi particolari.
Le prime 3 categorie sono accomunate
dalla mancanza di familiarità con
i luoghi di lavoro, fenomeno questo
particolarmente tragico in chiave prospettica
se si guarda alla nuove forme
flessibili di lavoro introdotte dalla legge
Biagi (si veda Cass. pen., sez. IV, 3
giugno 1995, n. 6486). Per i lavoratori
impiegati in attività in luoghi solitari e
pericolosi, la già citata sentenza 7 dicembre
2000, n. 12775, assegna un
ruolo decisivo alla variabile formativa.
Per meglio comprendere l’importanza
dell’interevento giurisprudenziale,
appare il caso di richiamare brevemente
la vicenda giudiziaria. La
stessa è stata originata da un infortunio
a carico di un dipendente di una
società il quale, mentre stava caricando
un autocarro di altra società esterna
alla quale era stato dato in appalto il
servizio di trasporto dei rifiuti, constatato,
a carico ultimato, che il telone
che stava stendendo sul cassone si era
impigliato sulle spallate del veicolo,
era salito sul bordo superiore del cassone
ponendo il piede sull’ultimo gradino
di una scaletta di cui l’automezzo
era dotato e, nel fare ciò, aveva perso
l’equilibrio ed era caduto da una altezza
di circa due metri e mezzo procurandosi
lesioni personali che lo avevano
costretto a rimanere assente dal lavoro
per tre mesi.
Sia il Giudice di merito sia la Corte
[2] L’onere formativo e di controllo «si impone a maggior ragione nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di altri e
vengano per la prima volta a contatto con un ambiente e delle strutture a loro non familiari e che perciò possono riservare insidie non
note», Cass. pen., sez. IV, 3 giugno 1995, n. 6486 (cc. 3 marzo 1995), Grassi (rv 201706).
[3] Per un approfondimento si veda anche, AA.VV., Igiene e sicurezza nella legge Biagi, supplemento n. 3/2004 ad Ambiente&Sicurezza
n. 19/2004.
67

SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
di Cassazione hanno addebitato all’amministratrice
unica la responsabilità
di non aver reso sicuro l’accesso al
cassone mediante l’impiego di mezzi
appropriati, quali, ad esempio, funi di
trattenuta e cinture di sicurezza, che
non erano presenti sul luogo di lavoro,
ed evidenziato che l’iniziativa del lavoratore
di issarsi fino alla sponda del
cassone dell’automezzo per sbrogliarlo
e anche per agganciarlo, affinché
non volasse via nel corso del viaggio,
non può definirsi isolata e straordinaria
(come sostenuto dalla difesa), poiché
«si trattò di operazione certamente
rischiosa, ma non eccezionale, né
imprevedibile, come tale conosciuta o
doverosamente conoscibile da parte
dell’imputata». Soprattutto, l’insegnamento
più importante della S.C. è che
il datore di lavoro deve assolvere
un’obbligazione formativa differenziata,
particolarmente intensa in termini
di valutazione del livello d’apprendimento
dei discenti e di corretta identificazione
delle misure correttive.
Una maggiore intensità formativa è
richiesta anche per i lavoratori giovani.
In materia occorre segnalare la sentenza
della Corte di Cassazione Civile,
sezione lavoro, 12 gennaio 2002, n.
326, intervenuta per una vicenda giudiziaria
riguardante l’infortunio di un
apprendista. Infatti, ultimato il rustico
di un’abitazione in costruzione, il giovane
lavoratore è caduto dal solaio infortunandosi
mentre era intento a disarmare,
senza l’autorizzazione del datore
di lavoro, una tavola posta alla
base dell’architrave della finestra. Il ricorrente,
deducendo la motivazione
omessa, insufficiente e contraddittoria
in ordine a punti decisivi della controversia
(art. 360, n. 5 c.p.c.), ha censurato
la sentenza impugnata per avere
affermato la responsabilità del datore
di lavoro nonostante la imprevedibilità
e arbitrarietà del comportamento dell’infortunato,
sufficiente, per giurisprudenza
di questa Corte, che citava,
ad escludere la responsabilità del datore
di lavoro, nonché per avere applicato
questo (errato) principio di diritto
alla fattispecie di causa senza adeguata
motivazione. Ma la Suprema Corte ha
68
IGIENE E SICUREZZA
rigettato il ricorso sottolineando, in
particolare, che il dovere di sicurezza a
carico del datore di lavoro a norma
dell’art. 2087 c.c., rilevante anche in
relazione alle condotte volontarie e di
segno contrario del dipendente cui non
sia opposto un adeguato controllo, è
particolarmente intenso nei confronti
del lavoratore di giovane età e professionalmente
inesperto che sia addetto
ad una lavorazione di particolare pericolosità
(Cass., 2 ottobre 1998 n.
9805), qual è, sicuramente, il lavoro ad
altezza dal suolo per un apprendista.
Infatti, anche se è vero che il datore di
lavoro è esonerato da responsabilità
quando il comportamento del dipendente
presenti i caratteri dell’abnormità,
inopinabilità ed esorbitanza rispetto
al procedimento lavorativo e alle direttive
ricevute (Cass. n. 9805/1998), è
altrettanto vero che questi caratteri
vanno valutati in rapporto all’esperienza
lavorativa del dipendente medesimo
(Cass., 13 ottobre 2000, n. 13690).
Pertanto, nel caso dell’apprendista,
questa figura è per sua stessa natura
bisognosa di una particolare vigilanza
per effetto sia della giovane età sia
della causa addestrativa che giustifica
l’inserimento nell’organizzazione
d’impresa. In tal senso si modella l’attuale
sistema di tutele, riconducibile
essenzialmente all’art. 11, legge n. 25/
1955, in base al quale il datore di lavoro
ha l’obbligo sia di non sottoporre
l’apprendista a lavori superiori alle sue
forze fisiche o che non siano attinenti
alla lavorazione o al mestiere per il
quale è stato assunto, sia di non adibirlo
a lavori di manovalanza. Inoltre, di
non minore importanza è la legge n.
977/1967 che dispone il divieto di adibire
gli adolescenti ai lavori pericolosi
e il regime delle visite mediche preassuntive.
Resta, infine, la categoria dei lavoratori
esposti a rischi particolari. In
materia, particolarmente incisiva, è la
sentenza della Cassazione Penale, sez.
IV, (ud. 30 maggio 2001) 4 ottobre
2001, n. 35771. La Corte di Cassazione,
con la pronuncia in esame, ha affrontato
specificamente il problema
della relazione intercorrente tra l’uti-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
lizzo di attrezzature di lavoro da parte
dei lavoratori e il grado della loro formazione
professionale acquisito, in
rapporto alle esigenze di tutela antinfortunistica.
La sentenza in questione,
nel confermare la condanna del legale
rappresentante di una società con riguardo
all’infortunio sul lavoro occorso
a un dipendente assunto da poco
tempo e con la qualifica di lavoratore
stagionale, ha ritenuto, allineandosi,
sul punto, alle valutazioni già svolte
dai Giudici di merito, che il criterio di
imputazione in capo al datore di lavoro
del profilo di colpa specifica per
violazione della normativa prevenzionistica
(artt. 35 e 38, D.Lgs. n. 626/
1994) sia consistito nel non aver vietato
l’uso del muletto da parte del dipendente
e, quantomeno, nell’avere tollerato
questa situazione in via di mero
fatto. La sintesi del ragionamento della
Cassazione è stata che il lavoratore,
assunto con la qualifica di operaio generico
e non esperto nella conduzione
di mezzi di sollevamento e di trasporto,
era stato adibito a lavori che rendevano
ben prevedibile il ricorso da parte
sua all’attrezzatura di lavoro. In
questo contesto, gli addebiti mossi al
datore di lavoro sono stati di due tipi:
l il non avere vietato al lavoratore
l’uso dell’attrezzatura di lavoro, nonostante
il chiaro dettato dell’art. 35, comma
5, D.Lgs. n. 626/1994, il quale stabilisce
che «Qualora le attrezzature richiedano
per il loro impiego conoscenze
o responsabilità particolari in relazione
ai loro rischi specifici, il datore di
lavoro si assicura che l’uso dell’attrezzatura
di lavoro (sia) riservato a lavoratori
all’uopo incaricati», così postulando
una relazione di corrispondenza tra
esposizione a rischio e formazione professionale
del lavoratore;
l l’aver colposamente consentito, in
relazione alla prevedibilità dell’evento
infortunistico, questa indebita
esposizione al rischio del lavoratore;
sotto questo aspetto è evidente, oltre
alla violazione delle specifiche norme
contravvenzionali in tema di corretto
utilizzo delle attrezzature di lavoro e
di formazione professionale, anche
l’inosservanza della misura generale
9 agosto 2005 ­ N. 16

di tutela di cui all’art. 3, comma 1,
lettera h), D.Lgs. n. 626/1994 (limitazione
al minimo del numero di lavoratori
esposti al rischio durante il lavoro).
La formazione
dei lavoratori esperti
Una categoria di lavoratori che frequentemente
si ritiene, a torto, esente
dell’azione formativa è quella di coloro
che hanno già maturato diversi anni
di esperienza in una determinata mansione.
Viceversa la S.C., conformemente
al dettato dall’art. 22, D.Lgs. 19
settembre 1994, n. 626, è stata in più
occasioni di avviso contrario, ribadendo
che l’esistenza di una pregressa, anche
consistente, esperienza di lavoro
non consente di ritenere di per sé superfluo
che vengano impartite al dipendente
le necessarie istruzioni, a
meno che le specifiche caratteristiche
del rapporto di lavoro non consentano
di pervenire ad un motivato giudizio di
inutilità. Infatti, nella sentenza della
Cassazione Penale, sez. IV, 26 giugno
2002, n. 818, la S.C., ai sensi dell’art. 4
e dell’art. 21, D.Lgs. 19 settembre
1994, n. 626, il datore di lavoro è tenuto
a provvedere affinché ciascun lavoratore
riceva un’adeguata informazione
su tutti i rischi connessi allo svolgimento
della propria attività. La stessa
Cassazione, in conformità ad un ormai
consolidato orientamento giurisprudenziale,
ha affermato che «il datore di
lavoro deve rendere edotti i lavoratori
dei rischi specifici cui sono esposti sul
lavoro» (Cass. pen., sez. III, 10 marzo
1981, n. 2065). Nel caso in esame, la
colpa del ricorrente, condannato per il
reato di lesioni colpose, è stata ravvisata
proprio nel non aver informato il
dipendente del rischio cui era sottoposto;
il lavoratore non era stato informato
della necessità di utilizzare la sabbia
per lo spegnimento di eventuali incendi
mentre operava ad un tornio automatico
ed era impegnato nella lavorazione
di una lega composta al 90% di
9 agosto 2005 ­ N. 16
IGIENE E SICUREZZA
magnesio; motivo per cui, utilizzando
l’acqua per spegnere del materiale incandescente,
aveva provocato una nube
di vapore ad alta temperatura che
lo aveva investito provocandogli lesioni
gravi. La Corte di Cassazione ha
ritenuto infondati i motivi addotti dal
ricorrente secondo cui, avendo il lavoratore
infortunato una notevole
esperienza di lavoro, le istruzioni su
come spegnere eventuali incendi sarebbero
state superflue e il comportamento
del lavoratore poteva essere
qualificato come eccezionale e, quindi,
idoneo ad interrompere il rapporto
di causalità con il comportamento
omissivo del datore di lavoro. In realtà,
come la sentenza impugnata ha
accertato, le istruzioni sulle modalità
di spegnimento degli incendi non erano
state date dal datore di lavoro al
lavoratore infortunato che, pur essendo
dotato di esperienza, aveva dichiarato
di non aver mai lavorato con la
sostanza (il magnesio) che aveva dato
origine alla formazione del materiale
incandescente. Questa circostanza, a
giudizio, della Suprema Corte, è risultata
idonea a convalidare il giudizio
sulla natura non eccezionale del
comportamento del lavoratore espresso
dal giudice di merito. Questi principi
sono stati nuovamente ribaditi
nella successiva sentenza della Cassazione
Penale, sez. IV, 28 gennaio
2003, n. 3984, (Pres. Fattori, Rel. Palmieri)
che ha anche aggiunto che
«l’affidamento di lavori, pur di prassi
elementare, ad un lavoratore particolarmente
esperto, non esime il datore
di lavoro dal fornire al lavoratore
medesimo le indicazioni delle particolari
cautele e delle attrezzature necessarie
per lo svolgimento in sicurezza
dei compiti affidati».
La formazione nell’uso
delle macchine
Un’altra area in cui si riscontra,
infine, un’apprezzabile produzione
giurisprudenziale è quella della for-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
mazione degli addetti alle macchine.
In tal senso, si segnalano, su tutte le
sentenze della Cassazione Civile, sezione
lavoro, 19 aprile 2003, n. 6377,
(Pres. Prestipino, Rel. Capitano) e la
sentenza della Cassazione Penale, sez.
IV, 26 gennaio 1999, n. 987, dalle
quali è possibile estrapolare alcuni
importanti principi generali. Il primo
è che l’intervento formativo deve essere
particolarmente calibrato, ossia è
indispensabile che la formazione sia
differenziata per macchine, anche dello
stesso tipo. Non è, pertanto, sufficiente
limitarsi a formare il lavoratore
sui rischi e l’uso di un’ipotetica macchina,
un esempio classico, in tal senso,
è la distribuzione di guide generali
e lo svolgimento di lezioni solo teoriche
non modellate sulla specifica realtà
lavorativa, ma risulta indispensabile
che la formazione sia in funzione
delle macchine associate alla mansione,
anche attraverso lo svolgimento di
sessioni addestrative che andranno
correttamente documentate [4] . Il dovere
di formazione, inoltre, oltre che agli
aspetti connessi alle normali condizioni
di impiego, deve estendersi anche
a quelli connessi alle situazioni
anomale prevedibili. Infine, per concludere
questa breve analisi, un ultimo
principio giurisprudenziale avente
notevole valenza è che risulta del tutto
inutile, ai fini dell’adempimento dell’obbligo
di adeguata formazione dei
lavoratori, «mettere tra le mani degli
operai un “manuale con le istruzioni”,
che gli operai, per nulla educati e
stimolati, hanno distrattamente sfogliato».
In altri termini, la semplice
consegna delle classiche guide operative
sulle macchine non è di per sé
sufficiente ai fini dell’osservanza degli
artt. 21 e 22, D.Lgs. n. 626/1994; è
necessario, invece, che la documentazione
sia chiaramente comprensibile,
che i destinatari siano incentivati alla
lettura e che, al tempo stesso, vi sia
un’attenta verifica della qualità dell’apprendimento.
l
[4] Si veda sull’argomento, dello stesso autore, Percorsi formativi per la sicurezza: guida per una corretta documentazione, in
Ambiente&Sicurezza n. 1/2003, pag. 40.
69

70
SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
IGIENE E SICUREZZA
L’obbligazione formativa nella giurisprudenza
della Corte di Cassazione
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
TABELLA 1
Principio Contenuti Principali riferimenti
Processo formativo
circolare
Adeguatezza
della formazione
Obbligo di più
intensa formazione
Tutela dei lavoratori
esperti
Formazione
differenziata
nell’uso di macchine
L'evoluzione del controllo giudiziario
Controllo tecnicistico Controllo complesso
Processo formativo lineare Processo formativo circolare
Valutazione
Formazione
Continuo interagire tra formazione, controllo e valutazione dei
rischi.
La formazione deve interagire con un’idonea valutazione dei rischi
e non è limitata solo ad un rispetto formale della normativa,
ma richiede che vi sia una positiva azione continua del datore
di lavoro volta a verificare l’effettiva assimilazione da parte di
lavoratori.
• Neo assunti;
• dipendenti di terzi;
• lavoratori flessibili ­ v. D.Lgs. n. 276/2003
• lavoratori impiegati in attività in luoghi solitari e pericolose;
• lavoratori giovani;
• lavoratori esposti a rischi particolari.
«L'affidamento di lavori, pur di prassi elementare, ad un lavoratore
particolarmente esperto, non esime il datore di lavoro dal
fornire al lavoratore medesimo le indicazioni delle particolari
cautele e delle attrezzature necessarie per lo svolgimento in sicurezza
dei compiti affidati».
• La formazione in materia di macchine deve essere differenziata
per macchine, anche dello stesso tipo;
• l’azione formativa deve essere non solo teorica ma anche pratica:
è necessaria la prova dell’avvenuto addestramento per ciascuna
macchina utilizzata;
• il dovere di formazione, oltre che agli aspetti connessi alle normali
condizioni di impiego, deve estendersi anche a quelli connessi
alle situazioni anomale prevedibili;
• è del tutto inutile, ai fini dell’adempimento dell’obbligo di una
adeguata formazione dei lavoratori «mettere tra le mani degli
operai un “manuale con le istruzioni”, che gli operai, per nulla
educati e stimolati, hanno distrattamente sfogliato».
Schema 1
­ Cass. pen., sez. IV, 22
aprile 2004 , n. 1863;
­ Cass. pen., sez. IV, 3 giugno
1995, n. 6486.
­ Cass., 3 giugno 1995, n.
6486;
­ Cass., 7 dicembre 2000,
n. 12775;
­ Cass., 12 gennaio 2002,
n. 326;
­ Cass. pen., sez. IV, 4 ottobre
2001, n. 35771.
­ Cass. pen., sez. IV, 26
giugno 2002, n. 818;
­ Cass. pen., sez. IV, 28
gennaio 2003, n. 3984.
­ Cass. civ., sezione lavoro,
19 aprile 2003, n.
6377;
­ Cass. pen., sez. IV, 26
gennaio 1999, n. 987.
Il criterio di adeguatezza della formazione secondo la Corte di Cassazione
«Idoneità prevenzionistica della valutazione dei rischi e dell’intervento formativo con accertamento continuo
della conformità del comportamento del lavoratore alle regole di sicurezza»
9 agosto 2005 ­ N. 16

IGIENE E SICUREZZA
SICUREZZA IN CANTIERE
Commento
Il distacco di manodopera intra-gruppo non dovrebbe mai incidere sull’autonomia gestionale delle singole imprese
Distacco del personale: dal MinLavoro chiarimenti
su condizioni di liceità e sicurezza del lavoro
di Mario Gallo, Docente di Diritto della Sicurezza del Lavoro presso il Corso di Perfezionamento in
Gestione delle Risorse Umane ­ Università degli Studi di Cassino, componente Comitato Formazione AIAS
L’istituto del distacco
del personale rappresenta
un’area di notevole interesse
sia sul piano giuslavoristico sia
tecnico­prevenzionale per effetto
di una disciplina dai contorni non
ancora esattamente delineati
e delle criticità esistenti nel
processo di flessibilizzazione.
Per queste ragioni il Ministero
del Lavoro e delle Politiche sociali
è intervenuto nuovamente
sul tema dettando utili indirizzi
interpretativi e applicativi con la
circolare 24 giugno 2005, n. 28.
Il Dicastero del Welfare pur
affrontando in via principale le
correlazioni tra distacco e cassa
integrazione, ha fornito
interessanti spunti anche per un
approfondimento sulla tutela del
diritto alla salute del lavoratore
distaccato, problematica, questa,
particolarmente complessa per
effetto dell’intreccio di diversi
rapporti e, soprattutto, per la
dissociazione tra soggetto titolare
del rapporto di lavoro e
destinatario della prestazione del
lavoratore, fisionomia, questa,
comune anche alla
somministrazione di manodopera.
9 agosto 2005 ­ N. 16
Le condizioni di liceità
Il Ministero del Lavoro e della Politiche
sociali, con circolare 24 giugno
2005, n. 28 [1] , ha nuovamente
puntualizzato, in primo luogo, le condizioni
che determinano il distacco
lecito del personale; le stesse, ricorda
il Ministero, sono statuite dall’art. 30,
D.Lgs. n. 276/2003, che consente il
distacco «quando un datore di lavoro,
per soddisfare un proprio interesse,
pone temporaneamente uno o più
lavoratori a disposizione di altro soggetto
per l’esecuzione di una determinata
attività lavorativa». Con riferimento
al requisito dell’interesse del
distaccante, il Ministero, riconoscendo
una certa genericità nella formulazione
normativa, avverte che lo stesso
deve essere interpretato alla luce
dell’elaborazione giurisprudenziale
dalla quale sono stati mutuati dal legislatore
gli elementi costitutivi dell’istituto
in esame [2] . Pertanto, l’orientamento
giurisprudenziale anteriore
al D.Lgs. n. 276/2003 rappresenta,
ancora oggi, un autentico faro per la
corretta applicazione delle norme in
esame; ne consegue che l’interesse
deve essere specifico, rilevante, concreto
e persistente per tutto il periodo
in cui il distacco è disposto. Inoltre, il
Ministero, richiamando la precedente
circolare 15 gennaio 2004, n. 3, ricorda
nuovamente che «l’interesse che
legittima il distacco non può mai
concretizzarsi in un mero interesse al
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
corrispettivo per la fornitura di lavoro
altrui, che caratterizza, invece, la
diversa fattispecie della somministrazione
di lavoro». In ordine, poi, al
fenomeno dei gruppi societari - in cui
il distacco trova campo fertile - nella
circolare il Ministero chiarisce anche
che l’interesse dal datore di lavoro a
trasferire i propri lavoratori presso la
società distaccataria non si può ritenere
automaticamente sussistente per
il semplice fatto che lo stesso si sviluppa
nell’ambito di un rapporto tra
imprese appartenenti al medesimo
gruppo. Questo orientamento interpretativo
è confortato dalla giurisprudenza
della S.C. di Cassazione che
ritiene che la sussistenza di un rapporto
di gruppo in questi casi non ha
la forza, di per sé, di legittimare il
distacco, ma costituisce un presupposto
di fatto da considerare ai fini della
valutazione circa la sussistenza, nel
caso concreto, dell’interesse del datore
di lavoro distaccante (si veda
Cass., 18 agosto 2004, n. 16165 e
Cass., 16 febbraio 2000, n. 1733).
Per quanto riguarda, poi, l’elemento
della temporaneità, il Ministero non
fornisce alcuna nuova precisazione,
segno questo che ritiene già di essere
stato esaustivo con la circolare n. 3/
2004, in cui ha precisato che la nozione
di temporaneità coincide con quello
di non definitività, indipendentemente
dall’entità della durata del periodo
di distacco, fermo restando che
questa durata deve essere funzionale
[1] In Gazzetta Ufficiale dell’8 luglio 2005, n. 157.
[2] Per un utile approfondimento si veda Raffaele De Luca Tamajo, Appalto di manodopera, lavoro temporaneo, esternalizzazioni, in
Forme flessibili d’impiego e riforma del mercato del lavoro, a cura di Antonio Pileggi, Università degli Studi di Cassino, 2002, pag. 12.
71

SICUREZZA IN CANTIERE
Commento
alla persistenza dell’interesse del distaccante
[3] . Insomma, il distacco potrebbe
durare anche anni, a condizione
che sia provato che un periodo così
lungo è giustificato da reali esigenze
produttive del distaccante [4] .
Gli obblighi di igiene
e di sicurezza del lavoro
Nel nuovo provvedimento il Ministero
non fa espliciti riferimenti all’obbligazione
di sicurezza, ma opportunamente
fornisce due fondamentali
chiarimenti. Il primo è che il distacco
di manodopera intra-gruppo non dovrebbe
mai incidere sull’autonomia
gestionale delle singole imprese, al fine
di «evitare che il gruppo appaia
una frammentazione artificiosa (e
quindi fraudolenta) di un unico soggetto
giuridico»; pertanto, nelle fattispecie
concrete in cui uno dei soggetti
del rapporto non ha alcuna autonomia
nel gestire il lavoratore, questo elemento
costituirà oggetto di particolare
valutazione dell’Autorità Giudiziaria,
al fine di accertare le responsabilità
nelle ipotesi di violazioni alla normativa
antinfortunistica, con particolare
riferimento ai principi enunciati dall’art.
2, comma 1, lettera b), D.Lgs. 19
settembre 1994, n. 626 [5] .
Il secondo, consiste in un richiamo
72
IGIENE E SICUREZZA
ad applicare la normativa non concentrandosi
unicamente sui citati presupposti
di legittimità ma considerando anche
i vincoli generali residenti nello svolgimento
del processo di distacco; il Ministero
ricorda esplicitamente quelli inerenti
al mutamento delle mansioni e allo
spostamento della sede di lavoro oltre
50 km rispetto a quella originaria.
Tuttavia, appare chiaro che questo ammonimento
riguarda anche le condizioni
di sicurezza del lavoro e, in particolare,
la ripartizione degli obblighi tra distaccante
e distaccatario (si veda lo
schema 1). A tal fine, per avere una
visione più chiara dei rapporti che si
sviluppano all’interno dell’istituto in
esame, occorre brevemente compiere
alcune indispensabili precisazioni. Nel
distacco il lavoratore resta sotto il profilo
amministrativo in carico al datore di
lavoro originario, che lo annoterà nei
propri libri matricola e paga, corrisponderà
la retribuzione, registrerà le progressioni
di carriera (passaggi di qualifica,
scatti di anzianità), e provvederà
ad adempiere agli obblighi assicurativi
e previdenziali; lo stesso conserverà anche
il potere direttivo generale in quanto
il distacco non comporta la cessazione
del rapporto. Per quanto, invece, riguarda
lo svolgimento del rapporto di
lavoro, il lavoratore sarà inserito tem-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
poraneamente all’interno dell’unità
produttiva del distaccatario e sottoposto
al rapporto gerarchico in atto presso lo
stesso. Di conseguenza, riceverà le disposizioni
e gli ordini dai capi, ossia
sarà assoggettato all’esercizio del potere
direttivo e disciplinare del datore di
lavoro a cui è stato destinato. Il risultato
finale è la dissociazione tra titolare del
rapporto di lavoro e destinatario della
prestazione lavorativa; emerge, pertanto,
che, ai fini prevenzionistici, è possibile
affermare che la posizione soggettiva
del distaccatario è quella di debitore
primario di sicurezza, direzione e
sorveglianza del lavoro, rispetto dei
principi del D.P.R. n. 547/1955, ecc. [6][7] .
Questa posizione è stata confermata in
passato anche dallo stesso Ministero
del Lavoro con la circolare 21 aprile
1994, n. 58, richiamata nella più recente
circolare n. 3/2004, in cui si afferma
che «nei confronti dei lavoratori temporaneamente
distaccati l’impresa distaccataria
che utilizza di fatto le prestazioni
di lavoro è vincolata ai medesimi
obblighi di sicurezza e di prevenzione
che è tenuta ad osservare nei confronti
dei propri dipendenti in organico:
pertanto, anche l’eventuale infortunio
accorso al lavoratore distaccato
non può non influire sul rapporto
assicurativo e contributivo dell’impresa
distaccataria al pari di quelli accorsi
ai dipendenti della stessa». Tut-
[3] Si veda Cassazione, sezioni unite, 20 febbraio 1985, n. 1499, in base alla quale «l’imprenditore che assegni il proprio dipendente,
fin dal momento della costituzione del rapporto ed in via definitiva, presso un’azienda altrui, per un’attività stabilmente inserita nel
ciclo produttivo di quest’ultima, incorre in violazione del divieto di interposizione nel collocamento di mano d’opera ai sensi e agli
effetti della legge 23 ottobre 1960, n. 1369».
[4] Si ricorda che il distacco (o comando) è un istituto che fino all’avvento del D.Lgs. n. 276/2003 è stato frutto di una elaborazione
esclusivamente giurisprudenziale. Solo con l’art. 8, legge 9 luglio 1993, n. 236, è stato introdotto nell’ordinamento giuridico
l’istituto in oggetto, laddove si stabilisce che «gli accordi sindacali, al fine di evitare le riduzioni di personale, possono regolare il
comando o il distacco di uno o più lavoratori dall’impresa ad altra per una durata temporanea». Questa fattispecie viene considerata
un’ipotesi legale tipica di distacco.
[5] Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera b), D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, nei rapporti di lavoro privato viene qualificato come
datore di lavoro il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e
l’organizzazione dell’ impresa, ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva, quale definita ai sensi della
lettera i), in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa.
[6] Per maggiori informazioni, si veda anche di Corrado Cardarello, Il distacco del lavoratore, in Guida al Lavoro n. 37/2001, pag. 23.
In questa pubblicazione l’Autore fornisce una condivisibile osservazione in ordine alle rivendicazioni in merito al rispetto degli
obblighi datoriali in materia di sicurezza e igiene del lavoro. Infatti, secondo l’Autore «Qualora la prestazione lavorativa del
distaccato sia eseguita nei locali dell’impresa distaccataria e le organizzazioni sindacali della stessa indicano un’assemblea per
comunicare ai lavoratori iniziative da intraprendere in materia di sicurezza, deve ritenersi che la partecipazione del lavoratore
distaccato alla predetta assemblea sia legittima, proprio in relazione all’attualità ed alla concretezza dell’interesse sotteso».
[7] Per un approfondimento dell’argomento, si veda, di Antonio Vallebona, Istituzioni di Diritto del Lavoro - II Il rapporto di lavoro,
1999, pag. 113; l’Autore ha efficacemente osservato, ai fini della differenziazione con le altre forme di trasferimento del luogo della
prestazione - trasferta e trasferimento - che nel distacco (o comando) il lavoratore «non viene semplicemente spostato nell’ambito
aziendale, ma viene inserito in un’altra organizzazione, prestando la sua attività a favore di un soggetto terzo, al quale il datore di
lavoro, pur conservando l’obbligazione retributiva, cede il potere direttivo».
9 agosto 2005 ­ N. 16

tavia, ciò non significa che il datore di
lavoro distaccante sia esente da ogni
responsabilità e, in particolare, da quelle
nascenti dal D.Lgs. 19 settembre
1994, n. 626; in tal senso la giurisprudenza
è illuminante. Infatti, occorre ricordare
che la S.C. di Cassazione pen.,
sez. IV, nella sentenza 2 maggio 2003,
n. 20062, con riferimento all’infortunio
mortale in un cantiere occorso a un lavoratore
sprovvisto di DPI, ha affermato
che «poiché la circostanza che l’incidente
sia avvenuto in un cantiere ove
operava un’altra ditta e che quest’ultima
avesse preposto un capo cantiere
responsabile, non modifica la posizione
dell’attuale ricorrente dal momento
che, come è già stato affermato da questa
Corte, l’obbligo imposto al datore
di lavoro di attuare e controllare le misure
di sicurezza non viene meno quando
il lavoro venga svolto in un cantiere
gestito da altro imprenditore, non valendo
a far venire meno la responsabilità
del datore di lavoro il distacco di
9 agosto 2005 ­ N. 16
IGIENE E SICUREZZA
lavoratori presso un’altra ditta» [8] .
Pertanto, risulta palese che datore di
lavoro distaccante e impresa distaccataria,
conservando le rispettive responsabilità
in materia di sicurezza sul lavoro,
pur se evidentemente sbilanciate
verso la seconda, devono necessariamente
sviluppare rapporti di cooperazione
e di coordinamento. In termini
generali, si realizza una situazione analoga
a quella dell’appalto in cui il datore
di lavoro committente e l’appaltatore
sono chiamati in concorso ad adempiere
agli obblighi di sicurezza, ai sensi
dell’art. 7, D.Lgs. n. 626/1994; nel distacco,
tuttavia, la ripartizione dell’obbligazione
di sicurezza appare più sfumata
per effetto del carattere relativamente
innovativo dello strumento e di
una normativa ancora bisognosa di
chiarimenti. In attesa che ciò avvenga,
una possibile soluzione è la formalizzazione
di un protocollo di distacco (si
veda il riquadro 1) che dovrà essere
approvato nel corso della riunione pe-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA IN CANTIERE
Commento
Un protocollo generale di distacco del personale
riodica ex art. 11, D.Lgs. 19 settembre
1994, n. 626; si ritiene che la stessa
possa essere tenuta anche congiuntamente
dai soggetti della prevenzione
(datore di lavoro, medico competente,
RSPP, RLS) delle rispettive imprese [9] .
Resta, infine, da compiere un’ultima
osservazione per quanto riguarda
l’assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni e le malattie professionali; il
relativo premio rimane a carico del datore
di lavoro distaccante ma è calcolato
sulla base dei premi e della tariffa
che sono applicati al distaccatario. Il
datore di lavoro distaccante, salvo un
diverso accordo fra le parti relativamente
al trattamento economico e normativo,
rimane poi responsabile ex art.
10, D.P.R. n. 1124/1965 in caso di rivalsa
dell’Istituto in occasione di un
infortunio sul lavoro, integrante
un’ipotesi di reato, occorso al distaccato
presso il distaccatario quale soggetto
incaricato della direzione e sorveglianza
del lavoro ex comma 3 del medesimo
art. 10 [10] . l
Riquadro 1
1. Definizione del mansionario del personale da distaccare;
2. acquisizione del documento di valutazione dei rischi redatto dalla distaccataria;
3. acquisizione dei dati sulla struttura organizzativa della distaccataria;
4. nomina del medico competente a cura della distaccante, con la definizione di una regolamentazione della
sorveglianza sanitaria;
5. definizione di un accordo di coordinamento e di cooperazione, con puntuale definizione dei ruoli e delle
responsabilità;
6. previsione di riunioni periodiche di coordinamento ex art. 11 D.Lgs. 19/9/1994, n. 626;
7. dichiarazione dell’impresa utilizzatrice che il lavoratore sarà effettivamente ed esclusivamente utilizzato nelle
mansioni previste dal contratto;
8. meccanismo di ripartizione degli obblighi informativi e formativi e designazione del nominativo dell’incaricato
dell’impresa utilizzatrice di erogare l’informazione e la formazione;
9. previsione del diritto di regresso a favore della distaccante per le somme e l’indennità corrisposte all’INAIL e al
lavoratore in caso d’infortunio o malattia professionale dipendenti da responsabilità dell’impresa utilizzatrice;
10. previsione del diritto d’accesso ai luoghi di lavoro da parte della distaccaria in caso d’infortunio e di richiesta
d’informazioni ai soggetti del sistema di sicurezza aziendale;
11. regolamentazione della procedura d’acquisizione dei dati obbligatori per la denuncia dell’infortunio.
[8] Si veda, inoltre, Cass. pen., sez. IV, 3 giugno 1995. In questa sentenza la S.C. ha posto in evidenza che l’attività di vigilanza delle
misure di sicurezza deve essere ancora più intensa nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di altri e vengano per
la prima volta a contatto con un ambiente e delle strutture a loro non familiari e che perciò possono riservare insidie non note.
[9] Per ulteriori approfondimenti, si veda, di Mario Gallo, Somministrazione, appalto e distacco: la nuova sfida della sicurezza
flessibile, nel Supplemento n. 3/2004 di Ambiente&Sicurezza, pag. 15. Nella stessa pubblicazione è contenuto il Formulario della
sicurezza e, in particolare, gli schemi di protocollo di distacco, di comunicazione al lavoratore e all’INAIL.
[10] Si vedano le circolari del Ministero del Lavoro 21 aprile 1994, n. 58, e 15 gennaio 2004, n. 3.
73

