Dottrina e attualita` giuridiche - Giurisprudenza
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<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong><br />
Introduzione, diFranco Modugno, pag. 2815.<br />
questo numero<br />
a cura di Franco Modugno<br />
Giudicato e funzione legislativa<br />
Il “valore” del giudicato nell’ordinamento costituzionale, diGiovanni Serges, pag. 2819.<br />
Giudicato civile e diritto costituzionale: incontri e scontri, diRemo Caponi, pag. 2827.<br />
Appunti sul c.d. “giudicato costituzionale”, diAugusto Cerri, pag. 2831.<br />
Primauté del diritto comunitario e principio della res iudicata nazionale: un difficile equilibrio<br />
di Chiara Di Seri, pag. 2835.<br />
FRANCO MODUGNO<br />
Introduzione<br />
1. Com’è a tutti noto, “giudicato”, ovvero “cosa giudicata”,<br />
sono termini e sintagmi adoperati, in generale, per designare la<br />
sentenza o altro provvedimento giudiziale non più suscettibile<br />
di impugnazione, ossia non più rimovibile.<br />
L’art. 2909 c.c. stabilisce che «l’accertamento contenuto nella<br />
sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti,<br />
i loro eredi e aventi causa». Si tratta della c.d. “cosa giudicata<br />
sostanziale”, da porre in relazione con il tipico valore vincolante<br />
della sentenza, con l’immutabilità dei suoi effetti; mentre l’art.<br />
324 c.p.c. riguarda la c.d. “cosa giudicata formale”, ossia la non<br />
impugnabilità della sentenza, dal momento in cui non sono più<br />
esperibili gli ordinari mezzi di impugnazione (immutabilità della<br />
sentenza come atto).<br />
È conseguente a questa distinzione che, mentre tutte le sentenze<br />
(sia di merito, sia di rito) passano in cosa giudicata formale,<br />
la c.d. “cosa giudicata sostanziale” si ritiene che possa<br />
riguardare certamente le sentenze sul merito, che accolgono o<br />
rigettano la domanda, ossia che attribuiscono un bene della vita<br />
(manifestando in tal modo una maggiore stabilità); le sentenze<br />
sulle condizioni dell’azione, ossia sull’esistenza-inesistenza dell’interesse<br />
e della legittimazione ad agire, sempre peraltro che<br />
interesse e legittimazione non siano nel frattempo sopravvenuti;<br />
le sentenze della Cassazione che regolano la competenza (artt. 49<br />
e 310 cpv. c.p.c.). Si ritiene cioè comunemente che solo queste<br />
sentenze esplichino efficacia fuori del processo (Redenti parlava<br />
di «efficacia pan processuale») e impediscano la riproposizione<br />
della domanda fra le stesse parti.<br />
È stato peraltro molto opportunamente osservato che, se è<br />
vero che «la decisione, che pone termine al processo, deve avere<br />
una qualche stabilità; perché, ove non l’avesse, sarebbe una<br />
decisione solo apparente, che non supera le incertezze di partenza»,<br />
non di meno tale stabilità va graduata: «Questa stabilità<br />
è massima quando la decisione attribuisce il “bene della vita”, a<br />
carattere economico o morale, destinato a vivere nella vita sociale<br />
ed economica», mentre «eguale grado di resistenza non<br />
vale per decisioni, pur definitive, che non attribuiscano il bene<br />
della vita» 1 . Il c.d. “giudicato sostanziale” va, su questa base,<br />
distinto dal c.d. “giudicato formale”, per il quale si può parlare,<br />
invece, di volta in volta, di efficacia pan processuale o ragionare,<br />
nelle varie ipotesi, di “preclusioni”.<br />
Del resto, la stessa c.d. “cosa giudicata” in senso formale che<br />
riguarda «la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di<br />
competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione<br />
per i motivi di cui ai numeri4e5dell’articolo 395» (art.<br />
324 c.p.c.) non impedisce che la revocazione sia sempre proponibile<br />
nei casi (art. 395, nn. 1, 2, 3, e 6) in cui i motivi siano fondati<br />
su circostanze scoperte successivamente al passaggio in giudicato<br />
della sentenza e senza limite di tempo. Il che induce a concludere<br />
che una sentenza non passa mai in modo definitivo ed<br />
assoluto in giudicato, essendo sempre possibile rinvenire circostanze<br />
che consentano la revocazione (o la revisione nel processo<br />
penale). È pur vero, peraltro, che la sentenza che costituisce giudicato<br />
in senso formale esplichi, almeno tendenzialmente, gli effetti<br />
di un giudicato c.d. “sostanziale” (ex art. 2909 c.c.), salve le<br />
successive possibili conseguenze di una revocazione.<br />
Il problema della stabilità del giudicato si incontra dunque, in<br />
generale, ma non solo, con le possibilità, positivamente stabilite,<br />
della revocazione. L’esigenza, il valore della “verità”, della “giustizia”<br />
sostanziale, non può indiscriminatamente prevalere sulla<br />
pragmatica necessità didecidere in tempi ragionevoli su chi ha<br />
ragione e chi ha torto, su chi ha diritto a conseguire (o a mantenere)<br />
il bene della vita in questione, sul valore insomma della<br />
“certezza” (e della rapidità) della decisione. Ma non può (e non<br />
deve) neppure accadere l’inverso: il valore della “certezza” non<br />
può nullificare il perseguimento della verità e della giustizia (del<br />
caso concreto). Il “giudicato” (e la sua relativa stabilità) non è<br />
allora che il precipitato della ponderazione e del bilanciamento<br />
tra i due valori in una società retta dal diritto.<br />
2. Il diritto positivo — la legislazione — stabilisce la misura<br />
del bilanciamento tra i due valori. L’applicazione giudiziale della<br />
legge mette capo a giudicati (sostanziali) assistiti da (relativa)<br />
stabilità. Ma — negli ordinamenti costituzionali contemporanei<br />
o nella maggior parte di essi — vi sono (almeno) due piani di<br />
legalità: la legalità ordinaria della legislazione e la legalità (o<br />
meglio: legittimità) costituzionale alla quale la prima deve conformarsi.<br />
E oggi si aggiunge il (terzo) piano della legalità sovranazionale<br />
(comunitaria).<br />
Il giudicato (civile, penale, amministrativo) si incontra così<br />
con il diritto costituzionale. La conformità della legislazione<br />
(ordinaria) alla Costituzione è assicurata dalle decisioni della<br />
Corte costituzionale. Ai giudicati delle decisioni giudiziali si<br />
aggiungono (si sovrappongono?) i giudicati di quelle decisioni,<br />
prese nei diversi giudizi di competenza della Corte. Se la legge<br />
applicata dal giudice è successivamente dichiarata incostituzionale,<br />
ne risentiranno —einquale misura — quei primi giudicati?<br />
Ma le stesse decisioni costituzionali esprimono poi, e in<br />
E ATTUALITÀ GIURIDICHE<br />
1 Cerri, Appunti sul c.d. “giudicato costituzionale”, infra, par. 2. DOTTRINA<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009
2816<br />
qual senso, dei veri e propri “giudicati” intesi in senso sostanziale?<br />
Inoltre, su quale fondamento costituzionale si regge, direttamente<br />
o indirettamente, l’autorità di cosa giudicata? E il<br />
giudicato è sempre intangibile a fronte di una legislazione successiva<br />
retroattiva? Ed è intangibile un giudicato “incostituzionale”<br />
per violazione di un diritto fondamentale dell’individuo? 2<br />
3. Indipendentemente dalla questione relativa alla “natura”<br />
della Corte costituzionale (organo giurisdizionale, organo di<br />
garanzia costituzionale, ente collocato fuori dai tradizionali poteri<br />
dello Stato, e quindi espressione dello Stato-ordinamento e<br />
non dello Stato soggetto, e così via) è certo che essa opera<br />
secondo regole, nelle forme e con i connotati soggettivi, oggettivi<br />
e procedimentali propri di una giurisdizione. Decide controversie,<br />
risolve conflitti, giudica di reati presidenziali (alto tradimento<br />
e attentato alla Costituzione), decide dell’ammissibilità<br />
delle richieste di referendum abrogativo alla stregua delle disposizioni<br />
e del sistema costituzionale, in maniera “riservata” e<br />
definitiva. Tutte le sue decisioni, assunte alla fine del procedimento<br />
che si svolge nell’esercizio di una qualsiasi di codeste<br />
attribuzioni, sono decisioni “definitive”: «Contro le decisioni<br />
della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione»<br />
(art. 137, ultimo comma, Cost.).<br />
Si può dubitare, a fronte di questa perentoria negazione, che<br />
le decisioni della Corte non costituiscano giudicati in senso formale?<br />
La stessa giurisprudenza costituzionale ha talora mostrato<br />
di valorizzare questo assunto. Nel saggio di Cerri 3 se ne offre un<br />
campionario di esempi, ma si avverte altresì che «il fondamento<br />
testuale di queste ampie conseguenze sembra, invero, fragile»,<br />
poiché anche le ordinanze che dovrebbero rappresentare altrettanti<br />
giudicati formali contengono «sovente [...] una decisione<br />
che dovrà essere rivalutata nella sede finale». Sembra pertanto<br />
che la inammissibilità di impugnazione delle decisioni della Corte<br />
significhi altro, ossia che queste non possano essere impugnate<br />
davanti ad altri giudici e che un eventuale ricorso per revocazione<br />
o revisione potrebbe essere proposto soltanto presso la<br />
Corte medesima.<br />
D’altra parte, è noto che le sentenze e le ordinanze di rigetto<br />
non escludono affatto la riproposizione della quaestio legitimitatis<br />
in altro giudizio anche solo adducendo nuovi argomenti e<br />
persino, secondo una tesi estrema, nello stesso giudizio a quo,<br />
anche se poi l’effetto preclusivo in quest’ultimo può ricondursi<br />
al principio generale secondo il quale la decisione che definisce<br />
il giudizio copre «il dedotto e il deducibile». Nel saggio di Cerri<br />
si ricorda, anzi, che, in gran parte della giurisprudenza della<br />
Corte, è affermata «una preclusione a riesaminare nella sede<br />
attuale ciò che è stato deciso in diversa sede» e quindi però «una<br />
inattaccabilità che sarebbe fuori dai tradizionali effetti del giudicato<br />
che, invece, a salvaguardia del diritto di azione/difesa,<br />
opera solo fra le medesime parti e in relazione alla medesima<br />
domanda» 4 . Anche il giudicato in senso sostanziale non sembra<br />
pertanto riconoscibile in questa giurisprudenza.<br />
4. L’art. 136 Cost., disponendo che «quando la Corte dichiara<br />
l’illegittimità costituzionale di una norma di legge [...], la norma<br />
cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione<br />
della decisione», apre il problema della definitività della sentenza<br />
“di accoglimento” erga omnes e quindi anche nei confronti del<br />
legislatore.<br />
Ma si può dire propriamente che la funzione legislativa trovi<br />
un limite nel “giudicato costituzionale” di questo tipo di decisioni?<br />
Come si ricorda opportunamente nel saggio di Cerri 5 la<br />
giurisprudenza che riconduce al “giudicato” delle decisioni di<br />
incostituzionalità il divieto per il legislatore non solo di confermare<br />
per il passato, ma pure di riprodurre nel futuro, la norma<br />
dichiarata illegittima prova troppo poiché, come notò a suo<br />
tempo (1966) Vezio Crisafulli, o la disposizione successiva<br />
esprime la stessa norma rispetto a quella censurata ed allora essa<br />
è incostituzionale per i medesimi motivi contenuti nella censura<br />
(per violazione dei medesimi parametri costituzionali e non per<br />
essersi formato un giudicato sul punto, ossia per contrasto con<br />
2<br />
A questi e ad altri interrogativi offrono risposte non sempre<br />
coincidenti i pregevoli saggi che seguono di Cerri, op. cit., Caponi,<br />
Giudicato civile e diritto costituzionale: incontri e scontri,eSerges,<br />
Il “valore” del giudicato nell’ordinamento costituzionale.<br />
3<br />
Cerri, op. cit., par. 1.<br />
4<br />
Cerri, op. cit., par. 1.<br />
5<br />
Cerri, op. cit., par. 1.<br />
6<br />
Sul punto, anche per la dottrina richiamata, Cerri, op. cit.,<br />
par. 1.<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009<br />
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong><br />
l’art. 136 Cost.), ovvero esprime una norma nuova da quella precedentemente<br />
censurata, ma allora nessun giudicato potrebbe<br />
essersi formato, e la questione diversa va riesaminata daccapo.<br />
D’altra parte, l’idea del “giudicato” propria delle sentenze di<br />
accoglimento è smentita dai numerosi casi di superamento degli<br />
esiti giurisprudenziali ad opera del legislatore successivo che,<br />
evitando di incorrere nell’incostituzionalità, abbia disciplinato<br />
diversamente la materia 6 e dallo stesso ricorso sempre più frequente<br />
della Corte alle c.d. sentenze aggiuntive “di principio” o<br />
“di meccanismo” che lasciano (e anzi richiedono) al legislatore<br />
di intervenire discrezionalmente nella ulteriore disciplina della<br />
materia.<br />
La stessa Corte ha più volte smentito le pur numerose asserzioni<br />
circa la esclusione di un ribaltamento degli esiti di precedenti<br />
“accoglimenti”. Nel saggio di Cerri sono ricordati e classificati<br />
con acutezza i casi più rilevanti. La conclusione condivisibile<br />
è nel senso che «il decisum della Corte, dunque, non è<br />
immutabile nell’ordinamento generale; ma neppure è immutabile<br />
nel giudizio a quo» 7 . Esemplificando: «Se sopravviene una<br />
nuova legge (retroattiva) od una sentenza di accoglimento in<br />
ordine alla medesima norma oggetto della precedente decisione<br />
di rigetto, il giudice non potrà o non dovrà tenerne conto?». La<br />
risposta non può che essere negativa: «Fin anche un accoglimento<br />
del tutto speculare al precedente rigetto [...] dovrebbe<br />
esser preso in considerazione dal giudice della causa originaria,<br />
ove ancora perdurante» 8 . Per contro, «è innegabile, invece, che<br />
il giudicato reso dal giudice a quo risulta insensibile a tali eventi<br />
ulteriori» 9 .<br />
Questo accade non solo per le decisioni costituzionali nel<br />
giudizio sulle leggi, ma anche per quelle prese nelle altre sedi di<br />
giurisdizione costituzionale, com’è comprovato dagli esempi<br />
addotti nel saggio di Cerri 10 . Perché? La ragione va riposta,<br />
probabilmente, almeno per il giudizio incidentale sulle leggi,<br />
nella debole stabilità di un giudizio che, di regola, non aggiudica<br />
un bene della vita, bensì valuta, nella sua autonomia, la conformità<br />
delle norme rispetto ai parametri costituzionali, ossia più<br />
esattamente, confronta i (e riduce ai) principi sottesi alla legislazione<br />
ordinaria (le rationes legum) con quelli costituzionali, suscettibili,<br />
gli uni e gli altri, a sensibili anche se non sincronici<br />
mutamenti.<br />
Ma sulle differenze, anche accentuate ma comunque problematiche,<br />
che intercorrono tra le diverse decisioni, secondo il<br />
tipo di giudizio costituzionale di competenza (attribuzione) della<br />
Corte (giudizio c.d. incidentale, giudizio c.d. principale, giudizio<br />
sui conflitti fra Stato e Regioni o fra Regioni, su conflitto<br />
interorganico, sull’ammissibilità del referendum) è istruttiva<br />
l’approfondita analisi, ricca di riferimenti giurisprudenziali,<br />
contenuta nel saggio di Cerri (parr. 3.1, 3.2, 3.3, 3.4, 3.5).<br />
Ricordo che nelle classiche Lezioni di diritto costituzionale 11 ,<br />
il mio Maestro, Vezio Crisafulli, negava che per le decisioni della<br />
Corte si potesse propriamente parlare di “giudicato”, sia con<br />
riferimento alle sentenze rese nei giudizi di costituzionalità, sia<br />
con riguardo a quelle risolutive dei conflitti. Come ho avuto<br />
modo di osservare in altra occasione 12 occorre distinguere tra gli<br />
effetti dei vari tipi di decisione della Corte e l’autorità, il valore<br />
della decisione, il vincolo che produce pro futuro: per i futuri<br />
giudizi “comuni”, per i futuri giudizi della stessa Corte, per il<br />
legislatore. E se non si può negare che — nonostante la positiva<br />
diversità degli effetti — un aspetto comune può in esse rinvenirsi,<br />
tale aspetto non può propriamente qualificarsi come “giudicato”,<br />
né in senso formale, né in senso sostanziale.<br />
5. Al problema del rapporto tra «giudicato civile e diritto<br />
costituzionale» è dedicato il raffinato e suggestivo saggio di<br />
Caponi, già citato, che si apre con la seguente disgiunzione: «Il<br />
giudicato incontra il diritto costituzionale, nel momento in cui<br />
esso [...] trova una garanzia costituzionale nei confronti degli<br />
interventi retroattivi del legislatore, attraverso il principio della<br />
certezza del diritto come componente dello Stato di diritto,<br />
salvo il potere del legislatore di disporre in ipotesi eccezionali il<br />
venir meno dei giudicati, componendo la tensione tra giustizia<br />
7<br />
Cerri, op. cit., par. 1.<br />
8<br />
Cerri, op. cit., par. 1. e ivi citato Pugliese, voce “Giudicato<br />
civ. (dir. vigente)”, in Enc. Dir., XVIII, 1969, 847.<br />
9<br />
Cerri, op. cit., par. 1.<br />
10<br />
Cerri, op. cit., par. 1, ad finem.<br />
11 a<br />
Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, 5 ed., Padova,<br />
1984, II, 2.<br />
12<br />
Seminario di studi su “Il problema del giudicato con riguardo<br />
ai giudizi dinanzi alla Corte costituzionale”, Roma 23 giugno 2008.
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong> 2817<br />
del caso concreto e certezza del diritto a favore della prima, nel<br />
rispetto dei criteri della proporzionalità e della esigibilità nel<br />
caso singolo». Ma poi «il giudicato si scontra con il diritto costituzionale,<br />
laddove il rispetto di quest’ultimo è presidiato da<br />
una Corte costituzionale che può pronunciare l’incostituzionalità<br />
di una legge, determinandone la perdita di efficacia erga<br />
omnes ed ex tunc», proponendo il seguente interrogativo: «Se la<br />
legge che il giudice ha applicato nel risolvere la controversia è<br />
successivamente dichiarata incostituzionale, che dovrà accadere<br />
del giudicato?» (corsivi miei).<br />
Se alla garanzia dell’applicazione della legge è posto—afini<br />
di certezza — il “giudicato”, la “precarietà” costituzionale della<br />
legge medesima potrebbe insidiare codesta certezza assicurata<br />
dal giudicato.<br />
Ora, fuori dalla ipotesi di una sentenza penale di condanna<br />
emessa sulla base di una norma dichiarata incostituzionale 13 ,in<br />
cui l’accertamento della incostituzionalità riapre, senz’altro, le<br />
porte del processo, il paragrafo 79, comma 2 del BVerGG stabilisce<br />
che rimangono intatte le «decisioni non più impugnabili»<br />
che si fondano su norma dichiarata nulla per incostituzionalità,<br />
con la riserva che, se non ancora eseguita, l’esecuzione forzata<br />
non è ammessa e può invece esperirsi l’opposizione all’esecuzione.<br />
In sostanza il giudicato (che ha avuto esecuzione) va<br />
tenuto per fermo e non costituisce motivo di revocazione.<br />
Si tratta, secondo la giurisprudenza costituzionale tedesca, di<br />
un compromesso (o di un bilanciamento) tra il valore della<br />
certezza del diritto e il valore della giustizia del caso concreto:<br />
quest’ultimo non può condurre alla dissoluzione del primo, che<br />
anzi è fatto prevalere. Si noti che nell’ordinamento tedesco la<br />
norma incostituzionale è considerata affetta da “nullità” (Nichtigkeit),<br />
a differenza, molto probabilmente, di quanto accade<br />
nell’ordinamento italiano. E proprio per questo, come nota esattamente<br />
Caponi 14 si è «ritenuto opportuno sancire espressamente<br />
la salvezza dell’autorità dei giudicati civili». Ma la dottrina<br />
tedesca ha finito per estendere la portata della disposizione<br />
contenuta nel comma 2 del paragrafo 79 BVerGG oltre gli effetti<br />
della sentenza costituzionale risolvendo «la questione degli effetti<br />
che una legge retroattiva esercita nei confronti di una sentenza<br />
passata in giudicato», nel senso che ciò che non può fare<br />
una sentenza costituzionale, rimuovere cioè un giudicato, a fortiori<br />
non lo può fare un nuovo atto di legislazione retroattiva.<br />
Va tuttavia ricordato che nell’ordinamento tedesco (a differenza<br />
dell’ordinamento italiano) la pronuncia di incostituzionalità<br />
può essere provocata mediante il ricorso diretto (Verfassungsbeschwerde)<br />
per violazione di un diritto fondamentale dell’individuo,<br />
impugnando cioè la stessa sentenza passata in giudicato:<br />
«Chiunque affermi la lesione di un proprio diritto fondamentale<br />
ad opera del pubblico potere, può proporre ricorso al<br />
Tribunale costituzionale» (art. 93, comma 1, n. 4 del GG) (corsivo<br />
mio) e quindi anche nei confronti di una sentenza del giudice<br />
comune, sia pure in via sussidiaria rispetto alla tutela giurisdizionale<br />
dinanzi a quest’ultimo 15 . Ne discende che «l’ultima<br />
parola può spettare al Bundesverfassungsgericht, anche contro le<br />
sentenze passate in giudicato» 16 . E l’esito può essere quello<br />
dell’accoglimento del ricorso e quindi dell’annullamento della<br />
sentenza impugnata 17 . In questo modo il valore della giustizia<br />
del caso concreto prevale sullo stesso valore della certezza incarnato<br />
nella irremovibilità del “giudicato”.<br />
6. Ma qual è il fondamento costituzionale dell’autorità di cosa<br />
giudicata nell’ordinamento italiano?<br />
Secondo Caponi 18 esso è rappresentato dal principio di irretroattività<br />
della legge (art. 11 disp. prel.), il quale, se pur costituzionalmente<br />
enunciato (e garantito) per le sole norme penali<br />
incriminatrici (art. 25, comma 2, Cost.), ha una portata costituzionale<br />
più vasta, seguendo le limitazioni che la giurisprudenza<br />
costituzionale ha posto «al potere del legislatore ordinario di<br />
disciplinare le situazioni pregresse», limitazioni «che trovano<br />
espressione non già in divieti puntuali, bensì in principi generali:<br />
ragionevolezza, eguaglianza, legittimo affidamento, rispetto delle<br />
attribuzioni costituzionali del potere giudiziario». Di modo<br />
che, «se l’irretroattività della legge, ovvero i limiti del potere del<br />
legislatore di disporre per il passato, ha un ancoraggio costitu-<br />
13 Paragrafo 79, comma 1, BVerGG; legge n. 87/1953, art. 30,<br />
ultimo comma.<br />
14 Caponi, op. cit., par. 3<br />
15 Paragrafo 90, comma 2, BVerGG.<br />
16 Caponi, op. cit., par. 4.<br />
17 Paragrafo 95, comma 1, BVerGG.<br />
18 Caponi, op. cit., par. 5.<br />
zionale sulla base di un complesso di elementi normativi che<br />
trovano nella certezza del diritto la loro sintesi concettuale, a<br />
fortiori dovrà essere protetta dalla Costituzione l’autorità di cosa<br />
giudicata, che della certezza del diritto costituisce una manifestazione<br />
saliente» 19 .<br />
Analizzando la giurisprudenza costituzionale più recente 20 ,<br />
Caponi ricostruisce l’argomentazione della Corte, volta a censurare<br />
come incostituzionale una legge che dispone espressamente<br />
la cessazione di efficacia di provvedimenti giudiziali anteriormente<br />
passati in giudicato, fissandola in due punti: a) violazione<br />
delle attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria<br />
cui spetta la tutela dei diritti (artt. 102 e 113 Cost.); b) lesione<br />
dell’affidamento della parte vittoriosa sul carattere definitivo del<br />
risultato del processo (artt.3e24Cost.). Ma—eciòcostituisce<br />
un passaggio veramente interessante — «le due giustificazioni<br />
— apparentemente parallele — si risolvono in una sola: il giudicato<br />
come strumento di tutela giurisdizionale dei diritti è costituzionalmente<br />
protetto in vista della garanzia della certezza e<br />
della stabilità del risultato del processo, nell’interesse delle parti»<br />
21 .Èfrutto di «distorsione prospettica» la ricostruzione dello<br />
scopo del processo civile «dal punto di vista dello Stato che<br />
rende giustizia, piuttosto che da quello dei cittadini che la chiedono».<br />
Proprio per superare la tensione tra la concezione dell’amministrazione<br />
della giustizia come funzione dello Stato per<br />
la realizzazione del diritto oggettivo (che «relega sullo sfondo<br />
l’utilità che gli individui, in quanto parti del processo, ricavano<br />
dall’esercizio della giurisdizione») e la «connessione tra etica e<br />
utilità del singolo ed etica sociale» è necessario cogliere lo scopo<br />
(si direbbe: la ratio) del processo civile nell’attuazione dei diritti<br />
(e dei legittimi interessi) dei privati. E «allora in primo piano<br />
deve campeggiare l’utilità che gli individui si ripromettono di<br />
conseguire nel momento in cui intraprendono (o si difendono<br />
in) un processo civile»<br />
Nel bel saggio di Caponi 22 sono tratteggiati i corollari di<br />
questa concezione della giurisdizione come «servizio pubblico<br />
diretto alla composizione delle controversie secondo giustizia<br />
(cioè con l’applicazione di criteri di giudizio oggettivi e predeterminati)».<br />
Così, «il giudicato è una utilità che spetta in primo<br />
luogo agli utenti del servizio nel richiedere o meno, in relazione<br />
ai loro bisogni e alle loro necessità»; «la tutela giurisdizionale dei<br />
diritti si realizza innanzi tutto attraverso l’efficacia imperativa<br />
del provvedimento giurisdizionale e non culmina necessariamente<br />
nel giudicato», per cui «non è da individuare nel giudicato»,<br />
secondo la tesi di Allorio, il carattere essenziale della<br />
giurisdizione, «bensì nel fatto che l’applicazione giurisdizionale<br />
del diritto [...] si sostituisce d’autorità all’applicazione compiuta<br />
dai soggetti dell’ordinamento e non può essere oggetto di controllo,<br />
se non da parte di un altro organo giurisdizionale, ad<br />
esempio, attraverso l’impugnazione del provvedimento». Così<br />
che «il giudice conserva quindi il potere di dire l’“ultima parola”,<br />
anche se può trattarsi, e sempre più frequentemente si tratta,<br />
di una parola provvisoria, non definitiva [...], esposta ad essere<br />
modificata o revocata da una parola successiva». E qui il pensiero<br />
di Remo Caponi s’incontra con quello di Augusto Cerri.<br />
In definitiva «la Costituzione richiede che la tutela giurisdizionale<br />
dei diritti possa sempre avvenire in un processo a cognizione<br />
piena destinato a concludersi con un provvedimento<br />
avente attitudine al giudicato formale e contenente un accertamento<br />
idoneo al giudizio sostanziale. Ciò non implica però che<br />
la giurisdizione contenziosa debba sempre — per imposizione<br />
costituzionale — mirare alla formazione del giudicato» 23 .<br />
7. Il giudicato quindi è richiesto dalle parti per la tutela dei<br />
propri diritti. E in questo caso «la stabilità del risultato del<br />
processo è protetta al massimo grado e gode della copertura<br />
costituzionale, non per una ragione di Stato, ma perché ciò<br />
realizza l’interesse della parte vittoriosa, nel modo in cui esso è<br />
stato apprezzato e realizzato da quest’ultima» 24 .Diquil’intangibilità<br />
del giudicato civile da parte della legislazione successiva<br />
retroattiva.<br />
Ma, proprio perché il “giudicato” rappresenta una garanzia<br />
costituzionale, «la protezione del giudicato civile non è una<br />
monade, ma è esposta anche nell’esperienza giuridica italia-<br />
19 Caponi, op. cit., par. 5 ad finem.<br />
20 Corte cost., sent. n. 364/2007.<br />
21 Caponi, op. cit., par. 6.<br />
22 Caponi, op. cit., par. 7<br />
23 Caponi, op. cit., par. 7 ad finem.<br />
24 Caponi, op. cit., par. 8.<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009
2818<br />
na al confronto e al bilanciamento con altri valori costituzionali»<br />
25 .<br />
Può accadere cioè, sia pure eccezionalmente, che «i valori<br />
giuridici introdotti dalla nuova legislazione siano così meritevoli<br />
di affermazione da prevalere sulla tutela dell’affidamento delle<br />
parti sull’intangibilità del risultato del precedente processo»,<br />
come può anche accadere che «non si ponga un problema di<br />
tutela dell’affidamento delle parti, pur dinanzi ad un giudicato»<br />
26 . Quest’ultima evenienza ricorre ad esempio allorché il<br />
giudicato «riguarda un rapporto tra un soggetto privato e un<br />
organismo di diritto pubblico e interviene una legge retroattiva<br />
che introduce un nuovo diritto a favore del primo» 27 .<br />
Ma anche negli altri casi, nei quali pur si ponga un problema<br />
di affidamento delle parti sull’intangibilità del giudicato, quest’ultimo<br />
può recedere a fronte di una legge retroattiva costituzionalmente<br />
giustificata. A tal proposito nel saggio di Caponi si<br />
distinguono varie ipotesi nelle quali, peraltro, quasi sempre l’intangibilità<br />
del giudicato sul quale le parti hanno fatto affidamento<br />
finisce con il rimanere intatto 28 .<br />
Forse solo nella ipotesi in cui «la legge retroattiva è diretta a<br />
realizzare per il passato valori costituzionalmente protetti» (ipotesi<br />
sub b2) la questione sembra rimanere aperta. Vero è che «un<br />
forte argomento in favore della resistenza del giudicato» potrebbe<br />
desumersi dalla disposizione (art. 30, comma 4, l. n. 87/1953)<br />
che sancirebbe «la salvezza del giudicato civile pur dinanzi alla<br />
dichiarazione di incostituzionalità della legge», e tuttavia non è<br />
detto (non è sicuro), a mio avviso, che l’ultimo comma dell’art.<br />
30, legge n. 87/1953, debba essere interpretato, come comunemente<br />
si ritiene, quale “eccezione” al principio di salvezza del<br />
giudicato, sibbene come “assicurazione” (data la delicatezza<br />
dell’ipotesi) che la condanna penale basata su norma dichiarata<br />
incostituzionale non debba mai e in alcun modo avere effetto.<br />
Non sarei cioè tanto sicuro che si tratti (soltanto) di un’eccezione<br />
a un principio da reputarsi (fuori dalla condanna penale)<br />
senz’altro generale. A fronte ad esempio di un provvedimento<br />
amministrativo definitivo e inoppugnabile, ovvero a fronte di<br />
una decisione del giudice amministrativo emessa sulla base di<br />
legge dichiarata incostituzionale, non si potrebbe pensare invece<br />
ad una riapertura dei termini per ricorrere e, comunque sia,<br />
ad un ribaltamento del giudicato?<br />
Certo è che lo stesso Caponi (ipotesi sub D) ammette in generale<br />
che persino l’ipotesi di ius superveniens che attribuisca<br />
rilevanza giuridica costitutiva di un nuovo diritto ad un fatto<br />
prima irrilevante «non impedisce la qualificazione dei fatti dedotti<br />
in giudizio ad opera della legge retroattiva e la riproposizione<br />
della domanda su tale base».<br />
Infine, come rileva Caponi 29 , dall’esperienza pratica è emerso<br />
che il giudicato incostituzionale (e quindi l’annullamento di questo)<br />
può direttamente risultare nell’ambito dei conflitti. È accaduto<br />
per esempio che una sentenza della Cassazione abbia disapplicato<br />
una disposizione legislativa regionale; e che la Corte<br />
costituzionale abbia deciso che «non spetta allo Stato, e per esso<br />
alla Corte di cassazione, disapplicare disposizioni contenute in<br />
leggi regionali» per cui «va [...] annullata la sentenza della Corte<br />
di cassazione che aveva disapplicato la legge regionale» (sent. n.<br />
285/1990). In questo caso il giudicato è radicalmente rimosso.<br />
Si tratta dunque bensì di una tutela specifica contro i giudicati<br />
incostituzionali, ma su cui occorre riflettere. Molto opportunamente<br />
Caponi 30 conclude, sul punto, che «al cospetto con l’ordinamento<br />
tedesco, l’ordinamento italiano rivela in ogni caso un<br />
notevole difetto. La mancanza del ricorso individuale di costituzionalità<br />
determina una lacuna di tutela specifica (demolitoria)<br />
contro le lesioni dei diritti fondamentali ad opera di sentenze<br />
passate in giudicato». Gli stessi atti di esercizio del potere<br />
giurisdizionale non dovrebbero perciò essere sottratti al controllo<br />
di costituzionalità, anche indipendentemente dalle ragioni<br />
di ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni.<br />
Alla certezza assicurata dalla stabilità dei giudicati — che è<br />
valore costituzionale inerente allo stato di diritto e che trova di<br />
regola una sua tipica applicazione nella garanzia contro gli interventi<br />
retroattivi del legislatore 31 — si contrappone la possibilità,<br />
negli ordinamenti che conoscono il ricorso diretto del-<br />
25 Caponi, op. cit., par. 10 initio.<br />
26 Caponi, loc. ult. cit. (ibidem).<br />
27 Caponi, op. cit., par. 10 ad finem.<br />
28 Paragrafo 10 sub A, b1, b2, C.<br />
29 Caponi, op. cit., par. 11.<br />
30 Caponi, op. cit., par. 11 ad finem.<br />
31 Cfr. per esempio BVerGE, 2, 380 e segg., 404, citata in Caponi,<br />
op. cit., par. 2, nota 2.<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009<br />
