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PDF - Senato della Repubblica

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<strong>Senato</strong> <strong>della</strong> <strong>Repubblica</strong> – 67 –<br />

XV LEGISLATURA<br />

281ª Seduta Assemblea - Resoconto stenografico<br />

26 febbraio 2008<br />

colare, rispetto alla missione afgana, esprimiamo vera e propria contrarietà.<br />

Ricordo che, pur essendo stati contrari alla missione, sin da quando<br />

ebbe inizio sette anni fa, lo scorso anno esprimemmo un voto favorevole<br />

al rifinanziamento, al contrario di quanto fece la destra, che votò contro<br />

per motivi politici laddove ora voterà a favore. Esprimemmo quel voto<br />

sulla base di un impegno assunto dal ministro D’Alema circa un mutamento<br />

che si intendeva produrre per diplomatizzare la situazione afgana;<br />

l’obiettivo era una conferenza internazionale per la pacificazione dell’area<br />

cui partecipassero anche i Paesi confinanti (Pakistan, Iran e Cina). Questo<br />

non solo non è avvenuto a causa dell’ostilità degli Stati Uniti e <strong>della</strong><br />

NATO, ma si è andati addirittura nella direzione opposta. Oggi assistiamo<br />

ad una escalation in tutto lo scenario afgano: nell’ultimo anno si è verificato<br />

un inasprimento del conflitto (a livello di «irachizzazione») in termini<br />

sia militari che di sicurezza, come dimostrano i già citati bombardamenti<br />

sui civili da parte dei militari di Enduring Freedom e <strong>della</strong> NATO, il fallimento<br />

del national building, il peggioramento delle condizioni materiali,<br />

nonché l’aumento del narcotraffico e <strong>della</strong> corruzione, di cui ha già parlato<br />

il senatore Salvi.<br />

Credo che sia un grave errore sostenere – come si fa nel programma<br />

del Partito Democratico – che la missione in Afghanistan sia decisiva per<br />

vincere la sfida del terrorismo. È esattamente il contrario: l’occupazione<br />

militare non è la soluzione del problema afgano, ma ne costituisce una<br />

delle cause. Il terrorismo finirà soltanto quando e laddove se ne recideranno<br />

le radici socio-politiche e ciò richiederà molto tempo e non operazioni<br />

militari. Di altro c’è bisogno: la vera guerra al terrorismo che può<br />

essere vinta non si conduce devastando ulteriormente i villaggi semidistrutti<br />

dell’Afghanistan, ma cancellando i debiti dei Paesi poveri, aprendo<br />

i nostri ricchi mercati ai loro prodotti di base, finanziando l’istruzione per<br />

quei 115 milioni di bambini nel mondo attualmente privi di qualsiasi accesso<br />

alla scuola, nonché deliberando ed attuando altri provvedimenti simili.<br />

Pertanto siamo contrari ad un aumento del numero dei militari, come<br />

si minaccia e si richiede da più parti: negli Stati Uniti per il tramite di<br />

Robert Gates e presso la NATO con de Hoop Scheffer. Basti pensare<br />

che i sovietici con 100.000 soldati hanno fallito. Non è il numero dei soldati<br />

che conta. Siamo favorevoli ad una riconfigurazione dell’operazione<br />

da missione militare a missione internazionale di polizia dell’ONU; non<br />

si tratta quindi di abbandonarla – come sosteneva molto bene il collega<br />

Martone – ma di riconfigurarla.<br />

Proprio a fronte di una globalizzazione sempre più complessa siamo<br />

a favore di un multilateralismo che faccia i conti con i bisogni di Paesi<br />

emergenti come l’India, la Cina, il Brasile o l’Africa e con la necessità<br />

di affrontare i temi dell’ambiente e delle risorse in termini di redistribuzione<br />

globale. Ma il multilateralismo deve essere coerente: il primo Paese<br />

a rifiutarlo sono proprio gli Stati Uniti. Lo si è visto alcuni giorni fa<br />

quando la Turchia è stata autorizzata ad invadere la zona curda dell’Iraq

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