74
SICUREZZA IN CANTIERE
Documento
Commento
Ripartizione
degli obblighi
di sicurezza
IGIENE E SICUREZZA
Il rapporto di sicurezza nel distacco del personale
Distaccante
Distaccatario
Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali
24 giugno 2005, n. 28
I. I presupposti di legittimità del distacco
Circolare in materia di distacco e cassa integrazione
in Gazzetta Ufficiale dell’8 luglio 2005, n. 157
Il distacco si verifica allorquando un datore di lavoro
per soddisfare un interesse proprio invia uno o più lavoratori
alle dipendenze di un soggetto terzo per l’esecuzione
di una determinata attività lavorativa. Requisiti di legittimità
del distacco sono la temporaneità e la sussistenza di
un interesse al distacco in capo al datore di lavoro distaccante.
Con riferimento al requisito dell’interesse, l’art. 30
del decreto legislativo n. 276 del 2003 si limita a precisare
che il datore di lavoro distaccante deve «soddisfare
un proprio interesse». Particolare attenzione va dunque
riservata alla elaborazione giurisprudenziale che, pur
formatasi antecedentemente alla nuova disciplina legi-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
Schema 1
Obblighi generali D.Lgs. n. 626/1994
Coordinamento e cooperazione con il distaccatario
(protocollo di distacco)
Assicurazione obbligatoria contro gli infortuni
Informazione e formazione
Nomina del medico competente nei casi previsti
Controllo del rapporto e intervento in caso di conoscenza
di situazioni di pericolo per il lavoratore
Valutazione dei rischi (1)
Adeguamento dei luoghi di lavoro e delle attrezzature
Cooperazione e coordinamento con il distaccante
Informazione e formazione sui rischi specifici
Vigilanza
(1) - Rischi professionali da flessibilità specifici del distacco sono rappresentati, in generale, da: isolamento del lavoratore
distaccato; formazione inadeguata; mancato/inadeguato coordinamento/cooperazione; mancato aggiornamento delle
procedure organizzative e/o operative; deresponsabilizzazione dei capi reparto/dirigenti.
slativa, ne ha ispirato i contenuti, chiarendo che l’interesse
deve essere specifico, rilevante, concreto e persistente
per tutto il periodo in cui il distacco è disposto. A
tale proposito, con la Circolare n. 3/2004, questo Ministero
ha altresì osservato come l’interesse che legittima
il distacco non può mai concretizzarsi in un mero interesse
al corrispettivo per la fornitura di lavoro altrui, che
caratterizza, invece, la diversa fattispecie della somministrazione
di lavoro.
Occorre, inoltre, chiarire che non si può ritenere autonomaticamente
sussistente l’interesse del datore di lavoro
al distacco per il solo fatto che esso viene disposto tra
imprese appartenenti al medesimo gruppo. La giurisprudenza
ha, infatti, ritenuto che il rapporto di gruppo che
lega distaccante e distaccatario non legittima per sé solo il
9 agosto 2005 ­ N. 16

distacco ma costituisce un presupposto di fatto da considerare
ai fini della valutazione circa la sussistenza, nel
caso concreto, dell’interesse del datore di lavoro distaccante
(Cass. 18 agosto 2004, n. 16165 e Cass. 16 febbraio
2000, n. 1733).
In questo senso anche la già richiamata circolare n.
3/2004 ha precisato, da un lato, che la formulazione della
novella legislativa legittima le prassi di distacco all’interno
dei gruppi di impresa, le quali corrispondono ad una
reale esigenza di imprenditorialità, volta a razionalizzare,
equilibrandole, le forme di sviluppo per tutte le aziende
che fanno parte del gruppo, e, dall’altro lato, che la precedente
prassi amministrativa aveva comunque riconosciuto
necessari, anche in questa ipotesi, tanto il requisito dell’interesse
del distaccante quanto quello della temporaneità
del distacco.
II. Il ricorso al distacco quale alternativa a una
procedura di cassa integrazione per contrazione di
attività produttiva
È in questo contesto che deve essere valutata la liceità
del ricorso al distacco quale alternativa a una procedura di
cassa integrazione per contrazione della attività produttiva.
Detta ipotesi solleva infatti alcuni profili di criticità
con riferimento al principio in base al quale il distacco
deve essere riconducibile ad uno specifico interesse del
datore di lavoro affinchè la prestazione sia, temporanea-
9 agosto 2005 ­ N. 16
IGIENE E SICUREZZA
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA IN CANTIERE
Documento
Commento
mente, eseguita presso un terzo ma in adempimento dell’unico
e originario rapporto di lavoro che prosegue con il
distaccante.
Poiché, infatti, il distacco integra un atto organizzativo
dell’impresa che lo dispone, e determina così una mera
modifica delle modalità di esecuzione della prestazione
lavorativa (Cass. 18 agosto 2004, n. 16165), deve escludersi
la legittimità di un distacco fondato su una ragione
meramente economica, che può essere tanto l’interesse ad
un corrispettivo, come sopra evidenziato, quanto il solo
interesse al risparmio del costo del lavoro.
(Omissis)
Infine, con riferimento alle concrete modalità operative
si ritiene opportuno rilevare che:
1) il distacco di manodopera intra-gruppo non dovrebbe,
in ogni caso, incidere sulla autonomia di gestione
delle singole imprese onde evitare che il gruppo appaia
una frammentazione artificiosa (e quindi fraudolenta) di
un unico soggetto giuridico;
2) in caso di distacco occorre tenere presente non solo i
presupposti di legittimo ricorso all’istituto ma anche i
vincoli derivanti dall’applicazione della disciplina ed, in
particolare, di quelli afferenti al mutamento di mansioni e
di quelli relativi ad un possibile spostamento della sede di
lavoro oltre 50 km rispetto a quella originaria. l
75

LEGISLAZIONE
In breve
IGIENE E SICUREZZA
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE
a cura di Marco Fabrizio, avvocato in Roma
EUROPA
AGENZIA EUROPEA PER LA SICUREZZA
E LA SALUTE SUL LAVORO
Regolamento (CE) del Consiglio
24 giugno 2005, n. 1112/2005
«Regolamento n. 1112/2005 del Consiglio del 24
giugno 2005 recante modifica del regolamento
(CE) n. 2062/94 del Consiglio, relativo all’istituzione
di un’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul
lavoro» (G.U.C.E. L del 15 luglio 2005, n. 184)
Il regolamento del Consiglio 24 giugno 2005, n.
1112/2005 apporta numerose modifiche alla disciplina
di cui al regolamento (CE) n. 2062/94 istitutivo
dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul
lavoro, a cominciare dallo stesso art. 2 del regolamento,
relativo all’«Obiettivo» dell’Agenzia, costituita
per fornire agli organi comunitari, agli Stati
membri, alle parti sociali e agli ambienti interessati
le informazioni tecniche, scientifiche ed economiche
utili nel campo della sicurezza e della salute sul
lavoro, «al fine di migliorare l’ambiente di lavoro, in
un contesto di tutela della sicurezza e della salute
dei lavoratori» (nuovo art. 2). Risulta, inoltre, prevista
la stretta collaborazione tra l’Agenzia e gli istituti,
le fondazioni, gli organismi specializzati e i programmi
esistenti a livello comunitario, in particolare
a favore della Fondazione europea per il miglioramento
delle condizioni di vita e di lavoro (nuovo
art. 3, paragrafo 2). Risultano, tra l’altro, innovazioni
in materia di strutture di direzione e gestione
(nuovo art. 7-bis), costituite da un Consiglio di direzione,
un ufficio di Presidenza e un Direttore.
ITALIA
ALIMENTI BIOLOGICI
Decreto del Ministero delle Politiche
agricole e forestali 7 luglio 2005
76
«Esonero di taluni operatori del settore biologico
dagli obblighi previsti dall’articolo 8, para-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
grafo 1, del regolamento (CEE) n. 2092/1991, come
modificato dall’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento
(CE) n. 392/2004, e approvazione di nuova
modulistica, sezione C, “preparazioni alimentari”»
(G.U. del 12 luglio 2005, n. 160)
Il decreto del Ministero delle Politiche agricole e
forestali 7 luglio 2005 reca l’esclusione, a favore degli
operatori del settore biologico che rivendono i
prodotti di cui all’art. 1, regolamento (CEE) n. 2092/
1991, dagli obblighi previsti dall’art. 8, paragrafo 1,
regolamento citato (previa notifica alle autorità nazionali
e regime di autocontrollo igienico­sanitario).
L’esclusione sarà applicabile a condizione che la rivendita
dei prodotti in questione avvenga a favore
del consumatore o utilizzatore finale, in imballaggio
preconfezionato e pre­etichettato, e purché si
tratti di alimenti non prodotti, non preparati, bensì
immagazzinati soltanto in connessione con il punto
vendita (nonché non importati da un Paese terzo).
Nel contempo, risulta modificata la modulistica concernente
la sezione C, «Preparazioni alimentari», da
compilare a cura degli operatori intenzionati a inserirsi
nel sistema di controllo per le produzioni biologiche
ex art. 9, regolamento citato, ovvero qualora
sia necessario inviare modifiche già comunicate in
questo senso. La nuova disciplina è in vigore dal 1°
luglio 2005.
TRASPORTO VIA MARE DI SOSTANZE PERICOLOSE
Decreto del Presidente della Repubblica
6 giugno 2005, n. 134
«Regolamento recante disciplina per le navi
mercantili dei requisiti per l’imbarco, il trasporto
e lo sbarco di merci pericolose» (S.O. n. 123 alla
G.U. del 15 luglio 2005, n. 163)
Il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno
2005, n. 134, disciplina i requisiti a cui debbono rispondere
le navi mercantili nazionali, adibite alla
navigazione marittima, e le navi di bandiera estera
che toccano i porti italiani, per essere abilitate al
trasporto di merci pericolose in colli e unità di trasporto
del carico, nonché recante le procedure per
9 agosto 2005 ­ N. 16

l’imbarco, il trasporto in mare, lo sbarco, il trasbordo
dei colli e unità di trasporto del carico e i requisiti
tecnici degli stessi (art. 1, comma 1). Risultano, peraltro,
sottratte al campo applicativo del decreto le
merci e i materiali pericolosi destinati al normale
approvvigionamento e armamento della nave,
nonché i carichi particolari trasportati su navi costruite
appositamente o trasformate interamente a
questo scopo.
Il rinvio operato dal decreto al Codice IMDG [codice
marittimo internazionale per il trasporto delle
merci pericolose, così come adottato dall’IMO con
risoluzione A.81 (IV) del 27 settembre 1965, e successive
modificazioni] circa le prescrizioni tecniche
per effettuare il trasporto di merci pericolose, con
apertura, peraltro, a favore del Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti, circa la possibilità di
adottare, comunque, misure equivalenti, purché
queste equivalenze siano efficaci quanto le nuove
prescrizioni e garantiscano lo stesso livello di sicurezza.
Per realizzare queste finalità, rileva l’obbligo,
a carico del comando di bordo delle navi di
bandiera nazionale, di istruire appositamente
l’equipaggio circa i rischi derivanti dalla tipologia
di merce pericolosa di volta in volta trasportata e
la particolare azione da svolgere in caso di emer­
9 agosto 2005 ­ N. 16
IGIENE E SICUREZZA
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
LEGISLAZIONE
In breve
genza (art. 4), con correlata vigilanza a carico dell’Autorità
marittima per il corretto adempimento
delle operazioni di imbarco, stivaggio, sbarco e
trasbordo delle merci pericolose, ai fini della sicurezza
della nave (art. 5, comma 1).
Segue una dettagliata disciplina in materia di requisiti
di idoneità delle navi e delle unità di trasporto
del carico adibite al trasporto di merci pericolose
(Capo II, artt. da 6 a 12), circa l’esecuzione pratica
delle operazioni di imbarco, sbarco, trasbordo e trasporto
delle medesime tipologie di merci (Capo III,
artt. da 13 a 16), con le correlate prescrizioni integrative
in tema di classi particolari di merci pericolose
(Capo IV, artt. da 17 a 28), di imballaggi, di grandi
imballaggi e di contenitori intermedi (Capo V, artt.
da 29 a 35).
Il D.P.R. n. 134/2005 azzera la precedente normativa
in materia, abrogando tutte le precedenti disposizioni
tecniche in materia di imbarco, di trasporto
per mare, di sbarco e di trasbordo di merci pericolose
(art. 36) e modificando, tra l’altro, alcune disposizioni
del Regolamento per la sicurezza della navigazione
e della vita umana in mare, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 8 novembre
1991, n. 435 (artt. 175 e 176 in materia di trasporto
di autoveicoli). l
77

LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
IL CASO
di Pierguido Soprani, avvocato
78
IL D.LGS. N. 494/1996:
LA SICUREZZA NEGLI APPALTI PUBBLICI
Il D.Lgs. n. 494/1996 si applica integralmente
anche agli appalti pubblici, o deve fare i conti
con le disposizioni della cosiddetta Legge Merloni
n. 109/1994? In caso di conflitto qual è la
normativa applicabile?
Il settore dei cantieri temporanei o mobili è
disciplinato dal D.Lgs. 14 agosto 1996, n.
494, altrimenti noto come “decreto cantieri”, il
quale è una normativa prevenzionale di fondamentale
importanza, avendo base normativa nella
legislazione comunitaria (direttiva 24 giugno
1992, n. 92/57/CEE).
Il D.Lgs. n. 494/1996, al pari e sulla “scia” del
D.Lgs. n. 626/1994, ha definito le forme del nuovo
modello organizzativo della sicurezza del lavoro
e ha confermato la scelta di fondo costituita dalla
logica della programmazione della sicurezza, arricchendola
di quegli aspetti funzionali al suo
adattamento a una realtà composita qual è, di
regola, la realtà di cantiere, ove convergono molteplici
realtà e differenti modalità di organizzazione
del lavoro. Nell’ambito dei cantieri temporanei
e mobili, l’obiettivo della prevenzione elevata
a contenuto di programma si giustifica a
fronte della sussistenza di fattori di rischio cosiddetti
“aggiuntivi” e “interferenziali”:
• i primi derivanti da una situazione di presenza
simultanea o successiva di più imprese (oltre che
dall’eventuale presenza di lavoratori autonomi)
nella medesima area di lavoro, e generati quindi
non da singole attività professionali, bensì dalla
suddetta situazione di promiscuità e/o di polifunzionalità;
• i secondi conseguenti alla specifica interazione
tra le diverse attività operanti nell’ambito del
cantiere (per esempio, in ragione dell’utilizzazione
di impianti e/o di attrezzature di lavoro
comuni).
Il D.Lgs. n. 494/1996 è stato integrato e corretto
IGIENE E SICUREZZA
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
dal D.Lgs. 19 novembre 1999, n. 528, (da subito
ribattezzato come 494­bis), la cui disciplina è entrata
in vigore il 18 aprile 2000. Molte le modifiche
apportate al testo originario, e, per ciò che
riguarda i piani di sicurezza, il legislatore del 1999
ha raccolto le indicazioni provenienti dalla legge
Merloni, come modificata dalla legge n. 415/1998
(cosiddetta “Merloni­ter”), elevando a strumento
operativo e di programmazione per tutti i cantieri
edili il piano operativo di sicurezza (cosiddetto
POS), la cui redazione spetta indefettibilmente a
ciascuna delle imprese operanti in cantiere.
Non vi è dubbio che, riguardo al settore degli
appalti di opere pubbliche, il D.Lgs. n. 494/1996 si
applica, oltre che al settore degli appalti privati,
anche al settore degli appalti pubblici; anche se,
per effetto della coesistenza di altre normative
(in primis la legge n. 109/1994 e la legge n. 415/
1998 già citate), la misura e i contorni di questa
applicazione sono leggermente diversi.
Del resto, il modello di tutela del lavoro proposto
dalla normativa comunitaria nel settore dei cantieri
temporanei o mobili non può non corrispondere,
nella legislazione italiana di recepimento ­
come effettivamente corrisponde ­ a uno standard
concettualmente omogeneo; la Pubblica
Amministrazione viene messa sullo stesso piano
dei datori di lavoro privati, quanto alla definizione
degli obblighi di sicurezza, a nulla rilevando ­
in linea tendenziale ­ la natura pubblicistica dei
servizi, delle funzioni e delle mansioni svolte.
La generale e indifferenziata applicabilità del
D.Lgs. n. 494/1996 a tutte le attività operanti nel
settore delle opere edili e di ingegneria civile,
comprese quelle aventi natura o finalità pubblica,
si desume da diversi elementi:
• in primo luogo, dalla clausola di riserva contenuta
nell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 494/1996, secondo
la quale «Le disposizioni del decreto legislativo
19 settembre 1994, n. 626, come modificato
dal decreto legislativo 19 marzo 1996, n. 242,
di seguito denominato decreto legislativo n. 626/
1994, e della vigente legislazione in materia di
9 agosto 2005 ­ N. 16

prevenzione infortuni e di igiene del lavoro si
applicano al settore di cui al comma 1, fatte salve
le disposizioni specifiche contenute nel presente
decreto legislativo». Il principio della generale
applicabilità della disciplina del D.Lgs. n. 626/1994
al settore dei cantieri temporanei o mobili, temperato
solo dal criterio di specificità normativa,
consente, dunque, l’applicabilità, nel rispetto dei
principi, della disposizione generale dell’art. 1,
comma 1, D.Lgs. n. 626/1994, «Il presente decreto
legislativo prescrive misure per la tutela della salute
e per la sicurezza dei lavoratori durante il
lavoro, in tutti i settori di attività privati o pubblici»;
• in secondo luogo, tenendo conto del fatto che
la direttiva “cantieri” è una direttiva Comunitaria
“particolare”, e deve, conseguentemente, tener
conto dei principi generali contenuti nella direttiva­quadro
n. 89/391/CEE, tra i quali va senza dubbio
annoverato quello di “circolarità” della sicurezza,
espressamente stabilito dall’art. 2, paragrafo
1 della Direttiva, e poi trasfuso nel citato art. 1,
comma 1, D.Lgs. n. 626/1994.
Che quello introdotto con il D.Lgs. n. 494/1996
rappresenti un modello unitario ­ al pari del modello
generale proprio del D.Lgs. n. 626/1994 ­ lo
testimonia anche l’art. 31, comma 1, legge n. 109/
1994 (legge “Merloni”), norma che, prevedendo
l’emanazione di un «regolamento in materia di
piani di sicurezza nei cantieri edili in conformità
alle direttive 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno
1989, 92/57/CEE del Consiglio, del 24 giugno
1992, e alla relativa normativa nazionale di recepimento»,
conferma che tra il settore privato e il
settore pubblico non vi è diversità di disciplina per
ciò che attiene allo strumento pianificatorio costituito
dal piano di sicurezza e di coordinamento
(unico, e collocato sistematicamente nell’art. 12,
D.Lgs. n. 494/1996). Il fatto, poi, che il legislatore
del 1999, con il D.Lgs. n. 494­bis, abbia deciso di
unificare i contenuti minimi del piano di sicurezza
e di coordinamento, sia per il settore degli appalti
privati sia per quello dei settori pubblici, prevedendone
la definizione unitaria «con il regolamento
previsto dall’art. 31, comma 1, della legge
n. 109 del 1994» (si tratta del D.P.R. n. 222/2003),
obbliga inequivocabilmente l’interprete a ricono­
9 agosto 2005 ­ N. 16
IGIENE E SICUREZZA
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
scere che, nel settore dei cantieri edili, il modello
di organizzazione del lavoro e di sicurezza, cosiddetta
“integrata”, delineato dal D.Lgs. n. 494/
1996, assume una valenza generale e “totalizzante”
e che detta normativa costituisce un paradigma
unitario ­ al pari di quello introdotto dal D.Lgs.
n. 626/1994. D’altro canto, anche l’Autorità per la
vigilanza sui lavori pubblici, con determinazione
n. 12/1999 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 31
gennaio 2000, n. 24) ha ritenuto, con motivazioni
analoghe, che anche al settore delle opere pubbliche
si applichino senza riserve ­ pur in mancanza
del previsto regolamento generale sulle misure
minime di sicurezza nei lavori pubblici ­ «tutte le
disposizioni di cui ai decreti legislativi n. 626/1994
e n. 494/1996 relative ai piani di sicurezza».
Lo stesso D.P.R. n. 222/2003, il tanto atteso Regolamento
sui contenuti minimi dei piani di sicurezza
nei cantieri temporanei o mobili, previsto dall’art.
31, comma 1, legge Merloni, avrebbe dovuto
avere una applicabilità limitata al settore degli
appalti di opere pubbliche. Infatti, l’art. 12, comma
2, D.Lgs. n. 494/1996, prevedeva, nel testo
originario, che per il settore degli appalti privati i
contenuti minimi del piano di sicurezza e coordinamento
di cui all’art. 12, D.Lgs. n. 494/1996,
potessero essere definiti con decreto interministeriale
entro il 23 ottobre 1997 (mentre il settore
degli appalti pubblici rimaneva soggetto all’emanando
Regolamento); successivamente, con
l’art. 22, comma 1, D.Lgs. n. 528/1999, il Governo
ha deciso che il Regolamento di cui all’art. 31,
legge n. 109/1994 dovesse riguardare i contenuti
minimi del piano di sicurezza e di coordinamento
tout court, cioè del piano relativo a ogni tipologia
di appalto, accomunando, in tal modo, entrambi
i settori pubblico e privato. A questa previsione
si è poi aggiunta quella ulteriore, riguardante
«l’indicazione della stima dei costi della
sicurezza».
È così che il Regolamento sui contenuti minimi
dei piani di sicurezza assume oggi una fisionomia
unitaria e omogenea, il che è in sintonia con l’ovvia
considerazione che il modello di cantiere sicuro
delineato, in chiave organizzativo­procedurale,
dal D.Lgs. n. 494/1996, costituisce uno standard
applicabile circolarmente non solo al settore
79

LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
degli appalti privati, ma anche a quello degli appalti
pubblici.
Da questa ultima considerazione deriva l’importante
conseguenza che, ogni qualvolta vi sia
conflitto (interpretativo o applicativo) in tema
di principi generali (non di specificità di disciplina,
il che è consentito) [1] tra le norme del “decreto
cantieri” da un lato, e quelle della legge
n. 109/1994 e/o del D.P.R. n. 554/1999 dall’altro,
in ossequio al primato del diritto Comunitario,
del quale il primo è diretta attuazione, prevarranno
senza eccezione le disposizioni del D.Lgs.
n. 494/1996.
Si pensi, tanto per fare un esempio, alla diversa
formulazione dell’art. 5, D.Lgs. n. 494/1996 e
dell’art. 127, comma 2, del D.P.R. n. 554/1999, in
tema di funzioni del coordinatore per l’esecuzione,
ove quest’ultima norma presenta un testo
ormai superato e da ritenersi sostanzialmente
superato; si pensi alla limitata definizione
del piano di sicurezza e di coordinamento
quale “documento complementare al progetto
esecutivo”, laddove è un dato acquisito anche
dall’Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici
(si veda la determinazione 31 gennaio 2001, n.
4) che la scomparsa, negli artt. 3 e 4, D.Lgs. n.
494/1996, del riferimento alla progettazione
80
IGIENE E SICUREZZA
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
“esecutiva” ha una valenza estensiva dell’obbligo
di progettare in sicurezza, imponendo di
pianificare gli interventi necessari a questo fine,
sin dalle fasi precedenti della “progettazione
generale” e della “progettazione definitiva”,
dal momento che i tre livelli di progettazione
«devono tra loro necessariamente interagire
secondo uno sviluppo di definizione e di
approfondimento progressivo e senza soluzione
di continuità»; si pensi ancora al fatto che
l’art. 31, comma 1, lettera c), legge n. 109/1994
richiede la redazione del POS al solo appaltatore
principale (laddove è invece inequivocabile
che, secondo la previsione dell’art. 9, D.Lgs. n.
494/1996, il POS deve essere redatto da ciascuna
impresa esecutrice operante in cantiere).
Dunque, si può conclusivamente affermare che
l’emanazione della legge n. 415/1998 non ha
inciso in alcun modo sul campo di applicazione
del D.Lgs. n. 494/1996, con la conseguenza che
questa normativa si applicava e si applica, oltre
che al settore degli appalti privati, anche a
quello degli appalti pubblici (sia pure, in quest’ultimo
ambito, in uno con le disposizioni
della legge n. 109/1994 e successive modificazioni),
costituendo l’unico modello normativo
di riferimento per tutti i contratti di appalto in
edilizia.
I piani di sicurezza nel settore pubblico
Schema delle procedure
Obblighi
del Committente Pubblico dell’Appaltatore o Concessionario dei lavori
1. Art. 31, comma 1-bis, lettere a) e c) della legge n. 109/1994
Determina l’entità del cantiere
(art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 494/1996)
Redige il PSC
(art. 12, D.Lgs. n. 494/96)
Determina l’entità del cantiere
(art. 3, comma 1 D.Lgs. n. 494/1996)
Formula eventuali proposte integrative (PI) del PSC (1)
Redige il POS
2. Art. 31, comma 1-bis, lettera b) della legge n. 109/1994
Redige il PSS
(1) Le imprese esecutrici, prima dell’inizio dei lavori ovvero in corso d’opera, possono presentare al coordinatore per l’esecuzione
dei lavori di cui al decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494, proposte di modificazioni o integrazioni al piano di sicurezza
e di coordinamento loro trasmesso dalla stazione appaltante, sia per adeguarne i contenuti alle tecnologie proprie dell’impresa,
sia per garantire il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori eventualmente
disattese nel piano stesso.
[1] Si pensi alla diversa disciplina del sistema delle proposte integrative dei Piani di sicurezza, a seconda che si tratti di appalto privato o di
appalto pubblico (art. 12, comma 5, D.Lgs. n. 494/1996, e art. 31, comma 1-bis, lettera a) e comma 2-bis della legge n. 109/1994).
Fonte: di P. Soprani, La sicurezza nei canitieri, Edizione Il Sole 24 ORE, Milano, 2003.
9 agosto 2005 ­ N. 16

IGIENE E SICUREZZA
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
a cura di Alessandro Jazzetti, magistrato
COMMITTENTE ESONERATO DA RESPONSABILITÀ
SE L’APPALTATORE AGISCE IN AUTONOMIA
Cassazione civile, sezione lavoro,
2 marzo 2005, n. 4361,
Pres. Ravagnani, Rel. Amoroso
Prevenzione infortuni nelle costruzioni ­
Rapporto di appalto ­ Responsabilità del
committente ­ Casi
In tema di prevenzione infortuni nelle costruzioni,
il committente è esonerato da responsabilità
per le violazioni commesse dall’appaltatore
che agisca in piena autonomia, con mezzi
e personale proprio, senza ingerenze dirigenziali
ed operative, anche di fatto, da parte del
committente; tuttavia, quando il soggetto
commissionario venga ad operare, per necessità
dell’espletamento dell’opera dei lavori
commissionati, nell’ambito di un cantiere non
proprio, ma organizzato e gestito dall’appaltante;
e ancora di più, quando, per contratto o
per consuetudine o per tolleranza, utilizzi
strutture di supporto, opere provvisionali,
strumentazioni appartenenti al committente,
quest’ultimo non può trarsi fuori di responsabilità
se l’infortunio trovi sinergico riferimento
nella deficienza di quegli elementi la cui
manutenzione spetti a lui stesso, sia perché
secondo l’art. 7, D.P.R. n. 164/1956 le opere
provvisionali devono essere mantenute “in efficienza”
per tutto il tempo in cui il cantiere
sia attivo, sia perché, secondo l’art. 2087 c.c., il
datore di lavoro è garante della salvaguardia
dell’incolumità fisica e psichica di coloro che
prestano, nel suo interesse, la loro attività lavorativa.
Nota
Si veda, sull’argomento, Cass. pen., sez. IV,
(ud. 24 novembre 1999) 18 gennaio 2000, n.
563, secondo cui, qualora il committente si sia
concretamente ingerito nell’organizzazione
del lavoro dell’appaltatore e abbia quindi interferito
sulle modalità di esecuzione, egli diviene
automaticamente tenuto all’osservanza
9 agosto 2005 ­ N. 16
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
GIURISPRUDENZA
Massime
delle norme di prevenzione, per cui diviene
responsabile, in concorso con l’appaltatore,
degli eventuali infortuni che siano occorsi ai
dipendenti di quest’ultimo in ragione della
mancata predisposizione delle misure di sicurezza;
nonché Cass. pen., sez. IV, (ud. 17 dicembre
1999) 19 gennaio 2000, n. 630, secondo
la quale, qualora nei rapporti tra impresa
appaltante e impresa subappaltatrice si convenga,
anche implicitamente, che spetti alla
prima il potere di organizzazione delle misure
di sicurezza anche in ordine ai lavori subappaltati
e il potere di fare osservare le misure
stesse, è il datore di lavoro di questa
impresa o il soggetto da questi delegato (nella
specie il capocantiere) a dovere essere ritenuto
responsabile nel caso di infortunio occorso
ai dipendenti dell’impresa subappaltatrice
chiamati a svolgere il lavoro in condizioni
di pericolo su strutture non adeguatamente
protette.
Il principio appare, pertanto, espressione di
un orientamento giurisprudenziale costante
(tra le tante Cass., 22 maggio 1987, e Cass., 5
luglio 1990) secondo il quale la responsabilità
per eventuali eventi lesivi non può che fare
carico all’impresa appaltante quando questa
operi una stabile ingerenza nell’organizzazione
dei lavori o comunque delle misure di
sicurezza, per effetto di specifici accordi o
comunque di fatto.
OBBLIGO DI TUTELA DELL’INTEGRITÀ FISICA
DEL LAVORATORE IN CAPO AL DATORE
Cassazione civile, sezione lavoro,
2 febbraio 2005, n. 3455,
Pres. Fattori, Rel. Piccialli
Sicurezza sul lavoro ­ Colpa del lavoratore
­ Interruzione del nesso causale di responsabilità
a carico del datore di lavoro ­
Esclusione
Poiché le norme di prevenzione antinfortunistica
mirano a tutelare il lavoratore anche in
ordine ad incidenti che possano derivare da
81