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong><br />
l’individuo per la lesione di un proprio diritto fondamentale<br />
(Verfassungsbeschwerde, amparo, ecc.), che il giudicato incostituzionale<br />
o l’atto amministrativo inoppugnabile siano “superati”<br />
(rimossi) dal Tribunale o Corte costituzionale facendo prevalere<br />
il valore della giustizia (del caso concreto). In questo<br />
contesto, come è chiaramente messo in luce nel saggio di Caponi<br />
32 , la nozione di “Stato di diritto” assume la valenza di una<br />
rule of law in cui non tanto è lo Stato che si autolimita subordinandosi<br />
al suo diritto, quanto piuttosto lo Stato è subordinato<br />
da un diritto non suo, da un diritto extrastatale, dal diritto<br />
comune, in breve: dal diritto dei giudici e dei giuristi. In ciò<br />
consiste quella «trasformazione del concetto di Stato di diritto<br />
in parametro di giudizio di costituzionalità delle leggi ordinarie,<br />
affidato ad un organo, la Corte costituzionale, che si colloca, in<br />
realtà [...] al di fuori dello “Stato-apparato” ed assume un ruolo<br />
di cerniera tra Stato e società» 33 . E si noti che, specie negli ultimi<br />
tempi, la giurisprudenza costituzionale è particolarmente attenta<br />
in via diretta all’effettività della tutela dei diritti 34 .<br />
8. Anche l’ottimo e articolato saggio di Serges dedicato al<br />
«valore costituzionale del giudicato» muove da una esigenza<br />
sostanzialmente coincidente con quella di Caponi: si interroga<br />
cioè sul possibile fondamento costituzionale del giudicato, ma la<br />
prospettiva è qui diversa. Mentre, infatti, Caponi vede nel giudicato<br />
soprattutto un precipitato del principio di certezza del<br />
diritto alla luce della giurisprudenza costituzionale, Serges si<br />
chiede se nella Costituzione si possa individuare un più solido e<br />
diretto fondamento nonostante la mancata approvazione di<br />
quella diposizione, originariamente contenuta nel progetto di<br />
Costituzione, che riconosceva, appunto, l’intangibilità del giudicato<br />
ad opera del legislatore.<br />
Un primo fondamento viene così individuato — sulla scorta<br />
di una tesi avanzata anni or sono da Cerino Canova — nella<br />
disposizione (l’art 111, comma 7, Cost.) che fissa la garanzia del<br />
ricorso generale di legittimità dinanzi alla Cassazione rispetto a<br />
tutti i provvedimenti che abbiano valore sostanziale di sentenza.<br />
La previsione di generale impugnabilità sarebbe, in realtà, rivolta<br />
a garantire che ogni processo su diritti possa concludersi<br />
con provvedimenti definitivi dotati dell’autorità della cosa giudicata.<br />
Vi sarebbe dunque una stretta correlazione tra controllo<br />
di legittimità e giudicato. A sua volta la previsione di un controllo<br />
di legittimità di ultima istanza presupporrebbe un processo<br />
caratterizzato da una gradualità nell’accertamento del diritto<br />
e dunque dalla possibilità di esperire almeno una impugnazione<br />
di merito. L’art. 111, insomma, fornirebbe un fondamento<br />
sia al principio del giudicato sia a quello del doppio<br />
grado di giudizio che risulterebbero reciprocamente implicati.<br />
Serges riprende qui una tesi già avanzata anni fa in un suo<br />
precedente lavoro, quella della rilevanza costituzionale del doppio<br />
grado di giudizio, che sembra trovare nelle riflessioni sul<br />
giudicato una sorta di completamento e di precisazione 35 .<br />
In realtà, ragionando nei termini proposti, la stessa funzione<br />
della cassazione si distacca dal modello di garanzia “oggettiva”<br />
e di semplice garante della “nomofilachìa” e finisce per approdare<br />
decisamente sul versante della garanzia soggettiva, nella<br />
quale il valore autenticamente tutelato — afferma Serges — è<br />
quello di riconoscere al singolo che la tutela del proprio diritto<br />
possa concludersi con “sentenze” dotate della necessaria stabilità,<br />
e che «il diritto riconosciuto ed accertato dal giudice sia<br />
messo al riparo in maniera definitiva e irretrattabile» 36 .<br />
Tuttavia il solo aggancio all’art. 111 Cost. ed alla garanzia del<br />
ricorso per cassazione appare, in qualche modo, insufficiente o,<br />
forse, incompleto, ed è allora proprio alla garanzia costituzionale<br />
soggettiva più intensa, ai principi di azione e di difesa sanciti<br />
nell’art. 24 Cost., che Serges volge lo sguardo per individuare un<br />
sostegno più sicuro sul quale far poggiare la tesi di una diretta<br />
protezione del giudicato.<br />
Ma in quale misura è possibile collegare diritto di azione e di<br />
difesa al giudicato? A questo interrogativo Serges risponde alla<br />
luce di una concezione il più possibile aperta dei diritti costituzionali,<br />
giustificata anche dal loro essere espressione di un principio<br />
“supremo”. Azione e difesa — si afferma — contengono<br />
32 Caponi, op. cit., par. 8.<br />
33 Caponi, op. cit., par. 8 ad finem.<br />
34 Rinvio al bel saggio di Silvestri, L’effettività e la tutela dei<br />
diritti fondamentali nella giustizia costituzionale, Napoli, 2009.<br />
35 Serges, op. cit., par. 3 ad finem.<br />
36 Serges, op. cit., par. 3.
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong> 2819<br />
non solo il diritto di accesso alle Corti e al pieno dispiegamento<br />
di ogni facoltà per la tutela del diritto, bensì racchiudono «anche<br />
la garanzia che una volta raggiunto il risultato (il riconoscimento<br />
del diritto o di altra posizione giuridica soggettiva) esso<br />
rimanga protetto mediante la definitività e stabilità assicurate<br />
dalla res judicata» 37 . E questa stabilità del risultato altro non è<br />
che un necessario risvolto di quella effettività della difesa tante<br />
volte ribadita dalla stessa Corte costituzionale.<br />
Così ragionando può stabilirsi uno stretto collegamento tra le<br />
due garanzie costituzionali nel senso che «il valore del giudicato,<br />
implicitamente presupposto dal ruolo e dal significato che il<br />
costituente ha voluto attribuire al giudizio di cassazione, trova la<br />
sua definitiva conferma quale aspetto coessenziale del diritto ad<br />
una difesa effettiva» 38 .<br />
Un rafforzamento della tesi di una diretta protezione costituzionale<br />
del giudicato potrebbe individuarsi poi sul versante<br />
delle garanzie proprie del processo penale.<br />
Qui Serges sottolinea come il giudicato in senso sostanziale si<br />
traduca nella garanzia del ne bis in idem, principio, anch’esso,<br />
non espressamente contemplato in Costituzione. Se deve essere<br />
considerato criticamente il tentativo di ancorare siffatto principio<br />
alla previsione dell’art. 27, comma 2, Cost. (la quale dispone<br />
il divieto di ritenere colpevole l’imputato sino alla condanna<br />
definitiva) in quanto il collegamento tra definitività e giudicato<br />
finirebbe per proteggere solo il giudicato di condanna e non già<br />
quello di assoluzione, maggiore attenzione dovrebbe invece rivolgersi<br />
al riconoscimento del principio del ne bis in idem nei<br />
grandi trattati internazionali sui diritti. La protezione accordata<br />
alle norme dei trattati, recepiti nell’ordinamento per il tramite<br />
del “nuovo” art. 117, comma 1, Cost., mette al riparo tale principio<br />
(per come è disciplinato dal legislatore all’art 649 c.p.c.),<br />
quanto meno nel suo nucleo forte, da interventi legislativi eventualmente<br />
diretti ad attenuarne il ruolo 39 . Una conferma ulteriore,<br />
insomma, della protezione costituzionale del giudicato.<br />
D’altra parte, osserva acutamente Serges, neppure le tesi contrarie<br />
al riconoscimento del fondamento costituzionale del giudicato<br />
sembrano approdare a risultati convincenti. Debole si<br />
rivela, secondo questa analisi, il tentativo di svalutarne la portata<br />
agganciandolo al principio di economia processuale, il quale,<br />
non essendo costituzionalmente garantito, condurrebbe alla negazione<br />
della rilevanza costituzionale anche del giudicato che ne<br />
rappresenterebbe null’altro che una delle espressioni 40 .<br />
Analogamente deboli dovrebbero considerarsi le tesi che,<br />
dietro il possibile riconoscimento del giudicato come principio<br />
costituzionale, intravedono il rischio di una eccessiva limitazione<br />
della discrezionalità del legislatore di modellare processi secondo<br />
schemi alternativi al rito ordinario. A questa obiezione si<br />
risponde affermando che la libertà del legislatore non sembra<br />
compromessa, purché tali strumenti siano configurati come<br />
«mai preclusivi di una possibilità che le loro precarie conclusioni<br />
siano suscettibili di un successivo accertamento con le<br />
forme ordinarie». Può insomma ripensarsi alla loro disciplina,<br />
ma «in una prospettiva che tenga conto dell’ineludibile conseguenza<br />
che dalla combinazione del rapporto tra art. 24 e 111<br />
Cost. scaturisce in ordine al riconoscimento del giudicato come<br />
valore costituzionale» 41 .<br />
Qui si coglie una divergenza tra le conclusioni di Caponi e<br />
quelle di Serges. Seppur in una prospettiva che, nelle due concezioni,<br />
finisce per convergere su di un punto certamente decisivo<br />
quale è il collegamento stretto tra giudicato e diritto alla tutela<br />
giurisdizionale, Caponi nega l’esistenza di un vincolo per il legislatore<br />
a configurare sempre la giurisdizione contenziosa in termini<br />
che comportino la formazione del giudicato, mentre la posizione<br />
di Serges, su questo punto, si rivela più rigida per via della<br />
premessa dalla quale muove: il diretto riconoscimento nella Costituzione<br />
del valore del giudicato discendente dal «rapporto reciproco<br />
di osmosi e di integrazione» tra art. 24 ed art. 111. Cost. 42<br />
Quanto ai rapporti tra giudicato e funzione legislativa — che<br />
occupa l’ultima parte del pregevole lavoro di Serges 43 — il dato<br />
di fondo che emerge da questa analisi critica è quello di una<br />
sorta di pratica “debolezza” del giudicato dinanzi alle intromissioni<br />
del legislatore. Da un lato, viene sottolineato come la dottrina<br />
costituzionalistica, proprio facendo leva sul mancato rico-<br />
37 Serges, op. cit., par. 4.<br />
38 Serges, op. cit., par. 4.<br />
39 Serges, op. cit., par. 6.<br />
40 Serges, op. cit., par. 5.<br />
41 Serges, op. cit., par. 5, ad finem.<br />
42 Serges, op. cit., par. 4.<br />
43 Serges, op. cit., par. 7.<br />
noscimento nel testo della Carta del giudicato, abbia, in larga<br />
misura, finito per giustificare gli interventi del legislatore a condizione<br />
che la disciplina retroattiva, diretta anche a travolgere i<br />
giudicati, fosse caratterizzata (o anche semplicemente mascherata)<br />
da esigenze di innovatività generale della disciplina (basti<br />
pensare all’incertezza che ancora regna sulla legittimità delle<br />
leggi di “interpretazione autentica”); dall’altro anche i tentativi<br />
di una più esatta delimitazione dei confini (ad esempio ritenendo<br />
incostituzionale una legge diretta a caducare le sentenze<br />
senza alcuna modifica della disciplina sostanziale, ovvero distinguendo,<br />
sul piano della legittimità costituzionale, tra disposizioni<br />
innovative e disposizioni rivolte ad incidere sul diritto alla<br />
tutela giurisdizionale) hanno trovato un riscontro incerto nella<br />
giurisprudenza costituzionale.<br />
Proprio qui, osserva infine Serges, si anniderebbe il vero punto<br />
dolente, nella giurisprudenza costituzionale, che ha finito sempre<br />
per ritenere il giudicato non già come un valore presente<br />
nell’ordinamento, pienamente garantito e riconducibile a pieno<br />
titolo al diritto alla tutela giurisdizionale, bensì come un principio<br />
tutelato indirettamente, talvolta attraverso il richiamo alla<br />
certezza del diritto, in altre occasioni al principio dell’affidamento.<br />
Principi, questi ultimi, anch’essi dotati di un flessibile<br />
“statuto costituzionale”, potrebbe dirsi, ed in molte occasioni<br />
assunti a parametro di giudizio quale risvolto di uno scrutinio<br />
condotto attraverso gli strumenti del giudizio di ragionevolezza.<br />
9. Nella direzione, infine, della rule of law, intesa non solo nel<br />
senso di uno Stato che si autolimita subordinandosi alle proprie<br />
leggi, quanto piuttosto di uno Stato che è subordinato da un<br />
diritto non suo, da un diritto extrastatale, va altresì valutata la<br />
sovrapposizione alla dimensione nazionale della dimensione internazionale<br />
e sovranazionale, sia pure in una speculare valenza.<br />
Da un lato, come dimostra l’evoluzione della giurisprudenza<br />
del BVerG, èormai ritenuto ammissibile che il ricorso diretto<br />
(Verfassungsbeschwerde) possa indirizzarsi anche contro atti comunitari<br />
44 . D’altro lato, come si rileva nel lucido e documentato<br />
saggio di Di Seri 45 , nella crescente valorizzazione della funzione<br />
interpretativa della Corte di giustizia si profila la necessità di una<br />
rimeditazione del principio di intangibilità del giudicato nazionale,<br />
persino se fondato su una non corretta interpretazione del<br />
diritto comunitario. La tendenza della giurisprudenza comunitaria<br />
ad orientarsi nel senso del superamento del principio della<br />
intangibilità del giudicato reso in violazione delle competenze comunitarie<br />
“riservate”, fino alla eventuale asserzione dell’opposto<br />
principio della cedevolezza, va poi “confrontata” con il valore<br />
assegnato, negli ordinamenti europei, alla certezza nella stabilità<br />
dei rapporti definiti con una sentenza non più impugnabile.<br />
In definitiva, la garanzia ovvero il superamento della certezza<br />
connessa alla stabilità dei rapporti oggetto di una decisione definitiva<br />
rappresentano il punto di equilibrio del bilanciamento<br />
con altri principi (o valori) di pari rilevanza costituzionale, per<br />
cui la “relativizzazione” del principio dell’intangibilità del giudicato<br />
non può ritenersi “assoluta” a vantaggio della primazia del<br />
diritto comunitario. Si tratta in sostanza di far valere la teoria dei<br />
“controlimiti” a fronte di una “interpretazione giudiziale autentica”<br />
del giudice comunitario parificabile ad uno ius superveniens<br />
retroattivo da ritenersi soggetto agli stessi limiti che quest’ultimo<br />
incontra sotto il profilo dell’incidenza sui “giudicati” nazionali.<br />
GIOVANNI SERGES<br />
Il “valore” del giudicato nell’ordinamento costituzionale*<br />
Sommario: 1. La questione del valore del giudicato nel quadro<br />
dei rapporti tra diritto costituzionale e diritto processuale. —<br />
2. Il mancato inserimento nel testo costituzionale di una di-<br />
44 BVerG, sent. 12 ottobre 1993; Id., sent. 30 giugno 2009.<br />
45 Di Seri, Primauté del diritto comunitario e principio della res<br />
iudicata nazionale: un difficile equilibrio, infra.<br />
* Il presente lavoro è destinato agli scritti in onore di Alessandro<br />
Pace.<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009
2820<br />
sposizione espressamente dedicata al giudicato. — 3. Rimedio<br />
generale del ricorso per cassazione, principio del giudicato<br />
e principio del doppio grado di giurisdizione. — 4. Il<br />
ruolo dei diritti di azione e difesa sanciti nell’art. 24 Cost.<br />
nella ricerca di un fondamento costituzionale del giudicato.<br />
— 5. Le posizioni che negano la rilevanza costituzionale del<br />
principio. — 6. Giudicato, processo amministrativo e processo<br />
penale. — 7. Principio del giudicato e limiti al potere<br />
legislativo.<br />
1. La questione del valore del giudicato nel quadro dei rapporti<br />
tra diritto costituzionale e diritto processuale.<br />
La riflessione intorno alla rilevanza costituzionale del principio<br />
del “giudicato” non è certamente nuova se si considera,<br />
soprattutto, il contributo rilevante che a questo problema ha<br />
offerto fino ad oggi, quanto meno, la dottrina processualcivilistica<br />
1 e, tuttavia, non può negarsi come la questione continui<br />
oggi a presentarsi con rinnovato interesse, specie dinanzi ad<br />
interventi legislativi che hanno assunto addirittura il ruolo di<br />
una sorta di vero e proprio attacco diretto al giudicato. Basti<br />
ricordare, al riguardo, la recente, emblematica vicenda del decreto-legge<br />
sul “fine vita” 2 nella quale è riaffiorata in tutta la sua<br />
problematicità (e, forse, anche drammaticità) la questione di un<br />
atto legislativo che appariva in primo luogo diretto ad intervenire<br />
nell’ordinamento non tanto per disciplinare una materia,<br />
quanto piuttosto per incidere su precedenti pronunzie giurisdizionali<br />
verosimilmente sorrette proprio dalla immutabilità della<br />
cosa giudicata 3 .<br />
Ma il tema della riconducibilità del giudicato a principio costituzionale<br />
non tocca solo il tradizionale campo dei rapporti e<br />
dei confini tra funzione giurisdizionale e funzione legislativa, intorno<br />
al quale la questione del giudicato come problema di diritto<br />
costituzionale si è sviluppata, bensì si diffonde anche all’interno<br />
della sola giurisdizione. Se, infatti, al principio del giudicato<br />
dovesse riconoscersi dignità di principio costituzionale,<br />
quale elemento coessenziale alla configurazione delle stesse garanzie<br />
che stanno a presidio della giurisdizione, dovrebbe indagarsi<br />
allora sui riverberi che un simile riconoscimento finirebbe<br />
per produrre dinanzi ad interventi legislativi che sembrano ispirarsi,<br />
con crescente intensità, all’idea di una scomposizione del<br />
processo (specie del processo civile) in una serie di modelli processuali<br />
caratterizzati da una sorta di precarietà della decisione.<br />
Insomma se il giudicato è indefettibile predicato della giurisdizione,<br />
anche il margine di azione del legislatore nel disegno di<br />
modelli processuali alternativi rispetto al rito ordinario dovrebbe<br />
forse essere valutato sotto una luce diversa.<br />
Per altro verso il tema del possibile valore costituzionale del<br />
giudicato emerge anche sotto il profilo dei rapporti con l’ordinamento<br />
comunitario in una direzione che sembra configurare<br />
il rischio di una attenuazione del valore della cosa giudicata,<br />
intesa nel suo pregante significato garantistico, dinanzi alle esigenze<br />
di applicazione del diritto comunitario. Basta ricordare, al<br />
riguardo, la recente decisione della Corte di giustizia che ha<br />
affermato — sia pure con una serie di cautele — il principio<br />
secondo cui il giudicato esterno debba cedere dinanzi all’esigenza<br />
di applicazione del diritto comunitario ove non sia sostenuto<br />
da ragionevoli esigenze di certezza del diritto 4 .<br />
Il problema del “valore” del giudicato sul piano costituzionale,<br />
appartiene, dunque, come pochi altri, al grande tema dei<br />
1 Un particolare rilievo assume, tra gli altri, l’ormai classico lavoro<br />
di Cerino Canova, La garanzia costituzionale del giudicato<br />
civile (meditazioni sull’art. 111, comma 2 o ), in Riv. Dir. Civ., 1977,<br />
395 e segg.<br />
2 Decreto-legge, come è noto, approvato dal Consiglio dei Ministri<br />
il 6 febbraio 2009 e poi non emanato dal Capo dello Stato.<br />
Sulla vicenda della mancata emanazione, anche per i richiami alla<br />
copiosa dottrina sul tema, sia consentito rinviare a Serges, Il rifiuto<br />
assoluto di emanazione del decreto legge, inGiur. Cost., 2009, 469 e<br />
segg.<br />
3 Sul punto v. Pace, L’inutilità pratica della legge «per Eluana», in<br />
La Repubblica, 11 febbraio 1999 e in www. associazionedeicostituzionalisti.it,<br />
12 febbraio 1999; Caponi-Proto Pisani, Il caso E.:<br />
brevi riflessioni dalla prospettiva del processo civile, inForo It., I,<br />
2009, 984 e segg.<br />
4 Il riferimento è a Corte giust. CE, Sezione II, 3 settembre 2009,<br />
in causa C-2/08, Amministrazione dell’Economia e delle finanze c.<br />
Fall. Olimpiaclub. Su questi problemi v., ora, l’ampia analisi di<br />
Caponi, Corti europee e giudicati nazionali, Relazione al XXII Convegno<br />
dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile,<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009<br />
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong><br />
rapporti tra diritto costituzionale e diritto processuale, tema che<br />
si traduce in quella ineludibile esigenza di verificare «quali sono,<br />
concretamente, i principali addentellati tra diritto regolatore del<br />
processo e diritto costituzionale, quale influenza diretta esercitino<br />
realmente principi ed istituti costituzionali sopra principi ed<br />
istituti processuali» allo scopo di accertare «se ed in quanta misura<br />
possa mutare la configurazione e sistemazione concettuale<br />
a questi ultimi data dalla dottrina processualistica, quando essi<br />
vengano presi in esame proprio per il loro aspetto e la loro rilevanza<br />
costituzionale» 5 . Osservazioni, queste, che sembrano calzare<br />
perfettamente quando si dibatte di un principio, quale è<br />
quello del “giudicato”, che ha ricevuto la sua elaborazione concettuale<br />
proprio ad opera della dottrina processualistica e che<br />
nell’ordinamento processuale trova la sua consolidata disciplina.<br />
2. Il mancato inserimento nel testo costituzionale di una disposizione<br />
espressamente dedicata al giudicato.<br />
Ad una simile indagine non è certamente di ostacolo la circostanza<br />
della mancata previsione nel testo della Costituzione<br />
repubblicana di una esplicita previsione del giudicato, sia in<br />
ragione dell’ovvia considerazione secondo cui un principio può<br />
assumere rilevanza sul piano costituzionale attraverso gli strumenti<br />
dell’interpretazione costituzionale 6 , sia in relazione alle<br />
ragioni contingenti che spinsero i costituenti ad espungere dal<br />
testo quel riconoscimento esplicito del giudicato che, in un primo<br />
momento, era stato invece previsto.<br />
In realtà, il dibattito in Assemblea costituente 7 fu avviato dalla<br />
proposta di Calamandrei di inserire una garanzia esplicita dell’immutabilità<br />
della cosa giudicata proprio nella parte relativa al<br />
potere giudiziario ed alle sue garanzie. La formula proposta era<br />
così concepita: «Il giudicato, contro il quale non siano più esperibili<br />
i rimedi giudiziari previsti dalla legge, è immutabile; e non<br />
può essere modificato né sospeso nei suoi effetti, neanche dal potere<br />
legislativo». Sebbene la proposta contenesse poi la previsione<br />
della eccezione per il giudicato penale, in modo da lasciar<br />
salva la possibilità per il potere legislativo di assumere provvedimenti<br />
di amnistia e di indulto e di garantire il potere presidenziale<br />
di grazia, è evidente, nel rigore che caratterizza l’affermazione del<br />
giudicato sul piano costituzionale, l’esigenza di proteggere la decisione<br />
giudiziaria dalle intromissioni del potere legislativo, non<br />
solo rispetto a possibili modifiche del giudicato ma anche dalle<br />
eventualità di una temporanea sospensione. Sembravano rimanere<br />
coinvolti dalla previsione costituzionale del giudicato anche<br />
gli eventuali strumenti di impugnazione straordinaria ammessi<br />
dal legislatore prefigurando così un irrigidimento del regime processuale<br />
del giudicato rispetto al sistema legislativo.<br />
Il rigore di quella formula fu successivamente attenuato ad<br />
opera del Comitato di redazione con una previsione che, per un<br />
verso, faceva salva l’esperibilità dell’impugnazione straordinaria<br />
(in particolare del rimedio della revocazione) sia per le sentenze<br />
civili che per quelle penali e, per altro verso, avrebbe consentito<br />
al legislatore la possibilità di sospendere le sentenze irrevocabili.<br />
L’inserimento di una clausola di rinvio al legislatore per la disciplina<br />
di eventuali casi di sospensione, da una parte, aveva il<br />
pregio di tener fermo il principio della immutabilità del giudicato,<br />
specie nei rapporti con il potere legislativo, e, dall’altra,<br />
trovava la sua giustificazione nell’esigenza di non precludere al<br />
legislatore il ricorso a forme di sospensione che, proprio in quel<br />
periodo, si erano rese necessarie per far fronte ad esigenze sociali<br />
di grande rilievo. Si trattava delle disposizioni che avevano,<br />
Verona, 25-26 settembre 2009; con riferimento al giudicato amministrativo<br />
v. Lo Gullo, Giudicato nazionale, diritto comunitario e<br />
autotutela amministrativa, inStudium juris, 2009, 1055 e segg.<br />
5 Il passo riportato è di Crisafulli, Profili costituzionali del<br />
diritto processuale, inStato e Diritto, 1941, 42.<br />
6 Sulla specificità dell’interpretazione costituzionale ed, in particolare,<br />
sulla necessità del ricorso all’interpretazione sistematica<br />
cfr. le riflessioni di Modugno, Scritti sull’interpretazione costituzionale,<br />
Napoli, 2008, 199 e segg., il quale sottolinea come «il metodo<br />
sistematico nell’interpretazione della Costituzione può risultare<br />
aperto agli apporti della legislazione ordinaria rendendo possibile la<br />
combinazione–integrazione di enunciati costituzionali ed enunciati<br />
di leggi ordinarie, secondo una tecnica di interazione tra fonti normative<br />
di diverso rango o valore che sembra sconosciuta nella comune<br />
interpretazione giuridica» (216).<br />
7 Sul punto v. la puntuale ricostruzione degli aspetti rilevanti del<br />
dibattito costituente svolta da Mattucci, Giudicato civile e declaratoria<br />
d’incostituzionalità,inI principi generali del processo comune<br />
e i loro adattamenti alle esperienze della giustizia costituzionale a cura<br />
di Bindi, Perini, Pisaneschi, Torino, 2008, 385 e segg.
