Si muore generalmente perché si è soli o perché si ... - Progetto Melo
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natiche. Va dal dottore e gli dice: Dottore, stavo passando sopra un filo spinato, mi sono graffiato e<br />
la ferita <strong>si</strong> <strong>è</strong> infettata . Il medico lo vi<strong>si</strong>ta e sentenzia: "Per quel che posso vedere, non mi sembra<br />
una ferita da filo spinato". E l'altro: "Dottore, giuro che l'infezione me la sono provocata così, ma lei<br />
mi curi come <strong>si</strong> trattasse di altra cosa..."». Messaggio di Buscetta: « Lei non crede che <strong>si</strong> tratti di un<br />
delitto mafioso, io sono <strong>si</strong>curo di sì. Faccia le sue indagini come se fosse un delitto mafioso».<br />
Il messaggio può assumere un tono decisamente minaccioso. Può annunciare la morte.<br />
Prudenti e di poche parole, gli uomini d'onore sanno usare l'avvertimento. Il pentito Antonino<br />
Calderone mi raccontava nel 1987 che quando suo fratello, Giuseppe, capo della «provincia»<br />
catanese e della «Regione», trovò nella sua auto un ordigno esplo<strong>si</strong>vo, per prima cosa <strong>si</strong> diede da<br />
fare per scoprire, tramite amici e protettori, da che parte veniva il pericolo. Telefona al compare di<br />
Palermo, Stefano Bontate, e fissa un appuntamento con lui, con Gaetano Badalamenti e con Rosario<br />
Riccobono. Il suo racconto viene ascoltato con apparente indifferenza dai palermitani che appaiono<br />
assai enigmatici. Alla fine dell'incontro, quando tutti in<strong>si</strong>eme stanno per andare a pranzo a Trabia,<br />
Badalamenti <strong>si</strong> mette a fischiettare un motivetto il cui refrain suona più o meno: « Spara o sparisci.<br />
Altrimenti altri spareranno contro di te». Calderone afferra al volo il messaggio, capisce che il<br />
tempo di discutere <strong>è</strong> passato, che bisogna lasciar parlare le armi. Verrà ucciso poco tempo dopo.<br />
Questi uomini degni di Machiavelli, che vivono perennemente sulla difen<strong>si</strong>va, sono costretti<br />
a essere <strong>si</strong>ntetici. Con il passare degli anni, hanno cambiato però atteggiamento nei loro rapporti<br />
con la magistratura.<br />
Fino a quando la regola non scritta <strong>è</strong> stata quella della non ingerenza tra i due ordinamenti,<br />
lo Stato e la mafia, il copione da rispettare era fisso: qualche anno di prigione, il potere di uno Stato<br />
«straniero» da sopportare e alla fine il ritorno a casa del mafioso con un'aureola di maggior<br />
prestigio. Il copione coi giudici era perfettamente rodato, con il suo rituale di omaggi ossequio<strong>si</strong> e di<br />
assoluta mancanza di collaborazione costruttiva. Il comportamento dei mafio<strong>si</strong>, distaccato e<br />
apparentemente servile, intriso di ironia,rendeva l'interrogatorio del tutto aleatorio. Gli avvocati agli<br />
inizi mi dicevano: «Lei, al mas<strong>si</strong>mo, può chiedere al mio cliente solo che ora <strong>è</strong>». Quando gli obitori<br />
hanno cominciato a riempir<strong>si</strong> di cadaveri di uomini d'onore e lo Stato ha mostrato una certa<br />
propen<strong>si</strong>one (provvisoria) a combattere, il lato cerimonioso ha perso importanza e ciascuno ha<br />
rivelato i tratti tipici del proprio carattere: alcuni hanno urlato, altri <strong>si</strong> sono mostrati insolenti fino<br />
alla minaccia, altri hanno dato in escandescenze, altri <strong>si</strong> sono rifiutati di rispondere, chiedendo<br />
tuttavia al giudice di «non volergliene», e infine altri hanno collaborato, come accade in un<br />
qual<strong>si</strong>a<strong>si</strong> paese civile.<br />
Quando saltano le regole ancestrali, quando lo Stato decide di combattere sul serio la mafia,<br />
quando forze dell'ordine e magistrati fanno realmente e fino in fondo il proprio dovere, i<br />
comportamenti degli imputati cambiano.<br />
Nel 1980 ho interrogato per la prima volta Michele Greco, non ancora indicato come il capo<br />
di Cosa Nostra. Dopo un lungo monologo che ascolto pazientemente Sui suoi meriti di uomo dedito<br />
al bene e onesto lavoratore, gli contesto alcuni indizi di una certa gravità (chiedo informazioni su<br />
alcuni assegni che ha ricevuto senza una ragione plau<strong>si</strong>bile dal boss mafioso Giovanni Bontate).<br />
Reso<strong>si</strong> conto che non avrei formulato una serie di accuse vaghe, ma che intendevo contestargli fatti<br />
preci<strong>si</strong>, <strong>si</strong> sente in difficoltà. E rifiuta di rispondere, assumendo un atteggiamento scortese e molto<br />
minaccioso.<br />
Quando nel 1986, dopo anni di latitanza, lo interrogo una seconda volta, mi chiede subito<br />
scusa per l'atteggiamento tenuto in passato e poi trova modo di trasmettermi due messaggi. Per<br />
prima cosa mi paragona a Maradona,« invincibile sul campo, salvoquando gli fanno lo sgambetto »,<br />
per farmi capire che ha i mezzi per farmi eliminare. Quindi mi dice di essere stato amico del<br />
procuratore generale di Palermo Emanuele Pili, un magistrato molto discusso per i metodi scorretti<br />
usati al tempo dell'ucci<strong>si</strong>one del bandito Salvatore Giuliano. Che intende dire Michele Greco?<br />
Secondo me: «Attento, sono un uomo potente, tratto con gente al di sopra di te, ho buoni rapporti<br />
con il potere e tu, tu non sei nessuno... ».