GIURISPRUDENZA
Massime
sua negligenza, imprudenza o imperizia, la
responsabilità del datore di lavoro e, in generale,
del destinatario dell’obbligo di adottare
le misure di prevenzione può essere esclusa,
per causa sopravvenuta, solo in presenza di
un comportamento del lavoratore che presenti
i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità,
dell’esorbitanza rispetto al procedimento
lavorativo ed alle precise direttive organizzative
ricevute, che sia del tutto imprevedibile o
inopinabile. Peraltro, in ogni caso, nell’ipotesi
di infortunio sul lavoro originato dall’assenza
o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna
efficacia causale, per escludere la responsabilità
del datore, può essere attribuita
al comportamento del lavoratore infortunato,
che abbia dato occasione all’evento, quando
questo sia da ricondurre, comunque, alla
mancanza o insufficienza di quelle cautele
che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare
proprio il rischio di siffatto comportamento.
Nota
Si veda Cass. n. 2444/2005, secondo cui l’adempimento
dell’obbligo di tutela dell’integrità
fisica del lavoratore, imposto dall’art. 2087
cod. civ., è un obbligo di prevenzione che impone
al datore di lavoro di adottare non solo
le particolari misure tassativamente imposte
dalla legge in relazione allo specifico tipo
d’attività esercitata e quelle generiche dettate
dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre
misure che, in concreto, si rendano necessarie
per proteggere il lavoratore dai rischi
connessi tanto all’impiego di attrezzi e macchinari
quanto all’ambiente di lavoro, e deve
essere verificato, nel caso di malattia derivante
dall’attività lavorativa svolta, esaminando
le misure in concreto adottate dal datore di
lavoro per prevenire l’insorgere della patologia.
Nella specie, la Corte di Cassazione ha annullato
la sentenza di merito che, in relazione a
una malattia tumorale contratta da un lavoratore
addetto alla saldatura presso la centrale
termoelettrica di Brindisi, aveva omesso
ogni indagine riguardo alle misure adottate
dal datore di lavoro per proteggere il
dipendente dal rischio connesso all’attività
lavorativa.
82
IGIENE E SICUREZZA
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
NOZIONE
DI “OCCASIONE DI LAVORO”
Cassazione civile, sezione lavoro,
5 gennaio 2005, n. 180,
Pres. Senese, Rel. Cataldi
Sicurezza sul lavoro ­ Occasione di lavoro ­
Nozione
La nozione di “occasione di lavoro” di cui all’art.
2 del D.P.R. n. 1124/1965 implica la rilevanza
di ogni esposizione a rischio ricollegabile
allo svolgimento di attività lavorativa in
modo diretto ed indiretto (con il limite del
c.d. rischio elettivo) e, quindi, anche dell’esposizione
al rischio insito in attività accessorie
o strumentali allo svolgimento della suddetta
attività. Non è richiesto, dunque, necessariamente
che l’infortunio avvenga durante
l’espletamento delle mansioni lavorative essendo
sufficiente anche un nesso di derivazione
eziologica indiretto e mediato in quanto il
rischio assicurato non è solamente quello tipico
insito nelle mansioni svolte dall’assicurato
ma quello non totalmente estraneo all’attività
lavorativa.
Invero, nel concetto di occasione è insita una
maggiore ampiezza rispetto al rapporto di
causalità, ferma restando la connessione tra
lavoro e rischio, sicché l’infortunio indennizzabile
deve essere comunque attinente all’attività
lavorativa, comprendente anche le attività
accessorie o strumentali, a nulla rilevando
il carattere meramente occasionale del rischio,
purché non si tratti del c.d. rischio elettivo
che invece esclude l‘indennizzabilità del
rischio.
Nota
Si veda Cassazione (13 dicembre 2001) 27 febbraio
2002, n. 2942, secondo cui, ai fini dell’indennizzabilità
dell’infortunio subito dall’assicurato,
per “occasione di lavoro” devono intendersi
tutte le condizioni, comprese quelle
ambientali e socio­economiche, in cui l’attività
lavorativa si svolge e nelle quali è insito un
rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente
dal fatto che questo danno provenga
dall’apparato produttivo o dipenda da terzi o
da fatti e situazioni proprie del lavoratore, col
9 agosto 2005 ­ N. 16

solo limite, in quest’ultimo caso, del cosiddetto
rischio elettivo, ossia derivante da una scelta
volontaria del lavoratore diretta a soddisfare
esigenze personali.
9 agosto 2005 ­ N. 16
Il merito
AMIANTO: RISCHIO MORBIGENO
IN FUNZIONE DELLA MANSIONE
Tribunale di Milano,
11 marzo 2005, n. 917,
Giudice Sala
Amianto ­ Grado di esposizione ­ Rilevanza
ai fini del riconoscimento dei benefici ­
Esclusione
L’art. 13 della legge n. 257/1992 non introduce
alcun riferimento al grado di esposizione come
condizione per il riconoscimento dei benefici
pensionistici per esposizione all’amianto.
Ciò è confermato dal fatto che, non a caso, la
successiva normativa introdotta dalla legge n.
326/2003, oltre a ritoccare il coefficiente ai fini
pensionistici prevede che i relativi benefici siano
condizionati all’esposizione per almeno
dieci anni all’amianto in concentrazione media
annua non inferiore a 100/fibre litro su
otto ore al giorno: dunque, quando il legislatore
ha voluto prevedere una concentrazione
specifica, lo ha detto espressamente.
Ne consegue che non risulta necessaria la prova
dell’esatto quantitativo di fibre di amianto
a cm/cubo quanto piuttosto la prova dell’esposizione
ad amianto con modalità tali da far
ravvisare l’oggettivo rischio morbigeno.
Nota
Nella fattispecie, è risultato che la mansione
propria della ricorrente era quella di gestire e
inventariare i pezzi trattati con amianto venendo
così direttamente a contatto con le fibre
e stazionando negli stessi locali nei quali le
lavorazioni di pezzi venivano effettuate trovandosi
a inalare le fibre stesse; queste modalità
di costante esposizione a fibre di amianto,
a contatto diretto con la persona e con l’apparato
respiratorio, comportavano, a giudizio
del Tribunale, con tutta evidenza il rischio
morbigeno in funzione del quale vengono accordati
i benefici pensionistici in questione.
IGIENE E SICUREZZA
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
GIURISPRUDENZA
Massime
UTILIZZO DEL MEZZO DI TRASPORTO PRIVATO
NON LEGITTIMO SE NON NECESSITATO
Tribunale di Milano,
28 gennaio 2005, n. 351,
Giudice Mascarello
Infortunio in itinere ­ Assimilabilità all’infortunio
sul lavoro ­ Modifiche legislative
Le modifiche apportate dall’art. 12 del D.Lgs.
n. 38/2000 agli artt. 2 e 210 del D.P.R. n.
1124/1965, recante disposizioni in materia di
assicurazioni sul lavoro e sulle malattie professionali,
recepiscono, se già non superano, i
risultati cui era da ultimo pervenuta la giurisprudenza
anche (e, anzi, soprattutto) di legittimità
nel lungo percorso compiuto, in assenza
di specifiche disposizioni di legge sul
punto, sulla via dell’equiparazione dell’infortunio
in itinere all’infortunio subito sul luogo
di lavoro.
Oggi, infatti, è la stessa legge che non solo
stabilisce che l’assicurazione INAIL “comprende
gli infortuni occorsi alle persone assicurate
durante il normale percorso di andata e ritorno
dal luogo di abitazione a quello del lavoro”
ma anche che “l’assicurazione opera nel caso
di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché
necessitato”, escludendo, in presenza di
tali due condizioni, solo i casi in cui il conducente/infortunato
sia “sprovvisto della prescritta
abilitazione di guida” ed i casi in cui gli
infortuni/incidenti stradali siano stati “direttamente
cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci
o dall’uso non terapeutico di stupefacenti
ed allucinogeni”.
Nota
Il Tribunale, nel riconoscere, sulla base dei
principi di cui alla massima, che l’incidente occorso
al lavoratore che si stava recando al lavoro
in bicicletta era da qualificarsi come infortunio
in itinere, ha, altresì, ribadito l’irrilevanza
dell’eventuale colpa del lavoratore,
avendo l’attuale normativa escluso dalla tutela
INAIL le sole ipotesi di colpa provocata dall’assunzione
volontaria di sostanze stupefacenti
che abbassano il normale livello di attenzione
e di coscienza.
Si veda sulla nozione di “uso necessitato” del
mezzo privato, Cass. n. 7717/2005, secondo cui
83

GIURISPRUDENZA
Massime
è esclusa l‘indennizzabilità in caso di libera
«scelta del lavoratore, determinata da ragioni
di soggettiva opportunità». Il lavoratore non
aveva la necessità, di usare la sua macchina e
quindi la decisione è errata. La soluzione non
muta, secondo la Corte, neanche se questa
necessità venga interpretata in termini relativi,
nel senso che l’uso del mezzo privato venga
consentito non solo nel caso in cui sia oggettivamente
“necessitato” per l’assenza di mezzi
pubblici, ma anche quando la fruizione di questi
mezzi comporti un notevole disagio, personale
o familiare, che non sia esigibile in base
all‘economia del rapporto di lavoro, o alle regole
di correttezza e buona fede. In questo
caso va ricercato il giusto equilibrio fra le esigenze
dell’azienda, che non può essere tenuta
a farsi carico di tutte le questioni attinenti alla
vita privata del lavoratore e che sfuggono alla
sua capacità e possibilità di organizzazione o
gestione, e quelle del lavoratore.
84
RESPONSABILITÀ DEL DATORE PER OMESSA
ADOZIONE DELLE MISURE PREVENTIVE
Tribunale di Bologna,
9 marzo 2005, n. 516,
Giudice unico Marinelli
Reati in materia di prevenzione infortuni ­
Responsabilità del datore di lavoro ­ Tutela
delle condizioni di lavoro
In tema di infortuni sul lavoro, per configurare
la responsabilità del datore di lavoro occorre
che l’evento dannoso si sia verificato a causa
dell’omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti
imposti all’imprenditore dall’art.
2087 c.c., ai fini della più efficace tutela dell’integrità
fisica del lavoratore.
La predisposizione di misure che attengono
alla dotazione di sicurezza che cioè costituiscono
le attrezzature di cui i dipendenti debbono
essere dotati per svolgere l’attività in
sicurezza non può essere delegata a terzi: in
particolare, l’apposizione di un dispositivo di
sicurezza destinato a garantire la protezione
della zona di lavoro del macchinario, non può
essere oggetto di delega in quanto rientra nel
campo dei mezzi (cautele) da fornire per garantire
la sicurezza dei dipendenti durante
l’esecuzione della prestazione che comporta
l’uso del macchinario, né la negligenza del la­
IGIENE E SICUREZZA
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
voratore di per sé può avere efficacia scriminante
della condotta del datore di lavoro.
Nota
Si veda Cass., 18 febbraio 2004, n. 3213, secondo
cui le norme dettate in tema di prevenzione
degli infortuni sul lavoro, tese a impedire l’insorgenza
di situazioni pericolose, sono dirette a
tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti
derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da
quelli ascrivibili a imperizia, negligenza e imprudenza
dello stesso; ne consegue che il datore
di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio
occorso al lavoratore sia quando ometta di
adottare le idonee misure protettive sia quando
non accerti e vigili che di queste misure
venga fatto effettivamente uso da parte del
dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto
esimente per l’imprenditore che abbia
provocato un infortunio sul lavoro per violazione
delle relative prescrizioni l’eventuale concorso
di colpa del lavoratore; con l’ulteriore
conseguenza che l’imprenditore è esonerato da
responsabilità solo quando il comportamento
del dipendente presenti i caratteri dell’abnormità,
inopinabilità ed esorbitanza rispetto al
procedimento lavorativo e alle direttive ricevute,
come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così
da porsi come causa esclusiva dell’evento. (Si
veda, per tutte Cass., 19 agosto 1996, n. 7636,
Cass., 22 luglio 2002, n. 10706, Cass., 21 maggio
2002, n. 7454). Il datore di lavoro, in caso di
violazione delle norme poste a tutela dell’integrità
fisica del lavoratore, è interamente responsabile
dell’infortunio che ne sia conseguito
e non può invocare il concorso di colpa del
danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere
l’incolumità di quest’ultimo nonostante la
sua imprudenza o negligenza; ne consegue
che, in tutte le ipotesi in cui la condotta del
lavoratore dipendente finisca per configurarsi
nell’eziologia dell’evento dannoso come una
mera modalità dell’iter produttivo del danno,
questa condotta, proprio perché “imposta” in
ragione della situazione di subordinazione in
cui il lavoratore versa, va addebitata al datore
di lavoro, il cui comportamento, concretizzantesi
invece nella violazione di specifiche norme
antinfortunistiche (o di regole di comune prudenza)
e nell’ordine di eseguire incombenze
lavorative pericolose, funge da unico efficiente
fattore causale dell’evento dannoso (Cass., 8
aprile 2002, n. 5024). l
9 agosto 2005 ­ N. 16

v a l u t a r e e g e s t i r e l ’ a m b i e n t e
ESTIMO E
TERRITORIO
r i v i s t a
m e n s i l e
Estimo e Territorio nasce dall’evoluzione
di Genio Rurale, fondata nel 1937. La
rivista si rivolge a tecnici e professionisti
impegnati nella valutazione,
pianificazione e gestione del
territorio (agronomi, architetti, chimici,
geologi, geometri, forestali,
ingegneri, responsabili uffici tecnici)
e ha un approccio interdisciplinare, che spazia
dall’estimo immobiliare e territoriale, all’uso, gestione e
pianificazione del territorio, al diritto ambientale, fino alla valutazione
d’impatto e l’ecologia del paesaggio.
nel numero di luglio
DOSSIER:
• Cartografia, strumento per
la pianificazione e la
programmazione
territoriale
LA RIVISTA È VENDUTA SOLO IN ABBONAMENTO
Per informazioni tel. 051 6575820 fax 051 6575900
e-mail: abbona@gce.it sito: www.edagricole.it
• Indicatori per la
valutazione delle politiche
agroambientali, attraverso
la contabilità aziendale
• Progettazione di interventi
fluviali: indagini
preliminari sull’ambiente
• Cambiamenti climatici:
adattarsi o soccombere?
Spedire il buono d’ordine a: Il Sole 24 ORE Edagricole Srl
Servizio abbonamenti
Casella postale 397
Uff. Postale Bologna Centro
40100 Bologna
✁
❑ ❑ ❑
GRE5
studioeda 0605

AMBIENTE
RIFIUTI
Articolo
Nozione autentica di rifiuto ancora lontana. Sullo sfondo il contrasto tra le due normative
Quale riferimento per i materiali ferrosi:
sovranità nazionale o giudice comunitario?
di Pasquale Giampietro, avvocato in Roma
Molti sono ancora gli
interrogativi senza risposta legati
all’annoso problema della
“nozione autentica di rifiuto”,
riacutizzatosi, con particolare
riferimento al settore dei
materiali ferrosi (di particolare
importanza strategica
per il comparto produttivo
ed economico italiano), con la
sentenza della Corte di Giustizia
delle Comunità europee
11 novembre 2004, sulla
definizione comunitaria di rifiuto
e sulla incompatibilità dell’art. 14,
legge n. 178/2002, con questa
nozione. Nel tentativo di fare
chiarezza sulla materia,
Ambiente&Sicurezza propone
un’esauriente analisi ­ in due
puntate ­ della questione, che
proseguirà poi con una serie di
articoli legati al tema dei rottami
ferrosi, visto all’interno del più
ampio problema
dell’individuazione della nozione
autentica di rifiuto.
9 agosto 2005 ­ N. 16
1 a parte
Una situazione critica
Le vicende giudiziarie, susseguitesi
negli ultimi tre anni, relative al sequestro
dei rottami ferrosi a opera delle
Procure della Repubblica dislocate
in alcune aree strategiche del Paese
per il commercio di detto materiale [1]
- provenienti dall’estero e destinati
alle fonderie e/o acciaierie italiane -
hanno rappresentato un caso emblematico
di difficoltà, non solo di natura
economico-commerciale, a danno
delle imprese direttamente interessate,
ma anche di vera e propria crisi
della fisiologica e doverosa cooperazione
delle stesse istituzioni (politiche,
amministrative e giudiziarie)
coinvolte nella vicenda.
È appena il caso di ricordare, in
proposito, due dati significativi circa
la rilevanza sociale ed economica (imprese
coinvolte, dipendenti e fatturato)
di questo settore commerciale e della
sua incidenza, diffusione e visibilità
come attività “para-industriale” [2] :
l «il mercato delle materie prime
secondarie» (fra cui il materiale ferroso)
«è di vitale importanza per un
Paese, come il nostro, che, povero di
materie prime, impegna nei cicli produttivi
circa il 50 per cento di mate-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
rie prime secondarie derivanti dai rifiuti»
[3] ;
l i rottami ferrosi, cioè i rottami di
acciaio e di ghisa, a livello mondiale,
sono di fatto i materiali più riciclati
del mondo, con una circolazione,
movimentazione e riutilizzo (rifusione)
per 318 milioni di tonnellate annue
(dati riferiti al 2003).
Nel sistema Italia, ogni anno, il
settore del recupero dei rottami ferrosi
e non ferrosi mette a disposizione
dell’industria del riciclaggio (acciaierie,
fonderie di metalli ferrosi, fonderie
di metalli non ferrosi) 14,5 milioni
circa di tonnellate di rottame che
costituiscono il quantitativo attualmente
disponibile nel mercato interno
(gettito nazionale), di cui 1/5 (pari
5 milioni di tonnellate) proviene dall’estero.
Si evidenzia, inoltre, per maggior
chiarezza, che, nel 2003, la produzione
nazionale di acciaio grezzo a “forno
elettrico”, cioè esclusivamente
mediante la rifusione di rottami ferrosi,
ha coperto il 63% della produzione
nazionale di acciaio la quale,
complessivamente, ha raggiunto i
26,7 milioni di tonnellate, considerando,
cioè, la somma delle produzioni
da “forno elettrico” e di quelle
da “convertitore all’ossigeno” [4] .
[1] Ci si riferisce agli uffici giudiziari di Venezia, Udine e Terni. Merita segnalare che dai porti di Venezia passa circa l’80% del traffico
italiano dei rottami ferrosi diretti ad acciaierie e fonderie. In base a quanto riportato da “Il Sole 24 ORE,” del 26 gennaio 2005,
dal primo sequestro di questo commercio a Marghera, nel corso del 2004, si sono perse circa 400 mila tonnellate di detto materiale.
Mentre, nel più ampio arco di tempo che comprende il periodo 2000-2003, secondo stime attendibili dell’Autorità portuale, il costo
complessivo dell’interruzione dell’attività commerciale si aggira a 5 milioni di euro.
[2] Che, non può, per evidenti e oggettive ragioni storiche e commerciali, essere denotato o, peggio, assimilato a episodiche e marginali
forme occulte e/o incontrollate di riutilizzo indebito di residui produttivi ferrosi.
[3] Così ricorda il sottosegretario al Ministero dell’Ambiente, in risposta a una interpellanza parlamentare rivoltagli, ai primi di
febbraio scorso, da alcuni deputati dell’opposizione, a seguito della nota pronuncia della Corte di Giustizia dell’11 novembre 2004,
Niselli, pubblicata in Ambiente&Sicurezza n. 23/2004, pag. 16, con nota dello stesso Autore.
[4] Dati forniti dall’Assofermet, nelle note di presentazione al convegno organizzato a Milano, il 1° marzo 2005, di cui si fa cenno a nota 13.
87

RIFIUTI
Articolo
Non è, dunque, sfuggito alle categorie
degli operatori direttamente implicati,
ma anche alla più larga platea
dei cittadini attenti e partecipi alla
vita del Paese, che:
l non sempre l’operato della polizia
giudiziaria (di sequestro d’urgenza
degli scarti ferrosi) e della Autorità
inquirente ha trovato l’avallo della
magistratura giudicante [5] ;
l gli orientamenti espressi dal Dicastero
dell’ambiente e della difesa del
territorio, in più occasioni [6] , non
hanno riscontrato sicura e condivisa
accoglienza delle pubbliche amministrazioni,
regionali e locali, quando
non sono stati del tutto contesati -
ovviamente in quanto non vincolanti
oltre che ritenuti illegittimi - da alcuni
Uffici giudiziari [7] ;
l il Governo (con decreti legge) e
il Parlamento (in sede di conversione
del D.L. n. 138/2002 [8] o della
“legge delega” n. 308/2004 [9] , sul
riordino della materia ambientale),
hanno apertamente dissentito, nella
definizione e regolamentazione dei
residui di produzione o di consumo
- come nel caso dei rottami ferrosi
non considerati “rifiuto” - tanto da
orientamenti minoritari della magistratura
(soprattutto inquirente) [10]
che dagli indirizzi interpretativi de-
88
AMBIENTE
gli Organi comunitari [11] , introducendo,
nell’ordinamento giuridico
interno, norme da molti ritenute in
rotta di collisione con quelle poste
dalle direttive, secondo l’interpretazione
che ne forniva la stessa Corte
di Giustizia [12] .
Le cause dell’incertezza
Legittimo, a questo punto, domandarsi
da dove nasca tale e tanto
“sconquasso” e quali siano le possibili
cause di così vistosi attriti istituzionali
con le connesse pregiudizievoli
ricadute sulla efficienza di quel
settore commerciale. La risposta, a
ben vedere, relativamente semplice e
sufficientemente nota al giurista, va
ricercata, sul piano giuridico-formale,
(anche) nella permanente, elevata
incertezza delle norme giuridiche
applicabili alle operazioni di importazione,
trasporto, sbarco, stoccaggio,
movimentazione e riutilizzo
dei rottami ferrosi, non risultando ancora
“pacificamente” nota e, soprattutto,
unanimemente condivisa, la loro
natura (ovviamente giuridica) di
“materia prima secondaria” (da intendere,
più esplicitamente come
“merce” contrapposta alla nozione di
rifiuto).
È, infatti, del tutto evidente che,
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
dalla preventiva qualificazione dei
rottami - come (sotto)prodotto o rifiuto
- discende una diversa regolamentazione,
volta a disciplinare le
descritte fasi (dalla raccolta al riutilizzo),
connotate da distinti oneri
burocratici ed economici, fonte, a
sua volta, di diversificate responsabilità
di natura amministrativa, civile,
penale, fiscale, ecc. Tutto ciò non
può, ovviamente, considerarsi indifferente
per gli operatori, i quali hanno,
di recente, fatto sentire la loro
voce, chiedendo non sostegno politico
o provvidenze economiche, ma,
semplicemente, certezza giuridica
«nella confusa e difficile normativa
attuale» [13] .
A questo punto, ci si dovrebbe coerentemente
chiedere il perché di questa
persistente e risalente incertezza
normativa sulla qualificazione del rifiuto.
Anche di questo quesito la risposta
è, in parte, agevole:
l perché il fenomeno della gestione
dei rifiuti (e, per correlazione, delle
materie prime secondarie: non rifiuto)
è stata fatto oggetto di discipline
giuridiche e tecniche - derivanti da
ordinamenti diversi (norme internazionali,
comunitarie, nazionali, regionali)
non sempre omogenee e coerenti;
[5] Si pensi al caso recente del sequestro di alcune partite di rottami ferrosi operato, in via d’urgenza, dalla polizia giudiziaria nel
Porto di Monfalcone, nel gennaio 2005, seguito dalla richiesta di convalida del sequestro d’urgenza, da parte della Procura della
Repubblica di Venezia, respinta del GIP presso il Tribunale di quella stessa città con successivo dissequestro dei materiali, in data 8
febbraio 2005; sul tema, si veda oltre).
[6] Da ultimo quelli contenuti nella missiva dell’Ufficio Gabinetto del ministro, del 17 gennaio 2005, a firma di P. Togni (si veda oltre).
[7] Il riferimento è, ad es., alle disposizioni impartite, nell’episodio accennato del gennaio 2005, dalla Procura della Repubblica di
Venezia alla polizia giudiziaria per intervenire sui rottami ferrosi in movimentazione presso il porto di Venezia, in quanto
considerati “rifiuti”, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia 11 novembre 2004 (si veda oltre), contro l’indirizzo opposto
manifestato dal Governo.
[8] «Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia
anche nelle aree svantaggiate» (in Gazzetta Ufficiale dell’8 luglio 2002, n. 158). Si vedano i nn. 15-16-17/2002 e 5/2003 di
Ambiente&Sicurezza.
[9] «Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta
applicazione» (in S.O. n. 187 alla Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 2004, n. 302). Si veda lo Speciale sul n. 3/2005 di
Ambiente&Sicurezza.
[10] Si veda, dello stesso Autore, Proposte ricostruttive della “nozione autentica di rifiuto”, ex art. 14, l. 178/2002, in Riv. Giur.
dell’Ambiente, n. 2/2004, pag. 233, con richiami di dottrina (n. 1) e giurisprudenza della Suprema Corte (n. 3).
[11] In particolare le “letture” fornite dalla Commissione e dalla Corte di Giustizia dell’U.E. in materia di disciplina comunitaria della
gestione dei rifiuti, come rassegnate nel commento di cui alla nota precedente.
[12] Si richiama, in proposito, il contestato dettato dell’art. 14, legge n. 178/2002, e quello dell’ art. 1, commi 25/29, legge delega n.
308/2004, su cui si veda infra. Su quest’ultima legge, si vedano le lucide osservazioni di F. Peres, Attività siderurgiche e
metallurgiche: ridisegnata la disciplina sui rottami, in Ambiente&Sicurezza n. 3/2005, pag. 20.
[13] Questo appunto era l’obiettivo dichiarato nella locandina di presentazione del convegno organizzato il 14 marzo 2005 dall’ASSO-
FERMET, a Milano, i cui Atti sono riportati nel sito web www.assofermet.it/.
9 agosto 2005 ­ N. 16

l perché molti sono gli interpreti
di queste disposizioni, a diversi livelli,
con approcci difformi (con riferimento
agli interessi pubblici o privati
da tutelare) e con diversa efficacia
dell’atto interpretativo (parere, sentenza,
contestazione, ecc., vincolanti
o meno), con risultati spesso - e comprensibilmente
- divergenti. Partendo
dal basso, si pensi, nell’ordinamento
interno, all’interpretazione/applicazione
fornita dalle autorità amministrative
e di governo, centrali e locali,
dalle autorità di vigilanza e controllo,
dagli organi di polizia giudiziaria,
dalla magistratura ordinaria e amministrativa,
dal legislatore nazionale
(ad es. con norme di interpretazione
autentica, come l’art. 14, legge n.
178/2002) [14] , dalla Corte Costituzionale
[15] ; e, nell’ordinamento comunitario,
dalla Commissione Ue e dalla
Corte di Giustizia;
l perché, come spesso accade, non
sempre gli interessi pubblici e quelli
privati convergono all’atto della loro
ponderazione e componimento, in
sede interpretativa della norma e/o
della sua applicazione (anche se
spesso il conflitto, come nella materia
considerata, potrebbe risultare,
per alcuni aspetti, apparente; sul punto
si veda oltre).
Questo complicato assetto istituzionale,
che pure costituisce un modello
elevato e maturo di democrazia
(cioè di potere diffuso, decentrato e/o
trasferito, all’interno dell’ordinamento
ovvero dallo Stato nazionale alla Co-
9 agosto 2005 ­ N. 16
AMBIENTE
munità europea), di fatto, ha generato
e continua a generare possibili divaricazioni
di “letture” e, dunque, incertezza
e instabilità giuridica e della
prassi (quando non contraddizione,
fra le istituzioni, e paralisi del mercato).
Con l’ulteriore, infelice conseguenza
che la normativa sulla gestione
dei rifiuti - come di
qualsiasi altra disciplina
- anziché
assecondare, stimolare
e, dunque
,potenziare il mercato
(nel caso, del
recupero dei rottami
ferrosi), lo deprime
e, qualche
volta, lo arresta del
tutto, in manifesta
dissonanza dai propositi
stessi del Legislatore,
degli indirizzi
del Governo
e degli obiettivi
dell’impresa.
Quali rimedi?
Se, dalla spiegazione del fenomeno,
si passa alle possibili proposte di
soluzione - per diradare le delineate
incertezze - le risposte proponibili
sembrano essere connotate da considerevoli
difficoltà e, comunque, non
appaiono di breve periodo. Preliminarmente,
occorre diradare il campo
dell’attuale, concitato dibattito [16] , da
falsi problemi e da altrettanto inidonei
suggerimenti.
I dati 2003 parlano di una
produzione nazionale di
acciaio grezzo a “forno
elettrico”, cioè
esclusivamente mediante
la rifusione di rottami
ferrosi, pari al 63% della
produzione nazionale
totale di acciaio (26,7
milioni di tonnellate)
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
RIFIUTI
Articolo
Il ricorso alle sentenze
della Corte di Giustizia
Una prima soluzione assai problematica
- che ha però incontrato il
favore di una parte della magistratura
(soprattutto inquirente) - riposa sull’affermazione
di principio secondo
cui, dopo la pronuncia della Corte
di Giustizia dell’Ue
11 novembre
2004, sulla definizione
comunitaria
di rifiuto e sulla
incompatibilità
dell’art. 14, legge
n. 178/2002 cit.,
con questa nozione,
tutti i problemi
interpretativi
sopra delineati,
sarebbero risolti,
anche con riferimento
ai rottami
ferrosi derivanti
da scarti di lavorazioneindustriale
o artigianale oppure originati da
cicli produttivi o di consumo, ex art.
1, commi 25 e 29, legge n. 308/2004
cit. [17] . Sia perché la sentenza dell’alto
Consesso affronta direttamente la
portata e gli effetti derivanti dalla
norma nazionale (art. 14 cit.), fornendo
una definizione di rifiuto che
potrebbe ricomprendere i rottami
ferrosi, sia in quanto la decisione
fornisce un’interpretazione autentica
di questa nozione, che sarebbe
vincolante per gli Stati mem-
[14] «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, recante interventi urgenti in materia tributaria, di
privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nella aree svantaggiate» (in S.O. n.
168 alla Gazzetta Ufficiale del 10 agosto 2002, n. 187).
[15] Da ultimo, chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità dell’art. 14, cit. e dei commi 25/29 dell’art. 1, legge n. 308/2004, cit.
dall’ordinanza del Tribunale di Venezia, sezione distrettuale del riesame 8 marzo 2005, inedita (si veda oltre) e dalla pronuncia del
Tribunale di Rieti 2 febbraio 2005, inedita (limitatamente alla legge n. 308). Si segnala, altresì, che la Procura della Repubblica di
Asti, in sede di richiesta di archiviazione rivolta al G.I.P. di detta città, il 13 gennaio 2005 (inedita), ha sollecitato detto giudice, in
via preliminare, di dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità relativa al contrasto dell’art.
14, legge n. 178/2002, con gli artt. 11 e 117 Cost. (sui profili di costituzionalità si dirà a momenti).
[16] Non sempre, spiace rilevarlo, libero da preconcetti o, addirittura, da sottese opzioni ideologiche.
[17] La nuova disciplina introdotta dalla legge n. 308/2004, sui “rottami ferrosi e non ferrosi”, oggi vigente, contempla due ipotesi (e
discipline) differenziate:
- la prima, relativa ai rottami provenienti dall’estero (ex comma 27), che si completa con il richiamo al comma 28 (sulla
regolamentazione di una nuova sezione speciale dell’Albo);
- la seconda, afferente i rottami prodotti in Italia, ex art. 29, introduttivo del comma q-bis) dell’art. 6, comma 1, decreto “Ronchi”, a
cui vanno raccordati i commi 25 e 26.
(segue)
89