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong> 2821<br />
in più occasioni, disposto una sospensione generalizzata delle<br />
sentenze civili esecutive che disponevano lo sfratto e che erano<br />
state assunte ad esempio dell’esigenza di consentire, almeno sul<br />
piano dell’esecuzione, una elasticità nell’applicazione del principio<br />
del giudicato. In realtà, dopo che la formula contenente la<br />
facoltà di sospensione fu riversata nell’art. 104 del progetto di<br />
Costituzione, alla fine prevalse la soluzione che finiva per espungere<br />
dal testo costituzionale ogni richiamo al giudicato. Giocarono<br />
in questa direzione certamente i timori che un rinvio al<br />
legislatore della disciplina di ipotesi di sospensione potesse,<br />
nella sostanza, consentire un uso eccessivamente frequente dello<br />
strumento, ma, soprattutto, decisiva risultò, tra i costituenti,<br />
l’idea che istituti come quelli del giudicato dovessero ritenersi<br />
per intero riservati alla legislazione processuale senza necessità<br />
alcuna di far assumere loro dignità di principio costituzionale. Si<br />
ritenne, in altri termini, che fosse da considerare remota e forse<br />
anche impensabile l’ipotesi che un principio così fortemente<br />
consolidato nella legge processuale potesse essere messo in crisi<br />
dallo stesso legislatore. Sullo sfondo di una simile concezione<br />
affiorava nettamente un’idea che avrebbe poi trovato accoglimento<br />
nelle prime interpretazioni della Costituzione 8 relative al<br />
complesso delle disposizioni riguardanti le garanzie giurisdizionali,<br />
vale a dire l’idea che l’inserimento di norme processuali in<br />
Costituzione dovesse considerarsi sostanzialmente irrilevante<br />
perché esse, nel loro complesso, sarebbero rimaste, comunque,<br />
inserite per intero nelle categorie concettuali elaborate dalla<br />
dommatica processualistica, risultando sostanzialmente ininfluente<br />
la loro collocazione nella Carta costituzionale.<br />
L’impressione che si ricava dal dibattito costituente sulla questione<br />
del giudicato non è dunque quella di un rifiuto del valore<br />
di quel principio, quanto piuttosto la consapevolezza che il giudicato,<br />
così come elaborato nella tradizione legislativa e nella<br />
dottrina processualistica, sarebbe comunque rimasto, non solo al<br />
riparo da ripensamenti all’interno della disciplina dei singoli processi,<br />
ma in ogni caso protetto dalle intromissioni del legislatore.<br />
3. Rimedio generale del ricorso per cassazione, principio del giudicato<br />
e principio del doppio grado di giurisdizione.<br />
La ricostruzione in termini di una rilevanza costituzionale del<br />
principio del giudicato ha trovato nel tempo autorevole riconoscimento<br />
e ad essa si è giunti, in primo luogo, sulla scorta di una<br />
interpretazione sistematica proprio di quella norma cardine del<br />
sistema costituzionale della giurisdizione che è l’art. 111. Mi<br />
riferisco alla tesi 9 che individua la protezione del valore del<br />
giudicato nella previsione costituzionale secondo cui «contro le<br />
sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati<br />
dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre<br />
ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge». La<br />
tesi, in estrema sintesi, muove dall’idea che l’esigenza posta a<br />
base della previsione del controllo di legittimità affidato alla<br />
Cassazione sia quella di assicurare le sue tradizionali funzioni,<br />
vale a dire quella di ultima e più elevata forma di impugnazione<br />
nella serie dei gravami ordinari per realizzare la funzione di<br />
nomofilachia e di uniformità degli indirizzi giurisprudenziali. In<br />
questo senso la concezione della Cassazione recepita dalla Costituzione<br />
si porrebbe in stretta linea di continuità con le linee di<br />
fondo elaborate dalla dottrina (in particolare con l’impianto<br />
concettuale del fondamentale contributo di Calamandrei) e si<br />
tradurrebbe in un vincolo per il legislatore non solo di prevedere<br />
l’istituto della Cassazione bensì anche di attribuirgli quel ruolo<br />
e quella funzione che la Costituzione presuppone. Ma lo svolgimento<br />
concreto di questo ruolo presuppone che anche al termine<br />
“sentenza” contenuto nell’art. 111 Cost. sia attribuito un<br />
significato conforme ai concetti elaborati dalla scienza processualistica<br />
e che, pertanto, si debba ritenere che, nel linguaggio<br />
della Costituzione, “sentenza” debba considerarsi ogni provvedimento<br />
che decide sulla fondatezza della domanda, di là dalla<br />
8 V. sul punto la posizione di Provinciali, Le norme di diritto<br />
processuale nella Costituzione, Milano, 1954, passim, ma spec. 194 e<br />
segg., il quale sottolineava, in radicale dissenso rispetto all’opinione<br />
di Crisafulli, che la natura processuale degli istituti sul processo<br />
inseriti in Costituzione «esclude qualunque apporto della scienza<br />
del diritto costituzionale alla scienza del diritto processuale».<br />
9 La tesi è sviluppata nel lungo ed assai denso saggio di Cerino<br />
Canova, op. cit., 395 e segg.<br />
10 La tesi è sviluppata in una serie di contributi: Allorio, Saggio<br />
polemico sulla giurisdizione volontaria,inProblemi di diritto, Milano,<br />
1957, II, 34; Id., Nuove riflessioni critiche in tema di giurisdizione e<br />
giudicato, inProblemi di diritto, cit., II, 116; Id., L’ordinamento giuridico<br />
nel prisma dell’accertamento giudiziale, Milano, 1957, 53 e segg.<br />
forma che tale provvedimento assume nel processo. Sono dunque<br />
da considerare sentenza tutti i provvedimenti che hanno<br />
valore decisorio e incidono su diritti e status con il carattere della<br />
vincolatività. In tal guisa la Costituzione avrebbe assicurato a<br />
tutti i provvedimenti che incidono su diritti la possibilità di<br />
essere sottoposti al giudizio di legittimità: avrebbe, in altri termini,<br />
garantito che ogni concreta decisione giudiziale su diritti<br />
abbia la possibilità del controllo finale di legittimità. Tuttavia —<br />
e qui sta il punto centrale di questa teoria — una simile garanzia<br />
ultima, proprio in quanto ha come suo oggetto “i diritti”, per un<br />
verso presuppone che l’atto destinato a dar corpo alla tutela (la<br />
sentenza) sia frutto non già di un processo purchessia, bensì di<br />
un processo caratterizzato dalla necessaria gradualità, nell’ambito<br />
del quale sia stato consentito l’esperimento e l’esaurimento<br />
delle impugnazioni e, dall’altro, si ridurrebbe a poca cosa se, al<br />
culmine, fosse negata la possibilità di assicurare stabilità e definitività<br />
alla statuizione sui diritti. Il provvedimento finale che<br />
«definisce una situazione giuridica fra le parti è tutto oppure<br />
niente se, rispettivamente, fornito o privo dell’autorità di cosa<br />
giudicata». Da qui la conclusione secondo cui «il valore tutelato<br />
dall’art. 111, comma 2 [ora comma 7], Cost., risieda nella tutela<br />
giurisdizionale dei diritti con statuizioni dotate dell’autorità di<br />
cosa giudicata». Non già, dunque, del solo giudicato formale (la<br />
sentenza non più soggetta a né a regolamento di competenza, né<br />
ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione, secondo<br />
la previsione dell’art. 324 c.p.c.) bensì del giudicato sostanziale,<br />
vale a dire di un accertamento immutabile del diritto dedotto<br />
nel giudizio (secondo la previsione contenuta nell’art. 2909<br />
c.c.). Riecheggia certamente in queste conclusioni quel modo di<br />
intendere l’essenza della funzione giurisdizionale che già si rintracciava<br />
nella concezione di Allorio 10 , il quale, muovendo dalla<br />
prospettiva metodologica secondo cui l’essenza delle funzioni<br />
statuali doveva ricercarsi negli effetti dell’attività prodotta da<br />
ciascuna di esse, individuava il proprium della giurisdizione in<br />
quel peculiare effetto, non riscontrabile in atti di altro genere e di<br />
diversa denominazione, che è l’effetto dichiarativo, effetto che<br />
doveva considerarsi tradotto proprio nella cosa giudicata. E quest’ultima,<br />
nella concezione alloriana avrebbe dovuto riconoscersi<br />
alle pronunce giurisdizionali a condizione che queste costituiscano<br />
il «risultato finale di un procedimento la cui solennità, la<br />
cui complessità, la cui gradualità rappresentano la giustificazione<br />
pratica dell’effetto dichiarativo, in quanto offrono le garanzie<br />
senza le quali quel grave effetto non sarebbe disposto» 11 .<br />
Due aspetti emergono con chiarezza dalla tesi che ricostruisce<br />
il giudicato come valore protetto dalla Costituzione. Il primo è<br />
quello di un inscindibile collegamento tra funzione giurisdizionale<br />
e giudicato, nel senso che l’essenza dell’idea stessa di giurisdizione<br />
risiede nella possibilità che la tutela e l’accertamento<br />
dei diritti debbano tradursi in provvedimenti che siano dotati<br />
della necessaria stabilità che, in altri termini, la protezione del<br />
diritto riconosciuto ed accertato dal giudice sia messo al riparo<br />
in maniera definitiva e irretrattabile. Il secondo aspetto riguarda<br />
il modello di processo che la Costituzione impone perché la<br />
finalità della tutela giurisdizionale possa dispiegarsi con la forza<br />
propria della definitività. E il modello è, chiaramente, quello di<br />
un processo che si articoli in almeno un doppio grado di merito<br />
e possa poi concludersi con la verifica ultima di legittimità ad<br />
opera della Cassazione: che insomma sia assicurata quella gradualità<br />
e complessità procedimentale che è imposta dall’oggetto<br />
della tutela giurisdizione (i diritti) e che sola può metter capo<br />
alla conseguenza dell’accertamento definitivo e irretrattabile<br />
volto ad assicurare la stabilità di quell’accertamento all’interno<br />
dell’ordinamento. Chi scrive 12 ha da tempo maturato la convinzione<br />
che, nonostante il contrario avviso mostrato fino ad oggi<br />
dal giudice costituzionale 13 , il doppio grado di giurisdizione<br />
debba considerarsi principio di rilevanza costituzionale e che<br />
questa convinzione riposi soprattutto nella interpretazione si-<br />
11<br />
Così, Allorio, Saggio polemico sulla giurisdizione volontaria,<br />
cit., 33.<br />
12<br />
Sia consentito rinviare sul punto a Serges, Il principio del<br />
doppio grado di giurisdizione nel sistema costituzionale italiano, Milano,<br />
1993.<br />
13<br />
Da ultimo con la sentenza n. 274/2009 nella quale, tuttavia, la<br />
Corte sottolinea — a mio avviso, contraddittoriamente — come il<br />
giudizio d’appello si presenti «correlato al fondamentale valore<br />
espresso dal diritto di difesa che gli conferisce una più accentuata<br />
forza di resistenza di fronte a sollecitazioni di segno inverso, legate<br />
alla realizzazione di obiettivi di speditezza processuale».<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009
2822<br />
stematica della Costituzione ed in particolare nella esigenza che<br />
i diritti di azione e di difesa sanciti nell’art. 24 Cost., sia considerati<br />
singolarmente sia valutati in stretta correlazione all’art.<br />
111 Cost. (specie dopo la sua riforma che ha inteso introdurre il<br />
richiamo esplicito al “giusto processo”), si prestino, anche in<br />
ragione del fatto che essi sono espressione di un “principio<br />
supremo”, ad interpretazioni dinamiche e evolutive capaci di<br />
garantire l’a%usso di sempre nuovi adattamenti e specificazioni<br />
delle garanzie processuali 14 .<br />
4. Il ruolo dei diritti di azione e difesa sanciti nell’art. 24 Cost.<br />
nella ricerca di un fondamento costituzionale del giudicato.<br />
Se, allora, doppio grado di giudizio e principio della garanzia<br />
del giudicato si dimostrano intimamente connessi, il tassello che<br />
manca (o che è implicitamente presupposto) alla tesi che riconosce<br />
il valore costituzionale del giudicato è proprio il collegamento<br />
stretto di una tale affermazione con i valori espressi nell’art.<br />
24 Cost. Proprio muovendo da questo presupposto una<br />
più recente analisi dedicata alla garanzia costituzionale dell’effettività<br />
del giudicato 15 è giunta alla conclusione di ritenere il<br />
giudicato come valore costituzionalmente garantito in quanto<br />
espressione diretta del principio di effettività del diritto di azione<br />
e di difesa sancito nell’art. 24. Il punto di partenza di una<br />
simile ricostruzione è dato dall’idea che l’art. 24 contenga anche<br />
una garanzia di qualità del risultato conseguibile attraverso gli<br />
strumenti della tutela giurisdizionale, e tale qualità dovrebbe<br />
individuarsi proprio nella effettività del risultato che solo il giudicato<br />
può concretamente garantire. In altri termini, il diritto di<br />
azione dovrebbe necessariamente intendersi non solo come diritto<br />
di accesso ai tribunali e di svolgimento incondizionato dei<br />
poteri e delle facoltà necessari per conseguire la tutela del diritto,<br />
bensì racchiuderebbe in sé anche la garanzia che una volta<br />
raggiunto il risultato (il riconoscimento del diritto o di altra<br />
posizione giuridica soggettiva) esso rimanga protetto mediante<br />
la definitività e stabilità assicurate dalla res judicata. Del resto, si<br />
sottolinea, il principio del giudicato, stabilmente riconosciuto<br />
nell’intero sistema processuale, sembra poter concorrere a definire<br />
il contenuto essenziale della tutela costituzionale, potendosi<br />
ammettere che la individuazione di un contenuto essenziale<br />
possa essere quanto meno guidata e illuminata dai principi che<br />
ispirano l’intera legislazione ordinaria sui processi giurisdizionali.<br />
A sua volta, se è vero che l’effettività del diritto di azione e<br />
di difesa costituisce — secondo un orientamento che emerge<br />
dalla stessa giurisprudenza costituzionale 16 — una connotazione<br />
indefettibile di siffatti diritti costituzionali, deve ammettersi<br />
che essi debbono essere interpretati come diretti ad assicurare<br />
non solo un certo contenuto sostanziale, ma anche la più larga e<br />
incondizionata possibilità che dal loro esercizio discendano<br />
concretamente tutti gli effetti nella loro pienezza. In altri termini,<br />
se si considera la qualità degli effetti come elemento strutturale<br />
della tutela giurisdizionale, è difficile negare che la stabilità<br />
e indefettibilità garantite dall’ordinamento processuale non<br />
debbano costituire, a loro volta, una connotazione essenziale dei<br />
diritti di azione e di difesa sanciti dall’art. 24 Cost. Ora, di là dal<br />
richiamo alla problematica nozione di “contenuto essenziale”<br />
14 Sul questa funzione dei principi supremi v. la riflessioni di<br />
Modugno, I «nuovi diritti» nella giurisprudenza costituzionale,Torino,<br />
1995, 103 e segg.<br />
15 Mi riferisco al contributo di Fransoni, Giudicato tributario e<br />
attività dell’amministrazione finanziaria, Milano, 2001, 13 e segg.<br />
che contiene, nella prima parte, dedicata appunto alla garanzia costituzionale<br />
dell’effettività del giudicato, una attenta analisi delle<br />
posizioni intorno al problema della costituzionalizzazione del giudicato.<br />
16 Sulla effettività quale aspetto essenziale della giurisdizione è<br />
sufficiente richiamare la ricca giurisprudenza costituzionale formatasi<br />
con riferimento alla tutela cautelare: v., tra le tante, le sentt. nn.<br />
253/1994, 336/1998, 403/2007.<br />
17 Sulla quale v., in particolare, le riflessioni di Baldassarre,<br />
voce “Diritti inviolabili”, in Enc. Giur. Treccani, XI, Roma, 1989, 33,<br />
che sottolinea come la nozione di «contenuto essenziale» dei diritti<br />
è stata intesa, a seconda delle concezioni di fondo, in senso anche<br />
del tutto opposto. Le teorie assolutistiche considerano il contenuto<br />
di un singolo diritto indipendente dalle relazioni con altri valori,<br />
mentre le teorie che assumono un punto di vista opposto considerano<br />
il singolo diritto soltanto nella relazione con altri valori pari<br />
ordinati (o con determinati rapporti giuridici o istituzioni); l’assenza<br />
nella nostra Costituzione di una norma analoga a quella prevista in<br />
altre costituzioni (art. 19.II della legge fond. tedesca, art 53.I della<br />
Cost. spagnola) è messa in evidenza da Ridola, voce “Diritti co-<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009<br />
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong><br />
dei diritti inviolabili 17 sanciti in Costituzione, a me pare che il<br />
profilo condivisibile della tesi sia quello di aver posto l’accento<br />
sulla stretta correlazione che sembra correre tra il diritto di<br />
azione e di difesa e l’effettività del risultato realizzata attraverso<br />
il giudicato quale connotazione ulteriore del diritto costituzionalmente<br />
riconosciuto. La protezione dei diritti riconosciuti attraverso<br />
il processo mediante la loro definitiva consacrazione nel<br />
giudicato trova giustificazione, in primo luogo, nella posizione<br />
dei diritti di azione e di difesa i quali — come è stato esattamente<br />
osservato — si distinguono nettamente dagli altri diritti costituzionali<br />
perché senza di essi «tutti i diritti, anche quelli costituzionalmente<br />
riconosciuti, si risolverebbero in enfatiche proclamazioni<br />
prive di garanzia» 18 . In secondo luogo la qualità del<br />
diritto di difesa, considerato anche il suo valore di principio<br />
supremo dell’ordinamento, consente se non, addirittura, impone<br />
che ad esso sia data la massima espansione possibile così da<br />
consentire lo sviluppo di quelle potenzialità che esso contiene in<br />
nuce 19 , tanto che, ormai da tempo, si è riconosciuto che «qualora<br />
l’esperienza dimostrasse e la coscienza collettiva riconoscesse<br />
la necessità o l’utilità ai fini di una più efficace tutela delle<br />
ragioni [dell’imputato] di un qualsiasi nuovo diritto, potere o<br />
facoltà, anche questo dovrebbe immediatamente dirsi garantito<br />
dall’art. 24, comma 2, Cost.» 20 . In realtà, nel caso del giudicato,<br />
questa operazione di ricerca e di sviluppo delle potenzialità del<br />
diritto difesa sembra potersi risolvere all’interno stesso della<br />
Costituzione, attraverso l’intima correlazione che deve essere<br />
riconosciuta tra i diritti di azione e di difesa e la garanzia del<br />
giudizio di legittimità apprestata dall’art. 111. In altri termini, il<br />
riconoscimento della garanzia piena dell’effettività della difesa,<br />
intesa anche come qualità del risultato del processo giurisdizionale,<br />
offre il più sicuro sostegno all’idea che l’art. 111 intenda<br />
assicurare la tutela giurisdizionale dei diritti con statuizioni dotate<br />
dell’autorità di cosa giudicata. I due principi, insomma,<br />
possono considerarsi in un rapporto reciproco di osmosi e di<br />
integrazione, nel senso che il “valore” del giudicato, implicitamente<br />
presupposto dal ruolo e dal significato che il costituente<br />
ha voluto attribuire al giudizio di cassazione, trova la sua definitiva<br />
conferma quale aspetto coessenziale del diritto ad una<br />
difesa effettiva 21 . Del resto, un simile ordine di argomentazioni<br />
sembra affiorare proprio da alcuni significativi spunti della giurisprudenza<br />
costituzionale, la quale, pur non avendo mai assunto<br />
una posizione esplicita nel senso della copertura costituzionale<br />
del giudicato, è però giunta a conclusioni dalle quali è<br />
possibile trarre la misura del valore da attribuire a questo principio.<br />
Particolarmente significativa al riguardo è la sentenza n.<br />
224/1996, ove la Corte sottolinea come debba ritenersi «connaturale<br />
al sistema delle impugnazioni ordinarie che vi sia una<br />
pronuncia terminale — identificabile positivamente in quella<br />
della Corte di cassazione per il ruolo di supremo giudice di<br />
legittimità ad essa affidato dalla stessa Costituzione — che definisca,<br />
nei limiti del giudicato, ogni questione dedotta o deducibile<br />
al fine di dare certezza ai rapporti giuridici controversi e<br />
che quindi non sia suscettibile di ulteriore sindacato ad opera di<br />
un giudice diverso; certezza questa che costituisce un valore<br />
costituzionalmente protetto in quanto direttamente ricollegabi-<br />
stituzionali”, in Il Diritto - Enc. giuridica, V, Milano, 2007, 151, il<br />
quale ricorda che, secondo l’interpretazione prevalente, la garanzia<br />
del “contenuto essenziale” avrebbe lo scopo di precisare, di ciascun<br />
diritto, niente di più di quel che è già immanente alla totalità dei<br />
valori costituzionali.<br />
18 In questi termini, Pace, Problematica delle libertà costituzionali,<br />
Padova, 2003, 171.<br />
19 Osserva sul punto Zagrebelsky, La giustizia costituzionale,<br />
Bologna, 1988, 127, come il “diritto di difesa” racchiuda «tutte<br />
potenzialità in nuce di un principio espresso in quattro parole, le<br />
quali si traducono in atto nel momento e solo nel momento in cui<br />
esso entra in contatto con la circostanza della vita che costituisce<br />
l’oggetto della regola legislativa. Senza questo contatto il principio<br />
sarebbe morta disposizione».<br />
20 In questi termini Scaparone, Evoluzione ed involuzione del<br />
diritto di difesa, Milano, 21.<br />
21 Su questo punto cfr. le riflessioni di Lanfranchi, Diritti soggettivi<br />
e garanzia della cognizione ordinaria e del giudicato, in<br />
AA.VV., Garanzie costituzionali dei diritti fondamentali, Roma,<br />
1997, rist. 2006, 384 e segg., il quale sottolinea, tra l’altro, che la<br />
Costituzione «non solo postula la garanzia del giudicato ma soprattutto<br />
per il combinato disposto degli artt. 3, 24 e 111 stabilisce<br />
inequivocabilmente la stessa garanzia della correlazione necessaria<br />
tra il giudicato medesimo e la cognizione piena ed esauriente».
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong> 2823<br />
le al diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), la cui effettività<br />
risulterebbe gravemente compromessa se fosse sempre<br />
(ed indefinitamente) possibile controvertere della legittimità<br />
delle pronunce di cassazione».<br />
5. Le posizioni che negano la rilevanza costituzionale del principio.<br />
Va tuttavia ricordato che la tesi della rilevanza costituzionale<br />
del “giudicato” trova, in una parte della dottrina processualistica,<br />
una decisa negazione la quale, per un verso, rimane ancorata<br />
al profilo del silenzio del testo costituzionale sul punto, valorizzando<br />
quindi l’aspetto del mancato inserimento nella Carta della<br />
garanzia esplicita originariamente proposta dai costituenti, e,<br />
per altro verso, appare in larga misura sorretta dalla preoccupazione<br />
di escludere un vincolo per il legislatore a modellare il<br />
processo (e, in particolare, il processo civile) secondo schemi<br />
diversi ed alternativi rispetto ai giudizi a cognizione piena conclusi<br />
da provvedimenti non suscettibili di passare in giudicato.<br />
Si è così sostenuto, ad esempio, che la differenziazione delle<br />
forme di tutela alternative o abbreviate rispetto al rito ordinario<br />
risulterebbe perfino costituzionalmente doverosa perché, in tal<br />
modo, il legislatore potrebbe adeguare i processi alla stessa<br />
struttura dei diritti 22 . In questa prospettiva il profilo dell’effettività<br />
della tutela risulterebbe addirittura rovesciato rispetto all’impostazione<br />
di cui si è detto in precedenza, perché la tutela<br />
effettiva dovrebbe individuarsi nella capacità delle forme processuali<br />
di modellarsi rispetto agli interessi perseguiti dalle parti<br />
per tradursi in uno strumento di concreta realizzazione di siffatti<br />
interessi. E, tuttavia, non solo questa impostazione sembra di<br />
fatto eludere il problema del rapporto con il fascio di potenzialità<br />
espresse nell’art. 24 Cost., ma, soprattutto, sembra, più di<br />
recente 23 , aver abbracciato la prospettiva opposta che individua<br />
nei giudizi a cognizione piena e conclusi da provvedimenti suscettibili<br />
di passare in giudicato lo strumento più efficace per la<br />
tutela dei diritti, anche se resta in ombra il problema della doverosità<br />
del giudicato sul piano dei vincoli costituzionali.<br />
Una più radicale negazione del valore del giudicato sul piano<br />
costituzionale si rinviene nella posizione di chi giunge a siffatta<br />
conclusione muovendo dal presupposto che la stabilità delle<br />
sentenze rappresenterebbe, in realtà, una conseguenza del principio<br />
di economia processuale 24 , principio, quest’ultimo, che<br />
non trovando riconoscimento sul piano costituzionale, impedirebbe<br />
di considerare costituzionalmente imposto il giudicato<br />
che ne costituisce, appunto, il riflesso. Potrebbe obbiettarsi, al<br />
riguardo, che non solo il principio di economia processuale<br />
andrebbe oggi riguardato alla luce della introduzione nella Costituzione<br />
del principio di ragionevole durata 25 , con il quale<br />
sembra, per qualche verso, potersi collegare, ma, soprattutto,<br />
che la correlazione ed il rapporto di reciproca implicazione tra<br />
principio di economia e giudicato risulta assai incerto e discutibile.<br />
Difficile, infatti, porre in relazione un principio quale<br />
quello di economia che sembra, in primo luogo, connesso al<br />
profilo organizzativo della funzione giurisdizionale con una garanzia,<br />
quale è quella del giudicato, che si muove prevalentemente<br />
sul piano soggettivo. È stato, peraltro, osservato 26 al riguardo<br />
che il principio di economia processuale può anche essere<br />
inteso in maniera del tutto diversa, vale a dire come principio<br />
nel quale si riflettono esigenze sociali di stabilità e certezza<br />
dei rapporti con la conseguenza che, assumendo una simile<br />
prospettiva, il giudicato dovrebbe considerarsi come essenziale<br />
al dispiegarsi della funzione giurisdizionale. Ma, in realtà, le tesi<br />
che negano la rilevanza costituzionale del giudicato, al di là del<br />
richiamo più o meno intenso al principio di economia proces-<br />
22 In questa direzione le osservazioni di Proto Pisani, Appunti<br />
preliminari sui rapporti fra diritto sostanziale e processo, inDir. e<br />
Giur., 1978, I, 7.<br />
23 V. il saggio di Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale<br />
ex art. 737 ss., c.p.c., in Riv. Dir. Civ., I, 393.<br />
24 V. sul punto Denti, La magistratura, sub art. 111, in Comm.<br />
Cost. a cura di Branca, Bologna-Roma, 1987, 22; Id., La giurisdizione<br />
volontaria rivisitata, inRiv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1987, 325;<br />
Tavormina, Dedotto, deducibile e Costituzione, inRiv. Dir. Proc.,<br />
1992, 317; Andolina-Vignera, I fondamenti costituzionali della<br />
giustizia civile, Torino, 1997, 10.<br />
25 Cfr., in argomento, Comoglio, Le garanzie fondamentali del<br />
giusto processo, cit., 29 e segg., e già in precedenza, Comoglio, Il<br />
principio di economia processuale, I, Padova, 1980, II, Padova, 1982,<br />
nonché Olivieri, La «ragionevole durata» del processo di cognizione<br />
(qualche considerazione sull’art. 111, 2 o comma, Cost., in Foro It.,<br />
2000, V, 251.<br />
suale, a me pare finiscano per essere ispirate soprattutto dalla<br />
preoccupazione che una costituzionalizzazione del giudicato finisca<br />
per precludere al legislatore la possibilità di modellare il<br />
processo su schemi più flessibili, nei quali la stabilità del risultato<br />
conseguito deve considerarsi recessiva rispetto ad esigenze<br />
di tutela più rapida, anche se connotate da una più frequente<br />
rivedibilità del provvedimento. Dietro la critica al “mito” del<br />
giudicato vi sarebbe, in altri termini, l’esigenza di conservare, se<br />
non addirittura di ampliare, processi caratterizzati da cognizioni<br />
sommarie o semplificate, realizzate con una certa frequenza attraverso<br />
il ricorso a forme “camerali” del processo.<br />
Non è questa, ovviamente, la sede per un esame analitico di<br />
questi strumenti, intorno ai quali, peraltro, la dottrina processualistica<br />
da tempo si interroga, e di conseguenza ci si può<br />
limitare, con una sintetica esemplificazione, ad individuare solo<br />
i profili rilevanti al fine di cogliere gli aspetti costituzionalmente<br />
rilevanti. È allora sufficiente 27 ricordare che l’ordinamento prevede<br />
sia forme di tutela dei diritti sommarie ed urgenti endoprocedimentali,<br />
caratterizzate da giudizi speciali, ma non sommari,<br />
che si concludono con atti suscettibili di assumere l’efficacia<br />
del giudicato (formale e sostanziale), sia forme di tutela<br />
concluse in base a cognizioni «sommarie e deformalizzate» i cui<br />
provvedimenti decisori, pur privati di regola degli ordinari mezzi<br />
di impugnazione, possono trasformarsi in procedimenti ordinari<br />
anch’essi suscettibili di raggiungere l’efficacia piena del<br />
giudicato sostanziale. Accanto a queste forme ve ne sono altre la<br />
cui decisione finale è emessa all’esito di processi sommari di tipo<br />
camerale (si è parlato al riguardo di cameralizzazione dei diritti)<br />
la cui caratteristica risiede in un procedimento caratterizzato<br />
dall’assenza di garanzie minime (contraddittorio, mezzi di impugnazione,<br />
sommarietà degli accertamenti) la cui decisione<br />
non si caratterizza per l’attitudine al giudicato essendo sempre<br />
revocabile o modificabile. I profili costituzionali di tale forme di<br />
procedimento sono, fino ad oggi, per lo più, affiorati sotto un<br />
aspetto diverso rispetto al problema della garanzia del giudicato<br />
ed, in particolare, sotto l’aspetto della loro compatibilità con le<br />
garanzie minime di cui si è detto in precedenza. In altri termini,<br />
non è tanto la questione della loro instabilità ad aver preoccupato<br />
sotto il profilo della legittimità costituzionale, quanto, piuttosto,<br />
quella di un contraddittorio configurato talvolta come<br />
solo eventuale o della eccessiva discrezionalità del giudice ad<br />
utilizzare d’ufficio mezzi di accertamento. La salvezza di tali<br />
forme processuali — che possono, peraltro, solo con difficoltà,<br />
ricondursi ad un unico modello — è avvenuta in larga misura sul<br />
piano costituzionale, per un verso, grazie a forme che qualcuno<br />
ha definito di «etero integrazione interpretativa» 28 , vale a dire,<br />
attraverso l’estensione, operata dalla giurisprudenza ordinaria,<br />
di garanzie previste per il rito ordinario. Per altro verso, è stata<br />
l’opera della giurisprudenza costituzionale che, spesso ricorrendo<br />
agli strumenti delle decisioni additive o manipolative, ha<br />
consentito l’estensione delle garanzie del rito ordinario ai modelli<br />
c.d. “camerali del processo” 29 . Si tratta allora di verificare<br />
se l’uso di questi strumenti da parte del legislatore debba modellarsi<br />
diversamente, una volta che si riconosca — per le ragioni<br />
che si sono fin qui esposte — la doverosità sul piano<br />
costituzionale del giudicato. La risposta ad un simile interrogativo<br />
non può, a mio avviso, che essere positiva, e, tuttavia, essa<br />
non porta necessariamente ad escludere radicalmente ogni facoltà<br />
per il legislatore di ricorrere a strumenti più flessibili e<br />
alternativi di tutela dei diritti rispetto al rito ordinario. Essa<br />
impone al legislatore di configurare simili strumenti come mai<br />
preclusivi di una possibilità che le loro precarie conclusioni<br />
siano suscettibili di un successivo accertamento con le forme<br />
26 Uno spunto in questa direzione in Fransoni, op. cit., 28, sulla<br />
scorta, in particolare, delle affermazioni di Capaccioli, Le commissioni<br />
tributarie e l’atto di decisione, inRiv. Dir. Proc., 1969, 403<br />
e segg. e di Proto Pisani, Appunti sulla tutela di mero accertamento,<br />
inRiv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1979, 620.<br />
27 Mi richiamo, qui, allo schematizzazione efficacemente contenuta<br />
in Menchini, Il giudicato civile, Torino, 2002, 17.<br />
28 L’espressione è usata da Comoglio-Ferri-Ricci, Lezioni sul<br />
processo civile, II, Procedimenti speciali, cautelari ed esecutivi, Bologna,<br />
2006, 210, ove è anche contenuta una puntuale disamina dei<br />
rapporti tra rito camerale e garanzie costituzionali.<br />
29 Per una utile sintesi della giurisprudenza costituzionale sul<br />
punto v. Bartole-Bin, Commentario breve alla Costituzione, Padova,<br />
2008, 225.<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009
2824<br />
ordinarie, di ripensare alla loro disciplina (secondo una esigenza<br />
che appare, oggi, comunque avvertita, al di là del profilo del<br />
giudicato 30 ) in una prospettiva che tenga conto dell’ineludibile<br />
conseguenza che dalla combinazione del rapporto tra art. 24 e<br />
111 Cost. scaturisce in ordine al riconoscimento del giudicato<br />
come valore costituzionale. Non si tratta, dunque, di cedere al<br />
«mito del giudicato» 31 , quanto piuttosto di far emergere dal<br />
rapporto tra diritto di difesa e ricorribilità di ogni decisione<br />
dinanzi al giudice di legittimità tutte le potenzialità che simili<br />
principi racchiudono. Mi rendo conto che solo una precisa presa<br />
di posizione sul punto da parte del giudice delle leggi può<br />
oggi determinare la decisiva, quanto auspicabile svolta, ma, ove<br />
questa si verificasse, non necessariamente essa dovrebbe ritenersi<br />
come definitivamente preclusiva per il legislatore di utilizzare<br />
spazi di discrezionalità per realizzare l’obiettivo di una<br />
tutela più rapida e differenziata, bensì potrebbe risolversi in una<br />
razionalizzazione delle diverse forme di tutela compatibile con<br />
il sistema costituzionale.<br />
6. Giudicato, processo amministrativo e processo penale.<br />
Non vi è dubbio che le riflessioni fin qui svolte abbiano assunto<br />
quale paradigma della problematica del giudicato il processo<br />
civile, nel quale le posizioni in gioco sono, di regola, proprio<br />
i diritti e la correlativa esigenza della loro stabilità, una volta<br />
che essi siano accertati in capo ai singoli a seguito dell’esperimento<br />
dei rimedi giurisdizionali.<br />
Ma è altrettanto evidente che il tema del giudicato, ove si<br />
ammetta la sua riconducibilità a principio di rilevanza costituzionale,<br />
si deve riferire a tutti i processi giurisdizionali. Resta da<br />
verificare, peraltro, se, con riferimento ai processi diversi rispetto<br />
a quelli civili, possano individuarsi ulteriori profili, anche in<br />
rapporto ad altri principi costituzionali. Il tema assume rilievo<br />
non tanto nei confronti del processo amministrativo, quanto,<br />
soprattutto, rispetto al processo penale. È noto, infatti, che le<br />
decisioni dei giudici amministrativi, proprio in forza delle previsioni<br />
contenute nella legge processuale civile, sono suscettibili<br />
di acquistare l’autorità della cosa giudicata, sia in senso formale<br />
che sostanziale, anche se, proprio in relazione a quest’ultimo<br />
aspetto, il giudicato amministrativo mette in evidenza alcune<br />
peculiarità quanto alla sua effettiva applicazione 32 . La sentenza<br />
del giudice amministrativo si inserisce, infatti, nell’ambito di<br />
una vicenda procedimentale di esercizio del potere amministrativo<br />
che non solo precede il processo, ma finisce altresì per<br />
proiettarsi nel futuro per via dei vincoli di contenuto dell’azione<br />
amministrativa che produce la decisione 33 . Il rilievo costituzionale<br />
del giudicato potrebbe allora proiettarsi nell’opera del legislatore<br />
allo scopo di evitare che nel giudizio amministrativo si<br />
continui a far riferimento alla problematica applicazione della<br />
nozione di giudicato in senso sostanziale emergente dall’art.<br />
2909 c.c., e si dia corpo ad una disciplina specifica, modellata<br />
sulle esigenze proprie del giudizio amministrativo. Il tema, in<br />
altri termini, evoca quella necessità, da tempo avvertita, della<br />
creazione di un vero e proprio «diritto processuale amministrativo»<br />
per conformare quel processo alla tutela delle situazioni<br />
soggettive, sottraendolo definitivamente all’ipoteca dell’applicazione<br />
di un corpo di norme (quelle del processo civile) dettate<br />
in vista di finalità non sempre coincidenti.<br />
In termini diversi si pone la questione del giudicato nell’ambito<br />
del processo penale. Qui, infatti, nell’ordinamento processuale<br />
34 , ad una nozione di giudicato in senso formale, quale è<br />
30<br />
Sottolineano tale esigenza Comoglio-Ferri-Ricci, op. cit.,<br />
213 e seg.<br />
31<br />
L’espressione è inDenti, La magistratura, cit., 21.<br />
32<br />
Sulla specificità del giudicato amministrativo e sui problemi<br />
connessi v., tra i tanti contributi, in particolare Clarich, Giudicato<br />
e potere amministrativo, Padova, 1989; Vipiana, Contributo allo<br />
studio del giudicato amministrativo, Milano, 1990.<br />
33<br />
Va peraltro ricordato che è proprio da una decisa presa di<br />
posizione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (decisione<br />
del 21 febbraio 1994, n. 4, in Foro It., 1994, III, 313) che discende<br />
una delle più ferme prese di posizione a tutela del giudicato nei<br />
confronti degli interventi del legislatore (in quel caso mediante una<br />
legge interpretativa). Osservò l’Ad. plen. che il contenuto precettivo<br />
del giudicato amministrativo rappresenta un sicuro limite alla retroattività<br />
della legge in quanto, se il giudicato dovesse cedere dinanzi<br />
agli interventi del legislatore, «sarebbe consentito al legislatore<br />
vanificare in ogni momento la funzione propria della Magistratura<br />
(Titolo IV Cost.), rendendo aleatoria, sia pure attraverso lo<br />
strumento dell’interpretazione autentica, quella tutela giurisdizionale<br />
che costituisce un fondamentale diritto assicurato al singolo<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009<br />
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong><br />
quella contenuta nell’art. 648 c.p.c. (ove si prevede la irrevocabilità<br />
e la conseguente non ripetibilità in sede di impugnazioni<br />
ordinarie del giudizio sul fatto, sulla responsabilità e sulla eventuale<br />
determinazione della pena) non corrisponde una previsione<br />
del giudicato sostanziale analoga a quella contenuta nell’art.<br />
2909 c.c. Non può affermarsi, dunque, che nel giudicato penale<br />
si possa configurare una sentenza irrevocabile destinata a regolare<br />
in via definitiva un rapporto giuridico sottostante, bensì<br />
esiste un principio quale è quello che si suole denominare con la<br />
formula del «divieto del ne bis in idem»(sancito dall’art. 649<br />
c.p.c.) che rappresenta il profilo, per così dire, negativo del<br />
giudicato penale in quanto diretto ad impedire nuove imputazioni<br />
per un medesimo fatto rispetto ad un soggetto su cui si è<br />
irrevocabilmente giudicato. Ci si chiede allora se al principio del<br />
ne bis in idem, di cui la Costituzione non fa alcuna esplicita<br />
menzione, possa attribuirsi rilevanza costituzionale. Si è tentato,<br />
in questa direzione, un ancoraggio 35 con la previsione contenuta<br />
nell’art 27, comma 2, Cost. la quale dispone, come è noto, il<br />
divieto di ritenere colpevole una persona «sino alla condanna<br />
definitiva». Nell’esigenza della definitività della sentenza di condanna<br />
potrebbe infatti ritenersi implicitamente ricompreso il<br />
divieto della celebrazione di un nuovo processo per il medesimo<br />
fatto e contro lo stesso soggetto. Si è anche sostenuto 36 , sempre<br />
nella prospettiva di una correlazione tra definitività della sentenza<br />
di condanna ex art 27 Cost. e giudicato penale, che si<br />
debba riconoscere il principio secondo cui solo una sentenza<br />
giusta può condurre alla definitività, e la sentenza giusta non<br />
può che essere quella che conclude un processo nel quale, a due<br />
gradi di accertamento di merito, si aggiunga la possibilità del<br />
giudizio di cassazione. Conclusione quest’ultima che finisce per<br />
pervenire però al collegamento tra giudicato e doppio grado di<br />
giudizio, per il tramite di un aggancio costituzionale che, in<br />
quanto limitato al solo principio contenuto nell’art. 27, risulta<br />
assai più debole — per le ragioni che si sono in precedenza<br />
illustrate — rispetto a quanto può invece farsi discendere dalla<br />
combinazione tra diritto di difesa e garanzia del giudizio di<br />
legittimità. In realtà l’obiezione 37 più decisa che può muoversi<br />
al richiamo all’art. 27 Cost., quale fondamento del giudicato<br />
penale tradotto nel principio del ne bis in idem,èquella secondo<br />
cui una garanzia così concepita finirebbe per proteggere solo chi<br />
ha subìto una condanna definitiva e non già chi è stato assolto.<br />
Un maggior peso assume oggi il riconoscimento del principio<br />
del ne bis in idem in alcune importanti convenzioni internazionali,<br />
e in particolare nel Patto internazionale sui diritti civili e<br />
politici (art. 14, par. 7) e nel protocollo addizionale alla Convenzione<br />
europea dei diritti dell’uomo (art. 4, par. 1) entrambi<br />
ratificati e resi esecutivi nell’ordinamento italiano. L’introduzione<br />
di queste disposizioni nell’ordinamento interno deve, infatti,<br />
essere valutata oggi alla luce del nuovo art. 117, comma 1, Cost.<br />
e del vincolo al rispetto degli obblighi internazionali che essa<br />
impone al legislatore. Le conseguenze dell’introduzione di siffatto<br />
vincolo sono state chiarite nelle due fondamentali decisioni<br />
della Corte costituzionale (le sentenze n. 348 e n. 349/2007) le<br />
quali hanno sostanzialmente affermato il principio della prevalenza<br />
delle norme internazionali recepite nell’ordinamento attraverso<br />
i trattati (e in particolare di quelle, come la Cedu, che<br />
contengono il riconoscimento e la specificazione dei diritti) sulle<br />
norme interne, risolvendosi, pertanto, in un parametro di legittimità<br />
“interposto” rispetto a contrarie disposizioni nazionali 38 .<br />
Il che comporta la conseguenza che eventuali violazioni da parte<br />
dalla Costituzione, tutela che non può dirsi tale se non è completa<br />
(artt. 24 e 113 Cost.) e indipendente dalla ingerenza di ogni altro<br />
potere (artt. 101 e 104 Cost.)».<br />
34 Osserva De Luca, I limiti soggettivi della cosa giudicata penale,<br />
Milano, 1963, 93, che il giudicato penale è preordinato ad assicurare<br />
la sicurezza dei cittadini in quanto con il divieto della «illimitata ripetizione<br />
dei comandi in relazione ad uno stesso fatto e a una stessa<br />
persona, attraverso il giudicato la legge offre al singolo la sicurezza<br />
dei suoi diritti, il che si risolve in una guarentigia di libertà».<br />
35 V., sul punto, D’Orazi, La revisione del giudicato penale. Percorsi<br />
costituzionali e requisiti di ammissibilità, Padova, 2003, 162.<br />
36 V., sul punto, le considerazioni svolte da Corbi, Il giudicato<br />
penale: profili costituzionali e di diritto comparato, Relazione all’incontro<br />
di studi indetto dal C.S.M. su Giudicato penale, esecuzione<br />
e pena, Firenze, 26 novembre 2007.<br />
37 Mi riferisco alle considerazioni svolte da Moscarini, L’omessa<br />
valutazione alla prova favorevole all’imputato, Padova, 2005, 55,<br />
il quale dedica poi una accurata analisi, contenuta nel capitolo III<br />
dell’opera, al «giudicato penale come valore costituzionale».<br />
38 Per una efficace sintesi dei problemi scaturenti dall’interpre-
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong> 2825<br />
del legislatore del principio del ne bis in idem finirebbero per<br />
poter essere ritenute come costituzionalmente illegittime per<br />
violazione dei trattati e per la indiretta violazione dell’art. 117,<br />
comma 1, Cost. che ad esse consegue. La protezione del giudicato<br />
39 , ed in particolare del giudicato penale, può ritenersi dunque<br />
confortata e, in qualche misura, rafforzata attraverso il riconoscimento<br />
del principio del ne bis in idem nelle grandi convenzionali<br />
internazionali sui diritti.<br />
7. Principio del giudicato e limiti al potere legislativo.<br />
Le considerazioni fin qui svolte in tema di rilevanza costituzionale<br />
del giudicato possono ora essere assunte a parametro per<br />
affrontare, quanto meno nei suoi termini essenziali, il profilo<br />
concernente il grado di protezione che la sentenza passata in<br />
giudicato riceve nell’ordinamento rispetto ad eventuali interventi<br />
del legislatore diretti, in qualche modo, a travolgerne gli<br />
effetti. Il problema può porsi sia nei confronti di una legge<br />
sopravvenuta che disciplini in modo divergente il rapporto dedotto<br />
nel giudizio sul quale si è formata la cosa giudicata, sia nei<br />
confronti di una legge che stabilisca una disciplina processuale<br />
diversa rispetto a quella che aveva regolato il processo, sia, infine,<br />
rispetto ad una declaratoria di incostituzionalità. Lasciando<br />
da parte quest’ultimo profilo, rispetto al quale il problema si<br />
presenta con caratteri del tutto peculiari, mi limiterò a svolgere<br />
qualche considerazione sui rimanenti due, quanto meno nel<br />
tentativo di fissare le coordinate essenziali del tema. È evidente<br />
che questo tema assume rilievo con riferimento alla legge retroattiva<br />
(poco rilevante, ai nostri fini, rivelandosi l’ulteriore,<br />
complesso problema della distinzione con le leggi di interpretazione<br />
autentica o con le leggi di sanatoria: ciò che rileva, dal<br />
punto di vista di cui si discute, è l’effetto retroattivo) perché è<br />
dalla retroazione degli effetti che può derivare un problema di<br />
minaccia alla cosa giudicata<br />
Secondo una impostazione tradizionale, che ha trovato largo<br />
consenso in dottrina, la legge ordinaria che, di riflesso, travolga<br />
con i suoi effetti retroattivi la cosa giudicata non incontra limiti<br />
in nessuna norma costituzionale. Chiarissima è, sul punto, la<br />
posizione, ad esempio, di Paladin 40 , il quale ricorda, a sostegno<br />
della tesi, proprio la soppressione dal progetto di Costituzione<br />
della norma diretta a proteggere i giudicati. Tutt’al più la eventuale<br />
incostituzionalità di una legge ordinaria che fosse diretta a<br />
modificare una qualche sentenza incontrerebbe un limite nel<br />
divieto di leggi personali (ex art. 3, comma 1, Cost.) e non già «in<br />
ragione di astratti principi di separazione dei poteri o per una<br />
pretesa proibizione costituzionale di leggi “iperretroattive”» 41 .<br />
Si è sostenuto, sul punto, che, tuttavia, una legge retroattiva di<br />
regola non è in grado di travolgere il giudicato in quanto essa<br />
vedrebbe limitato il proprio ambito di efficacia rispetto alle<br />
situazioni <strong>giuridiche</strong> cui si rivolge, proprio da parte delle disposizioni<br />
legislative che sanciscono l’autorità del giudicato 42 . Con<br />
la conseguenza che, in concreto, la legge retroattiva che intendesse<br />
veramente incidere sui giudicati dovrebbe contenere una<br />
doppia statuizione, vale a dire una riforma retroattiva del diritto<br />
vigente unitamente ad una statuizione specifica concernente i<br />
casi sui quali il giudicato è intervenuto, idonea a derogare puntualmente<br />
alla disciplina legislativa di rango ordinario sul giudicato.<br />
Il giudicato, dunque, non sarebbe costituzionalmente<br />
protetto ma il legislatore potrebbe inciderlo solo attraverso una<br />
specifica previsione che renda esplicita la sua volontà. Al fondo<br />
di questa impostazione affiora chiaramente l’idea che il potere<br />
legislativo non possa essere limitato, specie da un principio qua-<br />
tazione dell’art. 117, comma 1, Cost. v., di recente, Bin-Pitruzzella,<br />
Le fonti del diritto, Torino, 2009, 95 e segg.<br />
39 Alla conclusione di un valore costituzionale del giudicato perviene<br />
anche Moscarini, op. cit., 65-74 il quale fa leva, in particolare<br />
sulle disposizioni costituzionali che hanno introdotto il “giusto processo”<br />
inteso quale clausola aperta che consentirebbe l’inclusione<br />
nel novero dei diritti costituzionali di «quegli interessi che fossero,<br />
via via, percepiti come “valori meritevoli di tutela” nell’evolversi<br />
della civiltà giuridica» e tale sarebbe il giudicato il quale, si sostiene,<br />
trova la «sua ragion d’essere non già insémedesimo, ma nel suo<br />
porsi come “momento terminale” d’un processo “guidato” da criteri<br />
garantistici, euristici e logici costituzionalmente stabiliti»<br />
40 V. Paladin, Appunti sul principio di irretroattività delle leggi,<br />
in Foro Amm., 1959, 946 e segg.<br />
41 Così, letteralmente, Paladin, op. cit., 950.<br />
42 L’argomento è sviluppato da Tarchi, Le leggi di sanatoria<br />
nella teoria del diritto intertemporale, Milano, 1990, 429 e segg.<br />
43 Le frasi in corsivo sono di Grottanelli de’ Santi, Profili<br />
costituzionali della irretroattività delle leggi, Milano, 1970, 62 e seg.<br />
le è quello del giudicato che apparterrebbe «ad un’epoca in cui<br />
si aveva una preferenza per la certezza del diritto piuttosto che per<br />
la divisione dei poteri» la cui finalità «sembra piuttosto da individuare<br />
in una fondamentale, eppure non del tutto invalicabile,<br />
esigenza di certezza del diritto che non in un limite espressamente<br />
e specificamente posto al legislatore» 43 . A sua volta, il principio di<br />
soggezione del giudice soltanto alla legge impedisce di limitare<br />
la discrezionalità legislativa, restando così il legislatore libero di<br />
introdurre una nuova normativa che si spinga, non solo a travolgere<br />
i giudizi in corso, ma perfino di incidere i giudicati, sia<br />
pure con il (fragilissimo) limite di una disposizione che espressamente<br />
sia rivolta a questa finalità per poter efficacemente derogare<br />
alla disciplina processuale che regola il giudicato.<br />
Sul versante opposto, il tentativo di ancorare la protezione del<br />
giudicato nei confronti del potere legislativo è stato condotto, in<br />
primo luogo, con il richiamo al principio della separazione dei<br />
poteri 44 , facendo leva sul rispetto dell’autonomia e della indipendenza<br />
della magistratura, ma su questo terreno l’adesione è<br />
risultata piuttosto tiepida. L’obiezione più frequente mossa a<br />
questo argomento si risolve, per un verso, nel negare che autonomia<br />
e indipendenza rappresentino principi che possano<br />
estendersi al di là della semplice garanzia di neutrale applicazione<br />
della legge da parte dei giudici, e dall’altra, che giurisdizione<br />
e legislazione si muovono su piani diversi e del tutto distinti,<br />
e, pertanto, il legislatore resta libero di procedere a mutare<br />
la legge, anche in senso retroattivo, senza alcun limite che<br />
non siano altri principi di rango costituzionale, quali la materia<br />
penale o il valore della ragionevolezza 45 . Sia pure rimanendo in<br />
questa prospettiva, un tentativo di delimitazione dei confini del<br />
legislatore si è svolto attraverso una più puntuale precisazione<br />
delle possibili incidenze sul giudicato. Si è così distinto 46 tra: a)<br />
legge che astrattamente modifica una legge anteriore diretta<br />
anche a stabilire la caducazione delle sentenze, anche passate in<br />
giudicato, pronunziate sulla base di essa, b) legge diretta a caducare<br />
le sentenze senza alcuna modifica della disciplina sostanziale,<br />
ed, infine, c) legge diretta alla modificazione al regime<br />
delle sentenze anche se passate in giudicato. Così classificate le<br />
ipotesi di possibile incidenza sui giudicati, dovrebbe allora concludersi<br />
che solo la seconda tra le ipotesi individuate (legge<br />
diretta a caducare le sentenze senza alcuna modifica della disciplina<br />
sostanziale) deve escludersi radicalmente perché diretta<br />
esplicitamente solo a scalzare i giudicati. In questa ipotesi, insomma,<br />
il legislatore mirerebbe con evidenza a farsi giudice,<br />
mentre nelle altre ipotesi prevarrebbe comunque il rispetto per<br />
la funzione legislativa a condizione che la legge così concepita<br />
dimostri di essere sorretta da una ratio che dimostri l’esistenza<br />
«di un interesse politico legislativo trascendente i casi singoli».<br />
Il tentativo di una più esatta delimitazione delle sfere di azione<br />
della legislazione e della giurisdizione rimane comunque condotto<br />
all’interno della concezione che individua nell’autonomia<br />
e indipendenza del potere giudiziario il possibile argine costituzionale<br />
all’intromissione nei giudicati. Potrebbe poi obiettarsi<br />
che, non solo l’ipotesi di una legge diretta a caducare esclusivamente<br />
le sentenze rimane un’ipotesi estrema, ma che, in tal<br />
modo, non si concepisce alcuna limitazione per quegli interventi<br />
nei quali il legislatore mimetizza, sotto le spoglie di una innovazione<br />
retroattiva, la volontà di scardinare anche una sola decisione<br />
passata in giudicato perché politicamente sgradita 47 .Va<br />
ricordato, tuttavia, che la Corte costituzionale, con la sentenza<br />
n. 374/2000 ha finito per aderire, in qualche modo, a quell’ordine<br />
di idee giudicando illegittima una legge (in quel caso in-<br />
44 Cfr., tra gli altri, Silvestri, voce “Poteri dello Stato (divisione<br />
dei)”, in Enc. Dir., Milano, 1985, 702.<br />
45 In questa direzione, del resto, una, sia pur risalente, decisione<br />
della Corte (sent. n. 70/1983) la quale afferma che «la norma di<br />
diritto sostanziale che regola una situazione anche pregressa senza<br />
violare il giudicato non modifica il contenuto di una sentenza; non<br />
sindaca l’operato di un giudice, ma costituisce la legge alla quale il<br />
giudice è soggetto; non sottrae al giudice alcuna controversia, ma gli<br />
fornisce appunto il diritto che deve applicare»<br />
46 Per una distinzione in questi termini v. Zagrebelsky, Il sistema<br />
costituzionale delle fonti del diritto, Torino, 1984, 45.<br />
47 Sottolinea su questo punto Pugiotto, La legge interpretativa<br />
e i suoi giudici, Milano, 2003, 238, nell’ambito di una articolata ed<br />
acuta riflessione sulle leggi di interpretazione autentica che «tutta la<br />
giurisprudenza costituzionale in tema di rapporti tra funzione giurisdizionale<br />
e funzione legislativa di interpretazione autentica colloca<br />
quest’ultima sul piano generale delle fonti: la legge interpretativa<br />
innova dunque il diritto oggettivo e può sempre legittimamente<br />
produrre effetti (indiretti) su decisioni ormai definitive. Ciò che, in<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009
2826<br />
terpretativa) a contenuto provvedimentale diretta a travolgere<br />
specifici giudicati, ma sostanzialmente facendo salvo l’intervento<br />
del legislatore ove una simile legge contenesse una disciplina<br />
generale ed astratta anche quando questa fosse diretta a travolgere<br />
i giudicati. Un passo avanti, dunque, nella protezione del<br />
giudicato, ma al tempo stesso una dimostrazione della debolezza<br />
di siffatta protezione perché essa finisce per ammettere la<br />
possibilità di assolvere il legislatore quando si determini «un<br />
rapporto di consequenzialità necessaria tra creazione della norma<br />
e incidenza sui giudicati» 48<br />
Anche il richiamo alla riserva di giurisdizione quale limite agli<br />
interventi del legislatore ha finito per arenarsi, da una parte, per<br />
le difficoltà concettuali ad individuare nei principi costituzionali<br />
uno spazio chiaramente delimitabile per la funzione giurisdizionale<br />
49 e, dall’altra, per la scarsa propensione della Corte a sviluppare<br />
taluni, pur significativi, spunti contenuti nella sua giurisprudenza<br />
che potevano far pensare ad una più precisa delimitazione<br />
dei confini della potestà giurisdizionale rispetto alla<br />
funzione legislativa. Significativa, in tal senso, la sentenza<br />
n. 346/1991 ove la Corte sostiene che l’«ammissibilità di leggi a<br />
contenuto concreto incontra un limite specifico nel rispetto della<br />
funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in<br />
corso» 50 . Più di recente, anche sulla scorta di due significativi<br />
spunti offerti dalle riflessioni di Mortati 51 e di Predieri 52 ,èstata<br />
avanzata una ipotesi che mira a rafforzare la capacità di resistenza<br />
della funzione giurisdizionale rispetto agli interventi retroattivi<br />
del legislatore attraverso un aggancio al «diritto alla<br />
tutela giurisdizionale, inteso come diritto a non veder vanificato<br />
in corso d’opera o addirittura dopo il giudicato il procedimento<br />
di concretizzazione dell’ordinamento che si svolge con le garanzie<br />
della giurisdizione» 53 . Si tratta di una ipotesi che, muovendo<br />
dalla idea della dissoluzione delle garanzie di certezza e prevedibilità<br />
che rappresentavano il tratto caratteristico della concezione<br />
ottocentesca della legge, mira a recuperare siffatte garanzie<br />
attraverso una forte rivalutazione della centralità della funzione<br />
giurisdizionale. Si sostiene allora che, all’interno delle leggi<br />
retroattive che incidono sui giudizi in corso ovvero mirano a<br />
scardinare i giudicati, dovrebbe distinguersi nettamente tra le<br />
disposizioni che intendono innovare, disciplinando sia retroattivamente<br />
che pro futuro, e quelle che, invece, incidono sulla<br />
funzione giurisdizionale o, più correttamente sul diritto alla tutela<br />
giurisdizionale garantito ai singoli dall’art. 24 Cost. Dovrebbe<br />
allora procedersi ad una netta separazione delle due sfere di<br />
operatività all’interno del precetto legislativo in modo da enucleare,<br />
tra le situazioni che la legge mira a disciplinare, quelle che<br />
incidono su giudizi in corso o sui giudicati le quali, solamente,<br />
incorrerebbero nella censura di incostituzionalità per la evidente<br />
violazione del diritto di azione e difesa. Al contrario l’intervento<br />
legislativo dovrebbe ritenersi legittimo se fosse lo stesso<br />
legislatore a distinguere le situazioni e a dettare una disciplina<br />
conforme ai giudicati ovvero satisfattiva delle istanze fatte valere<br />
con le azioni in corso. A sostegno di questa originale operazione<br />
buona sostanza, si finisce per pretendere dal legislatore interprete è<br />
solamente un minimo di accortezza: sarà sufficiente — per andare<br />
assolto — che egli formuli il proprio intervento in termini di generalità<br />
e astrattezza, mascherando così con consumata malizia la propria<br />
intenzione di travolgere specifici giudicati»<br />
48 Così, Corte cost., n. 374/200, in Giur Cost., 2000, 2660, con<br />
nota di Pugiotto, Il legislatore interprete e le «colonne d’Ercole»<br />
del giudicato,2662ediLibone, Corte costituzionale e tutela della res<br />
iudicata tra illusione e realtà, 4387.<br />
49 V. sul punto Bartole, A proposito della riserva della funzione<br />
giurisdizionale, inStudium juris, 1995, 157 e segg.<br />
50 Sui possibili sviluppi di questa decisione nella successiva giurisprudenza<br />
v. Sorrentino, Garanzia giurisdizionale dei diritti e degli<br />
interessi legittimi e leggi provvedimento,inGiur. Cost., 1991, 2781.<br />
51 Mortati, Le leggi provvedimento, Milano, 1968, 118 che parifica,<br />
quanto agli effetti sui giudizi in corso, la legge diretta a introdurre<br />
una nuova disciplina di carattere generale e la legge provvedimento<br />
che sia diretta esclusivamente a condizionarli.<br />
52 Predieri, Interpretazione autentica e collisioni con i diritti<br />
costituzionali alla difesa e al giudice naturale e precostituito nelle leggi<br />
sulle concentrazioni editoriali,inQuaderni di Nomos, n. 1, 1989, 120<br />
e segg., il quale ritiene che il mutamento delle regole sostanziali del<br />
giudizio mentre questo è in corso equivale a cambiare il giudice ed<br />
a violare così sia il diritto di azione e di difesa che quello al giudice<br />
naturale.<br />
53 In questi termini Manetti, I vizi reali e immaginari delle leggi<br />
di interpretazione autentica, Le leggi di interpretazione autentica tra<br />
Corte costituzionale e legislatore a cura di Anzon, Torino, 2001, 48.<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009<br />
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong><br />
militerebbero anche alcuni spunti individuabili nella giurisprudenza<br />
costituzionale. Alla già richiamata sentenza che individua<br />
il limite specifico dell’intervento legislativo a contenuto concreto<br />
nel rispetto della funzione giurisdizionale (n. 346/1991), dovrebbero<br />
poi aggiungersi sia le decisioni che hanno riconosciuto<br />
la illegittimità di disposizioni di legge dirette a caducare i giudicati<br />
o ad estinguere i giudizi in corso, anche se collegate ad una<br />
legge che contiene una disciplina di carattere generale (sentt. n.<br />
123/1987 e n. 374/2000), sia, infine, quelle decisioni che hanno<br />
ritenuto come compatibile con la Costituzione quelle disposizioni<br />
legislative che, pur incidendo su giudizi in corso, abbiano<br />
soddisfatto integralmente le ragioni fatte valere nei giudizi. Le<br />
indicazioni provenienti dalla giurisprudenza costituzionale configurano,<br />
allora, una sorta di possibile test di verifica per l’operato<br />
del legislatore retroattivo che sembra soddisfare proprio le<br />
esigenze di garanzia dei diritti consacrati nei giudizi 54 .<br />
Il pregio di questa ricostruzione è, senza dubbio, quello di<br />
aver separato la tematica della protezione dei giudizi in corso e<br />
del giudicato rispetto agli interventi del legislatore dall’aggancio<br />
difficile e, fino ad oggi, scarsamente produttivo del rispetto dell’autonomia<br />
e indipendenza dei giudici quale presidio dei giudicati.<br />
L’apertura ad una prospettiva che si muove nella diversa<br />
direzione della tutela del diritto di azione e difesa potrebbe<br />
consentire, ove trovasse poi una conferma più decisa nella giurisprudenza<br />
della Corte, di radicare proprio nell’art. 24 Cost. il<br />
parametro più solido a protezione della cosa giudicata, anche se,<br />
a me pare, la tesi si presta maggiormente ad incidere sugli interventi<br />
legislativi che mirano ad incidere su giudizi in corso (per<br />
via della verifica del grado di soddisfazione assicurato alle pretese<br />
fatte valere in quei giudizi) rispetto a quelle — talvolta più<br />
pericolose — che si rivolgono a vanificare i giudicati.<br />
Invero, dalla giurisprudenza successiva, non sembrano potersi<br />
desumere quegli auspicati sviluppi anche se la protezione del<br />
giudicato ne è uscita talvolta rafforzata. In questo senso può<br />
leggersi la sentenza n. 364/2007 55 nella quale la Corte sancisce<br />
l’incostituzionalità della legge che dispone espressamente la cessazione<br />
di efficacia di provvedimenti del giudice civile già passati<br />
in giudicato, sia perché essi violano le attribuzioni costituzionali<br />
dell’autorità giudiziaria, sia perché essi risultano lesivi<br />
dell’affidamento della parte vittoriosa sul carattere irretrattabile<br />
del giudicato e si pongono conseguentemente in contrasto con<br />
gli artt. 3e24Cost. Ad un argomento tradizionale, quale è<br />
quello del rispetto della sfera di azione del potere giudiziario, si<br />
affianca in questo caso il richiamo all’affidamento quale espressione<br />
dei principi, congiuntamente considerati, di eguaglianza e<br />
di difesa. Ma si tratta di una soluzione che, ancora una volta,<br />
finisce per eludere il punto centrale, che è quello di riconoscere<br />
che la protezione del giudicato trova direttamente nella Costituzione<br />
il suo pieno e diretto riconoscimento senza la intermediazione<br />
di altri principi. In realtà la Corte utilizza ora il richiamo<br />
al giudicato, ora quello al legittimo affidamento 56 , ora quello<br />
alla certezza del diritto, senza mai chiarire fino in fondo, il grado<br />
54 Sottolinea al riguardo Manetti, op. cit., 53 che se «estinguere<br />
i giudizi in corso senza assicurare nel contempo una soddisfazione<br />
ragionevolmente paragonabile a quella cercata dagli attori è da ritenere<br />
incostituzionale, lo stesso dovrebbe dirsi di una nuova disciplina<br />
che consenta bensì di proseguire i giudizi, ma escluda che essi<br />
possano condurre ad ottenere quella soddisfazione — rispettando<br />
formalmente, ma non nella sostanza , il diritto garantito dall’art. 24<br />
Cost.<br />
55 Sulla quale v. le riflessioni di Caponi, Giudicato civile e leggi<br />
retroattive,inForo It., 2009, I, 996 e segg. il quale sottolinea «come<br />
con l’affermazione della intangibilità del giudicato civile da parte<br />
dello jus superveniens retroattivo la Corte si allinea alla soluzione<br />
adottata in altri ordinamenti che non contengono una esplicita statuizione<br />
costituzionale di rispetto del giudicato civile, ma lo desumono<br />
— come il principio di irretroattività — dalla garanzia della<br />
certezza del diritto». Sui dubbi intorno alla concezione dell’ irretroattività<br />
che emergono nella posizione della Corte v. l’ampia riflessione<br />
di Luciani, Il dissolvimento della retroattività - Una questione<br />
fondamentale del diritto intertemporale nella prospettiva delle vicende<br />
delle leggi di incentivazione economia,inGiur. It., 2007, 1825 e 2089.<br />
56 Sul principio dell’affidamento, v., da ultimo, Carnevale, I<br />
diritti, la legge e il principio del legittimo affidamento nell’ordinamento<br />
italiano, in corso di pubblicazione negli Scritti in onore di<br />
Alessandro Pace, il quale sottolinea, in conclusione dello studio, che<br />
nei confronti di questo principio la giurisprudenza costituzionale,<br />
anziché indirizzarsi verso una «ricerca più vigilata ed accorta del suo<br />
fondamento come pretesa di salvaguardia di carattere generale»<br />
finisca per individuare una copertura costituzionale sotto il «tetto
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong> 2827<br />
di protezione che tali principi ricevono come veri e propri valori<br />
costituzionali, bensì essi vengono utilizzati, sovente, come meri<br />
obiter dicta, idonei a sorreggere la motivazione in combinazione<br />
con altri principi che spaziano dalla tutela della sfera di azione<br />
della funzione giurisdizionale, a quello dell’eguaglianza, a quello<br />
del diritto alla tutela giurisdizionale, in un ordine che sembra<br />
non seguire una rigorosa sistemazione concettuale (e che talvolta<br />
viene contraddetto) quanto, piuttosto, essere utilizzato in<br />
funzione delle esigenze proprie che ogni singola decisione di<br />
volta in volta richiede. Tutto ciò dàla misura delle conseguenze<br />
del rifiuto di scrutinare fino in fondo, ed in tutte le sue possibili<br />
implicazioni, il rilievo autonomo che al principio del giudicato<br />
dovrebbe attribuirsi quale valore presente nell’ordinamento come<br />
espressione diretta e immediata del diritto alla tutela giurisdizionale.<br />
REMO CAPONI<br />
Giudicato civile e diritto costituzionale: incontri<br />
e scontri<br />
Sommario: 1. Premessa — 2. Incontri nell’ordinamento tedesco.<br />
— 3. Scontri nell’ordinamento tedesco: incostituzionalità<br />
della legge applicata dal giudice. — 4. (Segue): Ricorso<br />
individuale di costituzionalità. — 5. Ordinamento italiano: la<br />
garanzia costituzionale del giudicato. — 6. L’orientamento<br />
della Corte costituzionale. — 7. Il potere dell’ultima parola.<br />
— 8. Lo spostamento nella direzione della Rule of law.—9.<br />
Incostituzionalità della legge applicata dal giudice. — 10.<br />
Limiti della intangibilità del giudicato. — 11. In particolare:<br />
protezione della sfera di attribuzioni di un organo costituzionale.<br />
1. Premessa<br />
Come tradizionale presidio di stabilità dell’applicazione giudiziale<br />
della legge ordinaria, il giudicato è chiamato a confrontarsi<br />
con il moltiplicarsi dei piani di legalità: sopra a quello della<br />
legge ordinaria, si staglia prima di tutto quello della costituzione.<br />
Giudicato e diritto (nonché giustizia) costituzionale: incontri<br />
e scontri.<br />
Così possono sintetizzarsi gli esiti di questo confronto, nella<br />
esperienza giuridica europeo-continentale più ricca e riflessiva:<br />
quella tedesca, a cui si indirizza dapprima l’esame.<br />
2. Incontri nell’ordinamento tedesco.<br />
Il giudicato incontra il diritto costituzionale nel momento in<br />
cui esso, insieme all’atto amministrativo inoppugnabile 1 , trova<br />
una garanzia costituzionale nei confronti degli interventi retroattivi<br />
del legislatore, attraverso il principio della certezza del<br />
diritto come componente dello Stato di diritto 2 , salvo il potere<br />
del legislatore di disporre in ipotesi eccezionali il venir meno dei<br />
giudicati, componendo la tensione tra giustizia del caso concreto<br />
e certezza del diritto a favore della prima, nel rispetto dei<br />
criteri della proporzionalità e della esigibilità nel caso singolo 3 .<br />
3. Scontri nell’ordinamento tedesco: incostituzionalità della legge<br />
applicata dal giudice.<br />
Il giudicato si scontra con il diritto costituzionale, laddove il<br />
rispetto di quest’ultimo è presidiato da una Corte costituzionale<br />
che può pronunciare l’incostituzionalità di una legge, determinandone<br />
la perdita di efficacia erga omnes ed ex tunc.<br />
(sin troppo) ospitale dell’art. 3, comma 1, della Costituzione e,<br />
conseguentemente, per ridurre, in buona misura, lo scrutinio delle<br />
leggi per sua violazione al sindacato di ragionevolezza sulla legge<br />
sopravveniente».<br />
1 Si mantiene tuttavia teoricamente distinta la Rechtskraft della<br />
sentenza dalla Bestandskraft dell’atto amministrativo inoppugnabile.<br />
2 Cfr. BVerfGE, 2, 380 e segg., 404. Cfr. Sachs, Sub art. 20, in<br />
Grundgesetz. Kommentar,5 a ed., a cura di Sachs, Battis, München,<br />
2009.<br />
3 Cfr. BVerfGE, 59, 128 e segg., 166. Per una critica di questo<br />
Se la legge che il giudice ha applicato nel risolvere la controversia<br />
è successivamente dichiarata incostituzionale, che dovrà<br />
accadere del giudicato?<br />
Il paragrafo 79 della legge istitutiva del Tribunale costituzionale<br />
federale 4 , dopo aver previsto al comma 1 che l’accertamento<br />
della incostituzionalità della norma su cui si basa una sentenza<br />
penale di condanna dischiude le porte della riapertura del<br />
processo secondo le norme del codice di procedura penale,<br />
dispone al comma 2 che rimangano intatte le «decisioni non più<br />
impugnabili» che si fondano su una norma dichiarata nulla per<br />
incostituzionalità. Peraltro, se la decisione non è stata ancora<br />
eseguita, l’esecuzione forzata non è ammessa e la dichiarazione<br />
di incostituzionalità può fondare l’opposizione all’esecuzione ai<br />
sensi del paragrafo 767 Zpo. Rimane esclusa l’azione di arricchimento<br />
senza causa.<br />
Entro il concetto di decisione non più impugnabile, ai sensi<br />
del paragrafo 79, comma 2, BVerfGG, rientrano le sentenze (e i<br />
provvedimenti giudiziali aventi forma diversa dalla sentenza)<br />
passate in giudicato e gli atti amministrativi inoppugnabili.<br />
La disposizione si riferisce cioè agli «atti di autorità» (Hoheitsakte).<br />
Se si limita il discorso alle sentenze civili passate in giudicato,<br />
il significato di questa disposizione è di escludere che la dichiarazione<br />
di incostituzionalità della norma applicata in giudizio<br />
possa essere fatta valere come motivo di revocazione. Questo<br />
significa che la sentenza rimane intatta «con tutta la forza e la<br />
debolezza» che essa possiede secondo i principi generali.<br />
Secondo la Corte costituzionale tedesca questa disposizione è<br />
il risultato di un compromesso tra la certezza del diritto e la<br />
giustizia del caso concreto: una esclusiva considerazione del<br />
punto di vista della giustizia condurrebbe a prevedere il superamento<br />
di tutte le decisioni emanate sulla base della norma<br />
dichiarata incostituzionale e annullata, ma questa scelta radicale<br />
viene evitata in considerazione della certezza del diritto, della<br />
quale il legislatore avrebbe riconosciuto il sopravvento 5 .<br />
L’esperienza giuridica tedesca ha rifiutato pertanto di desumere<br />
tutte le conseguenze dall’assunto radicale della nullità della<br />
legge incostituzionale. Muovendo da una posizione così radicale,<br />
l’ordinamento tedesco ha ritenuto opportuno sancire<br />
espressamente la salvezza dell’autorità dei giudicati civili. Il paragrafo<br />
79, comma 2, BVerfGG è una disposizione di notevole<br />
rilievo, poiché essa sancisce codesta salvezza in via generale nei<br />
confronti di un atto successivo (la pronuncia della Corte costituzionale)<br />
che, in forza del suo ambito d’efficacia, metterebbe<br />
teoricamente in discussione i giudicati precedenti.<br />
Non può destare meraviglia quindi che proprio nella dottrina<br />
tedesca sia stata avanzata una proposta interpretativa secondo la<br />
quale il legislatore moderno ha preso nel paragrafo 79, comma<br />
2, BVerfGG una decisione fondamentale, che si estende al di là<br />
della fattispecie espressamente regolata e tocca, in particolare, la<br />
questione degli effetti che una legge retroattiva esercita nei confronti<br />
di una sentenza passata in giudicato: «L’abolizione retroattiva<br />
di una semplice norma di legge attraverso un nuovo<br />
atto di legislazione non può avere, nei confronti della resistenza<br />
di una decisione passata in giudicato, efficacia più forte della<br />
dichiarazione di nullità retroattiva di una norma incostituzionale<br />
da parte del Bundesverfassungsgericht» 6 .<br />
4. (Segue): Ricorso individuale di costituzionalità.<br />
La salvezza del giudicato civile conosce un temperamento<br />
fondamentale nell’ordinamento tedesco, quando esso viola un<br />
diritto fondamentale dell’individuo e la violazione è fatta valere<br />
impugnando la sentenza passata in giudicato davanti alla Corte<br />
costituzionale entro un termine breve, grazie alla presenza del<br />
ricorso individuale di costituzionalità (Verfassungsbeschwerde):<br />
«Chiunque affermi la lesione di un proprio diritto fondamentale<br />
ad opera del pubblico potere, può proporre ricorso alla Corte<br />
costituzionale» 7 .<br />
approccio un poco metafisico, v. Braun, Rechtskraft und Restitution,<br />
2 voll., Berlin, 1979-1985.<br />
4 Bundesverfassungsgerichtsgesetz-BVerfGG. Cfr. Umbach-Clemens-Dollinger,<br />
Bundesverfassungsgerichtsgesetz. Mitarbeiterkommentar<br />
und Handbuch, 2 a ed., Heidelberg, 2005.<br />
5 Cfr. BVerfGE, 2, 380 e segg., 404.<br />
6 Per i riferimenti, cfr. Caponi, L’efficacia del giudicato civile nel<br />
tempo, Milano, 1991, 370 e segg.<br />
7 Così dispone oggi l’art. 93, comma 1, n. 4 a GG, diversamente<br />
dalla versione originaria del Grundgesetz, che non prevedeva il ricorso<br />
individuale di costituzionalità. Oltre all’art. 93, comma 1, n. 4<br />
a GG, cfr. i §§ 13, n. 8a, 90-95 BVerfGG. Sulla Verfassungsbeschwer-<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009
2828<br />
In questo contesto l’espressione «potere pubblico» si riferisce<br />
a tutti e tre i poteri dello Stato 8 : legislativo, esecutivo, giudiziario:<br />
«Con la Verfassungsbeschwerde il controllo del comportamento<br />
conforme a Costituzione di tutti e tre i poteri statali è<br />
posto nelle mani di un’unica Corte centrale» 9 .<br />
Il rapporto tra la Verfassungsbeschwerde e la tutela giurisdizionale<br />
dinanzi ai giudici comuni è impostato in via di principio<br />
in termini di sussidiarietà (e di straordinarietà) della prima rispetto<br />
alla seconda. Tale carattere trova la sua espressione legislativa<br />
di base nel paragrafo 90, comma 2, BVerfGG, nella sua<br />
prima parte, secondo la quale: «Se contro la violazione è ammissibile<br />
la via giudiziaria, la Verfassungsbeschwerde può essere<br />
proposta solo dopo l’esaurimento della via giudiziaria» 10 .<br />
La presenza della Verfassungsbeschwerde costituisce così un<br />
elemento che caratterizza il sistema tedesco di tutela dei diritti<br />
fondamentali. La tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali<br />
nei confronti del potere statale è affidata in via ordinaria ai<br />
giudici comuni, ma l’ultima parola può spettare al Bundesverfassungsgericht,<br />
anche contro le sentenze passate in giudicato.<br />
La Verfassungsbeschwerde è da proporre entro il termine di un<br />
mese dalla notificazione o comunicazione della decisione definitiva<br />
11 e, in caso di accoglimento, conduce all’annullamento<br />
della decisione impugnata 12 .<br />
5. Ordinamento italiano: la garanzia costituzionale del giudicato.<br />
L’esame dell’esperienza italiana offre utili indicazioni complementari<br />
rispetto all’analisi dell’ordinamento tedesco.<br />
Innanzitutto: il fondamento costituzionale dell’autorità di cosa<br />
giudicata.<br />
Non riveste un carattere decisivo la circostanza che, durante<br />
i lavori dell’Assemblea costituente, non sia stato approvato l’art.<br />
104 del progetto di Costituzione elaborato dalla commissione<br />
dei settantacinque, secondo il quale «le sentenze non più soggette<br />
ad impugnazione di qualsiasi specie non possono essere<br />
annullate o modificate neppure per atto legislativo, salvo i casi di<br />
legge penale abrogativa o di amnistia, grazia ed indulto» 13 .<br />
In dottrina si è fondata la copertura costituzionale dell’autorità<br />
di cosa giudicata sulla garanzia costituzionale del ricorso per<br />
cassazione 14 : l’ipotesi è suggestiva, ma si fonda su una norma<br />
costituzionale fomite di problemi sotto altri profili e difficilmente<br />
esportabile in un auspicabile dialogo tra le culture <strong>giuridiche</strong><br />
europee su questo tema.<br />
Nondimeno, l’idea che si possa rinvenire un fondamento costituzionale<br />
dell’intagibilità del giudicato da parte dello ius superveniens<br />
retroattivo merita di essere consolidata.<br />
Punto di partenza è il principio di irretroattività della legge.<br />
Nell’ordinamento italiano esso trova espressione nell’art. 11 disp.<br />
prel. c.c.: «La legge non dispone che per l’avvenire: essa non<br />
ha effetto retroattivo».<br />
Nella Costituzione italiana, la irretroattività è una regola<br />
enunciata per le sole norme penali incriminatrici 15 . La Corte<br />
de nella letteratura in lingua italiana, oltre al classico studio di Cappelletti,<br />
La giurisdizione costituzionale delle libertà, Milano, 1955,<br />
cfr. Anzon, Il ricorso individuale di costituzionalità in Germania<br />
federale, Austria e Spagna, inPolitica del diritto, 1989, 329 e segg.;<br />
Häberle, La Verfassungsbeschwerde nel sistema della giustizia costituzionale<br />
tedesca, Milano, 2000.<br />
8 Fino al 1993, era orientamento costante del Bundesverfassungsgericht<br />
che oggetto di ricorso potessero essere solo gli atti del pubblico<br />
potere della Repubblica federale tedesca, ma nella sua sentenza<br />
sul trattato di Maastricht ha annunciato per il futuro di ritenere ammissibili<br />
Verfassungsbeschwerden che si indirizzino contro atti comunitari<br />
(così, BVerfG 12 ottobre 1993, in BVerfGE 89, 155, 175).<br />
Questo orientamento è stato confermato dalla recente sentenza sul<br />
Trattato di Lisbona: cfr. BVerfG, 30 giugno 2009, 2 BvE 2/08.<br />
9 Così, Schlaich-Korioth, Das Bundesverfassungsgericht, 6 a<br />
ed., München, 2004, 141.<br />
10 La possibilità di prevedere il presupposto del previo esaurimento<br />
delle vie di ricorso dinanzi ai giudici comuni è ammessa<br />
dall’art. 94, comma 2, GG.<br />
11 Cfr. § 93, comma 1, BVerfGG.<br />
12 Cfr. § 95, comma 1, BVerfGG, norma i cui effetti sono fatti<br />
salvi dal § 79, comma 2, BVerfGG.<br />
13 Per indicazioni, cfr. Caponi, op. cit., 368, nota 18.<br />
14 Oggi art. 111, comma 8, Cost. Cfr. Cerino Canova, La garanzia<br />
costituzionale del giudicato civile, inRiv. Dir. Civ., 1977, 395<br />
e segg., 427: «L’art. 1112 assicura il requisito minimo e indispensabile<br />
— il giudicato formale — per proteggere il valore più alto della<br />
funzione giurisdizionale: l’autorità di cosa giudicata dei provvedimenti<br />
che statuiscono sui diritti».<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009<br />
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong><br />
costituzionale frappone tuttavia al potere del legislatore ordinario<br />
di disciplinare le situazioni pregresse una serie di limiti, che<br />
trovano espressione non già in divieti puntuali, bensì in principi<br />
generali: ragionevolezza, eguaglianza, legittimo affidamento, rispetto<br />
delle attribuzioni costituzionali del potere giudiziario 16 .<br />
Pertanto, se si intende offrire una descrizione dell’ordinamento<br />
italiano fedele alla sua realtà normativa, quale risulta<br />
dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, il principio di<br />
irretroattività delle leggi vi trova un ancoraggio costituzionale<br />
corrispondente, quanto ad ampiezza e consistenza della garanzia,<br />
a quello proprio degli ordinamenti che lo fanno discendere<br />
sic et simpliciter dalla garanzia della certezza del diritto connaturata<br />
allo Stato di diritto 17 .<br />
Se l’irretroattività della legge, ovvero i limiti del potere del<br />
legislatore di disporre per il passato, ha un ancoraggio costituzionale<br />
sulla base di un complesso di elementi normativi che<br />
trovano nella certezza del diritto la loro sintesi concettuale, a<br />
fortiori dovrà essere protetta dalla Costituzione l’autorità di cosa<br />
giudicata, che della certezza del diritto costituisce una manifestazione<br />
saliente.<br />
6. L’orientamento della Corte costituzionale.<br />
Su questa strada si è collocata la giurisprudenza della Corte<br />
costituzionale italiana, che richiede solo qualche precisazione.<br />
La sua argomentazione è la seguente. Una legge che dispone<br />
espressamente la cessazione di efficacia di provvedimenti del<br />
giudice civile anteriormente passati in giudicato è incostituzionale,<br />
poiché: a) viola le attribuzioni costituzionali dell’autorità<br />
giudiziaria cui spetta la tutela dei diritti (artt. 102 e 113 Cost.);<br />
b) lede l’affidamento della parte vittoriosa sul carattere definitivo<br />
del risultato del processo (artt. 3e24Cost.) 18 .<br />
A ben vedere le due giustificazioni — apparentemente parallele<br />
— si risolvono in una sola: il giudicato come strumento di<br />
tutela giurisdizionale dei diritti è costituzionalmente protetto in<br />
vista della garanzia della certezza e della stabilità del risultato del<br />
processo, nell’interesse delle parti. Infatti, precisa la stessa Corte<br />
costituzionale: «non vi è dubbio che l’emissione di provvedimenti<br />
idonei ad acquistare autorità di giudicato costituisca uno<br />
dei principali strumenti per la realizzazione del suindicato compito»<br />
di tutela giuridizionale dei diritti affidato alla autorità<br />
giudiziaria.<br />
Le attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria sono<br />
quindi piuttosto una espressione delle garanzie apprestate alla<br />
tutela giurisdizionale dei diritti. Se nel ragionamento della Corte<br />
costituzionale le prime campeggiano in primo piano, ciò èdovuto<br />
piuttosto ad una distorsione prospettica, un riflesso della<br />
vicenda storica che ha portato lo Stato moderno ad assumere su<br />
di sé la funzione giurisdizionale. Tale distorsione ha portato a<br />
ricostruire lo scopo del processo civile dal punto di vista dello<br />
Stato che rende giustizia, piuttosto che da quello dei cittadini<br />
che la chiedono.<br />
15 Cfr. art. 25, comma 2, Cost.<br />
16 Così, Corte cost., 15 luglio 2005, n. 282, in Repertorio Foro It.,<br />
2005, voce “Impiegato dello Stato”, n. 193. Sulla stessa linea, tra le<br />
altre, v. Corte cost. n. 24/2009, ivi, 2009, I, in corso di pubblicazione;<br />
Id., n. 74/2008, ivi, 2008, I, 2411; Id., n. 156/2007, ivi, 2007, I,<br />
3012; Id., n. 376/2004, ivi, 2005, I, 319; Id. n. 291/2003, ivi, 2003,<br />
voce “Infortuni sul lavoro”, n. 180; Id., n. 446/2002, ivi, 2002, voce<br />
“Previdenza sociale”, n. 204; Id., n. 374/2002, ivi, 2002, voce “Previdenza<br />
sociale”, n. 360; Id., n. 525/2000, ivi, 2000, I, 3397; Id., n.<br />
416/1999, ivi, 2000, I, 2456; Id., n. 229/1999, ivi, 1999, I, 2145; Id,<br />
n. 376/1995, ivi, 1997, I, 346.<br />
17 Cfr. infatti Corte cost., 22 novembre 2000, n. 525: «In questa<br />
sede occorre in particolare soffermarsi sull’affidamento del cittadino<br />
nella sicurezza giuridica; principio che, quale elemento essenziale<br />
dello Stato di diritto, non può essere leso da norme con effetti<br />
retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da<br />
leggi precedenti».<br />
18 Chiamata a pronunciarsi su disposizioni legislative che prevedevano<br />
il travolgimento di provvedimenti passati in giudicato, la<br />
Corte ha ritenuto che esse «violino le attribuzioni costituzionali<br />
dell’autorità giudiziaria cui spetta la tutela dei diritti (artt. 102 e 113<br />
Cost.). Infatti non vi è dubbio che l’emissione di provvedimenti<br />
idonei ad acquistare autorità di giudicato costituisca uno dei principali<br />
strumenti per la realizzazione del suindicato compito. Nel<br />
contempo, le disposizioni denunciate contrastano con gli artt. 3 e 24<br />
Cost., in quanto in parte vanificano i risultati dell’attività difensiva<br />
svolta, sulla cui definitività i creditori [...] potevano fare ragionevole<br />
affidamento». Così, Corte cost. 7 novembre 2007, n. 364, in Foro It.,<br />
2009, I, 996, con nota di Caponi, Giudicato civile e leggi retroattive.