RIFIUTI
Articolo
bri e, nel loro ambito, anche per la
pubblica amministrazione e per gli
organi giudiziari [18] .
In definitiva, dopo questa pronuncia,
potrebbe legittimamente procedersi,
in sede amministrativa e giurisdizionale,
alla disapplicazione dell’art.
14 citato, in considerazione del
rilievo giuridico che le sentenze della
Corte lussemburghese sarebbero, come
accennato, immediatamente vincolanti
e direttamente applicabili
anche in sede giurisdizionale.
90
AMBIENTE
l Natura ed effetti della sentenza
11 novembre 2004 - Occorre certamente
prestare grande attenzione a
questa sentenza, sia in considerazione
degli interessi coinvolti dall’intervento
dell’organo comunitario (con
riferimento, soprattutto, agli operatori
dello specifico e consistente mercato
del riutilizzo, riciclo, recupero
dei residui e/o sottoprodotti industriali
e di consumo, in generale, e
dei rottami ferrosi, in particolare) sia
perché, per quanto attiene all’Italia,
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
essa era stata sollecitata proprio da
un giudice nazionale e aveva a oggetto
il significato e la portata dell’art. 1,
comma 1, lettera a), direttiva 75/
442CEE, relativa ai rifiuti, come modificata
dalla direttiva 91/156 CE [19] .
La conclusione cui è pervenuto
quel Collegio, con la sua decisione
“interpretativa” [20] , per la sua complessità
e importanza - sia in relazione
al merito (di pesante chiusura verso
la nozione di “materia prima secondaria”
che viene, sostanzialmen-
Per quanto attiene a quest’ultima ipotesi, il Legislatore configura due distinte fattispecie:
- “rottami ferrosi e non ferrosi:
1) derivanti da operazioni di recupero, ex art. 31/33 o 27/28, D.Lgs. n. 22/1997 - i quali sono, necessariamente, qualificati “materie
prime secondarie” per attività metallurgiche e siderurgiche (ciò che proviene da operazioni di recupero, va qualificato, per legge,
ex art. 4, comma 1, lettera b), “decreto Ronchi” ed ex art. 3, D.M. 5 febbraio 1998 come «un prodotto, una materia prima o una
materia prima secondaria») e
2) a condizione che rispondano a determinate specifiche tecniche (CECA, AISI, CAEF, UNI, EURO o altre e diverse, nazionali o
internazionali).
Questa ipotesi non è nuova né sul piano concettuale né su quello della disciplina, in quanto già contemplata dal D.M. 5 febbraio
1998, Allegato 1, Suballegato 1, voce 3 «Rifiuti di metalli e loro leghe sotto forma metallica non disperdibile»;
- “rottami ferrosi o non ferrosi:
1) che costituiscono «scarti di lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta
differenziata»;
2) che possiedono, fin dall’origine, le caratteristiche indicate dalle specifiche tecniche di cui alla prima parte della lettera q-bis) (si
veda sopra). Si tratta, in definitiva, di residui industriali che vengono considerati non rifiuti (materie prime secondarie) non perché
fatti oggetto di attività di recupero - come nel caso precedente (“rottami ferrosi e non ferrosi”) - ma in quanto possiedono, fin dalla
loro formazione, le caratteristiche tecniche di cui sopra (CECA, AISI, ecc.) e possono essere utilizzati “tal quali” o con trattamento
preventivo minimale, nel senso previsto dall’art. 14, comma 2, lettera b), legge n. 178/2002. A questa esclusiva ipotesi si riferiscono
le specificazioni, quasi del tutto superflue e ripetitive, dei commi 25 e 26, che richiamano e confermano la validità e vigenza
dell’art. 14, legge n. 178/2002, in cui correttamente si riporta la fattispecie dei rottami ferrosi - quali scarti di lavorazione ovvero
originati da cicli produttivi o di consumo - costituenti “materia prima secondaria” per la siderurgia e metallurgia. Essi, infatti, non
costituiscono oggetto dell’attività di «disfarsi» (inteso in senso pieno, comprensivo dell’attività svolta anche al presente: «si disfi»,
in aggiunta a quanto previsto dall’art. 14, cit. che fa menzione solo della diversa condotta di chi «abbia deciso o abbia l’obbligo di
disfarsi»), purché siano destinati, in modo effettivo, “all’impiego” anche presso altri e diversi cicli produttivi, tal quali, in quanto
già in possesso delle ridette “specifiche tecniche” (questa ultima condizione non era esplicitata nell’art. 14, ma, in qualche modo,
risultava implicita, sia con riferimento alla utilizzabilità “tal quale” del rottame, sia per l’assenza, in fase di riutilizzo, di un
«pregiudizio all’ambiente» superiore a quello derivante dall’uso della materia prima vergine corrispondente). L’aver indicato le
fonti di regolamentazione di queste specifiche tecniche (CECA, AISI, ecc.) rende la nuova disciplina stringente rispetto all’art. 14.
cit. dove ci si limitava a pretendere che detti materiali non subissero «interventi preventivi di trattamento» o subissero trattamenti
preventivi minimali (appunto perché già in possesso delle specifiche pretese dal mercato di destinazione per il riutilizzo).
[18] Nell’ordinanza della Sezione distrettuale del riesame del Tribunale di Venezia 8 marzo 2005, citata a nota 15, si leggono, infatti, le
seguenti espressioni: «la Corte di Giustizia, con la pronuncia dell’11 settembre 2004 (…) ha stabilito un principio di diritto
incompatibile con la possibilità di applicazione del citato articolo 14, legge 178» (pag. 8 dell’originale del provvedimento); «la
sentenza della Corte di giustizia (..) orientata nel senso della necessaria “disapplicazione” della norma di diritto interno contrastante»
come «la legge 15 dicembre 2004, n. 308» (sui materiali ferrosi, si veda ivi, a pag. 11); «la proposizione chiave dell’appello
proposto dal P.M. avverso il diniego del g.i.p. risulta essere fondato: il contrasto tra la sentenza della Corte di Giustizia comunitaria e
le norme interne (anteriori e successive alla statuizione della stessa), potrebbe dirsi risolto, in quanto, adeguandosi all’insegnamento
della Corte Costituzionale, funzionari e giudici italiani devono “non applicare” le disposizioni tutte che qualificano i rottami
metallici come materie prime secondarie: non solo perché contrastanti con la interpretazione di “rifiuto” dichiarata conforme al
diritto comunitario della Corte di Giustizia» (ivi, pag. 13); «E pertanto, ribadita la necessità di applicazione immediata, diretta e
prevalente, nell’ordinamento interno dei principi fissati» (meno che da direttive non autoapplicative, quale quella oggetto di
interpretazione da parte della nominata sentenza della Corte di Giustizia comunitaria) «dalla sentenze della Corte di Giustizia
comunitaria (così Corte Cost., sentenza n. 389/1989 e n. 113/1985), ancora una volta richiamato che, giusta sentenza C/457 di data
11 novembre 2004, il principio di diritto comunitario risulta essere incontrovertibile e che le nominate disposizioni di legge risultano
essere con esse incompatibili (…), il Tribunale ritiene sussistere, nel caso sottoposto al suo esame, condizioni vincolanti nel senso
della disapplicazione delle norme di diritto interno in contrasto» (tanto seguendo la traccia segnata dalla Corte costituzionale a
partire dalla sentenza n. 170/1984).
(segue)
9 agosto 2005 ­ N. 16

te, ricondotta in quella di rifiuto) che
alla sua efficacia negli ordinamenti
interni - giustifica qualche ulteriore
approfondimento per rimuovere alcuni
equivoci e fornire ulteriori messe
a punto.
Nel rigoroso rispetto delle norme
costituzionali del Trattato CE e in
conformità agli indirizzi del giudice
comunitario e nazionale [21] va, infatti,
ribadito che la pronuncia del giudice
lussemburghese ha natura di sentenza
dichiarativa resa, in via pregiudiziale,
ex art. 234 Trattato. Per ciò stesso,
essa non riveste i caratteri della definitività
e dell’irrevocabilità [22] .
È altrettanto assodato, in dottrina
[23] e nella giurisprudenza comunitaria,
che non esiste un effetto generale
di queste sentenze, neppure nei
confronti della Corte che le ha adottate,
perché essa stessa non si sente
formalmente vincolata dai propri
precedenti [24] , che può tranquillamente
smentire o cambiare.
l Nuove aperture della CGCE
sulla nozione di rifiuto - Un esempio
emblematico di questi revirement
(“virate”) giurisprudenziali - che
smentiscono tale presunta coerenza
(di indirizzi interpretativi) e la “definitività”
delle pronunce dichiarative -
9 agosto 2005 ­ N. 16
AMBIENTE
è stato fornito, di recente, dalla nota
ordinanza della stessa Corte di Giustizia
15 gennaio 2004, proprio in
tema di definizione della nozione di
rifiuto, con riferimento alla qualificazione
del pet coke. Il Collegio, invero,
svincolandosi, in modo netto, da
un preesistente (non del tutto omogeneo)
indirizzo restrittivo - come non
hanno mancato di notare, anche se in
chiave critica, autorevoli studiosi -
introduce criteri accentuatamente innovativi
che contraddicono i precedenti
assetti con lo scopo di restringere
sostanzialmente (anziché ampliare),
tale nozione [25] .
Non è, infatti, sfuggita l’assoluta
novità del principio affermato in
detto provvedimento, secondo cui
non è rifiuto quel materiale che venga
riutilizzato «pur derivando da un
processo di fabbricazione che non è
principalmente destinato a produrlo»,
tutte le volte in cui esso «può
costituire un sottoprodotto del quale
l’impresa non ha intenzione di disfarsi,
perché può sfruttarlo e commercializzarlo
a condizioni per lei
più favorevoli, in un processo successivo
e senza operare trasformazioni
preliminari» [26] .
Si tratta, alla luce del chiaro teno-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
RIFIUTI
Articolo
re della motivazione, di un’espressa e
assai chiara rivalutazione, da parte
del Giudice comunitario, dell’elemento
soggettivo della volontà dell’imprenditore
il quale - nella vicenda
decisa - considerava il coke da
petrolio (ma lo stesso è a ripetersi per
il materiale ferroso), non un materiale
di cui “disfarsi”, ma una materia
“prodotta volontariamente” e consapevolmente
di cui l’impresa, da tempo,
intende riutilizzare (nel caso del
pet coke) «con certezza come combustibile
per il fabbisogno di energia
della propria raffineria o di altre industrie»
(come recita testualmente la
massima).
Questa valorizzazione della volontà
del produttore viene giustamente
esaltata, dalla Corte, non solo
nel caso di riutilizzo diretto del sottoprodotto,
ad es. all’interno della raffineria
di provenienza, ma anche allorché
il detentore del residuo produttivo
intenda destinarlo presso altri
processi produttivi (a cui, negli
esempi fatti, tanto il coke che il materiale
ferroso possono essere ceduti),
con univoco superamento del precedente
limite giurisprudenziale, del
tutto irragionevole sul piano tecnico
e giuridico, secondo il quale il riuti-
[19] Com’è noto, il Tribunale di Rieti, in data 20 novembre 2002, adiva la Corte di Strasburgo, ai sensi dell’art. 234 del Trattato,
invitandola a pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla nozione giuridica di rifiuto, secondo l’ordinamento comunitario e, conseguentemente,
sulla “compatibilità comunitaria” di una norma nazionale (l’art. 14, della legge 178/2002) adottata, in via d’urgenza, dal
Governo - ma ratificata poi dal Parlamento - che ne forniva una “definizione autentica”, con l’intento dichiarato e ben preciso di
non assoggettare agli oneri economici (aggravi di spesa) e burocratici (perdite di tempo, incomprensioni e rischio di errori), propri
della normativa sulla gestione dei rifiuti, quei «materiali residuali di produzione e di consumo»(come i rottami ferrosi) che fossero
«effettivamente riutilizzati, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento» ovvero subendo trattamenti preliminari minimi
(ad es. cernita, compattazione, macinazione, vagliatura, ecc. e, quindi, non di “recupero completo”), nel medesimo o diverso ciclo
produttivo (cioè presso il produttore o presso terzi), ovviamente senza recare pregiudizi all’ambiente.
[20] Non di condanna dell’Italia o di annullamento di quella disposizione, come si è letto o sentito da alcuni primi commentatori, per
quanto è stato chiarito nel contributo indicato nella nota 10.
[21] Cioè sulla base delle stesse sentenze della Corte costituzionale citate nelle ordinanze di Terni e di Venezia che hanno sollevato le
questioni di costituzionalità indicate, retro, nella nota 15.
[22] Il suo contenuto - di accertamento del significato e portata della norma comunitaria (e non di quella nazionale) - non è dato una
volta per tutte (una sorta di sentenza passata in giudicato). All’opposto, essa non preclude affatto la riproponibilità della stessa
questione (e, dunque, un ulteriore rinvio pregiudiziale sul medesimo tema) anche da parte del giudice rimettente (per chiedere
chiarimenti) o di altri giudici, sulla base, ovviamente, di nuovi elementi e/o nuove prospettazioni. In definitiva, detta pronuncia
vincola il Tribunale di Terni - che l’ha sollecitata - ma non le altre autorità giudiziarie (civili, penali, amministrative) le quali non
condividano le sue conclusioni. In proposito, è sufficiente rinviare a un qualsiasi manuale di diritto comunitario, come quelli citati
nella nota Nuovo capitolo sulla nozione di rifiuto, cit.
[23] Si veda G. Gaja, Introduzione al diritto comunitario, Bari, 1996, pag. 63.
[24] Si veda, fra le tante, Corte di Giustizia 24 novembre 1993, cause C- 267-268/91.
[25] Nell’annotare la sentenza in Foro it. 2000, IV, col 150, V. Paone osserva, fra l’altro, che «la pronuncia... rischia di aggiungere
ulteriori elementi di confusione nel dibattito tuttora aperto sulla conformità della legge n. 178/2002 al diritto comunitario».
[26] Così riassume un punto saliente della sentenza V. Paone, op. ult. cit.
91

92
RIFIUTI
Articolo
lizzo del sottoprodotto doveva necessariamente
avvenire, “tal quale”, all’interno
dell’insediamento e «nel
corso del processo di produzione».
In definitiva, non può sfuggire che
il provvedimento sul pet-coke si pone
nel solco di un orientamento del giudice
comunitario che, dopo le prime
chiusure segnate dalla sentenza 25
giugno 1997 (per
cui tutti gli «oggetti
e le sostanze
di cui il proprietario
si disfi» sono
da considerare rifiuto
«anche se essi
hanno un valore
commerciale e sono
raccolti a titolo
commerciale a fini
di riciclo, di recupero
o di riutilizzo,
anche all’interno
dell’insediamento»;
si veda il punto
52), ha espresso
delle rilevanti
aperture, soprattutto con la sentenza
18 aprile 2002, per la quale sono
esclusi da tale nozione «i sottoprodotti
il cui riutilizzo sia certo (… ) senza
trasformazioni preliminari e nel corso
del processo produttivo» (si veda il
punto 36).
Ebbene, l’ordinanza 15 gennaio
2004 (sul coke) richiama questo precedente
e lo porta alle logiche e coerenti
conseguenze quando, nel rispetto
di dette condizioni, estende
l’esclusione in favore di quei materiali
che vengano effettivamente riutilizzati
anche presso terzi. In questo
senso, peraltro, poteva essere letto
anche un passo specifico della decisione
18 aprile 2002 (punto 34 della
motivazione) ove si legge che il
La normativa sulla
gestione dei rifiuti ­
come di qualsiasi altra
disciplina ­ anziché
assecondare, stimolare
e dunque potenziare il
mercato (del recupero
dei rottami ferrosi), lo
deprime e, qualche volta,
lo arresta del tutto
AMBIENTE
produttore del sottoprodotto potrebbe
volerlo «sfruttare o commercializzare
a condizioni a lui favorevoli,
in un processo successivo, senza trasformazioni
preliminari» [27] .
l “Materia prima secondaria” e
prodotto finale - Nel novero di questo
indirizzo possono essere collocate
anche la successiva decisione del
giudice comunitario
11 settembre
2003 [28] ove, con
riferimento ai detriti
e alla sabbia
di scarto derivanti
da una attività mineraria
(di estrazione
del cromo
da un materiale
grezzo sottoposto
a perforazione,
digrossamento e
raffinazione), si
riconosce la natura
di non rifiuto
(sottoprodotto) ai
detriti e sabbia
riutilizzati tal quali «per un necessario
riempimento di gallerie della miniera»
(per sostenerle) «mentre (…)
agli stessi detriti e sabbia che saranno
trasformati in conglomerati» viene
attribuita la qualifica di rifiuti.
La spiegazione di tale anomalia è
rappresentata dalla considerazione
che:
- i primi residui «sono utilizzati come
materia nel processo industriale minerario
(…) non possono essere considerate
sostanze di cui il detentore si
disfi o abbia intenzione di disfarsi
(…) il gestore della miniera può
identificare fisicamente i residui che
saranno effettivamente utilizzati nelle
gallerie e fornisce all’autorità garanzie
sufficienti di tale riutilizzo
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
(punti 37/39)», mentre
l i secondi sono rifiuti «in quanto la
loro utilizzazione per operazioni di
costruzione o per altri usi è incerta»
e tanto vale «anche per i detriti che
saranno trasformati in conglomerati,
poiché, anche quando una tale utilizzazione
sia probabile, essa necessita
precisamente di un’operazione di recupero
di una sostanza che, come
tale, non è utilizzata né nel processo
di produzione mineraria, né per l’uso
finale previsto (v. punto 36 della sentenza
Palin Granit» (punto 41).
Non può sfuggire a una più attenta
riflessione che la distinzione operata
dal giudice comunitario contiene delle
forzature e delle incoerenze che
non possono essere condivise. Si rifletta,
in particolare che, in entrambe
le ipotesi, l’utilizzo dei residui da attività
mineraria riguarda:
- gli stessi prodotti (detriti e sabbia);
- con la stessa natura e provenienza
- e dunque con una identico rischio
ambientale;
- di cui il detentore non intende disfarsie
che effettivamente riutilizza
(per riempimento di gallerie o per
realizzare conglomerati cementizi).
Si argomenta, da parte della Corte,
che i primi sono utilizzati nel medesimo
processo industriale minerario
e gli altri no perché sarebbero
sottoposti a un trattamento di recupero.
Ma anche queste spiegazioni non
sembrano probanti.
I detriti e le sabbie destinati a
riempire le gallerie (svuotate dall’estrazione
del minerale) sono oggetto
di una attività di bonifica e sistemazione
ambientale che non ha
nulla a che vedere - sul piano oggettivo
(merceologico e classificatorio) -
con la distinta attività mineraria di
estrazione del cromo (anche se la
27] Quest’ultima espressione non è sfuggita a V. Paone, che, nell’annotare la sentenza, in Foro it. 2003, IV, col 510, osserva: «la Corte
di Giustizia sostiene che certi materiali possono essere sfruttati o commercializzati, a condizioni favorevoli per i detentore, in un
processo successivo onde si può opinare - anche se con notevoli perplessità a riguardo - che la Corte volesse anche riferirsi alla
eventualità in cui il residuo sia consegnato a terzi che lo riutilizzano in un nuovo ciclo produttivo. Siamo dell’avviso che vanno
ristretti i casi in cui i residui riutilizzabili sono sottratti alla sfera di applicazione della normativa sui rifiuti alle ipotesi in cui si
instauri un rapporto diretto tra produttore del residuo e suo utilizzatore (ad esempio i gusci d’uovo macinati per produrre
fertilizzanti)».
28] In Foro it. 2002, V, col. 510.
9 agosto 2005 ­ N. 16

legge prevede l’obbligo di ripristino
delle miniere e delle cave). Si presenta,
dunque, approssimativa e metaforica
l’osservazione della Corte circa
un “residuo utilizzato come materia”
nello stesso “processo industriale”,
mentre non è giuridicamente appropriato
affermare che i detriti e sabbie
utilizzati per la produzione dei conglomerati
(secondo caso) siano sottoposti
a recupero e dunque restino nell’area
dei rifiuti. Sembra, infatti, corretto
obiettare che anche quei residui
vengono utilizzati “tal quali”, come
materia prima secondaria, unitamente
ad altre materie prime (primarie
o secondarie) impiegate per
fabbricare conglomerati cementizi
(prodotto finale).
Tanto il cemento che il calcestruzzo
costituiscono agglomerati di materiali
greggi, in particolare, il primo,
formato da calcare e argilla e, il secondo,
da cemento, sabbia e ghiaia.
Ciascuno di questi componenti rappresenta
una materia prima (primaria
o secondaria) che resta tale anche
se si trasforma in un distinto (e diverso)
prodotto “finale” (il calcestruzzo,
appunto).
È, pertanto, tecnicamente e giuridicamente
improprio parlare delle
sabbie come rifiuto, prima di essere
“recuperate” nel prodotto “finale”
(“conglomerato”).
Sarebbe, invece, più corretto definire
il fenomeno come utilizzo di distinte
materie prime (primarie o secondarie:
sabbie, ghiaia, detriti) per
9 agosto 2005 ­ N. 16
AMBIENTE
realizzare un prodotto finale quale il
cemento (che non esiste in natura),
tenendo concettualmente distinto il
prodotto (finale) dalle singole materie
prime che lo compongono; è stato
lo stesso giudice comunitario ad
avvertire che, in alcuni casi, il residuo
produttivo o di consumo si presenta
come sottoprodotto, cioè, più
propriamente come «beni, materiali
o materie prime che, da un punto di
vista economico hanno valore di prodotti,
indipendentemente da qualsiasi
trasformazione» (punto 35, sentenza
18 aprile 2002).
Resta da segnalare, sempre in tema
di (asserita) coerenza delle pronunce
pregiudiziali del giudice comunitario
che, da ultimo, con sentenza
del 7 settembre 2004, la stessa
Corte, invitata a ridefinire la nozione
comunitaria di rifiuto in un episodio
di idrocarburi infiltrati nel suolo, ha «
equiparato il termine sito contaminato
con il termine rifiuto», con la conseguenza
che «ai siti contaminati si
applica quantomeno la normativa sui
rifiuti» [29] .
Di fronte a questi significativi revirement
giurisprudenziali, non appaiono,
dunque, del tutto giustificate le
preoccupazioni di chi obietta, ad es.,
che «l’ordinanza sul pet-coke potrebbe
prestarsi ad avallare la condotta di
quei produttori di rifiuti che, per sottrarsi
ai rigori della legge, dichiarino
di aver programmato l’ottenimento di
determinati residui così da giustificare
un loro “riutilizzo” eseguito al di fuo-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
RIFIUTI
Articolo
ri dei controlli preventivi della pubblica
amministrazione» [30] .
Non solo, sul piano metodologico,
le preoccupazioni dettate dalla scarsa
efficienza dei sistemi pubblici italiani
- di controllo preventivo - non possono
incidere, né poco né molto, sul
problema ermeneutico di una corretta
ricostruzione di una nozione giuridica
comunitaria e nazionale, così come
esplicitamente e univocamente individuata
nell’ordinanza de qua [31] ; ma
anche in considerazione del fatto che
le imprese che “programmano” di recuperare
determinati residui, quali il
pet coke o il materiale ferroso, non lo
fanno, normalmente, per eludere la
legge, ma, molto più realisticamente,
perché trovano un rilevante tornaconto
economico a «non abbandonare
nell’ambiente» quel prodotto (sia esso
voluto sia esso «il risultato finale
di una scelta tecnica» pur sempre
adottata e quindi voluta), ma a esitarlo,
tal quale (ovvero previe operazioni
di recupero), presso terzi [32] .
l La cosiddetta posizione del “tutto
rifiuto” - L’ordinanza 15 gennaio
2004 sul pet coke, proprio per la sua
forte apertura verso il mercato del
sottoprodotto (estraneo alla disciplina
dei rifiuti), non è piaciuta ai sostenitori
della cosiddetta posizione del
“tutto rifiuto” (a favore di un allargamento
di tale categoria), decisamente
in opposizione a chi (di fatto, la maggioranza
degli studiosi, della magistratura,
delle forze politiche - di entrambi
gli schieramenti - e istituzio-
[29] Così si esprime D. Rottgen, in Primi commenti alla nozione di rifiuto secondo la Corte CE, in Ambiente, n. 1/2005, pag. 5 e segg. il
quale, critica puntualmente e correttamente il giudice lussemburghese concludendo che «la definizione comunitaria di rifiuto
contenuta nella direttiva non comprende beni immobili, quali, per esempio, il terreno inquinato presente in un sito. Nonostante ciò,
resta il fatto che la sentenza della Corte crea una sostanziale incertezza di diritto» (si veda pag. 12, ultima colonna).
[30] Così V. Paone, cit. alla nota 27, il quale, peraltro, in un successivo contributo, La nozione di rifiuto tra diritto comunitario e diritto
penale, in Foro it., 2005, IV, col 19, a commento di Corte di Giustizia 11 novembre 2004, cit., riassume la deroga alla nozione di
rifiuto - con riferimento ai residui di produzione e consumo - alle seguenti condizioni (con qualche interessante apertura): «per
garantire la massima protezione ambientale: a) il riutilizzo del materiale non deve essere solo eventuale, ma certo; b) il riutilizzo
deve avvenire senza la preliminare trasformazione del materiale; c) il riutilizzo deve avvenire nel corso dello stesso processo di
produzione; d) il riutilizzo può avvenire anche in un processo successivo, rispetto a quello di provenienza, ma sempre senza
trasformazioni preliminari; e) il riutilizzo deve avvenire, in ogni caso, senza arrecare danni all’ambiente».
[31] Ricostruzione da compiere secondo canoni di probità e neutralità interpretativa e non in base a prospettive e/o con scopi di
prevenzione penale, certo giustificabili, nel singolo caso, ma non adottabili, in via generale e sistematica, con l’effetto di colpire tutti
quegli operatori (sicuramente la grande maggioranza) che operano nella legalità.
[32] Nessun dubbio sul fatto che costituisca “criterio di riconoscimento” di una sostanza come merce e non come rifiuto «il grado di
probabilità del riutilizzo di tale sostanza senza operazioni di trasformazione preliminare» (si veda la sentenza 18 aprile 2002, punto
37, richiamata dal punto 37 dell’ordinanza, in esame).
93

RIFIUTI
Articolo
nali) opta per una sua lettura più congrua,
ragionevole e “sostenibile”.
Nel tentativo di screditare una
pronuncia non gradita, si è innanzitutto
sottolineato che «in realtà le
motivazioni della corte appaiono poco
convincenti, (…) l’ordinanza risulta
quanto meno non congrua rispetto
al principio che essa afferma
(…). Risulta peraltro che questo ordinanza
è comunque inaccettabile
nella sostanza proprio alla luce della
pregressa e consolidata giurisprudenza
della corte» [33] .
Essa, infatti, si porrebbe in vistosa
contraddizione con il principio basilare
secondo cui «l’effettiva esistenza
di un rifiuto, ai sensi della direttiva,
va accertata (…) tenendo conto della
finalità della direttiva e in modo da
non pregiudicarne l’efficacia» e sulla
considerazione che la Corte abbia
tradito i suoi precedenti («Tale principio,
infatti, così come formulato,
non risulta affatto dalla giurisprudenza
pregressa»); al proposito si
prospettano due possibilità:
«a) la corte (...) ritiene il pet coke
direttamente un prodotto in base al
principio che è prodotto volontariamente
e viene utilizzato con certezza
nel processo di produzione. Se così,
si tratta di una novità perché mai la
corte aveva affermato questo principio
di identificazione del prodotto.
Questa conclusione va, quindi scartata,
perché, essendo innovativa, non
si sarebbe potuta affermare con una
semplice ordinanza motivata»;
«b) la corte ritiene il pet coke un
sottoprodotto escluso dall’ambito dei
rifiuti in base alla sua pregressa giurisprudenza.
Ma anche in tal caso, la
conclusione è inaccettabile in quanto,
come si è visto, mancano le condizioni,
fra cui spicca quella relativa al-
94
AMBIENTE
l’assenza di operazioni di trasformazione
preliminare (e che nel dispositivo
non viene neppure menzionata).
Non è, quindi, applicazione di giurisprudenza
pregressa pur trattandosi
di semplice ordinanza motivata».
Al contrario, pare, in coerenza con
i precedenti rilievi, che possa delinearsi
una terza spiegazione, ovvero che
la Corte, la quale non è vincolata -
come sottolineato - dalle sue precedenti
decisioni, abbia voluto rafforzare
alcuni criteri già formulati in
passato, volti a valorizzare l’elemento
della volontà del produttore/detentore
del sottoprodotto, una volta
verificato il suo oggettivo riutilizzo,
senza pregiudicare, in alcun modo, il
principio fondamentale di garantire
le finalità e l’efficacia della direttiva,
assicurato, per l’appunto, dall’accertamento
dell’effettivo riutilizzo del
sottoprodotto, presso lo stesso insediamento
o presso terzi.
Ma anche a seguire, per mera ipotesi,
che si tratti di una novità, essa
non può «essere scartata pregiudizialmente
perché innovativa», sia
perché la potestà esclusiva della Corte
- di interpretare le fonti del diritto
comunitario, ex art. 234 del Trattato -
le consente logicamente di modificare
le sue precedenti interpretazioni (e
dunque di innovare sino a “contraddire”
[34] i suoi stessi “arresti”; gli
esempi da citare sarebbero assai agevoli)
sia, in quanto, la funzione nomofilattica
che le compete (vigilare
sull’esatta e uniforme interpretazione
della norma) risulta giuridicamente
compatibile anche con netti revirement
giurisprudenziali [35] .
Obiettare infine, sub a), che, a
questa innovazione, sarebbe da ostacolo
la natura del provvedimento (ordinanza
anziché sentenza) si presenta
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
come un mero formalismo giuridico
- o, al peggio, come una “censura”
all’operato (irrituale) della Corte -
che, peraltro, non è in grado di modificare
in nulla la sostanza delle conclusioni
dalla stessa assunte.
Quanto alle considerazioni, sub
b), si ritiene più affidabile l’opinione
del giudice comunitario - che ritiene
di essersi conformato “alla sua pregressa
giurisprudenza” (peraltro minuziosamente
citata e commentata) -
limitandosi ad aggiungere, in punto
di fatto, che, secondo la sentenza, il
pet coke non ha subito «trasformazioni
preliminari» (ovviamente di natura
sostanziale: cioè operazioni di
recupero che modificano l’identità
della sostanza) in quanto detto combustibile
deriva, direttamente, «dal
processo di raffinazione del petrolio
(…) ed è il risultato di una scelta
tecnica (il coke da petrolio non sarebbe
necessariamente prodotto nelle
operazioni di raffinazione)».
Si legge, infatti in sentenza che, «lo
scopo di una raffineria» (cioè l’obiettivo
voluto dall’imprenditore) «è precisamente
quello di produrre diversi
tipi di combustibile a partire dal petrolio
grezzo» (compreso il pet-coke).
L’efficacia “vincolante”
delle sentenze della CGCE
Come è noto, la sentenza di accertamento
pregiudiziale fissa il contenuto
della norma comunitaria (ad es.
più ampio o più ristretto di quello
ritenuto dal Legislatore nazionale, in
sede di trasposizione, ovvero dai giudici
nazionali, con riferimento alla
norma comunitaria direttamente applicabile),
ma non ne modifica la natura
e l’efficacia, che dipende dalla
sua fonte di produzione o provenienza
(la norma può essere posta dal
[33] Così G. Amendola, in Foro it. 2004, IV, col. 151, Rifiuti, prodotti, e sottoprodotti: il coke di Gela.
[34] In queste evenienze non si può parlare, ovviamente, di contraddizione in cui sarebbe incorso l’organo giudicante ma, più
correttamente, di un suo mutamento di “orientamento”, del tutto previsto, nell’esercizio del potere giurisdizionale (quello che la
letteratura francese definisce, con una metafora, revirement giurisprudenziale cioè “mutamento di rotta” o “virata”).
[35] Altrettanto si può dire per la Corte di Cassazione che, pur investita dello stesso compito nomofilattico, ex art. 65 dell’ordinamento
giudiziario, ha fatto spesso registrare, nei più disparati settori ordinamentali, profondi rivolgimenti di precedenti assetti; basti pensare,
di recente, alla sentenza delle Sezioni Unite n. 500/1999 la quale ha affermato la risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi
(anziché dei soli diritti soggettivi), azzerando, con un colpo di penna, mezzo secolo di propria giurisprudenza contraria.
9 agosto 2005 ­ N. 16

Trattato o dal regolamento ovvero da
una direttiva) [36] .
Tanto il Tribunale di Terni che la
Sezione distrettuale del riesame del
Tribunale di Venezia, nel sollevare
questione di legittimità costituzionale
- con riferimento all’art. 1 cit. e alla
legge n. 308/2004 - invocano a sostegno
dell’efficacia vincolante delle
sentenze della Corte di giustizia (e/o
del conseguente dovere di disapplicazione
della legge iniziale), ben note
sentenze della Corte Costituzionale
(nn. 170/1964; 113/1985; 389/ 1989;
n. 111/1990).
Peraltro, quei giudici di merito
non si avvedono che questa citazione,
nel caso sottoposto al loro giudizio,
non è pertinente. Tutte le decisioni
da essi invocate, infatti, si riferiscono
a fonti comunitarie con effetti
diretti nell’ordinamento interno e,
pertanto, anche solo per tale ragione
giuridica (a parte i profili di rispetto
del principio di legalità della pena in
caso di disapplicazione), non possono
essere richiamate per sostenere
l’effetto diretto e vincolante delle
sentenze del giudice comunitario che
ha interpretato l’art. 1, comma 1, lettera
a), direttiva 75/442, come modificata
dalla direttiva 91/156/CEE -
cioè di due direttive “classiche” -
prive di effetto immediato negli ordinamenti
nazionali.
In proposito bastava rileggere il
seguente passo della sentenza n. 389/
1989 del giudice costituzionale (pur
richiamata nelle due ordinanze), cui
si sono conformate le successive pronunce
evocate, per ricostruire correttamente
questo meccanismo (effetti
della sentenza interpretativa correlati
alla natura/efficacia della norma interpretata):
- «Poiché ai sensi dell’art. 164
9 agosto 2005 ­ N. 16
AMBIENTE
(oggi art. 234) del trattato, spetta alla
Corte di Giustizia assicurare il rispetto
del diritto nell’interpretazione
e nella applicazione del medesimo
trattato, se ne deve dedurre che qualsiasi
sentenza che applica e/o interpreta
una norma comunitaria ha indubbiamente
carattere di sentenza
dichiarativa del diritto comunitario,
nel senso che la
Corte di Giustizia,
come interprete
qualificato
di questo diritto,
ne precisa autoritariamente
il significato
con le
proprie sentenze
e, per tal via, ne
determina, in definitiva,l’ampiezza
e il contenuto
delle possibilità
applicative.
- Quando questo
principio viene
riferito a una
norma comunitaria avente “effetti
diretti” - vale a dire una norma dalla
quale i soggetti operanti all’interno
degli ordinamenti degli Stati
membri possono trarre situazioni
giuridiche direttamente tutelabili in
giudizio - non vi è dubbio che la
precisazione o l’integrazione del significato
normativo compiute attraverso
una sentenza dichiarativa della
Corte di Giustizia abbiano la
stessa immediata efficacia delle disposizioni
interpretate».
Conclusioni
Il giudice nazionale si limita ad
applicare - ed è vincolato - dalla norma
comunitaria (con la portata precettiva
identificata dalla Corte di
Giudici e amministrazioni
non possono applicare
l’art. 1 della direttiva ­
secondo l’interpretazione
datane l’11 novembre
2004, ovvero la sentenza
stessa ­ disapplicando
l’art. 14, in quanto la
norma comunitaria non
ha effetto diretto
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
RIFIUTI
Articolo
Giustizia) non dalla sentenza interpretativa
della Corte, come chiarito
dalla dottrina [37] . Più specificamente,
se la Corte interpreta una «norma comunitaria
avente effetti diretti negli
ordinamenti interni (…) le precisazioni
e le integrazioni della Corte (...)
hanno la stessa immediata efficacia
delle disposizioni interpretate» [38] .
Come dire che
«al giudice si impone
la non applicazione
della norma
interna confliggente
e l’applicazione
della norma
comunitaria
(se) provvista di
effetto diretto» [39] ,
con l’ulteriore
specificazione che
il giudice (e la PA)
applicano sempre
e, comunque , la
norma comunitaria
e non la sentenza
del giudice
comunitario (che si limita a fissane la
portata precettiva, estendendone o restringendone
il contenuto, ma non
mutandone la natura, con riferimento
alla sua efficacia diretta o indiretta
negli ordinamenti interni).
Peraltro, su questa messa a punto
sistematica, conviene, da ultimo, anche
il Tribunale di Terni, il quale -
dopo aver richiamato, nella parte
motiva della sua ordinanza, l’art. 11 e
117, Costituzione (che non sarebbero
stati rispettati dal Legislatore nazionale,
in quanto l’Italia avrebbe «violato
i vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario, ... vincoli che derivano
anche dalle statuizioni risultanti
dalle sentenze interpretative
della Corte europea di giustizia, cfr.,
36] Si veda G. Tesauro, Diritto comunitario, 2003, pag. 285. Nello stesso senso, fra i tanti, si veda G. Greco, Rapporti tra ordinamento
comunitario e nazionale, in Trattato di diritto amministrativo europeo, a cura di M.P. Chiti e G. Greco, 1997, pag. 399. L’effetto
diretto all’interno degli ordinamenti interni è prodotto dalla fonte giuridica comunitaria e non dalla sentenza del giudice
lussemburghese.
37] Si veda G. Tesauro, op. cit., pag. 323: «I giudici e amministrazioni nazionali saranno tenuti a fare applicazione delle norme così
come interpretate dalla Corte».
38] Così Corte Costituzionale 11 luglio 1989, n. 389, cit.
39] Si veda G. Tesauro, op. cit. pag. 285.
95

96
RIFIUTI
Articolo
per tutte, le sentenze n. 170/1984 e
n. 113/1985 della Corte Cost.» -
qualche riga dopo aggiunge, in senso
opposto: «Ma tale soluzione giuridica
non appare convincente per lo
scrivente giudicante, che ritiene
dunque di non adottarla, per diversi
motivi, in punto di diritto. In primo
luogo vi è un indirizzo, proprio a
proposito dei rottami metallici, della
terza Sezione della Cassazione, che,
in sostanza, nega radicalmente qualsiasi
influenza alla giurisprudenza
comunitaria se porta ad una limitazione
della nozione di rifiuto, così
come interpretata dall’art. 14 (…),
soprattutto in base alla duplice argomentazione
che tale definizione è
contenuta non in un regolamento ma
in una direttiva; e che la interpretazione
pregiudiziale che compete alla
Corte di Giustizia riguarda il Trattato
e gli atti delle istituzioni della Comunità
(...) non già atti del legislatore
nazionale» (Cass. pen., sez. III,
c.c. 13 novembre 2002, n. 1421).
EMAS
SISTEMA COMUNITARIO
DI ECOGESTIONE E AUDIT
Paola Ficco e Marco Casini
Per ulteriori informazioni: tel. 02.4587010
AMBIENTE
Analogamente la sezione distrettuale
del riesame di Venezia tradisce,
sul punto, qualche incoerenza sistematica
quando, per un verso, censura
il nostro «Paese (che si è sottratto
agli obblighi derivanti dall’appartenenza
sua all’Unione Europea (…)
spettando agli Stati membri di adottare
ogni misura necessaria per conformarsi
alle direttive vincolanti» e, per
altro verso, afferma, nella stessa pagina
(la 13 a dell’originale della sentenza):
«È ribadita la necessità di applicazione
immediata, diretta e prevalente,
nell’ordinamento interno, dei
principi fissati meno che da direttive
non autoapplicative, quale quella oggetto
di interpretazione da parte della
nominata sentenza della Corte di giustizia
comunitaria».
Sul punto è doveroso, dunque, ribadire
che:
l l’art. 1 della direttiva (75/42 e
91/156), non ha efficacia diretta
nell’ordinamento italiano (come
ripetutamente affermato dallo stes-
I LIBRI DI AMBIENTE & SICUREZZA
Il volume affronta, dapprima, il tema della certificazione ambientale, illustrandone
le origini, l’evoluzione, gli strumenti, le norme di riferimento e i
soggetti coinvolti. Successivamente l’opera si sofferma sul sistema EMAS:
dalle attività di verifica del sistema e di convalida della dichiarazione
ambientale alla domanda di registrazione all’organismo competente,
all’uso del logo, agli indicatori ambientali e alle tipologie di organizzazioni.
Da ultimo, il testo prende in esame l’efficacia del sistema EMAS,
soffermandosi sui costi e sui tempi necessari per conseguire la registrazione
e sui possibili vantaggi per le imprese e per la collettività.
Il CD-Rom contiene, oltre al Regolamento (CE) del Parlamento
europeo e del Consiglio del 19 marzo 2001, i testi integrali dei
documenti orientativi e le più recenti procedure per la registrazione
delle organizzazioni e per l’accreditamento, la sorveglianza e il
controllo dei verificatori ambientali.
Pagg. 344 – € 45,00
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
so giudice comunitario) e, pertanto,
la nozione di rifiuto che la Corte di
Giustizia individua, in base a questo
disposto, non è immediatamente
efficace e vincolante, in forza
della direttiva, né per i giudici nazionali
né per la pubblica amministrazione;
l lo stesso vale, di conseguenza, per
la sentenza della Corte di Giustizia
11 novembre 2004, che non deve
essere applicata dalla PA e dal giudice
nazionale, che, infatti, si limita
a definire, in modo vincolante, una
norma che non è idonea a produrre
effetti diretti negli ordinamenti degli
Stati membri.
Giudici e amministrazione non
possono applicare l’art. 1 della direttiva
- secondo l’interpretazione
datane l’11 novembre 2004 ovvero
direttamente la sentenza - disapplicando
l’art. 14, in quanto, si ribadisce,
la norma comunitaria (nella portata
individuata dalla sentenza) non è
provvista di effetto diretto. l
Disponibile anche nelle migliori librerie
Disponibile anche sul sito www.shopping24.it
9 agosto 2005 ­ N. 16

AMBIENTE
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE
a cura di Marco Fabrizio, avvocato in Roma
ITALIA
BONIFICA DEI SITI DI INTERESSE NAZIONALE
Decreto del Ministero dell’Ambiente
e della Tutela del territorio
2 maggio 2005, n. 127
«Regolamento recante modifica dell’articolo 15 del
decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del territorio, di concerto con i Ministri delle Attività
produttive e della Salute, 25 ottobre 1999, n. 471, in
materia di realizzazione di interventi di bonifica di siti
inquinati» (G.U. del 11 luglio 2005, n. 159)
Il decreto inserisce un’opportuna modifica all’art. 15,
comma 4, D.M. n. 471/1999, sostanzialmente in materia
di avvio provvisorio delle procedure di bonifica
di un sito contaminato di interesse nazionale. In forza
del nuovo comma 4­bis del citato art. 15, è prevista,
a favore del Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del territorio, la facoltà di autorizzare “in via
provvisoria” (e su richiesta dell’interessato) l’avvio
dei lavori per la realizzazione degli interventi di bonifica,
nelle more del perfezionamento del provvedimento
di autorizzazione del progetto definitivo di
bonifica (com’è noto da autorizzare a cura del medesimo
dicastero, previo concerto con i Ministeri delle
Attività produttive e della Salute, d’intesa con la
regione territorialmente competente ­ art. 15, comma
4, D.M. n. 471/1999). L’autorizzazione provvisoria
potrà essere rilasciata solo al ricorrere di particolari
motivi d’urgenza e fatta salva l’acquisizione della
pronuncia positiva del giudizio di compatibilità ambientale
e, inoltre, sulla base della precedente Deliberazione
della Conferenza di servizi, conclusasi positivamente
circa il medesimo progetto di bonifica.
Ulteriori approfondimenti sui prossimi numeri di
Ambiente&Sicurezza.
PROMOZIONE DEI BIOCARBURANTI
Decreto legislativo
30 maggio 2005, n. 128
«Attuazione della direttiva 2003/30/CE relativa
alla promozione dell’uso dei biocarburanti o di altri
carburanti rinnovabili» (G.U. del 12 luglio 2005, n. 160)
9 agosto 2005 ­ N. 16
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
LEGISLAZIONE
In breve
Si tratta di un decreto finalizzato a promuovere l’utilizzazione
di biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili,
in sostituzione del carburante diesel o della benzina nei
trasporti, sì come meglio specificati nell’Allegato I, inserendosi,
tra l’altro, nella lotta all’inquinamento da gas
serra di più ampia portata. Risulta rilevante la definizione
di «biocarburante» inserita nel decreto, da intendersi
«un carburante liquido o gassoso per i trasporti ricavato
dalla biomassa» (quest’ultima quale parte biodegradabile
dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura,
comprendente sostanze animali e vegetali, dalla silvicoltura
e industrie connesse, nonché quale parte biodegradabile
dei rifiuti urbani e industriali) dal biotenalo al
biodiesel, dal biogas carburante al bio ETBE ecc. (art. 2 e
Allegato I). Il decreto fissa alcuni obiettivi nazionali (indicativi)
di biocarburanti immessi al consumo rispetto al
totale dei combustibili per autotrazione tradizionali (diesel
e benzina), da raggiungere entro il 31 dicembre 2005
(1,0%) e entro il 31 dicembre 2010 (2,5%), estendo a
questi combustibili (e relativi sistemi di produzione) gli
strumenti di ricerca e finanziari già in essere per altri
fonti energetiche rinnovabili ex D.Lgs. n. 387/2003.
FONDO INTERNAZIONALE DI RISARCIMENTO
Legge 12 luglio 2005, n. 130
«Adesione della Repubblica italiana al Protocollo
del 2003 alla Convenzione internazionale del 1992
sull’istituzione di un Fondo complementare internazionale
per il risarcimento dei danni causati dall’inquinamento
da idrocarburi, fatto a Londra il 16 maggio 2003,
e norme di adeguamento dell’ordinamento interno»
(G.U. del 13 luglio 2005, n. 161)
Si tratta della legge di adesione dello Stato Italiano al
Protocollo del 2003 alla Convenzione internazionale
del 1992 sull’istituzione di un Fondo complementare
internazionale per il risarcimento dei danni causati
dall’inquinamento da idrocarburi, fatto a Londra il 16
maggio 2003 e volto a risarcire i danni da inquinamento
causati nel territorio di uno Stato contraente (incluse
le acque territoriali) e nella zona economica esclusiva
di uno Stato contraente (fino a 200 miglia nautiche
dalla linea di base a partire dalla quale è misurata la
larghezza delle acque territoriali), nonché concernente
misure di prevenzione in questo senso (artt. 1 e 2,
Protocollo). Ulteriori approfondimenti sui prossimi numeri
di Ambiente&Sicurezza. l
97

98
LEGISLAZIONE
In breve
AMBIENTE
La norma in primo piano
Incenerimento dei rifiuti
Decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133
«Attuazione della direttiva 2000/76/CE, in materia di incenerimento dei rifiuti» (S.O. n. 122 alla G.U. del
15 luglio 2005, n. 163)
Sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale del 15 luglio 2005, n. 163, è stato pubblicato l’atteso decreto sull’incenerimento
dei rifiuti. Il decreto si va a innestare sul precedente quadro normativo definito, tra l’altro, dal D.M. n.
503/1997 e dal D.M. n. 124/2000, rispettivamente attuativi di alcune direttive comunitarie in materia di prevenzione
dell’inquinamento atmosferico provocato da impianti di incenerimento di rifiuti urbani e di rifiuti speciali non pericolosi,
il primo, e di prevenzione dell’inquinamento atmosferico provocato da impianti di incenerimento e di coincenerimento
di rifiuti pericolosi, il secondo. La preesistente normativa, per quanto oggetto di parziale sovrapposizione da parte
dell’odierno decreto, anch’esso attuativo della paritetica disciplina comunitaria, non risulta in realtà oggetto di abrogazione,
almeno a livello esplicito. La nuova normativa appare il frutto di un approccio generale alla problematica
dell’incenerimento e del coincenerimento di rifiuti, stabilendo le misure e le procedure finalizzate a prevenirne e ridurne
gli effetti negativi per l’ambiente, «in particolare l’inquinamento atmosferico, del suolo, delle acque superficiali e
sotterranee, nonché i rischi per la salute umana che ne derivino» (art. 1, comma 1), perfettamente in linea con
l’approccio integrato di cui al D.Lgs. n. 59/2005, talvolta richiamato dal decreto medesimo. Si intende con il termine
«impianto di incenerimento, qualsiasi unità e attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al trattamento termico di
rifiuti ai fini dello smaltimento, con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione» comprendendo, altresì
«l’incenerimento mediante ossidazione dei rifiuti, nonché altri processi di trattamento termico, quali ad esempio la
pirolisi, la gassificazione ed il processo al plasma, a condizione che le sostanze risultanti dal trattamento siano successivamente
incenerite» in riferimento al «sito e l’intero impianto di incenerimento, compresi le linee di incenerimento, la
ricezione dei rifiuti in ingresso allo stabilimento e lo stoccaggio, le installazioni di pretrattamento in loco, i sistemi di
alimentazione dei rifiuti, del combustibile ausiliario e dell’aria di combustione, i generatori di calore, le apparecchiature
di trattamento, movimentazione e stoccaggio in loco delle acque reflue e dei rifiuti risultanti dal processo di incenerimento,
le apparecchiature di trattamento degli effluenti gassosi, i camini, i dispositivi ed i sistemi di controllo delle varie
operazioni e di registrazione e monitoraggio delle condizioni di incenerimento» (art. 2, comma 1, lettera d), D.Lgs. n.
133/2005); mentre per «impianto di coincenerimento» deve intendersi «qualsiasi impianto, fisso o mobile, la cui funzione
principale consiste nella produzione di energia o di materiali e che utilizza rifiuti come combustibile normale o
accessorio o in cui i rifiuti sono sottoposti a trattamento termico ai fini dello smaltimento», anche in questo caso,
includendo nella definizione il sito e l’intero impianto, compresi le linee di coincenerimento, la ricezione dei rifiuti in
ingresso allo stabilimento e lo stoccaggio, le installazioni di pretrattamento in loco, i sistemi di alimentazione dei rifiuti,
del combustibile ausiliario e dell’aria di combustione, i generatori di calore, le apparecchiature di trattamento, movimentazione
e stoccaggio in loco delle acque reflue e dei rifiuti risultanti dal processo di coincenerimento, le apparecchiature
di trattamento degli effluenti gassosi, i camini, i dispositivi e i sistemi di controllo delle varie operazioni e di
registrazione e monitoraggio delle condizioni di coincenerimento. Rileva, in tal senso, una distinzione fondata soprattutto
sulla produzione di energia o di materiali nel trattamento termico ai fini dello smaltimento dei rifiuti, tale che, se il
coincenerimento non avviene secondo questi principi, l’impianto sarà considerato un impianto di incenerimento.
L’art. 3 elenca le esclusioni del caso, in particolare sottraendo alla nuova disciplina, gli impianti che trattano esclusivamente
una o più categorie di rifiuti particolari, quali i rifiuti vegetali derivanti da attività agricole e forestali o derivanti
dalle industrie alimentari di trasformazione (qualora l’energia termica generata sia recuperata), i rifiuti vegetali fibrosi
derivanti dalla produzione della pasta di carta grezza e dalla relativa produzione di carta (qualora il processo di
coincenerimento venga effettuato sul luogo di produzione e l’energia termica generata venga recuperata), i rifiuti di
legno ad eccezione di quelli che possono contenere composti organici alogenati o metalli pesanti ovvero i rifiuti
pericolosi ex art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 22/1997, a seguito di un trattamento protettivo o di rivestimento (per esempio,
rifiuti di legno di questo genere derivanti dai rifiuti edilizi e di demolizione). La nuova disciplina non sarà, inoltre,
applicabile ai rifiuti di sughero, ai rifiuti radioattivi, ai corpi interi o parti di animali, non destinati al consumo umano
(compresi gli ovuli, gli embrioni e lo sperma, ex art. 2, comma 1, lettera a), regolamento (CE) n. 1774/2002; mentre sono
assoggettati al nuovo decreto gli impianti che trattano prodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati, di
cui al regolamento (CE) n. 1774/2002), e ai rifiuti derivanti dalla prospezione e dallo sfruttamento delle risorse petrolifere
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
9 agosto 2005 ­ N. 16

AMBIENTE
LEGISLAZIONE
In breve
e di gas negli impianti offshore e inceneriti a bordo di questi ultimi. Parimenti, sono esclusi dal campo applicativo del
decreto gli impianti sperimentali utilizzati a fini di ricerca, sviluppo e sperimentazione per migliorare il processo di
incenerimento con un volume di rifiuti trattati inferiore alle 50 tonn/anno. La nuova disciplina si basa su un complesso
iter autorizzatorio, differente a seconda che si tratti di realizzazione ed esercizio di impianti di incenerimento di rifiuti
ovvero di impianti di coincenerimento (artt. 3 e 4), in entrambi i casi specificando come le due normative generali di
riferimento restino il D.Lgs. n. 59/2005 sulla prevenzione e sul controllo integrato dell’inquinamento ovvero il “decreto
Ronchi” (artt. 27 e 28), in altre parole restando applicabile la disciplina di cui al D.Lgs. n. 59/2005 qualora si tratti di
impianti di incenerimento appartenenti alla categoria 5 dell’Allegato I al D.Lgs. medesimo, nonchè il D.Lgs. n. 22/1997
per tutti gli altri tipi di impianti di incenerimento o di coincenerimento. Il provvedimento autorizzatorio passa per una
dettagliata domanda per la realizzazione e l’esercizio degli impianti in questione, tale da rassicurare sul rispetto della
nuova disciplina a partire dalla conformità ai nuovi valori limite di emissione, alle tipologie di rifiuti da avviare in
impianto, alle modalità di recupero del calore generato (nel caso di coincenerimento), nonché dal rispetto delle
procedure di campionamento e misurazione (in alcuni casi richieste “in continuo” dal decreto), con correlati vincoli a
carico delle amministrazioni autorizzanti circa il contenuto delle autorizzazioni medesime. In entrambi i casi, inoltre,
eventuali modifiche all’attività comportante incenerimento o coincenerimento di rifiuti pericolosi saranno considerate
“sostanziali” ai sensi del D.Lgs. n. 59/2005 e dell’art. 27, comma 8, D.Lgs. n. 22/1997, il che significa partire con un nuovo
iter autorizzatorio. Per entrambi i tipi di attività, inoltre, l’avvio delle operazioni potrà avvenire solo dopo una verifica
svolta dall’autorità competente e finalizzata al riscontro delle condizioni e delle prescrizioni alle quali è stato subordinato
il rilascio delle autorizzazioni (art. 4, commi 8 e 9, e art. 5, commi 12 e 13). Opportunamente è, peraltro, prevista
una procedura sostitutiva attivabile in ipotesi di inerzia della pubblica amministrazione (con verifica da parte di tecnico
abilitato al decorso di 30 giorni dall’apposita richiesta di sopralluogo all’autorità, e successivo invio del risultato
all’autorità medesima).
L’art. 7 reca, in dettaglio, le procedure di ricezione dei rifiuti, così come dovranno essere attuate dal gestore dell’impianto
di incenerimento o di coincenerimento per evitare o limitare, «per quanto praticabile», gli effetti negativi sull’ambiente,
in particolare per quanto riguarda l’inquinamento dell’aria, del suolo, delle acque superficiali e sotterranee, nonché
odori, rumore e i rischi diretti per la salute umana (art. 7, comma 1). Queste misure vanno dalla previa determinazione
della massa di ciascuna categoria di rifiuti, prima dell’accettazione dei rifiuti in impianto, alla acquisizione di informazioni
sui rifiuti ­ sempre prima del loro ingresso ­ al fine di verificare, fra l’altro, l’osservanza dei requisiti autorizzatori, nonché
gli aspetti operativi quali il riscontro dello stato fisico e, ove possibile, della composizione chimica dei rifiuti, la verifica del
relativo codice dell’Elenco europeo dei rifiuti e di tutte le informazioni necessarie per valutare l’idoneità del previsto
processo di incenerimento o di coincenerimento dei rifiuti, fino al controllo su tutte le caratteristiche di pericolosità dei
rifiuti, le sostanze con le quali non possono essere mescolati e le precauzioni da adottare nella manipolazione degli stessi.
Parimenti, risultano normate alcune procedure di ricezione che il gestore dovrà applicare prima dell’accettazione dei
rifiuti nell’impianto di incenerimento o di coincenerimento, dalla verifica del formulario di trasporto ex art. 15, D.Lgs. n.
22/1997, o art. 7, regolamento (CE) n. 1774/2002 e dal regolamento (CEE) n. 259/93 (movimenti trasfrontalieri di rifiuti
all’interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio), al prelievo di campioni rappresentativi
(eccezion fatta dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e di eventuali altri rifiuti individuati dall’autorità
competente, per i quali il campionamento risulti inopportuno). L’art. 8 prescrive le condizioni di esercizio degli impianti
(tra l’altro prevedendo la presenza di bruciatori ausiliari, di sistemi automatici di impedimento dell’alimentazione dei
rifiuti in caso di temperature di combustione insufficienti o per superamento di valori limite), mentre l’art. 9 rinvia agli
Allegati I e II del decreto, rispettivamente sui valori limite delle emissioni in atmosfera, nonché negli scarichi di acque
reflue, per gli impianti di incenerimento e di coincenerimento. Rileva, sotto l’ultimo profilo accennato, il limite di non
poter conseguire il rispetto di un valore soglia valido per le acque di scarico a mezzo di diluizione delle acque reflue
medesime (divieto assoluto) e l’obbligo di un precedente trattamento anche per tutte le acque meteoriche, di dilavamento,
di prima pioggia e di lavaggio nonché provenienti da eventuali operazioni di estinzione incendi (art. 10, commi 8 e 9).
La nuova normativa si basa su un sistema di ampia divulgazione delle informazioni a essa correlate, tale che le domande
di autorizzazione o rinnovo degli impianti in questione dovranno essere rese accessibili presso uno o più luoghi aperti al
pubblico e, comunque, presso la sede del comune territorialmente competente, con giacenza non inferiore a 30 giorni in
modo da permettere agli interessati di manifestare le proprie osservazioni (non è, peraltro, prevista una proceduta di
avviso pubblico analogamente a quanto previsto in materia di VIA o di IPPC, a meno che gli impianti non ricadano
nell’alveo applicativo di questi ulteriori settori). Il gestore degli impianti con potenzialità superiore alle due tonnellate/ora
dovrà, inoltre, inviare all’autorità competente una relazione annuale (entro il 30 giugno di ogni anno), circa il funzionamento
e la sorveglianza dell’impianto, con pedissequa messa a disposizione del pubblico (art. 15).
L’art. 19 reca le sanzioni, prevalentemente penali, del caso, da integrare con una nuova fattispecie di danno ambientale
correlato alla violazione della disciplina di settore in questione (art. 20), mentre l’art. 21 concerne le disposizioni
transitorie, con un obbligo generale a carico dei gestori degli “impianti esistenti”, per renderli conformi alla nuova
normativa entro il 28 dicembre 2005 e, con una particolare normativa di favore per gli impianti di coincenerimento di
rifiuti non pericolosi e non sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale, facilitare l’accesso alla disciplina semplificata
(sotto il profilo autorizzatorio e non solo) di cui agli articoli 31 e 33, D.Lgs. n. 22/1997. Rileva, in tal senso, a carico dei
gestori degli impianti di incenerimento ex art. 2, comma 1, lettera d), D.Lgs. cit., esistenti all’entrata in vigore del D.Lgs. n.
133/2005 e già operanti sulla base degli artt. 31 e 33, D.Lgs. n. 22/1997, l’obbligo di inviare, entro 60 giorni dalla data di
entrata in vigore del decreto in questione (dunque entro il 28 settembre), all’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione
uno Studio di impatto ambientale descrittivo dell’impianto e relativi effetti sull’ambiente, nonché delle correlate
misure attenuative, e da ritenersi quale documento propedeutico al rilascio dell’autorizzazione medesima. Ulteriori
approfondimenti sui prossimi numeri di Ambiente&Sicurezza.
9 agosto 2005 ­ N. 16
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
99

LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
AMBIENTE
IL CASO
di Cesare Parodi Procura della Repubblica di Torino, Docente a contratto Diritto dell’Ambiente,
Università di Torino, Facoltà Scienze MFN
100
LE RESPONSABILITÀ
NELLA GESTIONE DEGLI IMBALLAGGI
In che termini gli imballaggi sono presi in
considerazione dalla disciplina generale sui
rifiuti? Quali sanzioni sono previste dal decreto
Ronchi con riguardo alla gestione e smaltimento
degli imballaggi? Quali sono i soggetti tenuti all’osservanza
di tali disposizioni? Sono ipotizzabili
anche responsabilità di natura penale?
In base alla direttiva n. 94/62/CE, art. 3, comma
1, recepita in Italia con il D.Lgs n. 22/
1997, Titolo II, art. 34 e seguenti, e successive
modifiche e integrazioni, viene considerato imballaggio
il prodotto, composto di materiali di
qualsiasi natura, adibito a contenere e a proteggere
determinate merci, dalle materie prime ai
prodotti finiti, a consentire la loro manipolazione
e la loro consegna dal produttore al consumatore
o all’utilizzatore e ad assicurare la loro presentazione,
nonché gli articoli a perdere usati allo stesso
scopo.
Gli imballaggi rappresentano una della categorie
di maggior impatto in relazione alla generale
problematica dello smaltimento dei rifiuti. L’imballaggio
è, per forza di cose, un potenziale rifiuto,
sino dalla sua immissione sul mercato; solo
particolari circuiti di “riutilizzo” e di “recupero”
possono diminuirne la rilevanza quali­quantitativa,
così come solo un differente approccio da
parte non solo dei produttori e degli utilizzatori,
quanto anche dei consumatori, può rendere meno
arduo il problema della “eliminazione“ dei
medesimi. In termini generali, come precisato
dall’art. 34 del citato decreto, scopo della disciplina
con riguardo alla gestione degli imballaggi e
dei rifiuti di imballaggio è quello sia di «prevenirne
e ridurne l’impatto sull’ambiente ed assicurare
un elevato livello di tutela dell’ambiente» sia di
«garantire il funzionamento del mercato e preve­
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
nire l’insorgere di ostacoli agli scambi, nonché
distorsioni e restrizioni alla concorrenza ai sensi
della direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio del 20 dicembre 1994». In questo
senso, è evidente che disposizioni differenti in
relazione ai “costi” di gestione degli imballaggi
rispetto ai vari Paesi dell’Unione europea non
possono che costituire elementi di potenziale turbamento
del principio della libera concorrenza.
In effetti, l’art. 36, D.Lgs. n. 22/1997, nell’enucleare
le finalità della disciplina organica degli imballaggi
contemplata dagli articoli successivi, precisa
che, al fine di assicurare la responsabilizzazione
degli operatori economici conformemente al
principio “chi inquina paga” nonché la cooperazione
degli stessi secondo il principio della “responsabilità
condivisa”, l’attività di gestione dei
rifiuti di imballaggio si ispira a specifici principi:
l incentivazione e promozione della prevenzione
alla fonte della quantità e della pericolosità
degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, soprattutto
attraverso iniziative, anche di natura
economica in conformità ai principi del diritto
comunitario, volte a promuovere lo sviluppo di
tecnologie pulite e a ridurre a monte la produzione
e l’utilizzazione degli imballaggi, nonché a
favorire la produzione di imballaggi riutilizzabili
e il riutilizzo degli imballaggi stessi;
l incentivazione del riciclaggio e del recupero di
materia prima, sviluppo della raccolta differenziata
di rifiuti di imballaggio e promozione di
opportunità di mercato per incoraggiare l’utilizzazione
dei materiali ottenuti da imballaggi riciclati
o recuperati;
l riduzione del flusso dei rifiuti di imballaggi
destinati allo smaltimento finale attraverso le altre
forme di recupero dgli stessi;
l applicazione di misure di prevenzione consistenti
in programmi nazionali o azioni analoghe
da adottarsi previa consultazione degli operatori
economici interessati [1] .
[1] Altri principi generali individuati dal legislatore nell’ambito del citato art. 36 sono poi costituiti dalla individuazione degli
obblighi di ciascun operatore economico, garantendo che il costo della raccolta, della valorizzazione e dell’eliminazione dei
rifiuti di imballaggio sia sostenuto dai produttori e dagli utilizzatori in proporzione delle quantità di imballaggi immessi sul
mercato nazionale e che la pubblica amministrazione organizzi la raccolta differenziata; dalla promozione di forme di
(segue)
9 agosto 2005 ­ N. 16