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong> 2829<br />
Tale concezione vede nell’amministrazione della giustizia una<br />
funzione essenziale propria dello Stato moderno al servizio della<br />
realizzazione del diritto oggettivo (con il crisma dell’autorità di<br />
cosa giudicata) e relega sullo sfondo l’utilità che gli individui, in<br />
quanto parti del processo, ricavano dall’esercizio della giurisdizione.<br />
Questa idea entra in tensione con la connessione tra etica<br />
e utilità del singolo ed etica sociale, che si profila come caratteristica<br />
nell’ambiente contemporaneo.<br />
Infatti attualmente lo scopo del processo civile tende ad essere<br />
colto, in prima battuta, nell’attuazione dei diritti soggettivi<br />
dei privati. Se questo è vero, allora in primo piano deve campeggiare<br />
l’utilità che gli individui si ripromettono di conseguire<br />
nel momento in cui intraprendono (o si difendono in) un processo<br />
civile.<br />
Di conseguenza la giurisdizione non è da concepire tanto<br />
come una funzione dello Stato moderno diretta all’attuazione<br />
del diritto oggettivo nel caso concreto, quanto piuttosto come<br />
servizio pubblico diretto alla composizione delle controversie<br />
secondo giustizia (cioè con l’applicazione di criteri di giudizio<br />
oggettivi e predeterminati).<br />
7. Il potere dell’ultima parola.<br />
In questo contesto il giudicato costituisce un tratto ereditato<br />
dalle esperienze <strong>giuridiche</strong> anteriori al sorgere dello Stato moderno,<br />
e connaturato alla funzione pratica e sociale dell’atto di<br />
composizione della lite. Nel quadro di una giustizia civile concepita<br />
oggi come servizio pubblico, il giudicato è una utilità che<br />
spetta in primo luogo agli utenti del servizio richiedere o meno,<br />
in relazione ai loro bisogni e alle loro necessità. Non è un orpello<br />
che deve necessariamente accompagnare la tutela giurisdizionale<br />
dei diritti, in considerazione di un preteso onnipresente interesse<br />
del gestore del servizio 19 , se gli utenti non ne hanno bisogno<br />
e non lo chiedono.<br />
Si possono solo tipizzare delle situazioni sostanziali che mal si<br />
prestano ad essere tutelate in una forma provvisoria, sganciata<br />
da una prospettiva di stabile accertamento: ad esempio, quando<br />
la controversia cade sull’esistenza di uno status o di una situazione<br />
sostanziale durevole nel tempo connotata da tratti di staticità<br />
(ad esempio, rapporti reali), quando la controversia cade<br />
in materia di circolazione di beni infungibili. Ove questi rapporti<br />
precipitino in una situazione di incertezza a causa di una<br />
controversia, non è irragionevole imporre legislativamente di<br />
presidiarne la tutela atttraverso un processo che sbocca in un<br />
giudicato.<br />
La tutela giurisdizionale dei diritti si realizza innanzitutto<br />
attraverso l’efficacia imperativa del provvedimento giurisdizionale<br />
e non culmina necessariamente nel giudicato. Il carattere<br />
essenziale della giurisdizione non è da individuare nel giudicato<br />
20 , bensì nel fatto che l’applicazione giurisdizionale del diritto<br />
— come è opportuno ripetere — si sostituisce d’autorità all’applicazione<br />
compiuta dai soggetti dell’ordinamento e non può<br />
essere oggetto di controllo, se non da parte di un altro organo<br />
giurisdizionale, ad es., attraverso l’impugnazione del provvedimento.<br />
Il giudice conserva quindi il potere di dire l’«ultima parola»,<br />
anche se può trattarsi, e sempre più frequentemente si tratta, di<br />
19<br />
A tale idea si ispira invece, in modo notevolmente più intenso<br />
in confronto con i modelli europei, la maggior parte dei procedimenti<br />
speciali previsti nella giurisdizione contenziosa cognitiva italiana,<br />
se si eccettua la pur rilevante novità dell’allentamento del<br />
nesso strutturale di strumentalità in relazione al rilascio di un provvedimento<br />
cautelare anticipatorio. Lo confermerebbe una breve<br />
rassegna dell’impianto legislativo e del diritto vivente. Per un attuale<br />
revival di questa idea, v. però il procedimento sommario di cognizione<br />
di cui all’art. 702 bis e segg. c.p.c., introdotto dalla legge n.<br />
69/2009. Per un più ampio discorso sul punto, v. Caponi, Un nuovo<br />
modello processuale a cognizione piena (art. 702 bis c.p.c.),inIl giusto<br />
processo civile, 2009, in corso di pubblicazione.<br />
20<br />
Contra,Allorio, Saggio polemico sulla giurisdizione volontaria,<br />
ora in Problemi di diritto, Milano 1957.<br />
21 a<br />
Cfr. Cerri, Corso di giustizia costituzionale, 5 ed., Milano,<br />
2008, 143.<br />
22<br />
Così Denti, Sub art. 111,inComm. Cost. a cura di Branca, Bologna-Roma,<br />
1987, 21 e segg.; Proto Pisani, Usi e abusi della procedura<br />
camerale ex art. 737 ss. c.p.c., in Riv. Dir. Civ., 1990, 393 e segg.,<br />
spec. 402; Id., Verso la riforma del codice di procedura civile? Prospettive<br />
in tema di processi a cognizione piena e sommaria in un recente<br />
disegno di legge delega, inForo It., 1981, V, 226 e segg., spec. 244.<br />
23<br />
Da un passaggio della motivazione di Corte cost. n. 364/2007<br />
traspare qualche dubbio sul carattere retroattivo della norma im-<br />
una parola provvisoria, non definitiva, (come quella che è pronunciata<br />
attraverso un provvedimento sommario), esposta ad<br />
essere modificata o revocata da una sua parola successiva 21 .<br />
Questa evoluzione, prima sociale e poi giuridica, si muove<br />
nell’alveo dei principi costituzionali. La Costituzione richiede<br />
che la tutela giurisdizionale dei diritti possa sempre avvenire in<br />
un processo a cognizione piena destinato a concludersi con un<br />
provvedimento avente attitudine al giudicato formale e contenente<br />
un accertamento idoneo al giudicato sostanziale. Ciò non<br />
implica però che la giurisdizione contenziosa debba sempre —<br />
per imposizione costituzionale — mirare alla formazione del<br />
giudicato 22 .<br />
8. Lo spostamento nella direzione della Rule of law.<br />
Tuttavia quando le parti chiedono e ottengono il giudicato<br />
per la tutela dei loro diritti, la stabilità del risultato del processo<br />
è protetta al massimo grado e gode della copertura costituzionale,<br />
non per una ragione di Stato, ma perché ciò realizza l’interesse<br />
della parte vittoriosa, nel modo in cui esso è stato apprezzato<br />
e realizzato da quest’ultima.<br />
Con l’affermazione della intangibilità del giudicato civile da<br />
parte dello ius superveniens retroattivo 23 , la Corte costituzionale<br />
italiana si allinea alla soluzione adottata in altri ordinamenti, che<br />
non contengono una esplicita statuizione costituzionale di rispetto<br />
del giudicato civile 24 , ma la desumono — come il principio<br />
di irretroattività — dalla garanzia della certezza del diritto,<br />
inerente allo Stato di diritto 25 .<br />
Si tratta di una nozione di Stato di diritto che, per il fatto<br />
stesso di essere inserita fra le garanzie delle attuali Costituzioni<br />
europeo-continentali, non può essere più appiattita entro la<br />
nozione ottocentesca, perché — le parole di Luigi Mengoni<br />
sono molto felici — «La Costituzione rifiuta la riduzione positivistica<br />
della legittimità (ossia della giustizia) alla legalità, ma<br />
converte il problema della fondazione etica della legittimità in<br />
un problema giuridico» 26 .<br />
È una nozione di Stato di diritto che, nonostante la fedeltà del<br />
nome alla tradizione, si è già spostata nella prospettiva della rule<br />
of law. Cioè in una dimensione in cui non si postula lo Stato,<br />
bensì «piuttosto, un diritto extra-statuale, autonomo: il diritto<br />
comune, il case law, insomma il diritto dei giudici e dei giuristi.<br />
Dunque, c’è rule of law anche, e soprattutto, “senza Stato”; o,<br />
più esattamente, senza che lo Stato avochi a sé la produzione del<br />
diritto. [...] Lo Stato di diritto propriamente detto è uno Stato<br />
che si autolimita giuridicamente, laddove la rule of law è la<br />
limitazione dello Stato mediante un diritto non statuale. Nel<br />
primo caso lo Stato si subordina al suo diritto; nell’altro caso lo<br />
Stato è subordinato da un diritto non suo» 27 .<br />
Mi sembra che questo spostamento in direzione della rule of<br />
law sia promosso non solo dal sovrapporsi alla dimensione nazionale<br />
di una dimensione giuridica — e soprattutto giurisdizionale<br />
— internazionale e sovranazionale 28 ,magiàdalla trasformazione<br />
del concetto di Stato di diritto in parametro di giudizio<br />
di costituzionalità delle leggi ordinarie, affidato ad un organo, la<br />
Corte costituzionale, che si colloca in realtà — almeno negli auspici<br />
e nelle realizzazioni migliori — al di fuori dello «Stato-apparato»<br />
e assume un ruolo di cerniera tra Stato e società.<br />
pugnata. Non è chiaro quale nozione la Corte presupponga, ma se<br />
non è retroattiva la legge sopravvenuta che travolge i giudicati,<br />
quale legge sarà mai retroattiva? Cfr. da ultimo Luciani, Il dissolvimento<br />
della retroattività — Una questione fondamentale del diritto<br />
intertemporale nella prospettiva delle vicende delle leggi di incentivazione<br />
economica, inGiur. It., 2007, 1825 e 2089.<br />
24<br />
Tale statuizione è contenuta invece nell’art. 5, XXXVI della<br />
Costituzione federale del Brasile. Fresco di stampa sul tema, l’approfondito<br />
saggio di Marinoni, Coisa julgada inconstitucional,Sâo<br />
Paulo, 2008.<br />
25 o<br />
Così il già citato leading case del 1 luglio 1953, pubblicato in<br />
BVerfGE, 2, 380 e segg., 404. Per un quadro aggiornato, v. Sachs,<br />
Sub art. 20, inGrundgesetz Kommentar, cit.<br />
26<br />
Così Mengoni, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano,<br />
1997, 117.<br />
27<br />
Così Sartori, Nota sul rapporto tra Stato di diritto e Stato di<br />
giustizia, inRiv. Internaz. Filosofia Diritto, 1964, 310 e seg. Il pensiero<br />
di Sartori, che peraltro sottovaluta il cambiamento introdotto<br />
dalle Costituzioni del secondo dopoguerra e dal controllo giurisdizionale<br />
di costituzionalità delle leggi, poiché egli continua a cogliervi<br />
solo una ottocentesca «autolimitazione dello Stato mediante il<br />
diritto», è ricordato da Picardi, La giurisdizione all’alba del terzo<br />
millennio, Milano, 2007, 77 e seg.<br />
28<br />
Come inclina a ritenere Picardi, op. cit., 191.<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009
2830<br />
9. Incostituzionalità della legge applicata dal giudice.<br />
Come già accade nell’esperienza giuridica tedesca, anche in<br />
quella italiana è sancita — dall’art. 30, comma 4, legge n.<br />
87/1953 — la salvezza del giudicato civile dinanzi alla dichiarazione<br />
di incostituzionalità della legge 29 . Questa disposizione è<br />
più stringata della omologa norma tedesca 30 e rimette ad operazioni<br />
ermeneutiche la soluzione di problemi risolti direttamente<br />
dal testo della disposizione tedesca. Se si ammette l’esistenza<br />
del principio dell’intangibilità del giudicato da parte dello<br />
ius superveniens retroattivo, l’art. 30, comma 4, cit., ne rappresenta<br />
una deroga espressa per la materia penale e una implicita<br />
conferma per la materia civile 31 .<br />
10. Limiti della intangibilità del giudicato.<br />
Come le altre garanzie costituzionali, la protezione del giudicato<br />
civile non è una monade, ma è esposta anche nell’esperienza<br />
giuridica italiana al confronto e al bilanciamento con altri<br />
valori costituzionali. In certi casi eccezionali, il legislatore ordinario<br />
deve poter assicurare l’uniformità di trattamento per tutte<br />
le fattispecie del passato che rientrano astrattamente nell’area<br />
dello ius superveniens retroattivo, indipendentemente dalla circostanza<br />
che talune di esse siano state oggetto di una sentenza<br />
passata in giudicato 32 .<br />
Ciò può accadere in quei rari casi in cui i valori giuridici<br />
introdotti dalla nuova legislazione siano così meritevoli di affermazione<br />
da prevalere sulla tutela dell’affidamento delle parti<br />
sull’intangibilità del risultato del precedente processo 33 , oppure<br />
non si ponga un problema di tutela dell’affidamento delle parti,<br />
pur dinanzi ad un giudicato.<br />
Conviene fare degli esempi in cui il giudicato resiste o meno,<br />
senza pretesa di esaurire completamente il discorso.<br />
A) Nella fattispecie sottesa alla decisione della Corte costituzionale<br />
italiana che da ultimo si è pronunciata sul tema 34 ,la<br />
norma dichiarata incostituzionale disciplinava un aspetto di una<br />
concreta vicenda di successione tra enti ed aveva un contenuto<br />
di provvedimento, inteso ad alleggerire la massa dei debiti del<br />
nuovo ente. Le norme sostanziali su cui i giudicati si basano non<br />
vengono toccate, trattandosi della disciplina generale dell’adempimento<br />
delle obbligazioni.<br />
L’incostituzionalità èmanifesta, non vi è in gioco alcun altro<br />
valore costituzionale contrapposto che possa prevalere sulla<br />
protezione del giudicato.<br />
B) La legge retroattiva non dispone espressamente la caducazione<br />
dei giudicati, ma abroga o modifica la norma sostanziale<br />
su cui la decisione si basa. Si possono distinguere diverse ipotesi:<br />
b1) la legge retroattiva non è diretta a realizzare per il passato<br />
valori costituzionalmente protetti: una interpretazione conforme<br />
a Costituzione impone di ritenere che i giudicati rimangano<br />
intatti 35 ;<br />
b2) la legge retroattiva è diretta a realizzare per il passato<br />
valori costituzionalmente protetti: un forte argomento in favore<br />
della resistenza del giudicato si desume dal predetto art. 30,<br />
comma 4, legge n. 87/1953, che sancisce la salvezza del giudicato<br />
civile pur dinanzi alla dichiarazione di incostituzionalità<br />
della legge;<br />
29 Testo: «Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale<br />
è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna,<br />
ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali».<br />
30 Il citato § 79, comma 2, BVerfGG.<br />
31 Meritevole di approfondimento — impossibile in questa sede<br />
—èil problema se la dichiarazione di incostituzionalità possa valere<br />
come motivo di opposizione all’esecuzione della sentenza civile di<br />
condanna.<br />
32 Così, Grottanelli de’ Santi, Profili costituzionali della irretroattività<br />
delle leggi, Milano, 1970, 65.<br />
33 Si può citare come esempio la normativa che, nel corso degli<br />
anni, ha facilitato il riconoscimento dello status di filiazione.<br />
34 Corte cost. n. 364/2007, cit.<br />
35 Così, Corte cost., 15 luglio 2005, n. 282, cit., nonché Pugiotto,<br />
Nulla di nuovo (o quasi) sul fronte costituzionale delle leggi<br />
interpretative, inGiur. Cost., 2005, 5145, par. 5. In precedenza un<br />
ambiguo inciso di Corte cost., 27 luglio 2000, n. 374, in Foro It.,<br />
2000, I, 3410, aveva condotto taluno a ritenere che la Corte consentisse<br />
ad una legge di interpretazione autentica di incidere sul<br />
giudicato, «purché questo costituisca l’effetto consequenziale della<br />
creazione di una norma astratta». Così, Zanon-Biondi, Diritto<br />
costituzionale dell’ordine giudiziario, Milano, 2002, 59.<br />
36 Per un più ampio discorso sul punto, v. Caponi, op. cit., 386.<br />
37 Cfr. il disegno di legge governativo n. 1369, «disposizioni in<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009<br />
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong><br />
b3) la legge retroattiva è diretta a riconoscere i diritti inviolabili<br />
dell’uomo rinnegati da un precedente periodo di barbarie.<br />
Esempio: nel 1944 fu giudicato in applicazione delle leggi razziali<br />
che era nulla la trascrizione di un matrimonio e che dovevano<br />
rispondere dei danni la sposa e il padre, per aver taciuto<br />
l’appartenenza della sposa alla razza ebraica. Nel 1946, dopo<br />
l’abrogazione delle leggi razziali, l’altro coniuge agì per la liquidazione<br />
dei danni, ottenendo una sentenza favorevole. In verità,<br />
il giudicato avrebbe dovuto essere travolto 36 .<br />
C) Lo ius superveniens retroattivo colma una lacuna valutativa<br />
del legislatore ordinario. Rimane intatto il provvedimento passato<br />
in giudicato con cui il giudice, dinanzi al divieto di non<br />
liquet, ha dettato una disciplina giuridica della fattispecie.<br />
Esempio: il provvedimento della Corte di appello di Milano<br />
del 9 luglio 2008, che ha autorizzato l’interruzione dei trattamenti<br />
sanitari di alimentazione artificiale di E. E. Nella fase<br />
finale il Governo ha tentato di frapporre ostacoli all’interruzione<br />
dell’alimentazione artificiale di E. attraverso un intervento<br />
legislativo 37 .AdE.èstata risparmiata quest’ultima battaglia 38 .<br />
D) Lo ius superveniens retroattivo attribuisce rilevanza giuridica<br />
costitutiva di un nuovo diritto ad un fatto prima irrilevante:<br />
il giudicato di rigetto rende inammissibile la riproposizione della<br />
domanda a situazione giuridica immutata (ne bis in idem), ma<br />
forse non impedisce la qualificazione dei fatti dedotti in giudizio<br />
ad opera della legge retroattiva e la riproposizione della domanda<br />
su tale base 39 .<br />
E) non si pone un problema di tutela dell’affidamento delle<br />
parti, pur dinanzi ad un giudicato, quando questo riguarda un<br />
rapporto tra un soggetto privato e un organismo di diritto pubblico<br />
e interviene una legge retroattiva che introduce un nuovo<br />
diritto a favore del primo.<br />
11. In particolare: protezione della sfera di attribuzioni di un<br />
organo costituzionale.<br />
L’esperienza pratica ha inoltre presentato alla nostra attenzione<br />
una notevole ipotesi di tutela specifica contro il giudicato<br />
incostituzionale e di conseguente annullamento di quest’ultimo<br />
da parte della Corte costituzionale, su ricorso che deve essere<br />
proposto entro il termine di sessanta giorni 40 .<br />
Questa ipotesi costituisce in un certo senso il pendant dell’annullamento<br />
del giudicato per violazione di un diritto fondamentale<br />
dell’individuo, poiché integra un caso di protezione<br />
della sfera fondamentale di un soggetto dagli effetti lesivi di un<br />
giudicato incostituzionale. Si tratta della sfera di attribuzioni di<br />
un organo costituzionale.<br />
Il caso si è presentato all’esame della Corte costituzionale in<br />
sede di conflitto intersoggettivo tra poteri dello Stato. Era accaduto<br />
che una sentenza della Corte di cassazione aveva espressamente<br />
disapplicato una disposizione legislativa regionale. Su<br />
ricorso della Regione interessata la Corte afferma che «non spetta<br />
allo Stato, e per esso alla corte di cassazione, disapplicare<br />
disposizioni contenute in leggi regionali; va, pertanto, annullata<br />
la sentenza della Corte di cassazione che aveva disapplicato la<br />
legge regionale» 41 .<br />
Al cospetto con l’ordinamento tedesco, l’ordinamento italiano<br />
rivela in ogni caso un notevole difetto. La mancanza del<br />
materia di alimentazione e di idratazione», presentato al Senato il 6<br />
febbraio 2009: «In attesa dell’approvazione di una completa e organica<br />
disciplina legislativa in materia di fine vita, l’alimentazione e<br />
l’idratazione, in quanto forme di sostegno vitale e fisiologicamente<br />
finalizzate ad alleviare le sofferenze, non possono in alcun caso essere<br />
sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi».<br />
38 Per un più ampio discorso sul punto, v. Caponi-Proto Pisani,<br />
Il caso E.: brevi riflessioni dalla prospettiva del processo civile,<br />
in Foro It., 2009, I, 984 e segg.<br />
39 Cfr. Caponi, op. cit., 339.<br />
40 A decorrere dalla notificazione o pubblicazione ovvero dall’avvenuta<br />
conoscenza dell’atto impugnato: cfr. art. 39, comma 2,<br />
legge n. 87/1953.<br />
41 Cfr. Corte cost. 14 giugno 1990, n. 285, in Foro It., 1991, I,<br />
2346; in Giur. It., 1991, I, 1, 1289, con nota di Consolo, Di una<br />
ipotesi di «cassazione» costituzionale di decisione della corte di cassazione:<br />
il giudicato e la stessa pronuncia dell’organo della nomofilachia<br />
quale atto illecito ed invasivo?, inRegioni, 1991, 1047 e segg.,<br />
con nota di Cerri, Ancora sui limiti di sindacabilità dell’atto del<br />
giudice in sede di conflitto. In senso critico su questo indirizzo,<br />
Ruggeri, La certezza del diritto allo specchio, il «gioco» dei valori e<br />
le «logiche» della giustizia costituzionale (a proposito dei conflitti di<br />
attribuzione originati da sentenze passate in giudicato), inDir. e Società,<br />
1993, 137.