A sua volta l’art. 35, D.Lgs. n. 22/1997 contiene,
tra le molte altre definizioni, la distinzione tra
imballaggio primario, secondario e terziario; nel
primo caso si tratta dell’imballaggio concepito in
modo da costituire, nel punto vendita, un’unità
di vendita per l’utente finale o il consumatore;
nel secondo, di quello concepito in modo da costituire,
nel punto vendita, il raggruppamento di
un certo numero di unità di vendita, indipendentemente
dal fatto che sia venduto come tale all’utente
finale o al consumatore, o che serva soltanto
a facilitare il rifornimento degli scaffali nel
punto vendita. Esso può essere rimosso dal prodotto
senza alterarne le caratteristiche; l’imballaggio
terziario, invece, è quello concepito in modo
da facilitare la manipolazione e il trasporto di
un certo numero di unità di vendita oppure di
imballaggi multipli per evitare la loro manipolazione
e i danni connessi al trasporto, esclusi i container
per i trasporti stradali, ferroviari, marittimi
e aerei.
La direttiva n. 94/62/CE, come modificata dalla
direttiva 11 febbraio 2004, n. 2004/12/CE [2] , specifica
ulteriormente la definizione di “imballaggio”,
sono così considerati imballaggi gli articoli
che rientrano nella definizione di cui sopra, fatte
salve altre possibili funzioni dell’imballaggio, a
meno che questi articoli non siano parti integranti
di un prodotto e siano necessari per contenere,
sostenere o preservare il prodotto stesso per tutto
il ciclo di vita e tutti gli elementi siano destinati
a essere utilizzati, consumati o eliminati insieme.
Sono, inoltre, considerati imballaggi gli articoli
progettati e destinati a essere riempiti nel punto
vendita e gli elementi usa e getta venduti, riempiti
o progettati e destinati a essere riempiti nel
punto vendita, a condizione che svolgano una
funzione di imballaggio, nonché i componenti
dell’imballaggio e gli elementi accessori integrati
nell’imballaggio sono considerati parti integranti
dello stesso. Gli elementi accessori direttamente
fissati o attaccati al prodotto e che svolgono funzioni
di imballaggio sono considerati imballaggio
a meno che non siano parte integrante del prodotto
e tutti gli elementi siano destinati a essere
consumati o eliminati insieme.
Sul piano operativo, una risposta efficace al pro­
9 agosto 2005 ­ N. 16
AMBIENTE
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
blema degli imballaggi non poteva che essere
strutturata coinvolgendo e, anzi, rendendo corresponsabili,
tutti i soggetti che entrano in contatto
con gli imballaggi stessi; ciò a partire dalla pubblica
amministrazione che ­ art. 39, D.Lgs. n. 22/1997
­ deve organizzare sistemi adeguati di raccolta
differenziata in modo da permettere al consumatore
di conferire al servizio pubblico rifiuti di imballaggio
selezionati da rifiuti domestici e da altri
tipi di rifiuti di imballaggi, sia garantendo «la
copertura omogenea del territorio in ciascun ambito
ottimale, tenuto conto del contesto geografico»
sia «la gestione della raccolta differenziata
deve essere effettuata secondo criteri che privilegiano
l’efficacia, l’efficienza e l’economicità del
servizio, nonché il coordinamento con la gestione
di altri rifiuti». Inoltre, la PA deve incoraggiare
«ove opportuno, l’utilizzazione di materiali provenienti
da rifiuti di imballaggio riciclati per la
fabbricazione di imballaggi ed altri prodotti».
Il momento centrale del sistema disciplinato dal
D.Lgs. n. 22/1997 è, tuttavia, rappresentato dal
Consorzio Nazionale Imballaggi, ossia dal consorzio
privato senza fini di lucro costituito dai produttori
e utilizzatori di imballaggi con la finalità
di perseguire gli obiettivi di recupero e riciclo dei
materiali di imballaggio previsti dalla legislazione
europea e recepiti in Italia attraverso il menzionato
decreto. Ai sensi dell’art. 38 del decreto Ronchi
in effetti «i produttori e gli utilizzatori sono
responsabili della corretta gestione ambientale
degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati
dal consumo dei propri prodotti».
Il CONAI è l’organismo che il decreto ha delegato
per garantire il passaggio da un sistema di gestione
basato sulla discarica a un sistema integrato di
gestione basato sul recupero e sul riciclo dei rifiuti
di imballaggio. È stato costituito, ai sensi dell’art.
41 del decreto, per il raggiungimento degli obiettivi
globali di recupero e riciclaggio e per garantire
il necessario raccordo con l’attività di raccolta
differenziata effettuata dalle pubbliche amministrazioni,
i produttori e gli utilizzatori. In particolare
l’adesione al CONAI è obbligatoria per le
imprese che producono, vendono o utilizzano imballaggi.
Le due categorie fondamentali sono
rappresentate dai produttori ­ coloro che fabbri­
cooperazione tra i soggetti istituzionali ed economici; dalla informazione degli utenti degli imballaggi, ed in particolare dei
consumatori e dalla incentivazione della restituzione degli imballaggi usati e del conferimento dei rifiuti di imballaggi in
raccolta differenziata da parte del consumatore.
[2] Si segnala che sulla GUUE L 70 del 16 marzo 2005, è pubblicata la direttiva 2005/20/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 9 marzo 2005, che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio.
101

LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
cano imballaggi ­ e dagli utilizzatori ­ coloro che
utilizzano gli imballaggi per confezionare le merci
prodotte ­ individuati all’art. 35, lettere q), e)
ed r), D.Lgs. n. 22/1997.
Il sistema CONAI si basa sull’attività di sei Consorzi
rappresentativi dei materiali, quali acciaio, alluminio,
carta, legno, plastica e vetro. I Consorzi, a
cui aderiscono i produttori e gli importatori, associano
tutte le principali imprese che determinano
il ciclo di vita dei rispettivi materiali. CONAI indirizza
e coordina le attività dei sei Consorzi, incaricati
del recupero e del riciclo, garantendo il necessario
raccordo tra questi e la PA.
Compito di ciascun Consorzio è quello di coordinare,
organizzare e incrementare il ritiro dei rifiuti
di imballaggi conferiti al servizio pubblico,
la raccolta dei rifiuti di imballaggi delle imprese
industriali e commerciali, il riciclaggio e il recupero
dei rifiuti di imballaggio nonché la promozione
della ricerca e dell’innovazione tecnologica
finalizzata al recupero e riciclaggio. A tal fine,
i Consorzi stipulano convenzioni a livello locale,
con i Comuni e le società di gestione dei servizi
di raccolta differenziata, per il ritiro e la valorizzazione
degli imballaggi usati conferiti dai cittadini
[3] .
Il sistema stabilito dal decreto Ronchi non prevede
nel settore degli imballaggi specifiche violazioni
di natura penale, quanto soltanto ipotesi
di violazioni amministrative, stabilite dall’art.
54. Ai sensi del comma 1, art. 54, è sanzionata la
condotta dei produttori e degli utilizzatori che
non adempiono all’obbligo di cui all’art. 38,
comma 2, entro il 31 dicembre 1998; in base a
questa norma «nell’ambito degli obiettivi di cui
agli articoli 24 e 37, i produttori e gli utilizzatori
adempiono all’obbligo della raccolta dei rifiuti
degli imballaggi primari e degli altri rifiuti di
imballaggi comunque conferiti al servizio pubblico
tramite il gestore del servizio medesimo. A
tal fine i produttori e gli utilizzatori sono obbligati
a partecipare al Consorzio Nazionale Imballaggi
di cui all’articolo 41» [4] . Viene così stabilita
la sanzione amministrativa pecuniaria pari a sei
volte le somme dovute per l’adesione al CONAI,
fatto comunque salvo l’obbligo di corrispondere
i contributi pregressi. Per altro, questa sanzione
è ridotta della metà nel caso di adesioni
102
AMBIENTE
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
effettuate entro il sessantesimo giorno dalla
scadenza sopra indicata. L’art. 40 del decreto
stabilisce, inoltre, che al fine di razionalizzare e
organizzare la ripresa degli imballaggi usati, la
raccolta dei rifiuti di imballaggi secondari e terziari
su superfici private e il ritiro, su indicazione
del CONAI, dei rifiuti di imballaggi conferiti al
servizio pubblico, nonché il riciclaggio e il recupero
dei rifiuti di imballaggio secondo criteri di
efficacia, efficienza ed economicità, i produttori
che non provvedono ai sensi dell’art. 38, comma
3, lettere a) e c), costituiscono un Consorzio per
ciascuna tipologia di materiale di imballaggi.
Questi Consorzi hanno personalità giuridica di
diritto privato e sono retti da uno statuto approvato
con decreto del Ministero dell’Ambiente
e del Ministero dell’Industria, del Commercio
e dell’Artigianato. È necessario, tuttavia, osservare
che, per una concreta applicabilità della
sanzione di cui all’art. 38, comma 1, è stato
necessario attendere l’approvazione predetta
degli statuti dei consorzi nazionali, avvenuta
con decreto del Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del territorio 15 luglio 1998 [5] . In effetti,
solo da questa data gli enti in oggetto sono
pienamente operativi, con conseguente possibilità
di esercitare le facoltà di cui all’art. 38, comma
2, e di osservare gli obblighi di cui all’art. 38,
comma 4.
In questo senso, l’art. 38 prevede due ulteriori
momenti di specifica tutela. Il comma 3 prevede
che, per adempiere agli obblighi di riciclaggio
e di recupero nonché agli obblighi della
ripresa degli imballaggi usati e della raccolta dei
rifiuti di imballaggio secondari e terziari su superfici
private, nonché all’obbligo del ritiro, su
indicazione del CONAI, dei rifiuti di imballaggio
conferiti dal servizio pubblico, i produttori, entro
sei mesi dalla data di entrata in vigore delle
disposizioni del titolo secondo del decreto, possono:
l organizzare autonomamente la raccolta, il riutilizzo,
il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio;
l aderire a uno dei consorzi di cui all’art. 40;
l mettere in atto un sistema cauzionale.
In particolare, i produttori di imballaggi che non
provvedono a organizzare un proprio sistema
[3] In questi termini si esprime il sito www.conai.org.
[4] Per tale norma inoltre «per gli utilizzatori che partecipano al Consorzio nazionale degli imballaggi la comunicazione di cui
all’articolo 37, comma 2, viene presentata dal soggetto che effettua la gestione dei rifiuti di imballaggio».
[5] Pubblicato in G.U. 12 agosto 1998, n. 136 suppl.
9 agosto 2005 ­ N. 16

per l’adempimento degli obblighi sopra indicati
e non aderiscono ai consorzi di cui all’art. 40, né
adottano un proprio sistema cauzionale, sono
puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria
originariamente stabilita da lire quindici milioni
a lire novanta milioni (quindi da € 7.740 a €
46.440)
La stessa pena si applica agli utilizzatori che non
adempiono all’obbligo di cui all’articolo 38, comma
4, ossia all’obbligo di ritirare «gratuitamente
gli imballaggi usati secondari e terziari ed i rifiuti
di imballaggio secondari e terziari nonché a consegnarli
in un luogo di raccolta organizzato dal
produttore e con lo stesso concordato».
Una seconda serie di profili sanzionatori sono diretti
a corroborare i divieti stabiliti dall’art. 43,
commi 1 e 4, D.Lgs. n. 22/1997. In questo senso, è
prevista la sanzione amministrativa da € 5.160 a
€ 30.960:
l per lo smaltimento in discarica degli imballaggi
e dei contenitori recuperati, a eccezione degli
scarti derivanti dalle operazioni di selezione, riciclo
e recupero dei rifiuti di imballaggio;
l per la immissione sul mercato di imballaggi o
componenti di imballaggio, a eccezione degli imballaggi
interamente costituiti di cristallo, con livelli
totali di concentrazione di piombo, mercurio,
cadmio e cromo esavalente superiore a 600
parti per milione (ppm) in peso a partire dal 30
giugno 1998, a 250 ppm in peso a partire dal 30
giugno 1999 e a 100 ppm in peso a partire dal 30
giugno 2001.
È stata poi stabilita la sanzione amministrativa
da € 2.580 a € 15.480 a tutela della previsione,
contenuta nelll’art. 43, comma 3, di commercializzazione
­ a decorrere dal 1° gennaio 1998 ­
esclusivamente di «imballaggi rispondenti agli
standard europei fissati dal Comitato Europeo
Normalizzazione in conformità ai requisiti essenziali
stabiliti dall’articolo 9 della direttiva 94/
62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 20 dicembre 1994, e dall’Allegato F al presente
decreto». Questa disposizione specifica,
inoltre, che, fino al 1° gennaio 1998, si presume
che siano soddisfatti tutti i predetti requisiti
quando gli imballaggi sono conformi alle pertinenti
norme armonizzate i cui numeri di riferimento
sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficialedelle
Comunità Europee, ovvero, in mancanza
delle pertinenti norme armonizzate, alle norme
nazionali considerate conformi ai predetti requisiti.
Sanzione identica a quella sopra indicata si appli­
9 agosto 2005 ­ N. 16
AMBIENTE
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
ca, come previsto dall’art. 54, comma 2, seconda
ipotesi, a chiunque immette nel mercato interno
imballaggi privi dei requisiti di cui all’art. 36, comma
5. In base a questa disposizione «tutti gli imballaggi
devono essere opportunamente etichettati
secondo le modalità stabilite con decreto del
Ministro dell’Ambiente e del Ministro dell’Industria,
del Commercio e dell’Artigianato in conformità
alle determinazioni adottate dalla Commissione
dell’Unione Europea, per facilitare la raccolta,
il riutilizzo, il recupero ed il riciclaggio degli
imballaggi, nonché per dare una corretta informazione
ai consumatori sulle destinazioni finali
degli imballaggi».
Si segnala, infine, come una ulteriore ­ e certamente
non secondaria ­ ipotesi sanzionatoria di natura
amministrativa in tema di imballaggi sia reperibile
nell’ambito della disposizione di cui all’art. 50,
D.Lgs. n. 22/1997; in base a questa norma «Fatto
salvo quanto disposto dall’articolo 51, comma 2
chiunque, in violazione dei divieti di cui agli articoli
14, commi 1 e 2, 43, comma 2, 44, comma 1, e 46,
commi 1 e 2 abbandona o deposita rifiuti ovvero li
immette nelle acque superficiali o sotterranee è
punito con la sanzione amministrativa pecuniaria
da lire duecentomila a lire un milioneduecentomila.
Se l’abbandono di rifiuti sul suolo riguarda rifiuti
non pericolosi e non ingombranti si applica la
sanzione amministrativa pecuniaria da lire cinquantamila
a lire trecentomila».
Proprio l’art. 43, comma 2, richiamato dall’art.
50, comma 1, D.Lgs. n. 22/1997 stabilisce che
«adecorrere dal 1° gennaio 1998 è vietato immettere
nel normale circuito di raccolta dei
rifiuti urbani imballaggi terziari di qualsiasi
natura. Dalla stessa data eventuali imballaggi
secondari non restituiti all’utilizzatore dal
commerciante al dettaglio possono essere
conferiti al servizio pubblico solo in raccolta
differenziata, ove la stessa sia stata attivata».
Significativamente, quindi, il legislatore ha
parificato, in termini di pena con riguardo
quantomeno a due categorie di “imballaggi”,
l’abbandono dei medesimi all’immissione nel
“circuito” di smaltimento naturalmente destinato
ai rifiuti urbani. Inoltre, la clausola di
espresso richiamo all’art. 51, comma 2 del decreto
consente di ritenere l’applicabilità delle
sanzioni penali previste da questa norma laddove
l’attività di abbandono/deposito/immissione
di rifiuti costituiti da imballaggi risulti
posta in essere da titolari di imprese o da
responsabili di enti. l
103

GIURISPRUDENZA
Massime
AMBIENTE
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
a cura di Massimo Medugno, vicedirettore Assocarta
104
DEFINIZIONE DI RIFIUTO IN FUNZIONE
DEL GRADO DI PROBABILITÀ DI RIUTILIZZO
Cassazione penale, sez. III,
12 ottobre 2004, n. 46680
Residui attività di demolizioni edili ­ Rifiuti
speciali ­ Salva prova riutilizzo ex art. 14, D.L.
8/7/2002 ­ Certezza riutilizzo ­ Criteri giurisprudenza
comunitaria
L’art. 14, comma 2, lett. a), D.L. n. 138/2002
statuisce che non vengono considerati rifiuti,
beni o sostanze e materiali residuali di produzione
o di consumo, se gli stessi possono e sono
effettivamente e oggettivamente riutilizzati
nel medesimo, o in analogo o diverso ciclo produttivo,
senza subire alcun intervento preventivo
di trattamento e senza recare pregiudizio
all’ambiente. Affinché si verifichi l’ipotesi di cui
sopra è necessario che vi sia certezza in ordine:
a) alla individuazione del produttore e/o detentore
dei beni o sostanze de quibus, b) alla provenienza
degli stessi; c) alla sede ove sono destinati;
d) al riutilizzo dei medesimi in un ulteriore
ciclo produttivo vedi anche Corte di Giustizia
della Comunità Europea, 6 a Sezione 11/
09/03 (C­114/01).
Nota
Nella vicenda in esame la Corte giunge alla conclusione
che i residui di demolizione edile siano
rifiuti in quanto non si ha certezza in ordine al
riutilizzo dei medesimi secondo i criteri individuati
dalla Corte di Giustizia nel caso Av. Po.
Ch. Oy.
Questo è assai simile al caso trattato dalla sentenza
Pa. Gr. (causa n. C­09/00) che ricorda che
la direttiva n. 75/442 «non propone alcun criterio
per individuare la volontà del detentore di
disfarsi di una sostanza o di un determinato
oggetto» (punto 25) e che «l’esecuzione di
un’operazione menzionata nell’Allegato II A e
II B, direttiva n. 75/442 non permette, dunque,
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
di per sé, di qualificare una sostanza».
Peraltro, secondo la stessa pronuncia, ci possono
essere dei “sottoprodotti”, il cui riutilizzo
non sia solo eventuale, ma certo, senza
trasformazione preliminare e nel corso del
processo di produzione (punto 36), a cui non
si applica la normativa in materia di rifiuti.
Argomenta, quindi, la Corte che, oltre al criterio
derivante dalla natura o meno di residuo
di produzione di una sostanza, «il grado
di probabilità di riutilizzo di tale sostanza,
senza operazioni di trasformazione preliminare,
costituisce un secondo criterio utile».
Se, poi, il detentore consegue un vantaggio
economico nel farlo, la probabilità di questo
riutilizzo è alta; «In un’ipotesi del genere la
sostanza in questione non può più essere considerata
un ingombro di cui il detentore cerchi
di disfarsi, bensì un autentico prodotto»
(punto 37).
LA UE CONTRASTA LA NASCITA
DI UNA CATEGORIA DI MATERIE INTERMEDIA
TRA “RIFIUTI” E “PRODOTTI”
Corte di Giustizia delle Comunità europee,
28 gennaio 2005, causa C­208/04
Definizione rifiuto ­ Osta introduzione nuova
categoria ­ Detta categoria può contenere
sostanze ed oggetti che integrano la definizione
di rifiuto
L’articolo 1, lettera a), della direttiva del Consiglio
15 luglio 1975 relativa ai rifiuti, come modificata
con direttiva del Consiglio 18 marzo
1991, n. 91/156/CEE, osta a che gli Stati introducano
una nuova categoria di materie che non
rientrano né nella categoria dei rifiuti né in
quella dei prodotti, anche se tale nuova categoria
di materie può contenere sostanze od
oggetti idonei a integrare la definizione della
nozione di “rifiuto” ai sensi della predetta disposizione.
9 agosto 2005 ­ N. 16

Nota
La questione riguarda la proposta di adozione
di una lista di materie assimilabili a dei prodotti,
«matières assimilables à des produits», da
parte della Regione Vallone e la richiesta di una
domanda pregiudiziale (analoga, quindi a
quella del caso Ni.) alla Corte di Giustizia. Al
punto 20, la Corte “motiva” la decisione finale
sulla base del principio che qualsiasi categorizzazione
che possa comportare una restrizione
del campo di applicazione della normativa sui
rifiuti non può essere ammesso. Nei punti successivi
(nn. 21 e 22) la pronuncia ricorda l’importanza
della nozione di rifiuto e che essa non
può essere dedotta da liste e dipende dal significato
dell’espressione “disfarsi”; si evidenzia,
inoltre, che il campo di applicazione della normativa
sui rifiuti non può essere escluso per
oggetti e sostanze suscettibili di riutilizzazione
economica.
L’impostazione della Corte è molto precisa e
puntuale e rimane un importante affermazione
di principio. D’altro canto, la stessa Corte (sen­
9 agosto 2005 ­ N. 16
AMBIENTE
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
GIURISPRUDENZA
Massime
tenza 11 novembre 2004, n. C­457/02), ha affermato
di recente che «Può tuttavia ammettersi
un’analisi secondo la quale un bene, un materiale
o una materia prima derivante da un processo
di fabbricazione o di estrazione che non è
principalmente destinato a produrlo può costituire
non un residuo, bensì un sottoprodotto,
del quale l’impresa non ha intenzione di “disfarsi”,
ai sensi dell’art. 1, lett. a), comma 1,
della direttiva n. 75/442, ma che essa intende
sfruttare o commercializzare a condizioni per
lei favorevoli, in un processo successivo, senza
operare trasformazioni preliminari. Un’analisi
del genere non contrasta infatti con le finalità
della direttiva n. 75/442 in quanto non vi è
alcuna giustificazione per assoggettare alle disposizioni
di quest’ultima, che sono destinate a
prevedere lo smaltimento o il recupero dei rifiuti,
beni, materiali o materie prime che dal
punto di vista economico hanno valore di prodotti,
indipendentemente da qualsiasi trasformazione,
e che, in quanto tali, sono soggetti
alla normativa applicabile a tali prodotti». l
105

“ Un breve tragitto per più vasti orizzonti
Bologna - Quartiere Fieristico - 13•15/09/2005
Via Michelino, 69
40127 Bologna
Desidero ricevere ulteriori informazioni per:
Esporre Visitare Partecipare ai convegni
Nuova sede:
Bologna
Società ......................................................................................................Sito internet..............................................................................................
Attività della società...................................................................................................................................................................................................
Indirizzo...................................................................................................................................................................................................................
CAP...............................................Città.........................................................................................................................Prov......................................
Telefono............................................................Fax..........................................................e-mail..................................................................................
Sole 24 ore
Persona incaricata.....................................................................................................................................................................................................
Inserire in busta chiusa e spedire a Senaf - Via Michelino 69 - 40127 Bologna, o via fax al n° 051/50.52.82
Nota informativa art.13 D.Lgs.196/03: SENAF, titolare del trattamento, via Eritrea 21/A Milano, garantisce che i dati, da Voi forniteci attraverso la compilazione dei campi
sopra riportati, verranno comunicati a società da noi incaricate e serviranno esclusivamente per fini statistici e promozionali per le manifestazioni organizzate da Senaf srl.
L’elenco aggiornato dei responsabili è disponibile presso SENAF srl. I dati saranno trattati manualmente ed elettronicamente. L’interessato con la compilazione e l’invio del coupon
esprime il consenso al trattamento indicato. Vi ricordiamo che potrete opporVi in ogni momento al trattamento in oggetto, nonché esercitare tutti i diritti di cui all’art.7 del D.Lgs
196/03 di accesso, rettifica, aggiornamento e cancellazione, comunicandolo a SENAF srl tramite Tel o Fax.
”
10° Salone dell’igiene e sicurezza in ambiente di lavoro
T. +39 051 503318
F. +39 051 505282
www.senaf.it
info@senaf.bo.it
www.senaf.it
Gruppo
Tecniche Nuove spa
sic@sicomunica.com

LA SICUREZZA DELLE MACCHINE DA CANTIERE:
SEGA CIRCOLARE
21
Ambiente&Sicurezza, dopo una serie di approfondimenti dedicati a:
­ terne (n. 18/2003); ­ posatubi (n. 21/2004);
­ gru a torre (n. 22/2003); ­ motoruspe (n. 22/2004);
­ escavatori (n. 1/2004); ­ argani (n. 2/2005);
­ gru a torre automontanti (n. 4/2004); ­ pompa per il calcestruzzo (n. 4/2005);
­ dumper e autocarri (n. 6/2004); ­ sollevatori telescopici (n. 6/2005);
­ autogrù (n. 8/2004); ­ pale caricatrici (n. 8/2005);
­ rullo compattatore (n. 10/2004); ­ apripista (n. 10/2005);
­ vibrofinitrici (n. 13/2004); ­ piattaforme aeree sviluppabili
­ scarificatrici (n. 14/2004); (n. 12/2005);
­ motolivellatrici (n. 16/2004); ­ palificatrici a massa battente (n. 14/2005);
­ autobetoniere ( n. 18/2004);
prosegue la pubblicazione degli inserti dedicati alla sicurezza delle macchine da
cantiere occupandosi delle seghe circolari.
Munite di utensili da taglio a disco, con dentatura a sega di diversa altezza, in funzione
della precisione che si vuole ottenere, le seghe circolari sono spesso utilizzate in edilizia
per tagliare il legname di vario tipo. Caratterizzate da un elevato livello di pericolosità,
devono essere utilizzate solo da personale adeguatamente formato e devono essere
munite, inoltre, di una solida cuffia registrabile che impedisca il contatto accidentale
con la lama e protegga l’operatore dalle schegge di legno proiettate durante la
lavorazione.
L’Inserto propone un breve inquadramento normativo e un approfondimento che
guida all’individuazione dei rischi mediante l’analisi delle principali caratteristiche e
modalità di impiego, indica la documentazione necessaria a corredo della macchina,
affronta il tema della formazione dell’operatore addetto alla conduzione. In chiusura,
una check list per la verifica delle condizioni della macchina.
Contributi di:
• Marco Vigone
• Claudio Conio

SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
INSERTO
Questa attrezzatura deve essere dotata di un riparo regolabile sulla parte della lama che sporge
Sega circolare da cantiere: utilizzo in sicurezza
secondo le UNI EN 1870-1 e UNI EN 1870-3
di Marco Vigone, ingegnere, Presidente della Commissione Sicurezza UNI ­ Milano, CEN ­ Occupational
Health and Safety Rapporteur ­ Bruxelles, Amministratore delegato IEC s.r.l. ­ Torino
Tra le attrezzature più diffuse in
un cantiere edile, la sega circolare
risulta anche una delle più
pericolose, poiché spesso è
utilizzata in modo scorretto
con l’esclusione delle protezioni
di sicurezza. Proprio a causa della
sua pericolosità sin dal 1899
è stato pubblicato
un regolamento che ne
disponeva le misure
di prevenzione dagli infortuni
nelle industrie. Attualmente
il suoutilizzo risulta normato
dalla Direttiva Macchine,
in applicazione della quale sono
state pubblicate 13 norme
armonizzate, e, per quanto
attiene alle emissioni acustiche
nell’ambiente circostante, dalla
direttiva n. 2000/14/CE.
Tra le 13 norme tecniche, le più
utili per un corretto utilizzo
delle seghe circolari, sono la
UNI EN 1870­1 e la UNI EN 1870­3.
II
Le seghe circolari sono fra le attrezzature
più utilizzate in un
cantiere edile e sono fra le più
pericolose in quanto vengono spesso
utilizzate in modo anomalo e, alle volte,
escludendo i dispositivi di sicurezza
(in modo particolare la cuffia di
protezione della lama).
A tal riguardo è doveroso ricordare
che già il 15 marzo 1898 venne emanata
in Italia la prima legge riguardante
gli infortuni sul lavoro e che l’anno
successivo (18 giugno 1899) venne
pubblicato un regolamento sulla prevenzione
degli infortuni nelle industrie.
In questo regolamento, all’art. 4, si
stabiliva che «Le macchine ad utensile
tagliente o lacerante, funzionanti a
grande velocità, come seghe, sminuzzatrici,
piallatrici, fresatrici, cardatrici,
trinciatrici ed altre analoghe, dovranno
essere per quanto possibile, disposte
in modo che l’operaio non possa,
dal suo posto di lavoro, toccare
involontariamente le parti pericolose».
Gli ingegneri dell’epoca inventarono,
pertanto, numerose protezioni della
lama, certamente l’elemento più pericoloso
della sega circolare, una delle
quali è riportata nella figura 1 [1] .
Questo dispositivo risulta del tutto
analogo a quello prevalentemente utilizzato
oggi in quanto ritenuto il più
sicuro.
La legislazione
e lenorme tecniche applicabili
Le seghe circolari devono rispettare
quanto stabilito sia dalla direttiva
n. 98/37/CE, cosiddetta Direttiva
Macchina, sia dalla direttiva n. 2000/
14/CE relativa all’emissione acustica
ambientale delle macchine e delle attrezzature
destinate a funzionare all’aperto,
come quasi tutte le macchi-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
ne che vengono utilizzate nei cantieri
edili.
In quest’ultima direttiva le seghe
circolari sono definite alla voce 5 come
«5. Sega circolare per cantieri - Apparecchio
ad alimentazione manuale di
peso inferiore 200 kg, composto da un
disco circolare monolama (diverso dalla
sega a nastro abrasivo) di diametro
compreso fra 350 mm e 500 mm, che
rimane fissa durante la normale funzione
di taglio, e da una tavola orizzontale
che rimane fissa del tutto o in
parte durante il funzionamento. La lama
è montata su un mandrino orizzontale
non basculante, la cui posizione
rimane fissa durante il funzionamento.
La macchina può presentare una o più
delle seguenti caratteristiche:
- la possibilità di sollevare e abbassare
la lama rispetto alla tavola;
- il telaio della macchina al di sotto
della tavola può essere aperto o chiuso;
- la sega può esser dotata di una tavola
mobile ad azione manuale supplementare
(non adiacente alla lama) ».
In applicazione della Direttiva Macchine
sono già state pubblicate ben 13
norme armonizzate riguardanti le seghe
circolari nelle loro diverse tipologie costruttive.
Le più interessanti per il nostro scopo
sono:
l la UNI EN 1870-1 (febbraio 2002)
«Sicurezza delle macchine per la lavorazione
del legno - Seghe circolari - Seghe
circolari da banco (con o senza tavola
mobile) e squadratrici»;
l la UNI EN 1870-3 (maggio 2003)
«Sicurezza delle macchine per la lavorazione
del legno - Seghe circolari - Troncatrici
e troncatrici con pianetto»,
alle quali si rimanda per un completo
esame delle disposizioni di sicurezza in
[1] Tratta dal testo Ing. Effren Magrini, Infortuni sul lavoro - Mezzi tecnici per prevenirli, Ed. Ulrico Hoepli, Milano, 1903.
9 agosto 2005 ­ N. 16