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong> 2831<br />
ricorso individuale di costituzionalità determina una lacuna di<br />
tutela specifica (demolitoria) contro le lesioni dei diritti fondamentali<br />
ad opera di sentenze passate in giudicato.<br />
Progredisce infatti anche negli ambienti italiani la consapevolezza<br />
che il controllo ex post della conformità a Costituzione<br />
degli atti di esercizio del potere giurisdizionale completa il sistema<br />
di controllo di costituzionalità dei poteri statali.<br />
AUGUSTO CERRI<br />
Appunti sul c.d. “giudicato costituzionale”<br />
Sommario: 1. Valutazioni preliminari sull’area di riferimento e<br />
sui referenti normativi del termine “giudicato costituzionale”.<br />
— 2. Notazioni preliminari sui diversi gradi di stabilità<br />
della decisione. — 3.1. Le decisioni che definiscono il giudizio<br />
incidentale. — 3.2. Le decisioni che definiscono il giudizio<br />
principale. — 3.3. Le decisioni che definiscono il giudizio fra<br />
Stato e Regioni o fra Regioni. — 3.4. Le decisioni su conflitto<br />
interorganico. — 3.5. Le decisioni sul giudizio di ammissibilità<br />
del referendum. — 4. I giudizi innanzi alla Corte, i giudizi<br />
innanzi ai giudici comuni, i giudizi innanzi alle Corti sopranazionali<br />
ed il rimedio dell’opposizione di terzo.<br />
1. Valutazioni preliminari sull’area di riferimento e sui referenti<br />
normativi del termine “giudicato costituzionale”.<br />
Il sintagma “giudicato costituzionale” non trova riscontro in<br />
dati testuali, ma il corrispondente concetto viene variamente<br />
desunto.<br />
Si valorizza talvolta l’ultimo comma dell’art. 137 Cost., secondo<br />
cui non è ammessa impugnazione contro le decisioni<br />
della Corte costituzionale. La medesima Corte, come è noto, si<br />
avvale con estrema decisione di questa norma per escludere che<br />
possa essere rimesso in discussione in una qualsiasi ulteriore<br />
sede ciò che ha deciso nell’esercizio della sua giurisdizione. Ha<br />
escluso, dunque, possa esser ridiscusso in un conflitto quanto<br />
deciso in sede di ammissibilità di una richiesta di referendum 1<br />
o possa essere rimessa in discussione nel medesimo giudizio a<br />
quo questione già rigettata 2 o che possa esser valorizzata in sede<br />
di giudizio principale la mancata partecipazione di Presidente<br />
della Giunta regionale al Consiglio dei Ministri per questioni<br />
che interessavano la Regione, quando sul punto era già intervenuta<br />
sentenza di rigetto in sede di conflitto intersoggettivo 3 ;o<br />
che possa esser ridiscussa, in sede di giudizio incidentale, questione<br />
oggetto di un conflitto già deciso 4 . Ricorderei anche la<br />
meno recente Corte cost., n. 77/1981, nella quale una pronuncia<br />
data in sede di conflitto intersoggettivo si assume non attaccabile<br />
in sede di conflitto interorganico.<br />
Il fondamento testuale di queste ampie conseguenze sembra,<br />
invero, fragile. L’art. 137, ultimo comma, si riferisce alle deci-<br />
1 Corte cost., sent. n. 29/1998.<br />
2 Corte cost., ord. n. 160/2007; Id., sent. n. 215/1998; Id., ord.<br />
n. 268/1990; Id., ord. n. 553/1987; Id., sent. n. 350/1987; Id., ord.<br />
n. 90/1964; Id., sent. n. 54/1961.<br />
3 Corte cost., sent. n. 111/1999.<br />
4 Corte cost., ord. n. 344/2000.<br />
5 Pizzorusso, La non impugnabilità e l’esecuzione delle pronunce<br />
della Corte, inComm. Cost. a cura di Branca, Bologna-Roma,<br />
1981, 694 e segg.<br />
6 Cfr., ad esempio Corte cost., n. 220/2007; Id., n. 190/2006; Id.,<br />
n. 172/2006; Id., n. 172/2006; Id., 179/2003; Id., n. 505/2002; Id.,<br />
n. 470/2002; Id., 202/2002; Id., 145/2002; Id., n. 516/2000; Id.,<br />
n. 451/1995; Id., n. 474/ 1993; Id., n. 314/1992.<br />
7 Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, 256 e<br />
seg.<br />
8 Cfr. Cerri, Corso di giustizia costituzionale, Milano, 2007,<br />
3.2.9.2.<br />
9 Si tratta di un principio generale riferibile non solo ai giudizi<br />
innanzi alla Corte: cfr., ad esempio, Corte cost, sent. n. 415/1996;<br />
Id., n. 224/1996; Id., n. 192/1995; Id., n. 177/1995; Id., n. 372/<br />
1988; ; Id., n. 118/1986; Id., n. 102/1981; Id., n. 165/1975; Id.,<br />
n. 99/1973; ; Id., n. 55/1971; Id., n. 132/1968.<br />
sioni della Corte e, dunque, non solo alle sentenze, sibbene<br />
anche alle ordinanze; è ben noto, d’altra parte, che sovente<br />
l’ordinanza contiene una decisione che dovrà essere rivalutata<br />
nella sede finale. Sembra da condividere allora l’opinione di chi 5<br />
riconduce l’art. 137, ultimo comma, all’unico significato possibile,<br />
che esclude la sindacabilità degli atti della Corte da parte di<br />
altro giudice.<br />
È noto, ancora, che le sentenze e le ordinanze di rigetto (o di<br />
manifesta infondatezza) hanno un effetto solo nel giudizio a quo,<br />
mentre non escludono che la questione possa essere riproposta<br />
in altro giudizio e, ove ciò avvenga anche solo con argomenti<br />
nuovi, la Corte li prende in esame: per garantire 6 si è talvolta<br />
dubitato finanche dell’effetto preclusivo nel giudizio in cui è<br />
resa 7 ; pur se questa conclusione si è poi consolidata, in conformità<br />
del generale principio per cui la sentenza che definisce il<br />
giudizio copre «il dedotto e il deducibile» 8 .<br />
E, d’altra parte, quasi tutte le decisioni accennate affermano<br />
una preclusione a riesaminare nella sede attuale ciò che è stato<br />
deciso in diversa sede (quasi sempre tra parti diverse e in relazione<br />
a una domanda diversa per petitum e causa pretendi): quasi<br />
tutte queste decisioni, dunque, affermano una inattaccabilità<br />
che sarebbe fuori dai tradizionali effetti del giudicato che, invece,<br />
a salvaguardia del diritto di azione/difesa, opera solo fra le<br />
medesime parti ed in relazione alla medesima domanda 9 .Le<br />
ipotesi di giudicato avente effetti generali o si ricollegano all’idea<br />
di indivisibilità dell’annullamento o a legittimazioni assolutamente<br />
preminenti (azioni di status); e, comunque, mai vale a<br />
danno di soggetti che non siano stati messi in grado di partecipare<br />
al giudizio 10 .<br />
In un diverso significato la Corte ha parlato talvolta di giudicato<br />
costituzionale con riferimento alla sentenza di accoglimento<br />
relativa ad una legge (ai sensi dell’art. 136 Cost.). Non sarebbe<br />
consentito al legislatore, in virtù di tale disposizione costituzionale,<br />
non solo confermare per il passato la medesima “norma”<br />
già censurata, ma anche riprodurla per il futuro 11 . Il Crisafulli 12<br />
acutamente osservava, peraltro, che in realtà questo effetto di<br />
giudicato è più apparente che reale: delle due l’una; o la disposizione<br />
successiva esprime la medesima norma rispetto a quella<br />
censurata e, allora, essa è incostituzionale per i medesimi motivi<br />
evidenziati nella censura; o, nel nuovo contesto, pur formalmente<br />
identica, esprime una norma nuova ed allora dovrà esser<br />
riesaminata con una valutazione diversa da quella pregressa. Il<br />
richiamo dell’art. 136 Cost. sarebbe, dunque, ultroneo, enfatico,<br />
nulla aggiungendo alle ragioni dell’incostituzionalità risalente<br />
che persistono.<br />
Il giudicato costituzionale o la irremovibilità delle decisioni<br />
della Corte, pur invocati ed applicati in diversi contesti (che si è<br />
detto), non ha impedito che gli esiti di precedenti sentenze di<br />
accoglimento venissero validamente superati da nuove leggi,<br />
che, senza riprodurre il vizio di costituzionalità censurato, disciplinassero<br />
diversamente la materia 13 ; ciò a prescindere dall’ipotesi<br />
di sentenza additiva di principio, che esplicitamente<br />
evoca un’ulteriore discrezionalità legislativa 14 o di attuazione di<br />
sentenze le quali comportino spese, ove, anche se la decisione<br />
non è formulata in termini di «additiva di meccanismo», si afferma<br />
una certa discrezionalità legislativa, probabilmente per il<br />
necessario bilanciamento con il principio di copertura finanziaria,<br />
di cui all’art. 81, ultimo comma, Cost. 15<br />
10 Art. 1306 c.c.; cfr., con riguardo alle azioni a tutela degli interessi<br />
collettivi, Chiarloni, Il nuovo art. 140 bis del codice del<br />
consumo: azione di classe o azione collettiva?, in Analisi giuridica<br />
dell’economia, 1,2008, spec. 113.<br />
11 Corte cost., n. 545/1990; Id., n. 77/1963.<br />
12 Crisafulli, “Riproduzione” e “conferma” di norme dichiarate<br />
incostituzionali,inGiur. Cost., 1966; cfr., più di recente, Costanzo,<br />
Il dibattito sul giudicato costituzionale nelle pagine di «<strong>Giurisprudenza</strong><br />
costituzionale», in AA.VV., Corte Costituzionale e processo<br />
costituzionale nell’esperienza della Rivista “<strong>Giurisprudenza</strong> costituzionale”<br />
per il cinquantesimo anniversario, Milano, 2006, 214.<br />
13 Cfr., ad esempio, Corte cost., n. 184/1988; Id., n. 180/1982;<br />
Id., n. 144/1976; Id., n. 109/1967. Cfr., sul tema, Cerri, Il profilo fra<br />
argomento e termine della questione di costituzionalità; Corso di<br />
giustizia costituzionale, Milano, 2008, 3.2.9.5.; Dal Canto, Il giudicato<br />
costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002, 245 e segg.<br />
14 Cfr., ad esempio, Corte cost., n. 103/1995, sull’attuazione di<br />
Id., n. 243/1993.<br />
15 Cfr., ad esempio Corte cost., dec. n. 292/1999; Id., n. 141/<br />
1999; Id., n. 268/1998; Id., n. 45/1998; Id., n. 27/1998; Id., n. 15/<br />
1998; Id., n. 9/1998.<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009
2832<br />
Nel giudizio sulle leggi, la Corte esclude di poter ribaltare,<br />
con successiva sentenza, gli esiti di precedente accoglimento 16 .<br />
È accaduto, peraltro, che la medesima Corte costituzionale, sollecitata<br />
da questioni prospettate in base a profili diversi (e, magari,<br />
più radicali) abbia rimosso gli effetti di una sua precedente<br />
sentenza di accoglimento, pervenendo ad un assetto diverso<br />
della materia 17 . E non sono mancate decisioni nelle quali la<br />
Corte ha interpretato in senso restrittivo gli effetti di precedente<br />
sentenza di accoglimento, in relazione al mutato contesto sistematico<br />
18 .<br />
Sembra interessante, da questo punto di vista, l’approccio<br />
“morbido” del giudice Calabresi, in tema di bioetica, che ammette<br />
un “dialogo” fra giudice e legislatore 19 .<br />
Forse è vero che la modifica degli esiti normativi di un precedente<br />
accoglimento non perviene mai a scardinare le rationes<br />
decidendi che lo sostenevano; e ciò forse distingue gli effetti<br />
generali della sentenza di accoglimento della nostra Corte da<br />
quelli di una Corte come quella americana, che si avvale della<br />
regola dello stare decisis. L’overruling è possibile nel diritto anglosassone,<br />
anche se raro ed eccezionale. Alla stregua di quanto<br />
dispone l’art. 136 Cost. non dovrebbe essere possibile nel nostro<br />
ordinamento, almeno per le sentenze che accolgono la questione<br />
(mentre è possibile, di certo, per quelle di rigetto); anche se,<br />
ove fosse storicamente necessario, non difficilmente potrebbe<br />
essere veicolato in forme traverse (mediante diverse letture sistematiche<br />
dei testi legislativi, ad esempio).<br />
Il decisum della Corte, dunque, non è immutabile nell’ordinamento<br />
generale; ma neppure è immutabile nel giudizio a quo.<br />
Se sopravviene una nuova legge (retroattiva) o una sentenza di<br />
accoglimento in ordine alla medesima norma oggetto della precedente<br />
decisione di rigetto, il giudice non potrà e non dovrà<br />
tenerne conto? Non credo affatto: finanche un accoglimento del<br />
tutto speculare al precedente rigetto (nel senso che i motivi in<br />
precedenza ritenuti infondati sono stati valutati diversamente in<br />
un diverso contesto storico e sociale) 20 dovrebbe esser preso in<br />
considerazione dal giudice della causa originaria, ove ancora<br />
perdurante 21 .Èinnegabile, invece, che il giudicato reso dal<br />
giudice a quo risulta insensibile a tali eventi ulteriori.<br />
E, fuori dal giudizio sulle leggi, quando, nei celebri conflitti<br />
sulla norma del Presidente dell’ente porto o dell’ente parco, lo<br />
Stato ha persistito in nomine unilaterali, già censurate, la Corte<br />
non le ha ritenute inesistenti, per violazione del precedente<br />
giudicato, ma le ha puntualmente annullate o sospese 22 ;o,<br />
quando ha giudicato con sentenza e nel merito (sia pure confermando<br />
il precedente decisum), conflitto tra poteri del tutto<br />
conseguenziale ad altri già accolti 23 ; o quando ha ritenuto che<br />
una nuova delibera di insindacabilità delle medesime opinioni<br />
espresse dal parlamentare giustificasse un nuovo conflitto, superando<br />
le ragioni di inammissibilità del primo 24 .<br />
2. Notazioni preliminari sui diversi gradi di stabilità della decisione.<br />
A mio sommesso avviso, occorre preliminarmente analizzare<br />
la parola “giudicato” carica di storia e di suggestioni teoriche e,<br />
per questo, non facile da maneggiare.<br />
Il processo nasce per concludersi, pervenendo ad una decisione<br />
che superi l’incertezza iniziale. Alcune verità possono essere<br />
indagate senza fretta, con socratica (apparente) inconclu-<br />
16 Cfr., ad esempio, Corte cost., dec. n. 506/2002; Id.,<br />
n. 486/2002; Id., n. 58/2002; Id., n. 108/2001; Id., n. 461/1999; Id.,<br />
n. 438/1998; Id., n. 17/1992; Id., n. 295/1991; Id., n. 95/1991; Id.,<br />
n. 7/1991; Id., n. 524/1990; Id., n. 482/1975; Id., n. 203/1975; Id.,<br />
n. 93/1975; Id., n. 83/1975; Id., n. 27/1975.<br />
17 Cfr., per una valutazione di censure di questo tipo, Corte cost.,<br />
n. 130/1997; Id., n. 119/1997; Id., n. 94/1997; Id., n. 64/1997; Id.,<br />
n. 6/1997; nel senso dell’accoglimento, cfr. Id., n. 131/2001, in<br />
riferimento a Id., n. 974/1988 e Id., n. 278/1992; Id., n. 251/2001,<br />
in riferimento a Id., n. 427/2000; Id., n. 422/1993; Id., n. 343/1993.<br />
18 Cfr. dec. Corte cost., dec. n. 13/1981; Id. n. 44/1979; Id.,<br />
n. 43/1979; Id., 42/1979; Id., n. 41/1979; Id., n. 40/1979; cfr. anche<br />
Id., n. 115/1975; Id., n. 174/1972; Id., n. 86/1971; Id., n. 143/1969;<br />
Id., 39/1969, in relazione a Id., n. 63/1966, in tema di prescrizione<br />
dei crediti di lavoro privato in pendenza del rapporto stesso. V., sul<br />
tema, Saitta, Un presunto ripensamento della Corte cost. in tema di<br />
prescrizione dei crediti di lavoro: validità “sopravvenuta” o esatta<br />
individuazione delle norme a suo tempo invalidate?, in Giur. Cost.,<br />
1972, 2108; Crisafulli, Un saggio “non liquet”, ivi, 1979; Cerri,<br />
Il profilo fra argomento e termine della questione di costituzionalità,<br />
ivi, 1978, 367 e segg.; Ruggeri, Le attività “conseguenziali” nei<br />
rapporti fra Corte cost. e legislatore, Milano, 1988.<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009<br />
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong><br />
denza; ma nel giudizio, non appena l’istruttoria è completa, il<br />
giudice sollecita le parti a «precisare le conclusioni», perché la<br />
causa ormai «è matura per la decisione». La parola decisione,<br />
del resto, fin nel suo etimo (da caedere: tagliare), esprime tutto<br />
il dramma che si consuma nel processo: si taglia fuori, negli<br />
interessi in gioco, preferendone alcuni ad altri; e si taglia dentro,<br />
nei dubbi che potrebbero persistere nell’animo di chi giudica,<br />
perché, infine, il giudizio deve esser reso e non può attendere<br />
senza limiti: se il processo fosse interminabile, sarebbe daccapo<br />
del tutto inutile rispetto agli interessi umani, economici, morali<br />
su cui verte, sempre collocati in parametri temporali stretti,<br />
perché di necessità molto minori de «lo cammin corto, che al<br />
termine vola» di nostra vita. Fa parte del «giusto processo»,<br />
dunque, che la decisione sia resa in tempi ragionevoli e, inoltre,<br />
che sia «giusta» (ricordo la sent. n. 220/1986, scritta da Virgilio<br />
Andrioli: «Il giusto processo viene celebrato non già per sfociare<br />
in pronunce procedurali che non coinvolgono i rapporti sostanziali<br />
delle parti [...] ma per rendere pronunce di merito rescrivendo<br />
chi ha ragione e chi ha torto: il processo civile deve avere<br />
per oggetto la verifica della sussistenza dell’azione in senso sostanziale»):<br />
il che non è poco. Il processo (almeno negli ordinamenti<br />
rispettosi del diritto) 25 è un poco la risultante di due<br />
componenti: una componente di verità che tende a coincidere<br />
con la giustizia, una componente di economia, che tende a coincidere<br />
con quella di certezza e rapidità. Se quest’ultima fosse<br />
assolutamente prevalente, tanto varrebbe decidere non certo<br />
con la rappresaglia dei popoli primitivi o prove di coraggio o<br />
stoicismo o sfide medievali, che ormai più non si addicono ai<br />
nostri raffinati costumi 26 ,maconipiùmodesti ed economici<br />
dadi del giudice Bridoye 27 . A ben vedere, anzi, tutto ciò fallirebbe<br />
lo scopo, perché, in mancanza di chiare regole giurisprudenziali<br />
(«massime di decisione», direbbe Betti), le controversie<br />
risorgerebbero in continuazione e, dunque, la tempestività della<br />
giustizia resa finirebbe con il divergere rispetto alle ragioni dell’economia<br />
(nel pubblico ancor più che nel privato giocano le<br />
“esternalità” e neppure il processo può esser valutato come<br />
un’azienda chiusa, senza considerare le sue conseguenze nella<br />
società generale). Nessuna attività economica seria, nessuna garanzia<br />
dei diritti umani può fiorire in un ordinamento interamente<br />
aleatorio. Se la componente di verità fosse assoluta, allora<br />
finirebbe con il dissociarsi anche dalla giustizia, perché questa<br />
non verrebbe resa a chi l’ha chiesta; oltre che con le ragioni<br />
dell’economia, perché il processo immobilizzerebbe fattori produttivi<br />
per un tempo intollerabile. In questo mix di giustizia e<br />
tempestività (verità e giustizia, tempestività ed economia) si giocano<br />
le sorti del processo, ma, in qualche misura, in un’economia<br />
globalizzata, anche le sorti della “azienda Italia”: perché, nel<br />
forum shopping 28 è inclusa non solo la scelta della legge sostanziale,<br />
ma, inoltre, quella della legge processuale.<br />
La decisione, che pone termine al processo, deve avere una<br />
qualche stabilità; perché, ove non l’avesse, sarebbe una decisione<br />
solo apparente, che non supera le incertezze di partenza.<br />
Questa stabilità èmassima quando la decisione attribuisce il<br />
«bene della vita», a carattere economico o morale, destinato a<br />
vivere nella vita sociale ed economica. Un giudicato che attribuisca<br />
il bene della vita di certo non può essere travolto da una<br />
successiva decisione di accoglimento che faccia venir meno la<br />
norma sul quale è fondato; e si ritiene che non possa esser<br />
19 Cfr. Barsotti, L’eutanasia, il caso Quill elaconcurring opinion<br />
del giudice Calabresi. Un approccio mite al judicial review, in<br />
Riv. Dir. Civ., 1996.<br />
20 Cfr., ad esempio, Corte cost. n. 147/1969; Id., n. 79/1969; Id.,<br />
n. 126/1968; Id., n. 64/1961; Id., n. 54/1960.<br />
21 Cfr. Pugliese, voce “Giudicato civ. (dir. vigente)”, in Enc.<br />
Dir., XVIII, Milano, 1969, 847; v. anche Corte cost. n. 50/2006.<br />
22 Corte cost., n. 332/2007; Id., n. 27/2004; Id., n. 21/2006; Id.,<br />
ord. n. 152/2006.<br />
23 Corte cost., n. 487/2000.<br />
24 Corte cost., n. 302/2007.<br />
25 Ricordo il saggio del Calamandrei, La relatività del concetto<br />
di azione,inOpere <strong>giuridiche</strong>, a cura di Cappelletti, Napoli, 1965,<br />
I, 427.<br />
26 Ricordo Häberle, Diritto e verità, Torino, 2000, 13.<br />
27 V. Marinelli, La ragionevolezza e i suoi nemici, in AA.VV.,<br />
La ragionevolezza nel sapere scientifico ed il suoi ruolo nel sapere<br />
giuridico a cura di Cerri, Roma 2007, II, 235 e segg., spec. 265.<br />
28 Cfr. sul problema, ad esempio, Gnes, La scelta del diritto -<br />
Concorrenza tra ordinamenti, arbitraggi, diritto comune europeo, Milano,<br />
2004.
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong> 2833<br />
superato neppure da una legge successiva 29 ; anche se su quest’ultimo<br />
punto potrebbero esser necessarie precisazioni e distinzioni<br />
30 .<br />
Egualegradodiresistenzanonvaleperdecisioni,purdefinitive,<br />
che non attribuiscano il bene della vita. Il problema si è posto per<br />
le sentenze di altri giudici 31 esièposto anche, come accennato,<br />
per le sentenze di rigetto della Corte costituzionale medesima.<br />
Ovviamente, la questione può essere anche solo terminologica:<br />
ove si designi come giudicato la stabilità di qualsiasi sentenza,<br />
di qualsiasi atto che definisce il giudizio, questo carattere<br />
potrà esser riferito a tutte le decisioni. Personalmente, nel mio<br />
Corso di giustizia, ho preferito distinguere la stabilità di massima<br />
resistenza delle decisioni che attribuiscono il bene della vita,<br />
designandola come giudicato; mentre ho largamente impiegato<br />
diverse espressioni, come preclusione od anche, per le sentenze<br />
di accoglimento, «efficacia pan processuale» 32 , per esprimere<br />
forme di stabilità minore.<br />
Non sfugge, ovviamente, al lettore attento la trama chiovendiana<br />
che sostiene queste riflessioni. In effetti, in non pochi<br />
punti non è facile superare il pensiero di questo maestro.<br />
Andiamo con ordine.<br />
3.1. Le decisioni che definiscono il giudizio incidentale.<br />
Nel giudizio incidentale la stabilità della decisione che definisce<br />
il giudizio (sia essa di inammissibilità, di rigetto o di accoglimento)<br />
non ha effetto di giudicato in senso pieno (ossia si<br />
mantiene al di sotto dei limiti di massima resistenza del decisum<br />
previsti dall’ordinamento). È evidente, innanzi tutto, che in questa<br />
sede la Corte decide su di una “questione” e non su di una<br />
“domanda”, appunto perché, in altri termini, non decide sull’attribuzione<br />
del “bene della vita”.<br />
È vero che la Corte poi esige, nell’ordinanza che lo introduce<br />
(come nel ricorso, per quel che attiene al giudizio principale),<br />
che sia individuabile un petitum. La questione diviene, allora,<br />
una domanda sostenuta da un interesse astratto, diverso da<br />
quello delle parti del giudizio a quo 33 . Sorge allora l’idea che la<br />
sentenza di accoglimento possa avere effetti di stabilità massima<br />
con riguardo all’intero ordinamento, con riguardo a quell’interesse<br />
del giudice 34 che sostiene l’atto introduttivo.<br />
Ciò può esser vero in generale, ma non esclude una minore<br />
stabilità della decisione stessa.<br />
Non è il caso di ripetere cose note con riguardo agli effetti<br />
differenziati della decisione di inammissibilità, in relazione al<br />
motivo per cui è pronunciata; equiparabili, nel massimo, a quelli<br />
della decisione di rigetto, quando il motivo dell’inammissibilità<br />
non sia rimediabile.<br />
La decisione di rigetto, a sua volta, ha probabilmente effetti<br />
quasi irremovibili nel giudizio a quo, nei limiti tuttavia degli elementi<br />
che identificano la questione. Questi elementi sono dati dai<br />
termini della questione e dai profili; mentre, probabilmente, non<br />
sono dati dalle argomentazioni. Una questione sollevata nel medesimo<br />
giudizio con profili o termini diversi è “nuova” e non<br />
risulta preclusa dalla decisione di rigetto della Corte; mentre una<br />
questione sollevata con soli argomenti nuovi dovrebbe essere<br />
preclusa, in relazione al principio, connaturato con la naturale<br />
destinazione del processo ad aver termine, per cui la decisione<br />
copre “il dedotto e il deducibile” e all’onere delle parti, dunque,<br />
di dedurre tutto quel che occorre nei rispettivi interessi 35 .<br />
La decisione di rigetto, peraltro, non esclude gli effetti, anche<br />
nel processo a quo, di una successiva decisione di accoglimento<br />
della Corte medesima (come visto) od anche di una legge retroattiva.<br />
Abbiamo già visto i limiti di stabilità della decisione di accoglimento<br />
(supra, par. 1)<br />
3.2. Le decisioni che definiscono il giudizio principale.<br />
È da chiedersi se un giudicato può affermarsi con riguardo<br />
alle sentenze che definiscono il giudizio principale.<br />
29 Cfr., in questo senso, ad esempio, Corte cost., n. 282/2006;<br />
Cons. di Stato, Ad. plen., 21 febbraio 1994, n. 4.<br />
30 Preferirei l’indicazione più flessibile di Caponi, L’efficacia del<br />
giudicato civile nel tempo, Milano, 1992, 270 e seg.<br />
31 Si è discusso se una sentenza sulla competenza precluda possa<br />
esser sollevata q. di l. c. relativa alla norma applicata: in senso negativo,<br />
ad esempio, Corte cost. n. 222/1997, che parla di giudicato<br />
sulla competenza; in senso positivo, negando, appunto, il giudicato,<br />
v. Id., n. 51/1998; e, implicitamente, Id., ord. n. 426/1996; per più<br />
ampia documentazione v. Cerri, Corso di giustizia costituzionale,<br />
cit., 23.2.2.5.<br />
In questo caso la Corte non decide più su di una questione<br />
incidentale sorta in altro processo nel quale si discute sull’effettiva<br />
attribuzione del bene della vita; ma su di una “domanda”,<br />
sorretta da un interesse autonomo che, per lo Stato, è quello<br />
della legalità costituzionale, mentre, per la Regione, è quello (sia<br />
detto in questa sede ed a questi fini in modo volutamente sommario)<br />
alla propria competenza. Non rileva, ovviamente, a questi<br />
fini la critica che talvolta viene coltivata sulla asimmetria fra<br />
legittimazione statale e regionale<br />
È frequente, nella recente prassi della Corte costituzionale, lo<br />
“stralcio” delle questioni poste nel giudizio principale. Il ricorso<br />
principale, segnato da un preciso termine di decadenza, non è<br />
l’acuminato fioretto del giudizio incidentale, è una sciabola con<br />
cui la parte ricorrente talvolta intende eliminare parti ampie ed<br />
eterogenee della legge impugnata, perché (in ipotesi) violano<br />
diverse ed eterogenee norme costituzionali o norme sulla competenza.<br />
Accade, allora, che la Corte stralci alcune questioni da<br />
altre, per decidere separatamente, magari riunificandole con<br />
altre simili.<br />
Nel momento in cui si decide una sola questione “nel merito”<br />
o, come preferisco dire (ad evitare le ben note diatribe<br />
sulla qualificazione come sostanziali o processuali di non poche<br />
questioni), nel “pieno merito”, ossia sulla domanda (questione<br />
di costituzionalità) come posta nell’atto introduttivo,<br />
tutte le questioni preliminari rispetto a questa debbono anche<br />
essere decise. Ed alcune di queste questioni preliminari possono<br />
essere (sono sovente) comuni alle altre questioni stralciate.<br />
Direi che la decisione della Corte sul punto fa stato fra le<br />
parti, in quel medesimo giudizio: nel senso che, una volta rigettata<br />
un’eccezione di inammissibilità, questo rigetto vale anche<br />
per le ulteriori questioni stralciate e riservate ad una successiva<br />
decisione di merito.<br />
E, in effetti, pur anche quando la decisione della questione<br />
stralciata non sia di merito o pieno merito ma si fermi ad una<br />
ragione di inammissibilità successiva rispetto ad altra ragione di<br />
inammissibilità prospettata o prospettabile, sorge il problema di<br />
un giudicato (esplicito o implicito) sulla questione prioritaria<br />
rispetto a quella decisa; e, dunque, anche degli eventuali effetti<br />
irremovibili nelle fase processuali successive.<br />
Sarei cauto, peraltro, sull’ipotesi di giudicato implicito, sia<br />
perché diversi possono essere i motivi della priorità di una questione<br />
rispetto ad un’altra, non tutte insensibili ad una ragione di<br />
economia che conduca ad anticipare le questioni di più sicura<br />
soluzione e poi perché non sempre il rapporto di priorità può<br />
essere stabilito con assoluta certezza; può accadere, anzi, a mio<br />
sommesso avviso, che diverse questioni preliminari risultino, fra<br />
loro, equi-ordinate (sul tema mi riprometto, invero, uno studio<br />
specifico).<br />
Sembra, dunque, che solo una decisione sul “pieno merito”,<br />
secondo un’espressione di cui mi avvalgo sovente, presupponga<br />
una decisione sulle questioni preliminari; altrimenti solo una<br />
decisione espressa su di una certa questione preliminare fa stato<br />
negli altri giudizi stralciati (cfr. sent. n. 241/2007).<br />
Con riguardo alla giurisdizione, come è noto, di recente si<br />
registra una forte presa di posizione delle Sezioni unite della<br />
Cassazione, nel senso della sussistenza di un giudicato implicito<br />
sul punto per ogni sentenza che decida questioni ulteriori 36 .Si<br />
tratta, peraltro, di questione assolutamente prioritaria (anche<br />
secondo una consolidata giurisprudenza) rispetto ad ogni altra<br />
e di una priorità che sembra davvero insuperabile per ragioni di<br />
economia. Né si può tacere della circostanza che il Consiglio di<br />
Stato non ha ritenuto di seguire questo indirizzo ma, anche di<br />
recente, ha confermato quello suo risalente per cui il giudicato<br />
sulla giurisdizione sussiste (e, dunque, anche l’onere di impugnare<br />
perché il giudicato non si formi) solo quando il giudice di<br />
primo grado si sia pronunciato in via espressa sulla giurisdizione,<br />
riprendendo vigore, negli altri casi, il principio che vuole il<br />
32<br />
Ricordando l’espressione ben nota del Redenti, a proposito<br />
della sentenza che decide sul regolamento di competenza.<br />
33<br />
Ricordo Modugno, Riflessioni interlocutorie sull’autonomia<br />
del giudizio incidentale, Napoli, 1966.<br />
34<br />
Come si esprimeva Sandulli, Il giudizio sulle leggi, Milano,<br />
1967.<br />
35<br />
Per più dettagliate documentazioni rinvio a Cerri, Corso di<br />
giustizia costituzionale, cit., 3.2.9.2.<br />
36<br />
Cass., Sez. un., 30 ottobre 2008, n. 26019 e Id., 9 ottobre 2008,<br />
n. 24883.<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009
2834<br />
difetto di giurisdizione rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e<br />
grado del giudizio 37 .<br />
Una modifica espressamente retroattiva della normativa processuale<br />
per il giudizio innanzi alla Corte probabilmente potrebbe<br />
rimettere in discussione gli effetti della pronuncia sulla<br />
preliminare comune delle questioni destinate a decisione separata<br />
e successiva.<br />
È troppo facile dire che una decisione di rigetto (dunque, di<br />
“pieno merito”) preclude ulteriori questioni (identiche) fra le<br />
medesime parti, perché il termine perentorio di impugnazione<br />
assicura già di per sé questo effetto, salvo il caso (piuttosto di<br />
scuola) di due impugnazioni identiche del medesimo soggetto<br />
(Stato o Regione), entrambe proposte in termini e, per errore,<br />
non riunite. Certo, una decisione di rigetto consolida un affidamento<br />
(perché, intanto, consente di avviare un l’attuazione di un<br />
certo programma) probabilmente in grado di resistere anche ad<br />
una riforma retroattiva delle norme costituzionali sulla competenza.<br />
Una sentenza interpretativa di rigetto (o di interpretazione<br />
adeguatrice) orienta poi, sempre fra lo Stato e la Regione (o le<br />
Regioni) che sono parte del rapporto processuale, successivi<br />
conflitti sugli atti amministrativi da adottare sulla base della<br />
legge interpretata. Mi sono chiesto, a suo tempo 38 , se si tratta di<br />
un effetto di giudicato o di precedente, lasciando il problema in<br />
qualche modo aperto. Certo è che si tratta di un effetto davvero<br />
stringente, perché la medesima Corte che ha giudicato in via<br />
principale della legge giudicherà (quando non abbia a riunire i<br />
giudizi ed a giudicare con unica sentenza) del conflitto o dei<br />
conflitti consequenziali.<br />
Sugli effetti generali della sentenza di accoglimento e sulla<br />
loro difficile riconducibilità al pieno giudicato ci siamo già soffermati.<br />
3.3. Le decisioni che definiscono il giudizio fra Stato e Regioni o<br />
fra Regioni.<br />
Non ripeto, ovviamente, che nel conflitto può accadere che il<br />
medesimo atto sia impugnato dallo Stato o da una Regione<br />
innanzi alla Corte e da un privato innanzi ad altro giudice. Nella<br />
nostra tradizione giuridica, l’annullamento dell’atto ha effetti<br />
irrimediabilmente erga omnes; si tratta non tanto di un principio<br />
processuale, quanto di un principio sostanziale. Si tratta, probabilmente,<br />
di una tradizione discutibile (paradossalmente, la<br />
dichiarazione di nullità ha effetto solo fra le parti, mentre l’annullamento<br />
ha effetti generali); e, peraltro, nei rapporti tra conflitto<br />
intersoggettivo e giudizi dinanzi ai giudici comuni, questo<br />
principio comporta che, annullato l’atto dalla Corte o da un<br />
altro giudice, questo annullamento ha effetto anche negli altri<br />
giudizi pendenti, determinando la cessazione della materia del<br />
contendere.<br />
A questi fini, gli effetti di una sentenza di inammissibilità odi<br />
rigetto sono nettamente diversi. Queste sentenze non dovrebbero<br />
avere effetto in giudizi fra parti diverse, anche se integrano<br />
un precedente di estrema autorevolezza nella sede di un giudizio<br />
dinanzi ad un giudice comune 39 .<br />
In passato si è lungamente discusso se oggetto di questo conflitto<br />
sia l’atto impugnato o la competenza e, infine, si è concluso<br />
che l’oggetto sia dato dalla competenza in concreto 40 . Chi scrive<br />
ha ritenuto di poter affermare che questa competenza in concreto<br />
è data dal rapporto storicamente delimitato nell’ambito<br />
del quale è nato il conflitto 41 . Le vicende successive inducono ad<br />
un’ulteriore riflessione sul tema.<br />
Nel caso dei conflitti sorti in relazione alla nomina del Presidente<br />
di ente parco o di ente porto, il rapporto era ben individuabile,<br />
essendo dato dalla copertura, qui ed ora, di un posto<br />
di ruolo (assolutamente apicale) rimasto vacante: e, peraltro, la<br />
reiterata inosservanza, da parte del Governo, delle statuizioni<br />
della Corte, ha dato luogo a successivi giudizi ed a successivi<br />
37<br />
Cons. di Stato, Sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6049. Ricorderei sul<br />
tema anche le mature riflessioni di Pugliese, Giudicato, cit., spec.<br />
864 e segg.<br />
38<br />
Cerri, Corso di giustizia costituzionale, cit., 3.3.7.<br />
39<br />
Rinvio, per ulteriore documentazione, a Cerri, Corso di giustizia<br />
costituzionale, cit., 3.2.9.1. e 3.2.9.2.<br />
40<br />
Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Padova 1984,<br />
448 e segg.<br />
41<br />
Cerri, Competenza, atto, rapporto nel conflitto di attribuzioni,<br />
in Scritti in onore di V. Crisafulli, Milano, 1985, I.<br />
42<br />
Cfr. anche Corte cost., n. 221/2002.<br />
43<br />
Cfr., ad esempio, Cavallo, Processo amministrativo e motivi<br />
assorbiti, Chieti, 1975.<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009<br />