9 agosto 2005 ­ N. 16
Caratteristiche dei ripari
della lama in lega leggera
Carico ultimo di rottura
a trazione N/mm 2
esse contenute, ma che verranno analizzate
per i loro aspetti fondamentali e
più importanti.
La norma UNI EN 1870-1 definisce
“sega circolare da banco” la «macchina
ad avanzamento manuale dotata di una
lama circolare che resta in una posizione
fissa durante il taglio e una tavola orizzontale,
che durante il taglio resta tutta o
in parte in posizione fissa. La lama è
montata su un albero orizzontale sotto la
tavola. La macchina può avere una delle
seguenti caratteristiche:
a) la possibilità di innalzare e abbassare
la lama attraverso la tavola;
b) la possibilità di inclinare la lama
per effettuare taglio inclinato;
c) la struttura della macchina sotto la
tavola può essere aperta o chiusa;
d) un carro mobile supplementare ad
azionamento manuale (non adiacente alla
lama);
e) un dispositivo per l’incisione»
e, in particolare, definisce come “sega
circolare da cantiere” (con lama fissa e
non inclinabile) la «sega circolare da
banco ad avanzamento manuale, con
struttura generalmente aperta con dispositivi
integrati per il sollevamento
Protezione della lama
INSERTO
Spessore minimo
mm
180 5
240 4
300 3
Figura 1
TABELLA 1
(per esempio anelli di sollevamento), e
lama di diametro ≥ 315 mm, progettata
per essere utilizzata in un cantiere edile
(vedere figura 2)».
Nella figura 2 si riporta la terminologia
relativa alla sega circolare da cantiere
riportata nella norma UNI EN 1870-1.
La norma UNI EN 1870-3 riporta le
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
seguenti definizioni di troncatrici e troncatrici
con pianetto:
l troncatrice per taglio dall’alto «macchina
in cui l’albero portalama è situato
sopra il pezzo quando la lama si trova in
posizione di riposo. La lama si muove
verso il basso attraversando il pezzo durante
il taglio» (un esempio è riportato
nella figura 3).
l troncatrice con pianetto «macchina
che può essere usata nei seguenti modi:
a) come troncatrice dall’alto;
b) come sega circolare da banco»
(un esempio è riportato nella figura 4).
Posizione dei comandi
Nelle seghe circolari tutti i comandi
devono essere collocati a un’altezza dal
suolo maggiore o uguale a 600 mm, a
sinistra rispetto il fronte di lavoro, a una
distanza minima di 50 mm dal piano di
appoggio e, se laterali, entro una distanza
dal montante della macchina pari alla
metà della dimensione del piano della
macchina stessa.
Nelle troncatrici manuali devono essere:
l incorporati o adiacenti alla manopola
di azionamento della macchina;
l oppure, posizionati nella parte frontale
della macchina, più in basso del supporto
del pezzo e a un’altezza minima di
600 mm dal livello del pavimento.
Su entrambe le macchine in esame
deve essere installato un arresto di emergenza
se le macchine sono dotate o sono
predisposte per essere utilizzate con più
di un attuatore, cioè di un meccanismo
motorizzato utilizzato per effettuare un
Terminologia relativa alla sega circolare da cantiere
Legenda
1 Coltello divisore
2 Riparo della lama
3 Supporto del riparo della lama
4 Riparo fisso sotto la tavola
5 Guida (per il taglio) longitudinale
6 Guida (per il taglio) trasversale
7 Tavola
8 Comandi
9 Spintore (bacchetta spingipezzo)
10 Prolunga (della tavola)
11 Inserto della tavola
12 Presa dell'aspirazione
Figura 2
III

IV
SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
INSERTO
Esempio di troncatrice per taglio dall'alto
movimento della macchina.
Quando il tempo di arresto della
lama risulta maggiore di 10 sec, le
macchine devono essere dotate di un
freno automatico per gli alberi in modo
tale che il tempo di arresto sia
inferiore o uguale a 10 sec.
Le macchine devono essere costruite
in modo tale che in caso di interruzione
elettrica le macchine stesse non possano
essere riattivate automaticamente al ripristino
della corrente; in questo caso occorre
che l’operatore riattivi volontariamente
la macchina.
A questo riguardo è doveroso ricordare
che, secondo quanto stabilito dalla
legge 18 aprile 2005, n. 62, tutte le
macchine messe a disposizione dei lavoratori
prima del 31 dicembre 1996
devono rispettare questo requisito entro
il 12 novembre di quest’anno.
Ripari della lama
I ripari delle lame devono essere realizzati:
l in acciaio, con un carico di rottura alla
trazione di almeno 350 N/mm 2 e uno
spessore di parete di almeno 1,5 mm;
l in lega leggera, con le caratteristiche
riportate nella tabella 1;
l in policarbonato, con uno spessore di
parete di almeno 3 mm o altra materia
plastica avente resistenza all’urto uguale
o maggiore di quella del policarbonato
con uno spessore di parete di almeno 3
mm;
l in ghisa, con un carico di rottura
alla trazione di almeno 200 N/mm 2 e
Figura 3
uno spessore di parete di almeno 5
mm.
Nelle seghe circolari la protezione in
ghisa può essere utilizzata solamente per
la protezione della lama al di sotto della
tavola.
Coltelli divisori
Tutte le seghe circolari e le troncatrici
con pianetto, per minimizzare la possibilità
o gli effetti della eiezione di materiale
devono essere dotati di coltelli divisori
adatti alla gamma delle lame utilizzabili
sulla macchina.
Il coltello divisore e il suo sistema di
fissaggio devono essere realizzati con ac-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
ciaio avente una resistenza alla rottura a
trazione di almeno 580 N/mm 2 , oppure
di materiale equivalente, avente i lati piani
(con una tolleranza di 0,1 mm ogni
100 mm) e avere uno spessore intermedio
fra quello della lama e la larghezza
del taglio.
Il bordo superiore del coltello divisore
deve essere smussato in modo da fornire
un invito e il coltello deve avere uno
spessore costante per tutta la sua lunghezza
di lavoro.
L’altezza del coltello divisore si
deve poter regolare in senso verticale
in modo che la sua estremità raggiunga
un livello pari al punto più alto
della periferia della lama. Il coltello
deve essere progettato in modo che,
una volta montato e regolato con il
suo punto più vicino alla lama, sia a 3
mm dalla stessa e in nessun punto la
distanza fra la lama e il coltello divisore
sia maggiore di 8 mm, come indicato
nella figura 5.
Protezione della lama
sulla sega circolare
La sega circolare deve essere dotata
di un riparo regolabile per proteggere la
parte della lama che sporge al di sopra
della tavola.
Questo riparo deve avere le seguenti
caratteristiche:
l nei ripari non trasparenti la linea di
taglio deve essere indicata, per esempio,
da una scanalatura incisa sul riparo;
l il riparo della lama deve essere progettato
in modo da avvolgere la lama e
Esempio di troncatrice con pianetto
1
Legenda
1 Pianetto per l'uso con l'unità di taglio abbassata nel modo
di funzionamento come sega circolare da banco
Figura 4
9 agosto 2005 ­ N. 16

INSERTO
Posizioni limite per la progettazione del coltello divisore
9 agosto 2005 ­ N. 16
Dimensioni in mm
deve estendersi oltre il primo dente tagliente
sul livello superiore della tavola
quando la lama è regolata nella posizione
più alta;
l la parte interna dei bordi inferiori dei
fianchi del riparo della lama deve essere
rivestita con una nervatura di plastica,
lega leggera, legno o materiali a base di
legno. Questa nervatura deve avere uno
spessore di almeno 3 mm e deve essere
progettata in modo da impedire ai denti
della lama di tagliare il riparo nel caso in
cui la lama venga deviata rispetto alla
linea di taglio. Se la nervatura è sostituibile,
i sistemi di fissaggio devono essere
tali da non danneggiare la lama, per
esempio viti di ottone;
l qualunque sia la posizione di regolazione
preimpostata del riparo della
lama, questo deve potersi muovere verticalmente
verso l’alto durante il taglio
in funzione delle variazioni di spessore
del pezzo e al termine del taglio può
tornare o meno nella posizione di regolazione
preimpostata.
Le macchine progettate per essere
impiegate con lame di diametro fino a
315 mm devono essere costruite in modo
che il riparo della lama sia montato o
sul coltello divisore (come nella figura
6), o separatamente dal coltello divisore.
In quest’ultimo caso il riparo deve essere
progettato per il montaggio come parte
integrale della macchina. Nel caso in
cui il riparo non sia montato sul coltello
divisore, ma sia integrato alla macchina,
il supporto del riparo superiore non deve
essere dietro il coltello divisore e nel
suo stesso piano.
Figura 5
Nelle macchine su cui si possono
montare le lame di diametro maggiore di
315 mm, il riparo della lama deve essere
montato separatamente dal coltello divisore
e il supporto del riparo deve essere
progettato per il montaggio come parte
integrale della macchina. Nel caso in cui
il riparo non sia montato sul coltello divisore,
ma sia integrato alla macchina, il
supporto del riparo superiore non deve
essere dietro il coltello divisore e nel suo
stesso piano.
Per tutti i diametri previsti e per tutte
le posizioni in verticale della lama, il riparo
montato sul coltello divisore deve
avvolgere la parte superiore e le parti
laterali della dentatura esposta dal punto
di montaggio del riparo sul coltello divisore
al primo dente che attacca la parte
più alta del pezzo. Per soddisfare questo
requisito può essere necessario predisporre
sul coltello divisore più di un punto
di fissaggio.
Il bordo più basso del riparo della
lama deve essere parallelo alla tavola
(con la tolleranza di 1 mm per ogni 100
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
mm di lunghezza) quando il riparo è sollevato
nella sua posizione di apertura
massima e la lama è sollevata alla sua
altezza massima.
La massima profondità di taglio deve
essere inferiore alla sporgenza massima
della lama sopra la tavola.
L’estremità del bordo inferiore del riparo
sul lato dell’alimentazione può avere
un invito per evitare inconvenienti
causati da un errato posizionamento del
riparo o da una irregolarità dello spessore
del pezzo. Le dimensioni dell’invito devono
essere conformi ai requisiti riportati
nella figura 7.
Se è montato separatamente dal coltello
divisore, il riparo della lama deve
essere un riparo regolabile che copre la
parte superiore e i fianchi della lama
quando questa è in posizione verticale e
si deve poter alzare e abbassare in modo
che, quando la macchina è equipaggiata
con la lama del massimo diametro per
cui essa è progettata, il bordo inferiore
del riparo della lama possa essere innalzato
al massimo di 5 mm al di sopra del
dente più alto della lama e il riparo possa
essere abbassato fin sul piano della tavola.
I dispositivi di regolazione devono
assicurare che il bordo inferiore del riparo
rimanga sempre parallelo alla tavola
(con la tolleranza di 1 mm per ogni 100
mm di lunghezza).
Il riparo della lama deve essere dotato
di un dispositivo per poter facilmente regolare
la sua altezza, per esempio un’impugnatura
o lo spingipezzo piazzato su
un sostegno sul riparo della lama.
Nella figura 8 si riporta un esempio
di blocco spingipezzo.
Il riparo della lama non deve poter
essere rimosso dalla macchina senza
l’aiuto di un utensile.
La lama al di sotto della tavola deve
essere protetta con un riparo fisso. Qualunque
accesso possa essere richiesto ai
fini della manutenzione o per fissare la
Riparo della lama montato sul coltello divisore
Figura 6
V

VI
SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
lama deve avvenire tramite un riparo mobile
interbloccato. --
Sulle seghe circolari da cantiere
l’apertura per lo scarico dei trucioli deve
soddisfare le distanze di sicurezza in conformità
al prospetto 4 della EN 294:1992
o avere dimensioni conformi alle misure
riportate nella figura 9.
Tutte le macchine devono avere in
dotazione una bacchetta spingipezzo o
un blocco spingipezzo (come nella figura
8) e devono essere dotate di dispositivi
per collocare la bacchetta o il
blocco sulla macchina.
La lunghezza minima delle bacchette
spingipezzo fornite per il lavoro deve essere
di 400 mm.
INSERTO
Dimensioni minime per l'invito
sul bordo anteriore dei ripari
Dimensione in mm
a) Riparo montato separatamente dal coltello divisore sul lato di alimentazione
b) Riparo montato separatamente dal coltello divisore con invito a rulli
sul lato di alimentazione
c) Riparo montato sul coltello divisore con invito sul lato di alimentazione
Legenda
1 40° +5° , quando è montata la lama di diametro massimo regolata
nella posizione più alta
Protezione della lama
sulle troncatrici manuali
L’accesso all’area di non-taglio della
lama deve essere impedito con un riparo
fisso fino al punto più basso della
Figura 7
periferia della flangia della sega. Se è
necessario un accesso per il cambio lama,
il portello di accesso deve aprirsi
solo con l’ausilio di un utensile e deve
restare collegato alla macchina quando
viene aperto, per esempio mediante cerniere.
Il riparo non deve restare in posizione
se privo del proprio fissaggio.
L’accesso all’area di taglio della lama
deve essere impedito tramite:
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
l un riparo a chiusura automatica, su
entrambi i lati della dentatura della lama,
che si estende oltre la zona periferica
della lama (si veda la figura 10) e
che si apre quando giunge a contatto
con il pezzo o con la guida. Il riparo
deve rimanere sopra il pezzo o sulla
guida durante il taglio per garantire la
massima protezione;
l un riparo a chiusura automatica che
copra almeno la periferia della lama
ed entrambi i lati della dentatura della
lama. Questo riparo deve essere completamente
chiuso nella posizione di
riposo e deve aprirsi gradualmente e
giungere all’apertura completa quando
la lama si trova nella posizione più
bassa per la quale la macchina è progettata.
Entrambi i tipi di ripari devono
essere bloccati in posizione di chiusura
completa quando l’unità di taglio
è in posizione di riposo e devono
consentire il cambio della lama
senza la rimozione del riparo della
macchina.
Nelle macchine per taglio dall’alto e
orizzontale, il movimento di taglio
orizzontale non deve essere consentito
finché l’unità di taglio non è completamente
abbassata alla massima profondità
di taglio e l’unità di taglio non
deve poter essere sollevata durante la
corsa di taglio in avanti.
Informazioni per l’uso
Le norme in esame forniscono precise
disposizioni per il manuale d’uso che deve
essere consegnato con la macchina e
sulla marcatura. Si riportano solo le principali,
rimandando alle norme per un loro
esame completo.
Lo spessore del coltello divisore e
l’intervallo di diametri delle lame utilizzabili
con esso devono essere indicati
in modo permanente sul coltello
divisore. La larghezza della scanalatu-
Esempio di blocco spingipezzo
Figura 8
9 agosto 2005 ­ N. 16

a di montaggio deve essere indicata in
modo permanente sul coltello divisore.
L’espressione “marcatura permanente”
indica, per esempio, una punzonatura
o una elettroerosione.
Il diametro massimo e minimo della
lama e del relativo foro per l’albero per
cui la macchina è progettata devono
essere indicati in modo permanente
sulla macchina o su una targa fissata in
modo permanente alla macchina. La
larghezza degli elementi di guida del
coltello divisore deve essere indicata in
modo permanente in prossimità della
9 agosto 2005 ­ N. 16
INSERTO
Sega da cantiere - Dimensioni per l'apertura
per la rimozione dei trucioli sotto la tavola
Dimensione in mm
Legenda
1 Riparo della lama
2 Lama
Riparo a chiusura automatica
Figura 9
posizione di montaggio del coltello divisore.
L’espressione “marcatura permanente”
indica, per esempio, una
punzonatura, una elettroerosione o uno
stampo in rilievo.
Sulle macchine in cui la variazione
di velocità si ottiene cambiando la posizione
delle cinghie sulle pulegge motrici,
in prossimità di queste deve essere
presente un diagramma che indichi
la velocità selezionata con ciascuna loro
combinazione.
Inoltre, il manuale di istruzione deve
contenere almeno:
Figura 10
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
l un avvertimento riguardante i rischi
residui;
l raccomandazioni per le pratiche di lavoro
sicuro;
l i requisiti per l’installazione e la manutenzione,
compreso un elenco di quei
dispositivi che devono essere sottoposti a
verifica, quanto frequentemente la verifica
deve essere effettuata e secondo quale
metodo;
l gli intervalli dei diametri e degli spessori
delle lame per cui la macchina è
progettata e una guida per l’utilizzatore
alla scelta del coltello divisore corretto
per ogni particolare dimensione della lama;
l un avvertimento che devono essere
usati solo utensili conformi alla EN 847-
1:1997;
l le informazioni sulla manutenzione
e riparazione delle impugnature
della bacchetta e dei blocchi spingipezzo;
l le informazioni relative all’equipaggiamento
per l’estrazione della
polvere montato sulla macchina:
- portata d’aria richiesta in m 3
x h-1 ;
- la caduta di pressione alla connessione
di ogni presa;
- la velocità raccomandata di trasporto
dell’aria nel condotto in m x s-1 ;
- le dimensioni delle sezioni trasversali
e i dettagli di ogni presa di estrazione
della polvere.
Il rumore emesso
Le seghe circolari richiedono la dichiarazione
da parte del costruttore
del livello sonoro garantito di emissione
ma non è necessario l’intervento,
per questa dichiarazione, di un Organismo
terzo, i cosiddetti Organismi
Notificati, in quanto non sono soggetti
a ben determinati limiti di emissione
acustica.
Il fabbricante deve, pertanto, consegnare
all’acquirente una dichiarazione
contenente questo livello di
emissione, secondo quanto richiesto
dall’Alegato II della direttiva n.
2000/14/CE e apporre sulla macchina
il simbolo recante la marcatura CE e
l’indicazione della potenza sonora
garantita.
Inoltre,deve ovviamente indicare
nel manuale d’istruzione come richiesto
dal punto 1.7.4 dell’Allegato I della
Direttiva Macchine il livello sonoro
esistente sul posto di lavoro occupato
dal lavoratore. l
VII

SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
INSERTO
La cuffia di protezione della lama impedisce la visuale e il lavoratore preferisce rimuoverla andando incontro a gravi pericoli
Sega circolare da cantiere: attrezzatura
per il taglio di legname in edilizia
di Claudio Conio, architetto, Area Progettazione, Ricerca, Sviluppo ESEM ­ Ente Scuola Edile Milanese
Utilizzata per tagliare legname
di vario tipo, la sega circolare è
comunemente usata in cantiere
ed espone gli utilizzatori a elevati
rischi di invalidità più o meno
grave. Per questa sua
caratteristica deve essere
impiegata unicamente
da personale ben addestrato
e munita di una solida cuffia
registrabile, in modo da evitare
il contatto accidentale del
lavoratore con la lama
e proteggerlo dalle schegge
che inevitabilmente vengono
proiettate, sia anteriormente
sia lateralmente durante la
lavorazione; inoltre, deve essere
presente un coltello divisore in
acciaio che mantenga aperto il
taglio, in caso di tavolame lungo.
Questa macchina è munita
di utensili di taglio a disco,
con dentatura a sega di diversa
altezza, in funzione della
precisione di taglio che si vuole
ottenere; la lama montata
su mandrino non inclinabile
permette solo tagli
perpendicolari al piano di lavoro.
VIII
La sega circolare è una macchina utilizzata
in edilizia per tagliare il legname
di vario tipo, come tavolate,
pannelli, listelli ecc. La legislazione
italiana associa alla sega circolare da cantiere
la definizione di «Apparecchio ad
alimentazione elettrica di peso inferiore a
200 kg, composto da un disco circolare
monolama (diverso dalla sega a nastro
abrasivo) di diametro compreso fra 350
mm e 500 mm, che rimane fissa durante
la normale funzione di taglio, e da una
tavola orizzontale che rimane fissa del tutto
o in parte durante il funzionamento. La
lama è montata su un mandrino orizzontale
non basculante, la cui posizione rimane
fissa durante il funzionamento. La
macchina può presentare una delle seguenti
caratteristiche:
- la possibilità di sollevare e abbassare
la lama rispetto alla tavola;
- il telaio della macchina al di sotto
della tavola può essere aperto o chiuso;
- la sega può essere dotata di una tavola
mobile ad azione manuale supplementare
(non adiacente alla lama)».
È una macchina molto comune in edilizia,
che presenta, per gli utilizzatori, elevati
rischi di invalidità a volte anche permanente
e il cui utilizzo, pertanto, deve
essere affidato esclusivamente a personale
ben formato, informato e addestrato al
corretto utilizzo in sicurezza.
Le seghe circolari per postazione di
lavoro fissa sono costituite da un banco di
lavoro in metallo al di sotto del quale è
fissato il motore elettrico che alimenta la
rotazione della lama. I dischi di taglio possono
essere movimentati direttamente dall’albero
motore oppure avere una trasmissione
a cinghia. La lama della sega e tutti i
dispositivi di trasmissione meccanica in
movimento devono essere protetti, sopra e
sotto il piano di lavoro, per evitare possibili
contatti con le mani dell’operatore. I
principali componenti che realizzano una
sega circolare sono:
l telaio portante;
l motore;
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
l organi di trasmissione;
l lama circolare;
l piano di lavoro con inserto passante
per la lama;
l coltello divisore;
l cuffia;
l protezioni fisse sotto il piano di lavoro;
l cablaggio elettrico/interruttore/presa a
spina;
l spingitoi e altri accessori.
Principali tipologie
in commercio
Le seghe circolari, in cantiere, sono
attrezzature utilizzate per il taglio di legname
per carpenteria. I piani di lavoro
devono essere dimensionati per sostenere
il pezzo in lavorazione e avere delle guide
longitudinali per facilitare la conduzione
del taglio.
Le seghe circolari fisse devono essere
provviste, secondo l’art. 109, D.P.R. n.
547/1955 di:
l una solida cuffia registrabile atta ad
evitare il contatto accidentale del lavoratore
con la lama e a intercettare le schegge,
sia anteriormente sia lateralmente;
l un coltello divisore in acciaio, per segare
tavolame in lungo, applicata posteriormente
alla lama, per mantenere aperto
il taglio.
Montano utensili di taglio a disco, con
dentatura a sega di diversa altezza, in relazione
alla precisione di taglio che si vuole
ottenere. La lama montata su mandrino
non inclinabile permette solo tagli perpendicolari
al piano di lavoro.
Spesso i produttori di utensili usano
diametri diversi del foro interno della lama
da innestare sul perno di rotazione dell’albero
motore; è, pertanto, necessario
verificare sul manuale d’uso e manutenzione
quali accessori siano utilizzabili ed
eventualmente se sia possibile ricorrere ad
anelli di adattamento.
Le lame sono caratterizzate dalla dimensione,
dalla geometria, dal numero di
denti e dal materiale di cui sono fatte, le
migliori hanno le punte rivestite in mate-
9 agosto 2005 ­ N. 16

iali duri come il widia. La dentatura delle
lame, deve corrispondere al tipo di lavoro
da effettuare. Per avere tagli precisi occorre
utilizzare lame con un alto numero di
denti. Tra le principali famiglie di lame
ricordiamo:
l lama a grossa dentatura, utilizzata per
il taglio di tutti i tipi di legno;
l lama a punte di carburo, le punte di
carburo saldate sulla punta dei denti assicurano
alla lama una durata superiore alle
lame classiche; permettono dei tagli rapidi
nei legni e materiali difficili quali agglomerato,
stratificato, laminato, ecc.;
l lama a dentatura fine con dentatura inclinata,
destinata ai tagli sottili e precisi.
Utilizzata per tagli netti nei legni duri e nei
derivati (agglomerato, compensato);
l lama a dentatura fine con dentatura diritta,
permette il taglio di sbieco rispetto
alla venatura del legno.
Oltre alle seghe circolari da banco, esistono
anche seghe circolari portatili.
In questi prodotti la lama circolare è
protetta superiormente da un carter fisso,
che ricopre anche il motore, e da una cuffia
mobile a gonnella che, azionata da una
molla, scende a coprire la lama non appena
questa è libera dal pezzo in lavorazione.
Le seghe circolari portatili, similmente
alle tracciatrici, sono equipaggiate con due
impugnature, una, sulla quale si trova il
grilletto di attivazione del motore, retrostante
la lama; l’altra laterale sul cofano
motore. Ergonomicamente impeccabili
per i destrorsi, ma per i mancini sussistono
alcune difficoltà.
Caratteristiche tecniche
Le principali caratteristiche di una sega
circolare sono la potenza e la profondità di
taglio; solitamente, queste caratteristiche
sono direttamente proporzionali tra loro e
spesso la profondità di taglio è regolabile.
Più in dettaglio le caratteristiche che
differenziano le seghe elettriche sono:
l la potenza;
l la velocità di rotazione della lama;
l la profondità massima di taglio della
lama (diametro della lama);
l il tipo di motore elettrico (monofase o
trifase);
l la presenza di una cuffia di protezione
basculante o regolabile;
l la dimensione del piano di lavoro (minimo
1000 x 850 mm).
Le seghe circolari sono inoltre dotate di:
l comando di avviamento - è l’interruttore
di avviamento installato sul quadro di
manovra della macchina. Deve essere
9 agosto 2005 ­ N. 16
INSERTO
conformato in modo tale da ridurre i rischi
di azionamento accidentale;
l comando di arresto normale - è un interruttore
installato sul quadro di manovra
della macchina, interrompe l’alimentazione
agli attuatori della macchina e arresta la
lama entro 10 secondi;
l comando di arresto di emergenza - sulla
macchina, in posizione facilmente raggiungibile,
deve essere installato un interruttore
per l’arresto di emergenza del tipo
“a fungo”;
l interruttore di macchina - è il dispositivo
di sezionamento a comando manuale
dell’alimentazione che, installato sul quadro
elettrico della macchina, separa l’equipaggiamento
elettrico della macchina dall’alimentazione
(per la manutenzione e il
cambio della lama);
l interruttore magnetotermico - ogni
motore superiore a 1 kW deve essere protetto
da sovraccarichi mediante interruttore
magnetotermico per proteggere la macchina
da rischi derivanti da sovracorrenti;
l relè di minima tensione (o bobina di
sgancio) per la protezione in caso di ritorno
intempestivo della corrente.
I pulsanti di avviamento e di arresto
devono essere collocati in posizione protetta
perché non abbiano a subire urti e
danni da parte di pezzi in lavorazione.
In caso di interruzione della corrente
elettrica e di successivo ripristino, la macchina
non deve riavviarsi automaticamente,
ma solo intervenendo volontariamente
sul comando, quindi il comando di avvio
deve essere dotato di una bobina di sgancio
o di un dispositivo che assolva alla
medesima funzione.
Protezione elettrica
Essendo le seghe circolari macchine
funzionanti con motore elettrico, in fase di
valutazione dei rischi va analizzato anche
il rischio elettrico, che può, in prima istanza,
essere limitato se a realizzare l’impianto
è un tecnico abilitato e se lo stesso è
realizzato secondo le prescrizioni dettate
dalle normative di sicurezza e dalle norme
di buona tecnica, utilizzando componentistica
con grado di protezione meccanica
contro la penetrazione di corpi solidi e liquidi
minimo IP44, o se la sega circolare
viene utilizzata in ambienti umidi o in presenza
di acqua, come nella maggiore parte
dei casi, la protezione deve essere non inferiore
a IP55 (Norma CEI 70-1).
La linea di alimentazione della sega
circolare deve essere protetta da un interruttore
magnetotermico. Come già evidenziato,
l’interruttore della macchina,
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
manovrabile a mano, deve essere provvisto
di un dispositivo che non permetta il
riavvio automatico a seguito di interruzione
dell’alimentazione. La ripresa del funzionamento
della macchina deve, pertanto,
avvenire con il ripristino dell’interruttore.
Il quadro elettrico da cui viene alimentata
la sega circolare deve essere del tipo
ASC. L’interruttore differenziale che protegge
la linea di alimentazione deve possedere
una soglia di intervento minore o
uguale 0,03 A (30 mA).
Il cavo di alimentazione o presa mobile
(prolunga) deve essere di tipo flessibile
per esterno (H07RN-F o tipo equivalente).
Le prese a spina devono rispondere alle
norme CEI 23-12 e avere un grado di
protezione almeno IP55 (o IP67) e dispositivo
di ritenuta.
Tutte le macchine elettriche di classe 1
devono essere collegate all’impianto di
terra, nel caso specifico la messa a terra
della sega circolare avviene tramite il conduttore
di protezione del cavo di alimentazione.
Qualora risulti necessario, la macchina
dovrà essere protetta contro le scariche
atmosferiche secondo quanto previsto dalla
norma CEI 81-1.
Principali accessori
Le seghe circolari devono essere provviste
di diversi dispositivi atti a garantire
la sicurezza:
l una cuffia registrabile superiore, conformata
per favorire il passaggio del materiale
in lavorazione, ma impedire il contatto
accidentale del lavoratore con la lama e
intercettare le schegge;
l un coltello divisore in acciaio posizionato
posteriormente alla lama a distanza
di non più di 3 mm dalla dentatura del
disco, per divaricare il taglio operato, diminuire
l’attrito con la lama e rendere più
scorrevole la lavorazione;
l dei carter fissi sotto il piano di lavoro
per impedire il contatto fortuito con la lama
o con gli organi di movimento sottostanti;
a volte questo dispositivo termina
con un collettore che può essere collegato
a un impianto di aspirazione delle polveri
generate dal taglio;
l di guide di taglio trasversali e utensili
per realizzare il taglio di cunei.
l di spingitoi, portapezzi e dispositivi
per l’esecuzione di tagli su pezzi di piccole
dimensioni, questi utensili, se efficienti
e ben conformati, evitano di portare le
mani troppo vicino al disco o, comunque,
sulla sua traiettoria.
IX

SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
La cuffia di protezione della sega circolare
è sempre stata mal tollerata dai carpentieri
ed è frequente trovarla rialzata, in
posizione scorretta, o addirittura non trovarla
per niente, andando a vanificare la
sua funzione protettiva. Questo diffuso
malcostume è dovuto, naturalmente al fatto
che la cuffia di protezione spesso impedisce
la perfetta visuale del taglio da effettuare,
quindi, il lavoratore preferisce utilizzare
la macchine senza la cuffia di protezione.
Tuttavia, la protezione offerta da questo
dispositivo è tutt’altro che secondaria.
La cuffia di protezione ha il duplice scopo
di intercettare le schegge e di evitare il
contatto accidentale delle mani con la lama.
La prima funzione viene assolta a
condizione che la cuffia sia registrabile e
mantenuta alzata solo quanto basta per il
passaggio del pezzo in lavorazione o che
appoggi sul banco con un invito a slitta e
sia alzata dalla lama che viene spinta per
essere tagliata.
L’invito a slitta aumenta l’intercettazione
delle schegge, ma rende difficoltosa
la vista della lama e il punto di taglio.
Alcuni produttori propongono una slitta
dotata di una lastrina trasparente sulla
parte frontale della cuffia al fine di favorire
la visione del taglio, ma dopo un breve
periodo di tempo, il vetro si copre interamente
di segatura e/o si riga non offrendo
più una visuale adeguata.
Ovviamente, un utilizzo improprio
della cuffia di protezione, per esempio
bloccando la cuffia a una certa altezza,
comporta un aumento considerevole dei
rischi residui dovuti alla proiezione di
schegge; mentre la sua totale asportazione
aggrava anche il rischio di contatto accidentale
con l’organo di taglio.
Per la protezione dei contatti accidentali
con la lama, la cuffia deve coprire
lateralmente la lama dentata con elementi
basculanti.
È molto importante che la cuffia di
protezione non abbia oscillazioni laterali,
perché il suo contatto con la lama potrebbe
far staccare qualche dente o proiettare
schegge di lamiera della cuffia stessa.
Il coltello divisore serve per evitare
che, durante il taglio in lungo del tavolame,
i pezzi si riavvicinino dando luogo a
sbandamenti o ribaltamenti.
Il coltello deve essere posto a una distanza
non superiore a 3 mm dalla dentatura
di taglio, deve avere uno smusso verso
la lama con uno spessore inferiore alla
stessa. Una distanza eccessiva fra il coltello
divisore e la lama potrebbe impedire il
X
INSERTO
corretto passaggio della tavola in fase di
taglio.
Le lame dentate possono avere diametri
e spessori differenti, quindi, all’atto della
loro sostituzione, si deve regolare la
distanza del coltello divisore. A questo
scopo il coltello divisore è montato su un
supporto a vite senza fine che termina all’esterno
con un anello ruotando il quale è
possibile spostare assialmente il coltello,
oppure è fissato su un supporto a slitta
trattenuto da dadi che, allentati, consentono
la regolazione del coltello.
Sotto il banco della sega circolare il
disco e gli eventuali organi di trasmissione
devono essere interamente schermati.
Questa protezione non deve essere
semplicemente incernierata con il pericolo
che si rimuova per effetto delle vibrazioni,
ma saldamente avvitata così che, per effettuare
la normale pulizia e manutenzione,
si debba intervenire con cacciavite o altro
apposito attrezzo.
È assolutamente necessario riposizionare
il carter dopo le attività di manutenzione
operate. La mancata protezione della
lama sotto al piano di lavoro è, infatti,
causa di gravi infortuni per contatto con
l’operatore quando questi allunga il braccio
per afferrare i materiali in lavorazione,
accendere o spegnere la macchina, afferrare
spingitoi, utensili e DPI riposti nelle
vicinanze della macchina, ecc.
Per il taglio dei piccoli pezzi, l’addetto
deve fare uso di uno spingitoio per non
dover avvicinare le mani al disco. Si tratta,
in sostanza, di dispositivi in legno o plastica
dotati di impugnatura e variamente sagomati
per facilitare la movimentazione
del pezzo nelle immediate vicinanze della
lama.
Affinché lo spingitoio sia sempre a
portata di mano, è opportuno che sia contenuto
in una custodia applicata alla macchina,
o legato alla stessa con una fune o
una catenella.
Principali caratteristiche
e modalità di impiego
Quando la sega circolare è installata in
un’area fissa del cantiere è bene che sia
collocata, possibilmente, in una zona appartata.
Se la macchina si trova sotto il
raggio di azione della gru o in prossimità
del ponteggio, essendo configurabile come
posto fisso di lavoro, deve essere protetta
da un sovrastante impalcato di sicurezza.
Questa collocazione non è, però, la situazione
più facilmente ricorrente, infatti,
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
queste attrezzature sono utilizzate prevalentemente
per il taglio delle carpenterie
lignee di cantiere; il loro utilizzo è, quindi,
assai frequente quando in cantiere ricorrono
lavorazioni di casseratura per getto di
cemento armato o nelle fasi di messa in
opera di elementi strutturali lignei.
Per comprensibili motivi di comodità,
la sega circolare segue le squadre dei carpentieri
e viene solitamente spostata sulle
solette in armatura.
In questi casi si deve aver cura di collocarla
in zone appropriate, che di norma
dovrebbero essere in piano e su una superficie
di appoggio fissa e non cedevole,
lontane dai luoghi di maggiore transito e
attività, il cavo di alimentazione non deve
essere soggetto a danneggiamenti per calpestio.
L’operatore, prima di operare i tagli
deve verificare la stabilità della macchina
e premunirsi di disporre dello spazio
necessario per stoccare, nelle vicinanze
della postazione di lavoro, il materiale da
lavorare, il materiale lavorato e anche gli
sfridi, la segatura e i trucioli prodotti dall’attività
di taglio. È, infatti, fondamentale
che il posto di lavoro sia sempre perfettamente
pulito e ordinato per evitare pericolosi
scivolamenti o inciampi causati da detriti
di lavorazione.
Prima di iniziare la lavorazione di taglio
l’operatore deve verificare che il coltello
divaricatore e la cuffia di protezione
siano correttamente regolati.
Il coltello divaricatore ha una importante
funzione di ausilio all’operatore in
quanto riduce significativamente l’attrito
esercitato dal materiale in lavorazione sulla
lama di taglio. La cuffia di protezione,
invece, rappresenta il principale dispositivo
di protezione collettiva dell’attrezzatura,
è infatti il dispositivo che limita la proiezione
di schegge nell’ambiente di lavoro;
la cuffia di protezione deve essere regolata
accuratamente affinché possa seguire
la sagoma del materiale in lavorazione
senza generare fastidio od ostruzione
al passaggio dello stesso nella zona di
taglio.
Indossati i DPI previsti, l’operatore potrà,
quindi, iniziare la lavorazione; durante
il taglio occorre procedere con attenzione
senza avvicinare le mani alla lama né mettendole
in linea con essa.
È buona regola non esercitare eccessiva
pressione sul pezzo in lavorazione e,
quando possibile, si consiglia di spingere
il pezzo in lavorazione posizionando entrambe
le mani dalla stessa parte della lama
di taglio in modo da evitare, con la
pressione di spinta applicata, di generare
attrito sull’organo di taglio.
9 agosto 2005 ­ N. 16

Quando si inizia a segare, la rotazione
della lama deve essere al massimo dei
giri, la protezione della lama si alza automaticamente
man mano che si entra nel
pezzo di legno. Il cuneo posto dietro la
lama impedisce al legno di richiudersi dopo
il passaggio.
La velocità di taglio è strettamente legata
alle caratteristiche tecniche della sega
e alla spinta fornita dall’operatore; l’esperienza
dell’operatore è, quindi, preziosa
per trovare il giusto compromesso che
evita sia l’affaticamento dell’operatore
stesso sia quello dell’utensile.
La lama gira in senso antiorario e i
denti escono verso l’alto per cui i danni
alle fibre del legno si trovano sulla superficie
inferiore; per lavori di finitura che
richiedano un alto livello qualitativo del
taglio è bene, quindi, rivolgere verso il
basso la parte meno nobile o comunque
quella che a lavoro finito sarà nascosta.
Quando necessita cambiare la lama,
occorre staccare sempre prima l’alimentazione
e sostituire l’organo di taglio avendo
cura di orientare correttamente il senso di
rotazione; questo, di solito, è indicato da
una freccia stampigliata direttamente sulla
lama, ma nel caso questa non sia visibile
bisogna ricordare che i denti vanno sempre
verso l’alto.
Particolarmente pericolosa è la lavorazione
di pezzi piccoli che devono essere
avvicinati alla lama prestando particolare
attenzione, in questi casi si devono utilizzare
gli appositi spingitoi e i dispositivi di
presa che permettono di evitare l’avvicinamento
delle mani agli organi di taglio e
garantiscono una efficace presa del pezzo.
È necessario, inoltre, prestare particolare
attenzione alla violenta proiezione di piccoli
pezzi che la velocità di rotazione della
lama potrebbe causare.
Durante il taglio l’operatore deve,
quindi, mantenersi con il viso ad adeguata
distanza dalla lama di taglio (posizione
eretta), evitando di avvicinare
eccessivamente il volto al pezzo in lavorazione.
Particolare attenzione va, infine, dedicata
all’inerzia rotativa della lama, anche
dopo il disinserimento dell’alimentazione;
essa, infatti, continuerà a girare ancora per
alcuni secondi, mantenendo potenzialità
di taglio in caso di contatto con essa.
Come per ogni macchina, la manutenzione
costante della sega circolare è importante
per il suo corretto funzionamento
in sicurezza. Se la trasmissione avviene
mediante cinghie, queste devono essere
frequentemente controllate e, se necessa-
9 agosto 2005 ­ N. 16
INSERTO
rio, sostituite senza attendere una loro eccessiva
usura.
Va verificata la dentatura della lama,
che deve essere integra e bene affilata per
evitare rotture, proiezioni di materiali e
l’eccessiva rumorosità. Le parti meccaniche
che richiedono lubrificazione devono
essere periodicamente ingrassate.
Il banco e la zona circostante devono
essere sempre puliti e sgombri di materiali.
La parte sottostante il banco deve essere
ripulita dalla segatura e dai materiali di
scarto.
In considerazione del numero elevato
di incidenti generati da questa attrezzatura
è, quindi, indispensabile operare rigorosamente
rispettando alcune regole di buon
comportamento professionale:
l è vietato effettuare operazioni di manutenzione
o pulizia con la sega circolare in
moto;
l è vietato l’uso dell’aria compressa per
la pulizia della sega circolare;
l durante l’uso della sega circolare sono
vietati indumenti che possono impigliarsi,
bracciali o altro;
l durante l’uso della sega circolare per il
taglio di tavolame in lungo è d’obbligo
utilizzare il coltello divisore opportunamente
regolato;
l durante l’uso della sega circolare deve
essere utilizzata una cuffia di protezione
opportunamente regolata;
l durante l’uso della sega circolare deve
essere utilizzato il coltello divaricatore opportunamente
regolato;
l per l’uso della sega circolare devono
essere osservate le ore di silenzio imposte
dai regolamenti locali;
l durante l’uso della sega circolare devono
essere adoperati idonei spingipezzo
in relazione al tipo di lavoro da eseguire;
l non abbandonare mai la postazione lasciando
la lama in funzione.
Documentazione
a corredo della macchina
Tutte le seghe circolari di nuova fabbricazione
devono essere provviste di targa
riportante, in modo facilmente leggibile e
indelebile, almeno le seguenti indicazioni:
l nome e indirizzo del fabbricante;
l designazione della serie e del tipo;
l anno di fabbricazione;
l eventuale numero di serie;
l marcatura CE e altri marchi di conformità;
l principali caratteristiche tecniche della
macchina.
Come tutte le macchine di cantiere so-
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
no soggette alla marcatura CE, a dichiarazione
di conformità nonché al rilascio del
libretto di istruzioni circa l’uso e la manutenzione.
Pertanto, la macchina deve essere
dotata di un documento riportante le
informazioni di carattere tecnico, le istruzioni
d’uso e manutenzione ordinaria,
straordinaria e preventiva, e le indicazioni
necessarie per eseguire in sicurezza la
messa in funzione, l’utilizzazione, il trasporto,
l’installazione, il montaggio e lo
smontaggio, la regolazione, la manutenzione
e la riparazione della macchina.
È necessario leggere attentamente il libretto
d’istruzioni che deve comprendere
tutte le informazioni necessarie a un uso e
manutenzione adeguata, ivi comprese le
possibilità di montare accessori. Gli stessi
accessori sono a loro volta “macchine” e
devono quindi essere marcati CE. I rispettivi
documenti di accompagnamento devono
specificare a quali macchine (costruttore,
tipo e modello) possono essere
applicati. È vietato assemblare macchine e
accessori che non siano esplicitamente
compatibili.
Agli effetti dei limiti di emissione acustica,
le seghe circolari, sono macchine
soggette alla sola marcatura ai sensi del
D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 262, Allegato
I, parte C; la documentazione che accompagna
la macchina deve, quindi, fornire
informazioni sull’emissione sonora e sulle
vibrazioni prodotte. Il parametro da indicare
nella dichiarazione di conformità è il
diametro dell’utensile [mm].
Operatore addetto
all’utilizzo
La legislazione nazionale non prevede
alcuna formazione obbligatoria per l’utilizzo
e la manutenzione di attrezzature
quali le seghe circolari. Tuttavia, con l’entrata
in vigore del D.Lgs. 19 settembre
1994, n. 626, il legislatore ha introdotto il
principio per cui queste macchine, così come
tutte le attrezzature speciali, debbano
essere utilizzate dall’operatore solo dopo
una formazione adeguata e specifica. Questa
formazione deve garantire che l’uso
delle macchine avvenga in modo corretto,
in relazione ai rischi che possono essere
causati a se stessi o ad altre persone.
L’utilizzo di una qualsiasi macchina richiede
sempre una particolare competenza
e preparazione tecnica, nonché un elevato
senso di responsabilità. Quindi, l’operatore
deve possedere specifici requisiti psicofisici
per essere idoneo a svolgere questo lavoro.
Pertanto, l’uso di questi mezzi deve
XI

SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
essere riservato solo a personale incaricato.
Gli operatori debbono essere opportunamente
addestrati sull’uso della macchina
e informati su eventuali rischi particolari
presenti nei luoghi di lavoro.
È consigliato un corso di formazione
che preveda l’insegnamento di un uso efficace
e sicuro della macchina e una conoscenza
specifica del funzionamento dell’impianto
elettrico per gli interventi di pulizia
e manutenzione.
L’operatore deve utilizzare l’attrezzatura
con un abbigliamento da lavoro adeguato,
consistente in una tuta idonea antimpigliamento,
che gli consenta libertà nei movimenti,
guanti da lavoro aderenti e scarpe
antinfortunistiche con suola antisdrucciolo.
Gli indumenti devono essere il più possibile
aderenti (nei limiti della comodità) e
senza accessori svolazzanti, cioè senza
cinghiette, bretelle, frange o qualsiasi altra
parte che possa impigliarsi o, ancor peggio,
venir agganciata da organi rotativi.
Individuazione
e analisi dei rischi
Diversi infortuni sono avvenuti e continuano
ad avvenire utilizzando le seghe
circolari. La maggior parte degli infortuni
avvengono:
l quando la cuffia di protezione, se presente,
non è correttamente montata o adoperata;
l quando manca il coltello divisore o, se
presente, la distanza tra lo stesso e il disco
è eccessiva;
l quando l’operatore, per lavori minu-
XII
INSERTO
Check list per lavorare in sicurezza
con la sega circolare da cantiere
Rischio Elettrocuzione
Magnitudo Grave
Misure
di Prevenzione
e Protezione
ziosi, che richiedono l’avvicinamento delle
mani al disco, non utilizza appositi
spingitoi di sicurezza;
l quando la zona di lavoro non è adeguatamente
pulita e la possibilità di inciampare
o perdere l’equilibrio è alta;
l quando mancano le protezioni o schermature
degli ingranaggi negli organi in
movimento.
Si può concludere che, durante l’uso
della sega circolare, si possono riscontrare
principalmente i seguenti rischi particolari:
l elettrocuzione;
l tagli, ferite e amputazioni dovute al
contatto accidentale con l’organo di taglio,
con cinghie e pulegge, con organi di trasmissione
del moto;
l rifiuto del pezzo con proiezione dello
stesso;
l proiezione di schegge o trucioli;
l proiezioni del disco di parti di esso;
l urti, punture, tagli, abrasioni e schiacciamenti
durante la movimentazione del
materiale;
l rumore;
l impigliamento degli indumenti durante
l’uso;
l scivolamenti, cadute a livello;
l rischi derivanti dall’ambiente circostante
(polvere, ecc.);
l rischi derivanti dalle attività di manutenzione
o da malfunzionamenti dovuti alla
mancanza di manutenzione.
Valutazione del rischio,
prevenzione e protezione
Le macchine utilizzate debbono posse-
• verificare l’integrità dell’impianto elettrico;
• in cantiere utilizzare solo macchine elettriche con grado di protezione meccanica contro la penetrazione
di corpi solidi e liquidi minimo IP44, o se l’attrezzatura viene utilizzata in ambienti umidi o in presenza
di acqua, come nella maggiore parte dei casi, la protezione deve essere non inferiore a IP55 (Norma CEI
70­1);
• la linea di alimentazione della sega circolare deve essere protetta da un interruttore magnetotermico;
• il quadro elettrico da cui viene alimentata l’attrezzatura deve essere del tipo ASC;
• l’interruttore differenziale che protegge la linea di alimentazione deve possedere una soglia di intervento
minore o uguale 0,03 A (30 mA);
• il cavo di alimentazione o presa mobile (prolunga) deve essere di tipo flessibile per esterno (H07RN­F o
tipo equivalente);
• le prese a spina devono rispondere alle norme CEI 23­12 ed avere un grado di protezione almeno IP 55
(o IP67) e dispositivo di ritenuta;
• tutte le macchine elettriche di classe 1 devono essere collegate all’impianto di terra;
• qualora risulti necessario, la macchina dovrà essere protetta contro le scariche atmosferiche secondo
quanto previsto da CEI 81­1.
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
dere, funzionanti, tutti i dispositivi di sicurezza
previsti dalla legge e debbono essere
mantenute in efficienza mediante regolare
manutenzione.
Le attività di seguito illustrate debbono
intendersi come presidio minimo alla buona
realizzazione in sicurezza delle diverse
fasi di lavorazione.
La valutazione del rischio dovrà essere
opportunamente integrata in relazione al
contesto operativo nel quale si è chiamati
a operare e alle caratteristiche specifiche
della macchina.
Si prefigura la necessità di ricorrere
all’utilizzo di Dispositivi di Protezione Individuale
per minimizzare il rischio residuo
a livelli accettabili.
I DPI da considerarsi in via preliminare
per l’operatore sono:
l casco di sicurezza (UNI EN 397);
l calzature di sicurezza con puntale in
acciaio, soletta antiforo, suola antisdrucciolo
(UNI EN 345-S3);
l occhiali di sicurezza o visiere per la
protezione meccanica (EN166);
l indumenti protettivi antimpigliamento
e/o tute di lavoro (UNI EN 340);
l otoprotettori (EN352-1, EN352-2,
EN352-3), sulla base della valutazione di
rischio acustico ex D.Lgs. n. 277/1991;
l guanti per la protezione da rischi meccanici
di tipo aderente (UNI EN 388);
l mascherine monouso (EN149-P1), solo
se la lavorazione espone a polveri, per
esempio, al chiuso. l
9 agosto 2005 ­ N. 16

Rischio
9 agosto 2005 ­ N. 16
INSERTO
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
Tagli, ferite ed amputazioni dovute al contatto accidentale con l’organo di taglio
o con cinghie e pulegge o con organi di trasmissione del moto
Magnitudo Grave
Misure
di Prevenzione
e Protezione
• verificare la presenza ed efficienza della cuffia di protezione registrabile o a caduta libera sul banco di
lavoro in modo tale che risulti libera la sola parte attiva del disco necessaria per effettuare la lavorazione;
• controllare l’efficacia del coltello divisore in acciaio posto dietro la lama e registrato a non più di 3 mm
dalla dentatura del disco;
• verificare la presenza e l’efficienza degli schermi ai due lati del disco nella parte sottostante il banco di
lavoro;
• controllare che il piano di lavoro sia piano e stabile poiché le vibrazioni eccessive potrebbero provocare
lo sbandamento del pezzo in lavorazione e le mani potrebbero entrare in contatto con la lama;
• durante l’uso della sega circolare sono vietati indumenti che possono impigliarsi, bracciali o altro;
• durante l’uso della sega circolare devono essere adoperati idonei spingipezzo in relazione al tipo di
lavoro da eseguire;
• non abbandonare mai la postazione lasciando la lama in funzione;
• durante le lavorazioni di taglio non avvicinare mai le mani alla lama;
• disinserire l’alimentazione della macchina durante le operazioni di spostamento;
• gli elementi delle macchine, devono essere protetti o segregati o provvisti di dispositivi di sicurezza
quando sono fonte di pericolo;
• cinghie ed organi di trasmissione del moto devono essere protetti da carter, griglie o altri dispositivi
che impediscano contatti accidentali;
• utilizzare vestiti da lavoro antimpigliamento (guanti, tute, ecc.) perfettamente allacciati e senza propaggini
svolazzanti;
• è assolutamente vietato operare manutenzione o pulizia su organi in movimento.
Rischio Vibrazioni
Magnitudo Bassa
Misure
di Prevenzione
e Protezione
• l’esecuzione programmata della manutenzione, la verifica periodica dell’idoneità della macchina e la
verifica della rumorosità della stessa permettono di intervenire tempestivamente per prevenire il rischio;
• nei lavori dove vengono impiegate macchine che producono forti vibrazioni, devono essere ridotti i
turni di lavoro.
Rischio Rumore
Magnitudo Grave
Misure
di Prevenzione
e Protezione
• considerato che la limitazione del rischio deve sempre avvenire alla fonte, il rischio rumore è possibile
limitarlo seguendo alcuni accorgimenti: effettuando la manutenzione ordinaria e straordinaria della
macchina, con particolare riguardo alla verifica dell’usura del disco;
• le parti meccaniche che richiedono lubrificazione devono essere periodicamente ingrassate;
• il rumore emesso dalla sega circolare durante il taglio è molto alto, varia normalmente da 95 a 105
dB(A), anche tempi di esposizione modesti, possono produrre nel tempo lesioni all’apparato uditivo;
• l’esecuzione programmata della manutenzione, la verifica periodica dell’idoneità della macchina e la
verifica della rumorosità della stessa permettono di intervenire tempestivamente per prevenire il rischio;
• le macchine e le attrezzature operanti all’aperto, devono attestare il livello di emissione rumorosa, secondo
quanto previsto dal D.Lgs. 4/9/2002, n. 262;
• per l’uso della sega circolare devono essere osservate le ore di silenzio imposte dai regolamenti locali;
• gli operatori, in relazione agli esiti della valutazione rischio rumore aziendale operata ai sensi del
D.Lgs. n. 277/1991, devono essere sottoposti agli accertamenti sanitari;
• il datore di lavoro provvede a informare, formare e addestrare i lavoratori sul rischio rumore alla salute
e sulle misure preventive e protettive da adottare per farvi fronte;
• i lavoratori oltre alle disposizioni precedenti devo obbligatoriamente utilizzare i DPI forniti dal datore
di lavoro.
Rischio Rifiuto del pezzo e proiezione di materiale
Magnitudo Media
Misure
di Prevenzione
e Protezione
• verificare le perfette condizioni della lama di taglio;
• iniziare il taglio del materiale con la lama in rotazione;
• non avviare l’utensile con i denti della lama puntati sul pezzo in lavorazione;
• impugnare saldamente il pezzo o utilizzare adeguati spingitoi per avvicinare il materiale alla zona di
taglio;
• verificare la dentatura della lama, che deve essere integra e bene affilata per evitare rotture e proiezioni
di materiali;
• tenere accuratamente pulita la superficie del banco di taglio avendo cura di allontanare anche piccoli
scarti o frammenti di legno di piccola dimensione.
• indossare adeguati DPI per proteggersi dai rischi residui (casco, visiera o occhiali di sicurezza);
• non sovraccaricare la macchina.
XIII

XIV
SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
INSERTO
Rischio Proiezione di schegge e trucioli
Magnitudo Grave
Misure
di Prevenzione
e Protezione
• verificare le perfette condizioni della lama di taglio;
• verificare la dentatura della lama, che deve essere integra e bene affilata per evitare rotture e proiezioni
di materiali;
• durante il taglio non avvicinare eccessivamente il viso alla lama; per facilitare la visione dell’operatore,
mantenere pulita l’area di taglio dalla segatura;
• verificare la presenza ed efficienza della cuffia di protezione registrabile o a caduta libera sul banco di
lavoro in modo tale che risulti libera la sola parte attiva del disco necessaria per effettuare la lavorazione.
Tenere accuratamente pulita la superficie del banco di taglio avendo cura di allontanare anche piccoli
scarti o frammenti di legno di piccola dimensione;
• indossare adeguati DPI per proteggersi dai rischi residui (casco, visiera o occhiali di sicurezza);
• non sovraccaricare la macchina.
Rischio Uso improprio del mezzo
Magnitudo Bassa
Misure
di Prevenzione
e Protezione
• la macchina deve essere utilizzata in modo rispondente alle sue caratteristiche, senza subire modificazioni
o essere utilizzata per usi impropri;
• utilizzare solo accessori e lame del diametro previsto dal libretto d’uso e manutenzione;
• non utilizzare l’attrezzatura se non si conosce perfettamente il funzionamento dei dispositivi di comando;
• durante le operazioni di innalzamento in quota della macchina mediante gru utilizzare imbrachi adeguati
fissati agli appositi golfari predisposti dal costruttore.
Rischio Scivolamenti e cadute a livello
Magnitudo Media
Misure
di Prevenzione
e Protezione
Rischio
• prima di iniziare qualsiasi attività lavorativa bisogna organizzare le aree di lavoro, gli spazi da adibire
a deposito, gli spazi da destinare alle attrezzature, in maniera tale da consentire tutti gli spostamenti sul
piano di lavoro in sicurezza;
• scarti e detriti del materiale in lavorazione devono essere periodicamente allontanati affinché non diventino
ostacolo all’equilibrio e agli spostamenti dell’operatore;
• mantenere pulita l’area circostante la macchina, in particolare quella corrispondente al posto di lavoro,
poiché il materiale eventualmente depositato potrebbe provocare inciampi o scivolamenti; inoltre
,eventuale materiale malamente depositato, può costituire intralcio durante l’uso e distrarre l’addetto
dall’operazione di taglio;
• il posto di lavoro deve essere raggiungibile agevolmente e in piena sicurezza; ciò significa che all’occorrenza
devono essere predisposti punti di appoggio con superficie antiscivolo per i piedi (pedane, grigliati,
ecc.).
Urti, colpi, impatti, compressioni e schiacciamento causati
dal contatto con il materiale in lavorazione
Magnitudo Bassa
Misure
di Prevenzione
e Protezione
• delimitare la zona di lavoro;
• stoccare ordinatamente il legname e i materiali in lavorazione in cataste perfettamente stabili, la cui
altezza non sia mai tale da generare un pericolo per i lavoratori in caso di caduta o dissesto statico;
• movimentare il materiale con cura dopo aver verificato di disporre di spazi adeguati;
• utilizzare DPI (casco, scarpe di sicurezza, guanti aderenti) per i rischi residui;
• se la postazione di lavoro è soggetta al raggio d’azione della gru o di altri mezzi di sollevamento, ovvero
se si trova nelle immediate vicinanze di opere in costruzione, per evitare rischi di caduta di materiali o
investimento dall’alto occorre che sia protetta da robusti impalcati soprastanti la cui altezza non superi
i 3 m.
Rischio Polvere
Magnitudo Bassa
Misure
di Prevenzione
e Protezione
• l’utilizzo della sega circolare in spazi non confinati, genera la produzione di polveri, per le quali, se non
vengono trattenute adeguatamente dalla cuffia di protezione, potrebbe essere necessario l’utilizzo di
appositi dispositivi di protezione individuale (mascherine);
• gli operatori esposti a rischi di inalazioni pericolose di gas, polveri o fumi nocivi, devono essere muniti
di maschere respiratorie o altri dispositivi idonei.
Rischio Rischi indotti dalle attività di manutenzione
Magnitudo Bassa
Misure
di Prevenzione
e Protezione
• il banco e la zona circostante devono essere sempre puliti e sgombri di materiali;
• la parte sottostante il banco deve essere ripulita dalla segatura e dai materiali di scarto;
• è vietato effettuare operazioni di manutenzione o pulizia con la sega circolare in moto;
• è vietato l’uso dell’aria compressa per la pulizia della sega circolare.
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
9 agosto 2005 ­ N. 16

9 agosto 2005 ­ N. 16
INSERTO
Rischio Rischi indotti da malfunzionamenti
Magnitudo Bassa
Misure
di Prevenzione
e Protezione
Check list per lavorare in sicurezza
con la sega circolare da cantiere
Prima di iniziare il turno di lavoro verificare le condizioni del mezzo:
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
• effettuare un controllo visivo di tutta la macchina; q
• esaminare attentamente tutta la struttura osservando eventuali danni strutturali evidenti; q
• provvedere alla pulizia periodica dell’attrezzatura; q
• verificare che non vi siano manomissioni dei carter di protezione e i sistemi di sicurezza; q
• provvedere alla lubrificazione delle varie parti secondo quanto prescritto dal costruttore nel libretto d’uso e manutenzione; q
• segnalare l’area operativa esposta a livello di rumorosità elevata; q
• verificare l’efficienza e il regolare funzionamento di tutte le leve di comando; q
• verificare il buon funzionamento dell’interruttore di manovra e dell’interruttore a fungo di emergenza; q
• verificare l’efficienza dei dispositivi di arresto rapido; q
• verificare l’integrità dei collegamenti elettrici e di terra dei fusibili e delle coperture delle parti sotto tensione (scatole
morsettiere ­ interruttori);
q
• verificare la disposizione del cavo di alimentazione (non deve intralciare le manovre, non deve essere soggetto a urti o a
danneggiamenti con il materiale lavorato o da lavorare, non deve intralciare i passaggi);
• verificare la presenza ed efficienza della cuffia di protezione registrabile o a caduta libera sul banco di lavoro in modo tale
che risulti libera la sola parte attiva del disco necessaria per effettuare la lavorazione;
• controllare l’efficacia del coltello divisore in acciaio posto dietro la lama e registrato a non più di 3 mm dalla dentatura del
disco;
• verificare la presenza e l’efficienza degli schermi ai due lati del disco nella parte sottostante il banco di lavoro; q
• curare l’orizzontalità e la stabilità della macchina; q
• controllare che il piano di lavoro sia orizzontale e stabile poiché le vibrazioni eccessive potrebbero provocare lo sbandamento
del pezzo in lavorazione e le mani potrebbero entrare in contatto con la lama;
q
• mantenere pulita l’area circostante la macchina, in particolare quella corrispondente al posto di lavoro poiché il materiale
eventualmente depositato potrebbe provocare inciampi o scivolamenti inoltre eventuale materiale malamente depositato
può costituire intralcio durante l’uso e distrarre l’addetto dall’operazione di taglio;
• verificare la presenza ed efficienza degli spingitoi di legno per aiutarsi nel taglio di piccoli pezzi (se ben conformati ed
utilizzati evitano di portare le mani troppo vicino al disco o comunque sulla sua traiettoria.
Durante il lavoro:
• segnalare tempestivamente eventuali anomalie o guasti di funzionamento o situazioni pericolose;
• operare la manutenzione e i tagliandi di revisione secondo le indicazioni fornite dal produttore.
• adottare tutte le misure di sicurezza e precauzioni prescritte dal manuale d’uso della macchina; q
• delimitare la zona di lavoro e interdire l’accesso agli operatori in prossimità della zona di lavoro; q
• allontanare il personale che si dovesse trovare all’interno degli spazi operativi della macchina; q
• registrare la cuffia di protezione in modo tale che venga a sfiorare il pezzo in lavorazione; q
• registrare le cuffie basculanti, verificando che sia libera di alzarsi al passaggio del pezzo in lavorazione e successivamente
di abbassarsi sul banco di lavoro;
q
• mantenere la superficie del banco di lavoro pulita da scorie o altro materiale; q
• non distrarsi, non distogliere gli occhi dal pezzo in lavorazione; q
• non avvicinare eccessivamente le mani alla lama (utilizzare adeguati spingitoi); q
• non tenere le mani sulla traiettoria della lama (utilizzare adeguati spingitoi); q
• utilizzare gli spingitoi per aiutarsi nel taglio di piccoli pezzi o per tagli nei quali le mani si verrebbero a trovare sulla traiettoria
del disco (realizzazione di puntelli, cunei, ecc.);
q
q
q
q
q
q
XV

SICUREZZA DELLE MACCHINE
Articolo
INSERTO
• non attuare eimpedire qualsiasi utilizzo improprio della macchina; q
• rispettare i regolamenti locali in merito alle ore di silenzio; q
• utilizzare i dispositivi di protezione individuale e collettivi; q
• se la lavorazione o la macchina sottopongono l’operatore a vibrazioni intense e/o prolungate predisporre turni di lavoro
brevi intervallati da pause o con turnazione dei lavoratori;
• durante le pause di lavoro non lasciare la macchina in funzione; q
• sospendere immediatamente il lavoro in caso di gravi anomalie di funzionamento; q
• segnalare appena possibile al preposto eventuali difetti di funzionamento ed eventuali incidenti verificatisi; q
• non attendere la fine del proprio turno di lavoro per segnalare quanto sopra. q
Al termine del turno di lavoro:
• lasciare il banco di lavoro libero da materiali e l’attrezzatura in piena efficienza; q
• lasciare il posto di lavoro e la zona circostante pulita; q
• verificare l’efficienza dei comandi e degli impianti prima di terminare il proprio turno; q
• verificare l’efficienza delle protezioni; q
• pulire il mezzo e gli organi di comando. È assolutamente vietato operare manutenzione o pulizia su organi in movimento; q
• non disperdere oli o altri liquidi inquinanti nell’ambiente; q
• segnalare eventuali guasti di funzionamento; q
• per la pulizia degli organi meccanici non vanno mai utilizzati liquidi infiammabili come gasolio, nafta, benzina, ecc., ma
appositi liquidi detergenti non infiammabili e non tossici;
• eseguire il ciclo di manutenzione e pulizia come descritto nel manuale; q
• eseguire le operazioni di revisione e manutenzione necessarie al reimpiego della macchina; q
• conservare la macchina utensile in perfetta efficienza. q
XVI
www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com
q
q
9 agosto 2005 ­ N. 16