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong><br />
annullamenti, senza, dunque, supporre una nullità radicale<br />
data dalla inosservanza del giudicato sul rapporto (supra, par.<br />
1) 42 .<br />
L’area problematica più vicina a quella del giudicato sul conflitto<br />
di attribuzione intersoggettivo è, appunto, quella del giudicato<br />
amministrativo. In questo contesto, la stabilità della decisione<br />
ha fatto notevoli passi avanti, ma incontra limiti intrinseci<br />
non facilmente superabili. Da tempo ormai si afferma che la<br />
sentenza del giudice amministrativo, anche nel giudizio di legittimità,<br />
non si riduce al puro annullamento, ma pone alcuni punti<br />
fermi per la ricostruzione del rapporto. Ciò èstato avvertito in<br />
dottrina per tempo 43 ed è divenuto anche un luogo estremamente<br />
frequentato dalla giurisprudenza 44 ; ed ora anche si aggiunge<br />
l’art. 21 septies, legge n. 241/1990. La chiave di volta di<br />
questa trasformazione è stata il giudizio di ottemperanza, nel<br />
quale le linee guida fissate in sede di cognizione possono divenire<br />
effettive 45 .Èvero, però, che, fuori dai casi di decisione<br />
amministrativa in astratto o in concreto assolutamente vincolata<br />
e meccanica (anche gli atti giuridicamente vincolati possono dar<br />
luogo a decisioni nient’affatto meccaniche), pur dopo il giudicato<br />
amministrativo persistono margini di apprezzamento discrezionale<br />
dell’amministrazione che rendono precaria l’attribuzione<br />
del bene della vita, oggetto della decisione. Ciò ha<br />
indotto taluno a negare un giudicato in sede di giudizio di legittimità<br />
46 ; mentre altri tende piuttosto a delimitare questo effetto<br />
di giudicato con riguardo ai margini di discrezionalità amministrativa<br />
che persistono ed anche alle evenienze sopravvenute<br />
47 .<br />
Si tratta, dunque, di un giudicato che ha una sua corposa<br />
consistenza e stabilità, senza attingere i livelli massimi di stabilità<br />
riscontrabili quando sono in gioco diritti soggettivi. Del resto,<br />
anche nel giudizio civile, in quella che veniva denominata “volontaria<br />
giurisdizione”, la decisione presenta, come è noto, una<br />
stabilità minore, perché condizionata alla situazione esistente<br />
(rebus sic stantibus); e la decisione dispiega diversi effetti per i<br />
rapporti istantanei e per quelli durevoli 48 .<br />
La medesima cosa può dirsi della decisione che definisce nel<br />
merito il giudizio sul conflitto intersoggettivo? In astratto le<br />
condizioni sembrerebbero del tutto analoghe; ma, in realtà,<br />
sussiste la differenza non piccola che in sede di giustizia costituzionale<br />
non è configurabile un giudizio di ottemperanza. Le<br />
linee guida, dunque, eventualmente indicate dalla Corte nella<br />
decisione che annulla un atto, integrano solo un precedente di<br />
estrema vincolatività riguardo agli atti futuri che eserciteranno<br />
la medesima competenza, magari anche nel medesimo rapporto<br />
(nel caso visto: restaurare la funzionalità di un organo,<br />
qui ed ora, a%itto dalla vacanza del titolare del suo ufficio<br />
apicale). Il precedente è di estrema vincolatività perché, sul<br />
futuro ricorso contro condotte che reiterano nel medesimo<br />
contesto la violazione censurata, giudicherà ancora la Corte<br />
costituzionale probabilmente in composizione invariata (o<br />
quasi invariata).<br />
Sembra difficilmente percorribile la strada di un’estensione<br />
del giudizio di ottemperanza alle decisioni della Corte costituzionale;<br />
perché possono residuare, dopo la decisione, margini di<br />
scelta politica non suscettibile di essere esercitata da un commissario<br />
ad acta. L’alternativa è ritenere radicalmente nullo l’atto<br />
adottato in violazione di ciò che la Corte ha deciso nell’ambito<br />
del medesimo rapporto, fissando in questo caso la giurisdizione<br />
del giudice amministrativo o di altro giudice, che ha giurisdizione<br />
secondo la natura del rapporto. Forse il rimedio sarebbe<br />
peggiore del male, per le controversie che deriverebbero dalla<br />
troppo labile distinzione fra atti che rientrano nel medesimo<br />
rapporto ed atti che ne sono fuori. Il danno minore, in questo<br />
caso, è, probabilmente, di sollecitare una nuova decisione della<br />
Corte costituzionale, di fronte ad un atto che, pur in violazione<br />
44 Cfr., ad esempio, Cons. di Stato, Sez. VI, 16 ottobre 2007, n.<br />
5404; Id., Sez. VI, 3 marzo 2008, n. 796.<br />
45 Nigro, Il giudicato amministrativo ed il processo di ottemperanza,<br />
inAtti del XXVI Convegno di studi amministrativi, Milano<br />
1983, 63 e Id., voce “Processo amministrativo”, in Enc. Giur. Treccani,<br />
XXIV, Roma 1991; Travi, Il giudicato amministrativo, inDir.<br />
Proc. Amm. 2006, 912.<br />
46 Capaccioli, Per l’effettività della giustizia amministrativo, ripubbl.<br />
in Diritto e processo. Scritti vari di diritto pubblico, Padova,<br />
1978, 469 e segg.<br />
47 Satta, Brevi note sul giudicato amministrativo, inDir. Proc.<br />
Amm., 2007, 302.<br />
48 Cfr., per tutti, Caponi, L’efficacia, cit., 281 e segg.
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong> 2835<br />
del giudicato, conserva il “valore” 49 di quello reiterato. A scoraggiare<br />
comportamenti defatigatori, la violazione del giudicato<br />
reso in sede di conflitto intersoggettivo potrebbe dar luogo ad<br />
un sanzione pecuniaria adeguata a favore dell’ente le cui competenze<br />
risultano lese da tali condotte.<br />
L’effetto della decisione su di un conflitto intersoggettivo sembrerebbe,<br />
dunque, di spessore estremamente esiguo, perché<br />
stretto fra i perentori termini di impugnazione (che, di per sé,<br />
escludono la possibilità di un secondo giudizio sul medesimo atto<br />
e fra le medesime parti) e la sempre più stretta focalizzazione ad<br />
un atto individuo e delimitato. Non possono essere esclusi , tuttavia,<br />
casi nei quali gli effetti del giudizio si allargano e manifestano<br />
il loro carattere irremovibile anche in una sede diversa.<br />
Come accennato (supra, par. 1), una decisione di rigetto o di<br />
accoglimento relativa a ricorso per conflitto a tutela della competenza<br />
del Presidente della Regione a partecipare a Consiglio<br />
dei Ministri per questioni di interesse regionale fa stato anche<br />
nel giudizio principale sull’atto di valore legislativo approvato in<br />
quella sede.<br />
In margini di estrema esiguità inizia, a questo punto, a prendere<br />
corpo qualcosa che si avvicina alla autorità del giudicato di<br />
carattere sostanziale, oltre la vicenda processuale specifica.<br />
3.4. Le decisioni su conflitto interorganico.<br />
Con riguardo alle decisioni di inammissibilità èemerso un<br />
indirizzo giurisprudenziale che nega la riproponibilità del medesimo<br />
conflitto (per il medesimo atto o per le medesime circostanze<br />
controverse), quale che sia la ragione, anche puramente<br />
procedurale, dell’inammissibilità pronunciata 50 ; anche se poi<br />
tende a ridimensionare questa inammissibilità come limite interno<br />
ad un certo procedimento 51 . Ciò contrasta con un precedente<br />
indirizzo che, in relazione alla mancanza di termini per<br />
impugnare, consentiva la riproponibilità del medesimo conflitto<br />
dichiarato inammissibile nell’ambito pur sempre di un attuale<br />
interesse a ricorrere.<br />
Chi scrive ha già manifestato le sue perplessità nei confronti<br />
dell’attuale giurisprudenza della Corte 52 , le cui ragioni giustificative<br />
risiedono, probabilmente, solo nell’esigenza di contenere<br />
la pletora dei ricorsi in tema di immunità parlamentare. Fuori da<br />
questo ambito di microconflittualità risulterebbe, del resto, davvero<br />
inconcepibile una definitiva improponibilità dell’azione<br />
per il fatto che la precedente azione è stata proposta irritualmente,<br />
in presenza di un conflitto costituzionale ancora in atto,<br />
in assenza di termini di decadenza ed anche di regole (come<br />
quella per cui la delibera della Camera competente, se non<br />
impugnata, deve essere osservata; o, nel diritto civile, le regole<br />
sul possesso, ad esempio) idonee ad assicurare l’ordinato svolgimento<br />
delle attività umane ed istituzionali, anche in assenza di<br />
una pronuncia sulla controversia insorta.<br />
Il conflitto tra poteri può risolversi anche in un’azione di<br />
mero accertamento; ma può concretarsi in un giudizio impugnatorio,<br />
ove sia stato emanato un atto. In entrambi i casi, in<br />
linea di massima, si tende ad escludere un giudizio sulla competenza<br />
in astratto, ammettendosi un giudizio solo sulla competenza<br />
in concreto, destinato solo a risolvere una confliggenza<br />
attuale e concreta; la preclusione, del resto, a valutare nuovi<br />
argomenti (anche validi), perché non dedotti nella sede propria,<br />
sembrerebbe potersi affermare solo nell’ambito del conflitto<br />
storicamente delimitato (non altrimenti potendo operare l’onere<br />
di deduzione).<br />
Si ritiene, in genere, che gli effetti della decisione della Corte<br />
siano delimitati, appunto, dall’orizzonte di questa confliggenza<br />
effettiva. Ove il dissenso risorgesse in futuro fra i medesimi<br />
organi, difficilmente la pronuncia già resa potrebbe avere un<br />
effetto maggiore di quello di un autorevole precedente.<br />
È vero, peraltro, che una sentenza di inammissibilità per la<br />
sussistenza di un giudicato sulle competenze (che contiene<br />
un’implicita considerazione sulla non ricorrenza di ragioni per<br />
rimuoverlo) equivale ad una sentenza di merito che riconfermi<br />
quella precedente.<br />
La Corte, peraltro, nel caso dei conflitti su segreto di stato<br />
(supra, par. 1) sembra negare un giudicato anche nell’ambito del<br />
49 Ricordo Sandulli, Leggi, forza di legge, valore di legge,inRiv.<br />
Trim. Dir. Pubbl., 1957; Modugno, L’invalidità delle leggi, II, Milano,<br />
1970; Id., Validità, inEnc. Dir., XLVI, Milano, 1983.<br />
50 Cfr. Corte cost. n. 102/2007; Id., n. 343/2006; Id., n. 143/<br />
2005; Id., n. 217/2005; Id., n. 40/2005; Id., n. 358/2003; Id., n. 280/<br />
2003; Id., n. 277/2003; Id., n. 254/2003; Id., n. 247/2003; Id.,<br />
n. 238/2003; Id., n. 214/2003; Id., n. 189/2003; Id., n. 188/2003;<br />
Id., n. 153/2003; Id., n. 116/2003.<br />
rapporto controverso. Ancora una volta, la apicalità degli atti in<br />
discussione e la mancanza di un rimedio come il giudizio di<br />
ottemperanza rendono necessaria la riduzione del giudicato a<br />
precedente di estrema stringenza.<br />
3.5. Le decisioni sul giudizio di ammissibilità del referendum.<br />
Ancora più delimitato, se possibile, è il giudizio sull’ammissibilità<br />
del referendum, atteso il suo carattere solo negativo, i<br />
suoi parametri, il suo oggetto concernente l’esercizio di un<br />
diritto politico, i soggetti che ne sono parte.<br />
Anche sul punto, la tesi risalente 53 non è affatto sicurissima;<br />
e, tuttavia, merita di essere sostenuta.<br />
La Corte medesima, del resto, pur così attenta a sottolineare<br />
gli effetti insuperabili delle sue decisioni, ai sensi dell’art. 137<br />
Cost., ha giudicato in via autonoma e nel merito quesito di<br />
referendum abrogativo esattamente riproduttivo di altro già dichiarato<br />
inammissibile 54 .<br />
4. I giudizi innanzi alla Corte, i giudizi innanzi ai giudici comuni,<br />
i giudizi innanzi alle Corti sopranazionali ed il rimedio dell’opposizione<br />
di terzo.<br />
Abbiamo menzionato (supra, par. 1) non poche ipotesi in cui<br />
la Corte ha difeso l’irremovibilità della sua decisione anche nei<br />
confronti di giudizi promossi in sede diversa, da parti diverse e<br />
con oggetto diverso. Ciò suscita perplessità, perché davvero è<br />
oltre le ragioni finanche di un giudicato coerente con il diritto di<br />
azione/difesa. Solo nella sentenza di accoglimento sulle leggi,<br />
l’art. 136 Cost. deroga, propter aliquam utilitatem, a questo principio;<br />
che la storia della dottrina sugli effetti della sentenza di<br />
rigetto, appunto, conferma.<br />
La categoria dell’opposizione di terzo potrebbe e dovrebbe<br />
essere utilizzata nei rapporti fra diversi giudizi innanzi alla Corte,<br />
nei rapporti fra giudizi innanzi alla Corte e giudizi dinanzi ai<br />
giudici comuni e viceversa, perché coerente con il diritto di<br />
azione/difesa che è “diritto inviolabile”, ossia diritto che non<br />
può essere violato.<br />
Ricordo la sent. n. 39/2007, in conflitto intersoggettivo che<br />
annulla sentenza Commissario usi civici ed anche le sent. nn.<br />
73/1977; 285/1990; 160/2001; 129/2004, che annullano decisione<br />
giurisdizionale 55 . Così pure la sent. n. 154/2004, pronunziata<br />
in conflitto promosso dall’ex Presidente della Repubblica,<br />
in tale qualità, tendeva all’annullamento di decisione giurisdizionale;<br />
ed a ciò tendono anche i conflitti promossi dalle camere<br />
parlamentari quando il giudice non abbia chiesto preventiva delibera<br />
sul ricorrere dell’immunità per voti dati od opinioni<br />
espresse. In alcuni casi (sent. nn. 263/2003; 284/2004; 451/2005)<br />
la Corte si è mostrata perplessa circa gli effetti della sua decisione<br />
che incideva su atti non decisori ed evidenziava nullità eventualmente<br />
sanabili di questi; nel senso di escludere la rimovibilità del<br />
giudicato v. sent. n. 222/2007 (in conflitto fra enti).<br />
Solo una trama di principi così universalmente condivisi, del<br />
resto, può consentire di affrontare il cimento nuovo del confronto<br />
fra decisioni delle nostre Corti e decisioni delle Corti<br />
sopranazionali.<br />
CHIARA DI SERI<br />
Primauté del diritto comunitario e principio<br />
della res iudicata nazionale: un difficile<br />
equilibrio<br />
Sommario: 1. L’“interpretazione conforme” alle sentenze del<br />
giudice comunitario: primauté del diritto comunitario e principio<br />
della res iudicata nazionale. — 2. Verso la disapplica-<br />
51 Cfr. Corte cost., ord. n. 331/2007.<br />
52 Cerri, Corso di giustizia costituzionale, cit., 4.2.11.<br />
53 Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, cit., 476 e segg.<br />
54 Cfr. Corte cost., n. 26/1997; Id., n. 5/1995.<br />
55 Pertinenti sono, anche in questo caso, i rilievi di Morelli,<br />
Ancora sui limiti del sindacato esercitabile sui provvedimenti<br />
giurisdizionali in sede di conflitto di attribuzioni,inGiust. Civ., 1991,<br />
257.<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009
2836<br />
zione dell’art. 2909 c.c.? — 3. Il superamento dell’intangibilità<br />
del giudicato nazionale e gli strumenti posti a garanzia<br />
della certezza del diritto “costituzional-europeo”: la Corte<br />
costituzionale come Revisioninstanz.<br />
1. L’“interpretazione conforme” alle sentenze del giudice comunitario:<br />
primauté del diritto comunitario e principio della res<br />
iudicata nazionale.<br />
Fin dagli albori del processo di integrazione europea, alla<br />
“funzione interpretativa” svolta dalla Corte di giustizia è stato<br />
attribuito un ruolo fondamentale nel raggiungimento dell’obiettivo<br />
dell’uniforme applicazione del diritto europeo da parte<br />
degli Stati membri ed, in particolare, da parte dei loro organi<br />
giurisdizionali.<br />
Tale posizione di “privilegio ermeneutico” è garantita mediante<br />
il riconoscimento dell’esclusività delle competenze 1 attribuite<br />
alla Corte dal Trattato e la previsione di un obbligo, in<br />
capo ai giudici nazionali di ultima istanza, di sottoporre alla<br />
Corte le “questioni comunitarie” 2 .<br />
Il sistema del rinvio pregiudiziale previsto dall’art. 234 Tratt.<br />
CE consente, infatti, al giudice comunitario un controllo sull’interpretazione<br />
del diritto comunitario «più incisivo di quello<br />
di una Corte di cassazione», in quanto, a differenza del sindacato<br />
di una suprema Corte di legittimità, non è un mezzo di<br />
impugnazione delle sentenze rimesso all’interesse della parte<br />
soccombente, ma costituisce un procedimento incidentale attivabile,<br />
anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio 3 . Tuttavia,<br />
analogamente a quanto avviene per le pronunce di un<br />
1 L’art. 292 Tratt. CE dispone, infatti, che «gli Stati membri si<br />
impegnano a non sottoporre una controversia relativa all’interpretazione<br />
o all’applicazione del presente trattato ad un modo di composizione<br />
diverso da quelli previsti dal trattato stesso». La risoluzione<br />
delle controversie tra gli Stati membri va dunque ricondotta<br />
nell’ambito del quadro giuridico ed istituzionale comunitario, mediante<br />
la rimessione delle questioni interpretative alla Corte di giustizia,<br />
che ha delineato l’ambito della sua giurisdizione esclusiva in<br />
termini limitativi per l’esercizio della giurisdizione da parte di altre<br />
Corti o Tribunali internazionali chiamati a giudicare controversie di<br />
rilevanza comunitaria. In giurisprudenza, cfr. Corte giust. CE, 30<br />
maggio 2006, in causa C-459/03, MOX Plant. Sul tema della possibile<br />
concorrenza della giurisdizione della Corte di giustizia con<br />
quella degli altri giudici internazionali v. la completa analisi di<br />
Shany, The Competing Jurisdictions of International Courts and<br />
Tribunals, Oxford, 2004 e Id., Regulating Jurisdictional Relations<br />
between National and International Courts, Oxford, 2007.<br />
2 V., in proposito, Corte giust. CE, 6 ottobre 1982, in causa<br />
C-283/81, Cilfit, nonché, in precedenza, Id., 27 marzo 1980, in<br />
causa C-61/79, Denkavit Italiana e Id., 27 marzo 1980, in cause<br />
riunite C-66, 127 e 128/79, Salumi.<br />
3 Il rilievo è diSorrentino, Profili costituzionali dell’integrazione<br />
comunitaria, Torino, 1996, 33.<br />
4 Il ruolo della Corte di giustizia è infatti quello di «fornire al<br />
giudice nazionale tutti gli elementi d’interpretazione, che rientrano<br />
nel diritto comunitario, atti a consentirgli di pronunciarsi sulla compatibilità<br />
delle norme nazionali con la norma comunitaria» (Corte<br />
giust. CE, 29 giugno 1978, in causa C-154/77, Dechmann).<br />
5 Al riguardo, il percorso seguito dalla giurisprudenza costituzionale<br />
italiana in tema di criteri di risoluzione delle antinomie tra<br />
diritto interno e diritto comunitario si è articolato in due fasi: dopo<br />
aver sostenuto, in aperto contrasto con la giurisprudenza comunitaria<br />
(cfr. le storiche decisioni Corte giust. CE, 15 giugno 1964, in<br />
causa C-6/64, Costa e Id., 9 marzo 1978, in causa C-106/77, Simmenthal),<br />
la tesi della necessaria dichiarazione di illegittimità costituzionale,<br />
per violazione dell’art. 11 Cost., delle leggi interne contrastanti<br />
con il diritto comunitario (Corte cost., 18 dicembre 1973,<br />
n. 183, in Giur. Cost., 1973, 2401 e segg., con nota di Barile, Il<br />
cammino comunitario della Corte, 2406 e segg.), la Corte, pur ribadendo<br />
la propria concezione dualista, ha affermato che le norme<br />
comunitarie ricevono piena e diretta applicazione “per forza propria”,<br />
non entrando a far parte dell’ordinamento nazionale, e devono<br />
pertanto essere preferite alle norme interne incompatibili,<br />
nelle materie trasferite alla competenza delle Comunità, sia che<br />
seguano sia che precedano nel tempo le leggi ordinarie incompatibili.<br />
Tale “preferenza” accordata alla norma comunitaria fa sì che,<br />
nel proprio ambito di competenza, «l’effetto connesso con la sua<br />
vigenza è [...] quello non già di caducare, nell’accezione propria del<br />
termine, la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale<br />
norma venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi<br />
al giudice nazionale» (Corte cost., 5 giugno 1984, n. 170, in Giur.<br />
Cost., 1984, 1098 e segg., sui cui, tra i tanti, Ruggeri, Continuo e<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009<br />
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong><br />
giudice di legittimità, il potere di interpretare in via pregiudiziale<br />
le norme comunitarie, pur non comprendendo anche quello<br />
di pronunziarsi direttamente sulla compatibilità tra norme<br />
interne e norme comunitarie 4 , manifesta tutta la sua incisività<br />
nella necessità per i giudici nazionali di “conformarsi al principio<br />
di diritto” enunciato dalla Corte, disapplicando le norme<br />
interne eventualmente confliggenti 5 , laddove l’antinomia non<br />
possa essere composta facendo ricorso agli strumenti interpretativi.<br />
L’autorità riconosciuta alle sentenze interpretative sembrerebbe<br />
dunque avvicinarsi al principio dello stare decisis, del<br />
precedente obbligatorio con efficacia generale che oltrepassa il<br />
caso di specie, nel senso che l’interpretazione fornita integra il<br />
contenuto della norma comunitaria e condiziona la sua applicazione<br />
da parte di qualsiasi giudice nazionale: «la decisione<br />
interpretativa della Corte di giustizia, svincolata dalla fattispecie<br />
che occasionalmente la determina, attribuisce alla norma un<br />
significato autentico di ordine generale, acquistando valore direttivo»<br />
6 .<br />
E non solo. L’interpretazione “autoritativa” fornita dalle sentenze<br />
pregiudiziali è stata gradualmente posta nelle condizioni<br />
di influire anche sull’interpretazione e l’attuazione del diritto<br />
interno, stante l’affermazione dell’obbligo di interpretazione<br />
conforme al diritto comunitario 7 e della responsabilità dello<br />
Stato per le violazioni del diritto comunitario imputabili agli<br />
organi giurisdizionali 8 .<br />
Al “valore interpretativo” delle pronunce è stato così associato<br />
il riconoscimento della loro «diretta applicabilità» 9 e della<br />
discontinuo nella giurisprudenza costituzionale, a partire dalla sent. n.<br />
170 del 1984, in tema di rapporti tra ordinamento comunitario e<br />
ordinamento interno: dalla teoria della separazione alla prassi dell’integrazione<br />
intersistemica?, in Giur. Cost., 1991, 1598 e segg.).<br />
6 Zuccalà,Di una forma di interpretazione giurisprudenziale autentica<br />
delle leggi, inGiur. It., IV, 1959, 144.<br />
7 L’obbligo di interpretazione conforme al diritto comunitario è<br />
stato esplicitamente affermato dal giudice comunitario a partire<br />
dalla sentenza, 10 aprile 1984, in causa C-14/83, Von Colson, e poi<br />
diffusamente nella sent. 13 novembre 1990, in causa C-106/89,<br />
Marleasing SA. Ove non sia possibile procedere ad un’interpretazione<br />
del diritto interno in conformità al diritto comunitario, il<br />
giudice nazionale ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto<br />
comunitario e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli,<br />
eventualmente disapplicando la disposizione nazionale, la cui applicazione,<br />
date le circostanze del caso, condurrebbe ad un risultato<br />
contrario al diritto comunitario (v. in proposito Corte giust. CE, 4<br />
febbraio 1988, in causa C-157/86, Murphy e Id., 28 settembre 1994,<br />
in causa C-200/91, Coloroll). Il giudice comunitario ha inoltre precisato<br />
che «nel caso in cui il risultato prescritto dalla direttiva inattuata<br />
dal legislatore nazionale non possa essere conseguito mediante<br />
l’interpretazione conforme del giudice nazionale il diritto comunitario<br />
impone agli Stati membri di risarcire il danno da essi causato<br />
ai singoli in conseguenza della mancata attuazione della direttiva»<br />
(così Corte giust. CE, 14 luglio 1994, in causa C-91/92, Faccini<br />
Dori).<br />
8 Nella ormai nota sentenza Köbler (Corte giust. CE, 30 settembre<br />
2003, in causa C-224/01), la Corte di giustizia ha infatti ribadito<br />
come il principio per il quale uno Stato membro è obbligato a<br />
risarcire i danni arrecati ai singoli per violazioni del diritto comunitario<br />
che gli sono imputabili ha valore in riferimento a qualsiasi<br />
ipotesi di violazione del diritto comunitario, qualunque sia l’organo<br />
di tale Stato la cui azione od omissione ha dato origine alla trasgressione.<br />
Le medesime argomentazioni sono state di recente richiamate<br />
nella sentenza Traghetti del Mediterraneo (Corte giust. CE, 13 giugno<br />
2006, in causa C-173/03) con cui la Corte, chiamata ad esprimersi<br />
sulla compatibilità con il diritto comunitario dell’art. 2 della<br />
legge n. 117/1998 sulla responsabilità dei magistrati per i danni<br />
arrecati nell’esercizio delle funzioni giudicanti, ha affermato la non<br />
conformità con il diritto comunitario della legislazione nazionale<br />
che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro<br />
per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del<br />
diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo<br />
grado, precisando altresì che una limitazione di tale responsabilità<br />
ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice non deve essere tale da<br />
escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro<br />
interessato nei casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta<br />
del diritto vigente.<br />
9 La Corte costituzionale, in varie occasioni, ha avuto modo di<br />
esprimersi in merito agli effetti delle sentenze della Corte di giustizia<br />
nell’ambito dell’ordinamento nazionale, riconoscendone la natura<br />
di fonti normative. Nell’ordinanza n. 536/1995, il giudice costitu-
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong> 2837<br />
loro valenza normativa di ius superveniens retroattivo di origine<br />
giurisprudenziale 10 .<br />
Tale conclusione, calata in ordinamenti come il nostro, sembra<br />
orientare verso l’affermarsi del principio dell’“interpretazione<br />
giurisprudenziale autentica” 11 e, in definitiva, confermare<br />
la progressiva attenuazione della distinzione tra civil law e common<br />
law, quali tradizioni <strong>giuridiche</strong> non più contrapposte, se<br />
collocate nel quadro unitario di riferimento costituito dal diritto<br />
europeo 12 .<br />
La posizione di “privilegio ermeneutico” assegnata al giudice<br />
comunitario nell’interpretazione del diritto europeo si va, quindi,<br />
sempre più rafforzando, tanto da esigere dal giudice nazionale<br />
e da ogni interprete un’“interpretazione conforme” alle<br />
sentenze pregiudiziali.<br />
Nella rilevata crescente valorizzazione della funzione nomofilattica<br />
della Corte di giustizia si profila anche la necessità di una<br />
rimeditazione dell’istituto del giudicato.<br />
La Corte di giustizia, se da una parte ha riconosciuto il principio<br />
dell’intangibilità della res iudicata nazionale, anche laddove<br />
risulti fondata su una non corretta interpretazione del diritto<br />
comunitario 13 , dall’altra, ha affermato l’obbligo di riesame di<br />
atti amministrativi “anticomunitari”, anche qualora costituiscano<br />
oggetto di una decisione definitiva di un giudice nazionale<br />
che statuisce in ultima istanza 14 .<br />
Diversamente, nelle ipotesi in cui il giudicato nazionale coinvolge<br />
ambiti materiali di disciplina che l’ordinamento europeo<br />
“riserva” alla competenza delle Istituzioni comunitarie e della<br />
Corte di giustizia, la prevalenza del diritto comunitario sembra<br />
passare attraverso il sacrificio dell’intangibilità del giudicato e<br />
dei sottesi principi dell’indipendenza funzionale del giudice e,<br />
soprattutto, della certezza del diritto discendente dalla stabilità<br />
di rapporti giuridici ormai esauriti.<br />
Tra le discipline del Trattato che, sotto questo profilo, hanno<br />
ricevuto maggiore attenzione nella giurisprudenza comunitaria<br />
e che, quindi, hanno costituito l’occasione per affermare prin-<br />
zionale ha fatto riferimento alle sentenze della Corte di giustizia in<br />
termini di «precedenti vincolanti», in base ai quali il giudice a quo<br />
può risolvere le questioni interpretative comunitarie prima di sollevare<br />
una questione di legittimità costituzionale. È tuttavia più<br />
ricorrente l’affermazione secondo cui le sentenze del giudice comunitario<br />
hanno una valenza normativa ed, in quanto tali, sono direttamente<br />
applicabili al pari dei regolamenti e delle direttive selfexecuting<br />
(v., in particolare, Corte cost., 21 aprile 1989, n. 232; Id.,<br />
13 aprile 1985, n. 113, Id., 11 luglio 1989, n. 389). L’affermazione<br />
secondo cui le sentenze interpretative sono fonti, la cui efficacia<br />
diretta nell’ordinamento nazionale dipende dall’efficacia diretta<br />
delle disposizioni interpretate, è stata poi estesa, dalle sentenze<br />
pregiudiziali relative a norme comunitarie direttamente applicabili,<br />
a tutte le statuizioni interpretative rese dalla Corte di giustizia a<br />
prescindere dal contesto di emersione.<br />
10 Per degli spunti ricostruttivi in tal senso v. Martinico, Le<br />
sentenze interpretative della Corte di giustizia come forme di produzione<br />
normativa, inRiv. Dir. Cost., 2004, 251 e segg. nonché, in<br />
precedenza, Floridia, Forma giurisdizionale e risultato normativo<br />
del procedimento pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia,inDir.<br />
Com. Scambi Internaz., 1978, 1 e segg. Sul tema, più generale, dell’inquadramento<br />
dei precedenti giurisprudenziali tra le fonti del<br />
diritto, si rinvia alla ricostruzione offerta da Zaccaria, La giurisprudenza<br />
come fonte del diritto. Un’evoluzione storica e teorica,<br />
Napoli, 2007.<br />
11 Sul punto v. la ricostruzione teorica di Tedeschi, Su alcune<br />
forme di interpretazione autoritativa della legge, inRiv. Dir. Civ.,<br />
1957, 136, poi ripresa da Zuccalà, op. cit.<br />
12 Cfr. Cassese, Il problema della convergenza dei diritti amministrativi:<br />
verso un modello amministrativo europeo?, in Riv. It. Dir.<br />
Pubbl. Com., 1992, 23 e segg. nonché, più recentemente in questo<br />
senso, Serio, Il valore del precente tra transizione continentale e<br />
Common Law: due sistemi ancora distanti?, in Riv. Dir. Civ., 2008,<br />
109 e segg.<br />
13 Il principio dell’intangibilità del giudicato, anche quando ciò<br />
permetterebbe di accertare una violazione del diritto comunitario<br />
da parte della decisione, è stato per la prima volta affermato nella<br />
sentenza 1 o giugno 1999, in causa C-126/97, Eco Swiss in una controversia<br />
relativa ad un lodo arbitrale interlocutorio divenuto definitivo<br />
ma contrastante con il diritto comunitario. L’intangibilità<br />
delle decisioni “anticomunitarie” è stata di recente ribadita nella<br />
sentenza 16 marzo 2006, in causa C-234/04, Kapferer, con cui la<br />
Corte ha espressamente escluso che il diritto comunitario imponga<br />
ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne<br />
allo scopo di riesaminare ed annullare una decisione giurisdizionale<br />
cipi di rilevante problematicità per gli ordinamenti costituzionali<br />
nazionali vi è quella degli aiuti di Stato. In questa materia,<br />
infatti, il giudicato interno non ha solo conseguenze nell’ambito<br />
dei rapporti giuridici di diritto nazionale tra il beneficiario dell’aiuto<br />
e lo Stato membro, ma viene ad incidere sulla “competenza<br />
esclusiva” della Corte di giustizia di valutare la compatibilità<br />
con il diritto comunitario dell’aiuto controverso.<br />
Muovendo da tale considerazione, la Corte di giustizia, pronunciandosi<br />
sulla compatibilità dell’art. 2909 c.c. con le disposizioni<br />
del Trattato sugli aiuti di Stato, nella sentenza 18 luglio<br />
2007, sulla causa C-119/05, Lucchini 15 , ha affermato che il<br />
diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del<br />
diritto nazionale volta a sancire il principio dell’autorità di cosa<br />
giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di una tale disposizione<br />
impedisca il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto<br />
con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato<br />
comune è stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta<br />
definitiva.<br />
La portata dell’exceptio rei iudicatae risulta dunque ridimensionata:<br />
il giudicato non è opponibile tra le parti qualora comporti<br />
una lesione delle norme in materie di competenza esclusiva<br />
dell’Unione.<br />
2. Verso la disapplicazione dell’art. 2909 c.c.?<br />
Occorre a questo punto domandarsi se il principio della cedevolezza<br />
del giudicato nazionale di fronte al primato del diritto<br />
comunitario enunciato nella sentenza Lucchini possa godere di<br />
una vis espansiva anche al di là dell’ambito materiale degli aiuti<br />
di Stato.<br />
Secondo parte della dottrina 16 , la sentenza Lucchini è espressione<br />
di una generale tendenza al superamento dell’autorità della<br />
cosa giudicata che, dalla materia degli aiuti di Stato, ben<br />
presto coinvolgerà anche l’adiacente e più vasto campo del diritto<br />
della concorrenza e, successivamente, ogni materia “comunitarizzata”<br />
17 .<br />
passata in giudicato, qualora risulti che questa viola il diritto comunitario,<br />
in ragione dell’importanza che il principio dell’autorità di<br />
cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico comunitario<br />
che negli ordinamenti nazionali. Di conseguenza, il riesame di una<br />
sentenza definitiva potrà avvenire solo nell’ipotesi in cui sia lo stesso<br />
diritto nazionale a prevedere, nel proprio sistema processuale, un<br />
meccanismo di revisione dei processi nell’ipotesi di contrasto con la<br />
normativa comunitaria, meccanismo che non è invece imposto dall’art.<br />
10 Trattato CE.<br />
14 Si tratta della sent. 13 gennaio 2004, in causa C-453/00, Kühne<br />
& Heitz NV c. Productschap, in cui il giudice comunitario, ricordando<br />
che «la certezza del diritto è inclusa tra i principi generali riconosciuti<br />
nel diritto comunitario» e che «il carattere definitivo di una<br />
decisione amministrativa, acquisito alla scadenza di termini ragionevoli<br />
di ricorso o in seguito all’esaurimento dei mezzi di tutela<br />
giurisdizionale, contribuisce a tale certezza», ha escluso che il diritto<br />
comunitario esiga che un organo amministrativo sia obbligato a<br />
riesaminare una decisione amministrativa definitiva, se non in presenza<br />
di una serie di condizioni: che l’amministrazione disponga,<br />
secondo il diritto nazionale, del potere di ritornare su tale decisione;<br />
che la decisione sia diventata definitiva in seguito ad una sentenza di<br />
un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza; che tale sentenza,<br />
alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva alla<br />
medesima, risulti fondata su un’interpretazione errata del diritto<br />
comunitario; che l’interessato, immediatamente dopo essere stato<br />
informato di tale giurisprudenza, sia rivolto all’organo amministrativo,<br />
il quale dovrà tener conto degli interessi di terzi. Successivamente,<br />
con la sent. 12 febbraio 2008, in causa C-2/06, Kempter, il<br />
giudice comunitario si è espresso nel senso della sussistenza di un<br />
obbligo di riesame anche laddove il ricorrente non abbia fatto valere<br />
tra i motivi di censura dell’atto impugnato la violazione del diritto<br />
comunitario: ad avviso della Corte l’eventuale omissione nel rimettere<br />
la questione interpretativa non può essere correlata al mancato<br />
rispetto dell’onere di allegazione delle parti, giacché il rinvio ex art.<br />
234 Trattato CE è uno strumento di cooperazione diretta tra i soli<br />
giudici.<br />
15 Per un commento alla decisione v. Zuffi, Il caso Lucchini<br />
infrange l’autorità del giudicato nazionale nel campo degli aiuti statali,<br />
inGiur. It., 2008, 382 e segg.<br />
16 V., in particolare, Consolo, La sentenza Lucchini della Corte<br />
di Giustizia: quale possibile adattamento degli ordinamenti processuali<br />
interni e in specie del nostro?, in Riv. Dir. Proc., 2008, 233.<br />
17 Si esprime in senso critico nei confronti di tale conclusione,<br />
Cerulli Irelli, Trasformazioni del sistema di tutela giurisdizionale<br />
nelle controversie di diritto pubblico per effetto della giurisprudenza<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009
2838<br />
Tale evoluzione potrebbe culminare nella disapplicazione<br />
dell’art. 2909 c.c., non solo quando sia in gioco la ripartizione<br />
delle competenze fra la Comunità e gli Stati membri, ma anche<br />
quando siano in questione diritti attribuiti ai singoli dall’ordinamento<br />
comunitario.<br />
Una conferma in questo senso sembra emergere dal dubbio<br />
interpretativo, sollevato dalla Corte di Cassazione, sull’incidenza<br />
delle statuizioni contenute nella sentenza Lucchini nell’ambito<br />
delle controversie tributarie in materia di Iva 18 .<br />
Il giudice di legittimità, con l’ordinanza 21 dicembre 2007, n.<br />
26996, ha infatti sottoposto alla Corte di giustizia la questione<br />
pregiudiziale sulla compatibilità con il diritto comunitario dell’art.<br />
2909 c.c., nell’ambito di una causa avente ad oggetto l’ammissibilità<br />
dell’eccezione di giudicato esterno relativo a diverse<br />
annualità di imposta, formatosi su contestazioni in materia di<br />
avvisi di rettifica Iva adottati nei confronti della società Olimpiclub.<br />
In particolare, la Cassazione, nel rilevare come, nel caso in<br />
esame, l’accoglimento dell’eccezione della sussistenza di un giudicato<br />
di accertamento sulla liceità dell’operazione contrattuale,<br />
posta alla base dell’atto impositivo oggetto della controversia,<br />
impedirebbe l’applicazione del divieto di abuso del diritto in<br />
materia fiscale affermato anche dalla giurisprudenza comunitaria<br />
19 , ha domandato «se il diritto comunitario osti all’applicazione<br />
di una disposizione del diritto nazionale, come quella di<br />
cui all’art. 2909 c.c., tesa a sancire il principio dell’autorità di<br />
cosa giudicata, quando tale applicazione venga a consacrare un<br />
risultato contrastante con il diritto comunitario, frustrandone<br />
l’applicazione, anche in settori diversi da quello degli aiuti di<br />
Stato (per cui, v. Corte giust. CE 18 luglio 2007, in causa<br />
C-119/05, Lucchini s.p.a.) e, segnatamente, in materia di Iva e di<br />
abuso di diritto posto in essere per conseguire indebiti risparmi<br />
d’imposta, avuto, in particolare, riguardo anche al criterio di<br />
diritto nazionale, così come interpretato dalla giurisprudenza di<br />
questa Corte, secondo cui, nelle controversie tributarie, il giudicato<br />
esterno, qualora l’accertamento consacrato concerna un<br />
punto fondamentale comune ad altre cause, esplica, rispetto a<br />
questo, efficacia vincolante anche se formatosi in relazione ad<br />
un diverso periodo d’imposta».<br />
Di rilevante interesse sono le considerazioni fornite dalla Cassazione<br />
in merito alla serietà del dubbio interpretativo. Si osserva,<br />
infatti, che la sentenza Lucchini «sembra iscriversi in una più<br />
generale tendenza della giurisprudenza della Corte di giustizia<br />
orientata a relativizzare il valore del giudicato nazionale eadistinguere<br />
le controversie di diritto comunitario aventi esclusivamente<br />
ad oggetto diritti disponibili delle parti, per le quali sono<br />
pienamente operanti gli strumenti processuali apprestati dall’ordinamento<br />
nazionale (con i soli limiti dei principi di equivalenza<br />
e di effettività),dalle controversie che coinvolgono il rispetto<br />
da parte dello Stato membro di norme comunitarie imperative,<br />
per le quali il primato del diritto comunitario, esplicandosi in<br />
modo ben più pregnante, comporta il disconoscimento del carattere<br />
vincolante del giudicato nazionale» 20 .<br />
Sulla base di tale adombrata distinzione sembrerebbe, quindi,<br />
che al principio dell’intangibilità del giudicato debba essere<br />
data una diversa rilevanza in sede di bilanciamento a seconda<br />
che si sia in presenza di norme comunitarie che attribuiscono<br />
“diritti”, la cui necessaria applicazione sia nella disponibilità<br />
della parte che li faccia valere — magari in sede di impugnazione<br />
di una sentenza che ne abbia dato una non corretta interpretazione<br />
— ovvero si sia in presenza di norme comunitarie che<br />
impongano “obblighi” allo Stato, la cui imperatività va in ogni<br />
caso salvaguardata.<br />
Le conclusioni presentate dall’Avvocato generale Mazàk 21 ,a<br />
seguito dell’udienza di discussione, si pongono in linea con la<br />
posizione assunta dalla Commissione e dal governo italiano, offrendo<br />
alcune considerazioni sulla rilevanza da attribuire al principio<br />
di certezza del diritto nel bilanciamento con altri principi.<br />
L’Avvocato generale ha sottolineato come l’obbligo, incombente<br />
sui giudici nazionali, di garantire il primato del diritto<br />
comunitario e l’effetto utile potrebbe essere compromesso da<br />
europea, inRiv. It. Dir. Pubbl. Comm., 2008, 473, secondo cui un<br />
superamento dell’istituto del giudicato nelle materie “comunitarizzate”<br />
non sarebbe ipotizzabile, in quanto comporterebbe, comunque,<br />
la violazione dell’art. 24 Cost.<br />
18 Si tratta della domanda pregiudiziale iscritta al ruolo della<br />
Corte giust. CE con il numero di causa C-2/08.<br />
19 Corte giust. CE, 21 febbraio 2006, in causa C-255/02, Halifax,<br />
con commento di Salvini, L’elusione IVA nella giurisprudenza nazionale<br />
e comunitaria, inCorr. Trib., 2006, 3097 e segg.<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009<br />
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong><br />
una norma nazionale che sancisca il principio della cosa giudicata,<br />
laddove la stessa rendesse impossibile la corretta applicazione<br />
di una disposizione comunitaria: proprio per questo, la<br />
giurisprudenza comunitaria ha negato al principio della certezza<br />
del diritto — ed all’intangibilità delle decisioni definitive derivante<br />
da tale principio — carattere di assoluta prevalenza, potendo<br />
lo stesso essere conciliato con altri principi meritevoli di<br />
tutela, tra i quali, in primis, quello del primato del diritto comunitario.<br />
L’Avvocato generale ha così proposto una soluzione<br />
del bilanciamento che sacrifica il principio dell’autorità del giudicato,<br />
affermando come «non sussistono interessi sostanziali<br />
connessi alla certezza del diritto che possano prevalere rispetto<br />
all’obbligo incombente al giudice a quo di applicare e dare piena<br />
efficacia al diritto comunitario, in questo caso, al divieto di pratiche<br />
abusive nel settore dell’Iva».<br />
La Corte di giustizia, in adesione alla soluzione prospettata<br />
dall’Avvocato generale, ha affermato che il diritto comunitario<br />
osta all’applicazione, in circostanze come quelle della causa oggetto<br />
del rinvio, di una disposizione del diritto nazionale, come<br />
l’art. 2909 c.c., chiarendo che la pronuncia definitiva su un<br />
periodo d’imposta diverso da quello all’esame del giudice (il<br />
giudicato esterno) non può impedire a quest’ultimo di accertare<br />
correttamente e conformemente al diritto comunitario l’esistenza<br />
di pratiche abusive poste in essere nella vicenda sottoposta al<br />
suo esame.<br />
Le argomentazioni del giudice comunitario si fondano sul<br />
bilanciamento tra il principio di certezza del diritto e quello di<br />
effettività.<br />
In particolare, la Corte ha ribadito come, in via generale, il<br />
diritto comunitario non imponga ad un giudice nazionale di<br />
«disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono<br />
autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò<br />
permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto<br />
comunitario da parte di tale decisione». Ha tuttavia sottolineato<br />
che «laddove la decisione giurisdizionale divenuta definitiva sia<br />
fondata su un’interpretazione delle norme comunitarie relative<br />
a pratiche abusive in materia di Iva in contrasto con il diritto<br />
comunitario, la non corretta applicazione di tali regole si riprodurrebbe<br />
per ciascun nuovo esercizio fiscale, senza che sia possibile<br />
correggere tale erronea interpretazione», sostenendo come «ostacoli<br />
di tale portata all’applicazione effettiva delle norme comunitarie<br />
in materia di Iva non possono essere ragionevolmente<br />
giustificati dal principio della certezza del diritto e devono essere<br />
dunque considerati in contrasto con il principio di effettività».<br />
La Corte in definitiva — pur circoscrivendo la portata delle<br />
statuizioni contenute nella sentenza Lucchini alla situazione,<br />
«del tutto particolare», in cui siano in questione principi che<br />
disciplinano la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri<br />
e la Comunità ed evidenziando la diversità della causa oggetto<br />
del rinvio — è giunta comunque alla conclusione secondo<br />
cui il principio della vincolatività del giudicato esterno, non<br />
ragionevolmente supportato da esigenze di certezza del diritto,<br />
deve cedere dinanzi alla primauté del diritto comunitario.<br />
In attesa di ulteriori pronunce del giudice comunitario che<br />
impongano una sempre più incisiva disapplicazione dell’art.<br />
2909 c.c., la dottrina si è interrogata sullo strumento procedurale<br />
utilizzabile per comporre l’eventuale contrasto tra il giudicato<br />
interno ed il diritto comunitario “risultante” da una sopravvenuta<br />
pronuncia interpretativa della Corte di giustizia.<br />
In primo luogo è stato proposto, nel quadro di una riforma<br />
degli istituti della revisione e della revocazione delle sentenze<br />
passate in giudicato, di associare, nell’ambito dei motivi di revisione<br />
e di revocazione di una sentenza definitiva, il giudicato<br />
nazionale contrario al diritto comunitario a quello censurato<br />
dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. E, nell’inerzia del<br />
legislatore, c’è chi ha indicato la via della proposizione di una<br />
questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art.<br />
117, comma 1, Cost., dell’art. 395, nn. 1, 2, 3e6,nella parte in<br />
cui non prevede, quale ulteriore ipotesi di revocazione straordinaria,<br />
il giudicato in violazione di norme comunitarie inderogabili<br />
22 .<br />
20<br />
Così nella citata Cass., 21 dicembre 2007, n. 26996, VI, punto<br />
2.1.<br />
21<br />
Conclusioni del 24 marzo 2009, in causa C-2/08, Olimpiclub.<br />
22<br />
Così Picardi, Eventuali conflitti fra principio del giudicato e<br />
principio della superiorità del diritto comunitario, inGiust. Civ.,<br />
2008, 561.
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong> 2839<br />
È stato anche prospettato il ricorso all’opposizione di terzo<br />
revocatoria prevista dall’art. 404, comma 2, c.p.c. 23 o, ancora, la<br />
previsione di un’“azione speciale” 24 ovvero un’impugnazione<br />
straordinaria ad hoc per far valere il contrasto con il diritto<br />
comunitario 25 .<br />
3. Il superamento dell’intangibilità del giudicato nazionale e gli<br />
strumenti posti a garanzia della certezza del diritto “costituzional-europeo”:<br />
la Corte costituzionale come Revisioninstanz.<br />
Si tratta a questo punto di valutare se l’eventuale affermarsi di<br />
un orientamento della giurisprudenza comunitaria nel senso di<br />
un’ossimorica “assoluta relativizzazione” del principio di intangibilità<br />
della cosa giudicata nazionale sia in armonia con il valore<br />
assegnato, negli ordinamenti giuridici europei, alla certezza nella<br />
stabilità dei rapporti definiti con una sentenza non più soggetta<br />
a gravame.<br />
Al riguardo un’analisi di tipo comparatistico delle discipline<br />
dei paesi che rappresentano i principali modelli costituzionali di<br />
riferimento (Germania, Francia, Spagna, Inghilterra, Italia) mostra<br />
come tutti gli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati<br />
membri riconoscono il principio dell’autorità della cosa giudicata<br />
e ne sottolineano l’importanza.<br />
La garanzia della stabilità delle situazioni <strong>giuridiche</strong>, la tutela<br />
dell’indipendenza del giudice e della separazione tra i poteri, la<br />
certezza dell’effettività della tutela giurisdizionale e, in ultima<br />
analisi, la certezza del diritto, elemento fondante dello Stato di<br />
diritto, costituiscono, in tutti gli Stati membri, la ratio del principio.<br />
Allo stesso tempo, nonostante la notevole rilevanza attribuita<br />
all’autorità della cosa giudicata, la stessa non gode di un grado<br />
di tutela “assoluta”.<br />
Nella maggior parte degli ordinamenti giuridici degli Stati<br />
membri si rinvengono delle disposizioni che permettono — in<br />
caso di violazione, a fronte di un comportamento doloso delle<br />
parti, di principi procedurali fondamentali relativi al contraddittorio<br />
ed ai poteri cognitori del giudice — il superamento<br />
dell’autorità della cosa giudicata attraverso la proposizione, ad<br />
opera della parte che è stata vittima di tali vicende, di un ricorso<br />
straordinario, per i motivi enumerati dalla legge e secondo condizioni<br />
restrittive: si tratta del “ricorso in restituzione” (Restitutionsklage<br />
nel diritto tedesco, requête civile nel diritto belga e<br />
lussemburghese), della “riapertura del procedimento” (perùjitas<br />
e wznowienie postepowania rispettivamente nei diritti ungherese<br />
e polacco), della “revocazione” (herroeping nel diritto<br />
olandese), della “ripresa del processo” (obnova konania e obnova<br />
rìzenì rispettivamente nel diritto slovacco e ceco) ed, infine,<br />
del “ricorso per la revocazione” (diritto austriaco, spagnolo,<br />
estone, finlandese, francese, greco, italiano, portoghese, sloveno<br />
e svedese).<br />
L’analisi comparatistica consente quindi di rispondere negativamente<br />
al quesito di partenza circa la compatibilità del riconoscimento,<br />
operato dal giudice comunitario, della “generale<br />
cedevolezza” del principio dell’intangibilità del giudicato con il<br />
valore ad esso assegnato nei principali ordinamenti giuridici<br />
europei.<br />
Alla certezza del diritto connessa alla stabilità dei rapporti<br />
oggetto di una decisione definitiva è attribuito un valore “relativo”:<br />
la sua tutela ovvero il suo superamento costituiscono sem-<br />
23 Biavati, La sentenza Lucchini: il giudicato nazionale cede al<br />
diritto comunitario, inRass. Trib., 2007, 1602.<br />
24 Fontana, Qualche osservazione in margine al caso Lucchini.<br />
Un tentativo di spiegazione, inDir. Comm. Internaz., 2008, 219.<br />
25 Consolo, op. cit., 235.<br />
26 Fin dalle prime pronunce in materia di interpretazione autentica,<br />
la giurisprudenza della Corte si è orientata nel senso di ritenere<br />
che l’emanazione di una disposizione interpretativa non rappresenti,<br />
di per sé solo, un’interferenza nella sfera che la Costituzione<br />
riserva al potere giudiziario ed, in ogni caso, «non può considerarsi<br />
lesiva di tale sfera una legge interpretativa che rispetti i giudicati [...]<br />
e non appaia mossa dall’intento di interferire nei giudizi in corso»<br />
(così Corte cost., 8 luglio 1957, n. 118; successivamente, la sent.<br />
n. 77/1964 — con nota di Rescigno, Leggi di interpretazione autentica<br />
e leggi retroattive non penali incostituzionali, inGiur. Cost.,<br />
1964, 770 e segg. — ha invece considerato legittima una legge retroattiva,<br />
non in materia penale, che incida sui procedimenti in<br />
corso, ammettendo, in obiter dicta, effetti anche sui procedimenti<br />
già definiti; anche la sentenza n. 19/1970, poi richiamata dalle sentenze<br />
nn. 122/1980, 185/1981, 131/1986, 385/1994, 397/1994,<br />
462/1994, ha ritenuto legittima l’incidenza sui rapporti esauriti).<br />
Pur nella riconosciuta essenzialità del giudicato a garanzia della<br />
pre il punto di equilibrio di un bilanciamento con altri principi<br />
di pari rilevanza costituzionale.<br />
Tale “relativizzazione” non può, dunque, essere “assoluta” a<br />
vantaggio della primauté del diritto comunitario.<br />
Pertanto, nell’ipotesi in cui la Corte di giustizia dovesse orientarsi<br />
in questo senso, sarà possibile ipotizzare l’operatività della<br />
dottrina dei “controlimiti” e, conseguentemente, ritenere che il<br />
superamento del principio dell’intangibilità del giudicato ad<br />
opera di una successiva pronuncia interpretativa della Corte di<br />
giustizia non passi, sempre ed inevitabilmente, per lo strumento<br />
della disapplicazione della disposizione di diritto interno sulla<br />
res iudicata, ma possa costituire il frutto di un’opera di bilanciamento<br />
di principi operato nell’ambito di un giudizio di legittimità<br />
innanzi alla Corte costituzionale.<br />
Tale giudizio potrebbe sorgere in due differenti direzioni.<br />
Una questione di costituzionalità potrebbe essere sollevata<br />
nell’ambito di un giudizio, sorto “in esecuzione” di una disposizione<br />
oggetto di una sopravvenuta sentenza interpretativa comunitaria,<br />
in cui il privato resistente voglia valersi di giudicato<br />
interno favorevole in contrasto con il diritto comunitario. Più in<br />
particolare, potrebbe essere lamentata la violazione degli artt.<br />
24 e 113 Cost. ad opera della legge di esecuzione del Trattato,<br />
laddove consenta che il principio della piena efficacia del diritto<br />
comunitario imponga il superamento, mediante la disapplicazione<br />
dell’art. 2909 c.c., dell’intangibilità di un giudicato reso in<br />
violazione del diritto comunitario nell’interpretazione fornita<br />
da una successiva pronuncia della Corte di giustizia.<br />
Un’altra eventualità èquella in cui la questione di legittimità<br />
costituzionale sia sollevata in un giudizio che coinvolga un giudicato<br />
interno sfavorevole e che veda il privato invocare l’esistenza<br />
di una sopravvenuta pronuncia interpretativa del giudice<br />
comunitario: potrebbe, conseguentemente, essere denunciata<br />
l’illegittimità costituzionale dell’art. 395 c.p.c. per violazione<br />
dell’art. 117, comma 1, Cost., nella parte in cui non prevede, tra<br />
le ipotesi di revocazione straordinaria, il contrasto tra giudicato<br />
interno e comunitario oppure, ancora, l’illegittimità costituzionale<br />
della norma di rilevanza comunitaria, frutto dell’interpretazione<br />
fornita dal giudice nazionale, per contrasto con il “vincolo<br />
derivante dall’ordinamento comunitario” risultante dalla<br />
sopravvenuta sentenza interpretativa resa dalla Corte di giustizia<br />
sulla medesima disposizione.<br />
In ognuna delle formulate ipotesi, la Corte costituzionale, per<br />
risolvere la questione, potrebbe ispirarsi ai principi enunciati in<br />
materia di interpretazione autentica, oggetto di giurisprudenza<br />
costituzionale ormai consolidata 26 .<br />
D’altra parte, il parallelismo tra l’interpretazione fornita dalla<br />
Corte di giustizia e le leggi interpretative è stato spesso invocato<br />
dalla dottrina per ricostruire l’efficacia sentenze pregiudiziali: al<br />
riguardo, è stato notato come «la decisione interpretativa della<br />
Corte di giustizia, svincolata dalla fattispecie che occasionalmente<br />
la determina, attribuisce alla norma un significato autentico<br />
di ordine generale, acquistando valore direttivo» 27 .<br />
L’“interpretazione giudiziale autentica” 28 fornita dal giudice<br />
comunitario si comporta, dunque, alla stregua di ius superveniens<br />
retroattivo e, come tale, deve ritenersi soggetta agli stessi<br />
limiti sotto il profilo dell’incidenza sul giudicato 29 .<br />
Con riferimento a tali limiti, posti a tutela della funzione<br />
giurisdizionale, la giurisprudenza costituzionale ha ammesso<br />
certezza del diritto (v., in tal senso, Corte cost., 22 novembre 2000,<br />
n. 525; Id., 17 novembre 2000, n. 501; Id., 29 ottobre 1999, n. 413;<br />
Id., 12 dicembre 1998, n. 406; Id., 3 luglio 1996, n. 224; Id., 5 luglio<br />
1995, n. 294) al legislatore non quindi è precluso di interferire su<br />
processi in corso né di incidere sugli effetti del giudicato: tuttavia,<br />
qualora l’intento esclusivo della legge sia l’incidenza su concrete<br />
fattispecie sub iudice o l’elusione del giudicato, la funzione legislativa<br />
vulnera la funzione giurisdizionale, sì da essere considerata<br />
come abusivamente esercitata. Per un’analisi problematica di tale<br />
giurisprudenza v., in particolare, Gardino Carli, Il legislatore<br />
interprete. Problemi attuali in tema di interpretazione autentica della<br />
legge, Milano, 1997, e Pugiotto, La legge interpretativa e i suoi<br />
giudici. Strategie argomentative e rimedi giurisdizionali, Milano,<br />
2003.<br />
27 Zuccalà, op. cit.<br />
28 Su tale concetto v. Tedeschi, op. cit. eZuccalà, op. cit.<br />
29 Una legge di interpretazione autentica può, infatti, essere irregolarmente<br />
utilizzata per dotare di efficacia retroattiva disposizioni<br />
in realtà innovative al fine di realizzare sanatorie ed, appunto,<br />
di vanificare il giudicato. Sotto tale profilo, anche a voler ritenere le<br />
leggi interpretative una categoria dotata di una propria autonomia<br />
concettuale, i limiti che esse incontrano sono quindi gli stessi che si<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009
2840<br />
la “cedevolezza” del giudicato dinanzi a contrapposti interessi<br />
di rilevanza costituzionale che risultino prevalenti 30 . Analogo<br />
bilanciamento dovrà essere svolto nei confronti dell’interpretazione<br />
autentica fornita dalla Corte di giustizia, dovendo il giudice<br />
costituzionale valutare se debba prevalere il diritto alla<br />
“certezza” dei rapporti giuridici, alla pienezza ed all’effettività<br />
della tutela giurisdizionale garantiti dagli artt. 24 e 111 Cost.<br />
— e, con essi, il giudicato interno, “atto di sovranità” del<br />
giudice nazionale — ovvero il principio del primato del diritto<br />
comunitario, che egualmente gode di una copertura costituzionale<br />
in forza del 1 o comma dell’art. 117 Cost. — e, con esso,<br />
l’interpretazione fornita in una sentenza del giudice comunitario.<br />
Quanto alle modalità di svolgimento di tale sindacato, la Corte,<br />
muovendo dal confronto tra l’interpretazione autentica comunitaria<br />
e quella — “non autentica” — fornita dal giudice<br />
nazionale, potrebbe quindi far riferimento al test di scrutinio<br />
utilizzato per le leggi di interpretazione autentica ed ai relativi<br />
parametri 31 .<br />
Si tratterà di una valutazione da compiere in relazione ad una<br />
ponderazione della rilevanza degli interessi sottesi alle disposizioni<br />
oggetto delle pronunce contrastanti, senza poter prevede-<br />
impongono al legislatore retroattivo. Si cfr., in proposito, Tarchi,<br />
Le leggi di sanatoria nella teoria del diritto intertemporale, Milano,<br />
1990, 429; Celotto, Il controllo sulle leggi di sanatoria: «schemi» di<br />
giudizio di uno scrutinio particolarmente rigoroso, inGiur. Cost.,<br />
1999, 127 e segg., nonché, in precedenza, Rescigno, op. cit., 770 e<br />
segg. secondo cui «le leggi di interpretazione [...] sono leggi naturalmente<br />
retroattive, a differenza delle altre leggi che sono naturalmente<br />
irretroattive. Laddove una legge che voglia essere retroattiva<br />
deve dichiararlo espressamente o porre disposizioni tali che non<br />
siano interpretabili altrimenti che come norme retroattive, una legge<br />
di interpretazione per ciò solo è retroattiva, e se vuole essere<br />
irretroattiva deve dichiararlo». Tale impostazione teorica sembra<br />
sottesa alla logica delle modalità di svolgimento del sindacato di<br />
legittimità costituzionale adottate dalla Corte con riferimento alle<br />
leggi di interpretazione autentica: nella maggior parte dei casi, infatti,<br />
il sindacato sulle leggi interpretative, più che essere incentrato<br />
sulla verifica della “vera natura” — innovativa o meno — delle<br />
disposizioni impugnate, si esaurisce, in sostanza, in un controllo<br />
sulla legittimità costituzionale dell’efficacia retroattiva. Al riguardo,<br />
per un approfondimento sul tema dei limiti alla retroattività di leggi<br />
interpretative che determinino una reformatio in peius di posizioni<br />
<strong>giuridiche</strong> di favore consolidate, cfr. Corte cost., 4 novembre 1999,<br />
n. 416, con nota di Carnevale, «Al fuggir di giovinezza [...] nel<br />
doman s’ha più certezza» (Brevi riflessioni sul processo di valorizzazione<br />
del principio di affidamento nella giurisprudenza costituzionale),<br />
inGiur. Cost., 1999, 3643 e segg., e Id., 22 novembre 2000,<br />
n. 525, con nota dello stesso autore, Legge di interpretazione autentica,<br />
tutela dell’affidamento e vincolo rispetto alla giurisdizione, ovvero<br />
del “tributo” pagato dal legislatore-interprete “in materia tributaria”<br />
al principio di salvaguardia dell’interpretazione “plausibile”, in<br />
Giur. It., 2001, 2415 e segg.<br />
30 La Corte costituzionale, nel delimitare il rapporto intercorrente<br />
tra funzione giurisdizionale e funzione legislativa di interpretazione<br />
autentica, ha mostrato come il principio di certezza del<br />
diritto risulti compatibile con una «tutela debole» del giudicato,<br />
passibile di cedevolezza dinanzi a contrapposti principi costituzionali,<br />
precisando che, in linea generale, è «da escludere [...] che possa<br />
integrare una violazione delle attribuzioni spettanti al potere giudiziario<br />
una disposizione di legge che appare finalizzata ad imporre<br />
all’interprete un determinato significato normativo, in quanto la<br />
stessa, operando sul piano delle fonti, non tocca la potestà di giudicare,<br />
ma precisa solo la regola astratta ed il modello di decisione<br />
cui l’esercizio della potestà di giudicare deve attenersi» (così Corte<br />
cost., 23 novembre 1994, n. 397, in Giur. Cost., 1994, 3529 e segg.).<br />
Viceversa, risultano costituzionalmente illegittime quelle disposizioni<br />
retroattive dal contenuto meramente provvedimentale che,<br />
oltre a creare una regola astratta, prendano espressamente in considerazione<br />
le sentenze passate in giudicato, sulle quali vengano ad<br />
incidere in maniera diretta ed esplicita (Corte cost., 27 luglio 2000,<br />
n. 374, in Giur. Cost., 2000, 2656 e segg.).<br />
31 In particolare, l’assenza di un principio di “prevalenza a prio-<br />
<strong>Giurisprudenza</strong> Italiana - Dicembre 2009<br />
<strong>Dottrina</strong> e attualità <strong>giuridiche</strong><br />
re a priori la prevalenza dell’uno o dell’altro termine del bilanciamento.<br />
La prefigurata prospettiva, vista nell’ottica del progressivo<br />
abbandono di una visione “dualistica” dei rapporti tra ordinamento<br />
nazionale ed europeo e dell’auspicato “dialogo” — non<br />
sempre “condiscendente” — tra le Corti, costituirebbe un’ulteriore<br />
tappa nel “cammino comunitario” della Corte costituzionale<br />
32 .<br />
Si compirebbe, inoltre, quell’evoluzione, adombrata dalla più<br />
attenta dottrina, della nozione stessa di “certezza del diritto”,<br />
così «portata a sdoppiarsi e a convertirsi in certezze di un diritto<br />
non più solo costituzionale, come pure non più solo comunitario<br />
o europeo, distinto seppur “coordinato” rispetto al primo,<br />
bensì, ad un tempo, costituzional-europeo, conseguente ad<br />
un’integrazione ormai optimo iure compiuta, nel segno non della<br />
sopraffazione dell’uno sull’altro ordinamento ma della loro<br />
congiunta, armonica affermazione» 33 .<br />
In conclusione, la definizione del punto di equilibrio tra certezza<br />
e primauté del diritto comunitario costituirà la nuova<br />
“frontiera” sulla quale la giustizia costituzionale sarà chiamata<br />
nel prossimo futuro a svolgere, ancora una volta, quel ruolo di<br />
istituzione di “confine” che le è proprio 34 .<br />
ri” del giudicato ha indotto il giudice della leggi a configurare il<br />
giudizio di legittimità sulle leggi di interpretazione autentica in termini<br />
di sindacato sull’“eccesso di potere legislativo”, utilizzando la<br />
tecnica del bilanciamento ed il parametro della ragionevolezza (sul<br />
punto, cfr. in particolare, Kurkdjan, Il principio di ragionevolezza<br />
come strumento di contropotere nei confronti del legislatore,inDir. e<br />
Società, 1991, 247 e segg. e Castorina, Irragionevolezza della legge<br />
pseudo-interpretativa o irragionevolezza degli effetti retroattivi stessi?,<br />
in Regioni, 1991, 1393 e segg.). In giurisprudenza si vedano, da<br />
ultimo, Corte cost., 30 gennaio 2009, n. 29 — in tema di proroga di<br />
efficacia dei verbali di accordo sull’indennità espropriativa dovuta<br />
per la realizzazione di interventi in zone terremotate — nella quale<br />
viene richiamato il consolidato orientamento in tema di limiti alla<br />
retroattività, affermando che «l’intervento legislativo diretto a regolare<br />
situazioni pregresse è legittimo a condizione che vengano<br />
rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza e i principi generali<br />
di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni<br />
<strong>giuridiche</strong> (sentenze n. 74/2008 e n. 376/1995), anche al fine di<br />
assegnare a determinate disposizioni un significato riconoscibile<br />
come una delle possibili letture del testo originario (sentenze<br />
n. 234/2007 e n. 224/2006)» e Id., 7 novembre 2007, n. 364 (con<br />
nota di Caponi, Giudicato civile e leggi retroattive,inForo It., 2009,<br />
996) — relativa a disposizioni volte a sancire l’inefficacia nei confronti<br />
dell’azienda Policlinico Umberto I dei decreti ingiuntivi e<br />
delle sentenze esecutivi per obbligazioni contrattuali anteriori alla<br />
data di istituzione dell’azienda — nella quale si ribadisce «da un<br />
lato, che l’estinzione dei giudizi pendenti può essere ritenuta costituzionalmente<br />
legittima qualora le norme che la stabiliscono incidano<br />
anche sulla legge regolatrice del rapporto controverso, garantendo<br />
la sostanziale realizzazione dei diritti in oggetto (sentenza n.<br />
103/1995), dall’altro, che in materia non penale la legittimità di leggi<br />
retroattive è condizionata dal rispetto di altri principi costituzionali<br />
e, in particolare, di quello della tutela del ragionevole, e quindi<br />
legittimo, affidamento (ex plurimis, sentenze n. 446/2002 e n. 234/<br />
2007)», precisando che «anche se le disposizioni in scrutinio non<br />
possono essere definite retroattive in senso tecnico, tuttavia esse,<br />
travolgendo provvedimenti giurisdizionali definitivi e incidendo sui<br />
regolamenti dei rapporti in essi consacrati, finiscono per avere la<br />
stessa efficacia di norme retroattive e per incontrare i medesimi<br />
limiti costituzionali per queste enunciati».<br />
32 Per riprendere la nota espressione di Barile, op. cit.<br />
33 Ruggeri, La certezza del diritto al crocevia tra dinamiche della<br />
normazione ed esperienze di giustizia costituzionale, in AA.VV., Le<br />
fonti del diritto oggi, Giornate di studio in onore di A. Pizzorusso,<br />
Pisa 3-4 marzo 2005, Pisa, 2006, 129 e segg.<br />
34 Su tale ruolo cfr., più dettagliatamente, Onida, Una nuova<br />
frontiera per la Corte costituzionale: istituzione di «confine» fra diritto<br />
nazionale e sovranazionale, in AA.VV., Le Corti dell’integrazione<br />
europea e la Corte costituzionale italiana. Avvicinamenti, dialoghi,<br />
dissonanze, a cura di Zanon, collana “Cinquanta anni della Corte<br />
costituzionale della Repubblica Italiana”, Napoli, 2006.