PDF - Senato della Repubblica

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Senato della Repubblica – 50 – XV LEGISLATURA 281ª Seduta Assemblea - Resoconto stenografico 26 febbraio 2008 zione politica che rimetta al centro le relazioni eque tra province di periferia e il Governo centrale di Khartoum perché crediamo che sia necessario riconoscere il diritto all’accesso equo a risorse scarse come l’acqua e la terra. Il Darfur rappresenta, a mio parere, un importante paradosso: quello di un Paese – il Sudan – che oggi produce petrolio ma subisce le conseguenze nefaste della sua estrazione e dei mutamenti climatici che generano sconvolgimenti dal punto di vista idrogeologico e rendono sempre più difficile l’accesso alle scarse risorse. È il primo conflitto – come sostiene l’ONU – generato dal debito ecologico che il nostro ricco mondo occidentale ha nei confronti del Sud del mondo. Crediamo che anche su questo si fondi una politica di pace, di diplomazia preventiva, di disarmo e di prevenzione non violenta dei conflitti. (Applausi del Gruppo RC-SE. Congratulazioni). PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Divina. Ne ha facoltà. DIVINA (LNP). Signor Presidente, è al nostro esame un unico provvedimento che tuttavia include tutte le presenze militari italiane all’estero: vi ritroviamo missioni impegnative e importanti come quelle in Afghanistan e in Libano e spedizioni, per così dire, minori o minimali come quelle in Iraq, in Kosovo, in Sudan, in Bosnia Erzegovina, sulla striscia di Gaza, a Cipro e Haiti. Non c’è dubbio che le missioni in Libano e in Afghanistan rappresentino la presenza più significativa dei nostri contingenti esteri. Il provvedimento precedente in materia aveva visto la Lega Nord assumere una posizione di astensione: non potevamo – allora si disse – mettere a repentaglio i militari italiani quando le notizie che ci raggiungevano erano, particolarmente in Afghanistan, di recrudescenze militari e, nel contempo, di dotazioni inadeguate per fronteggiare situazioni di crisi come quelle che avrebbero coinvolto i nostri militari. Mi pare che i fatti ci abbiano dato ragione, perché soltanto i nuovi invii e le dotazioni diverse di mezzi e velivoli in appoggio, che originariamente non esistevano, hanno permesso, ad esempio, in un ultimo episodio afgano di un incidente seppur grave, di salvare la vita ai militari italiani che occupavano il nuovo mezzo, soltanto perché diverso da quelli adottati precedentemente. Siamo consapevoli dell’impegno che deve profondere una potenza importante come il nostro Paese sullo scenario internazionale nel partecipare alla lotta contro quel grande nemico invisibile dell’Occidente che è rappresentato dal terrorismo internazionale. Sappiamo purtroppo dov’è radicato: la guerra in Afghanistan serve anche ad evitare che i terroristi arrivino in occidente, ma forse è il caso di bloccarli dove sappiamo che sono addestrati e reclutati e dove, del resto, si finanziano attraverso un’altra piaga del mondo occidentale che è la coltivazione degli oppiacei. Oggi pensiamo, a differenza del passato, che si possa votare questo provvedimento: più mezzi e dotazioni diverse sono stati inviati ai nostri militari. Abbiamo però qualche perplessità residua che è legata soltanto

Senato della Repubblica – 51 – XV LEGISLATURA 281ª Seduta Assemblea - Resoconto stenografico 26 febbraio 2008 all’accomunamento di più missioni. Infatti, secondo noi qualche costo inutile è ancora racchiuso in questo provvedimento. Siamo perplessi nel vedere che abbiamo dimenticato dodici carabinieri ad Hebron; non capiamo il gran senso della loro presenza. Lo stesso vale per i cinque finanzieri dislocati ancora ad Haiti. Ahimè, non dobbiamo, per la pulce, dimenticare la trave. Questo ci fa fare un passo lungo e ci fa guardare il nocciolo, il contenuto, il senso globale di questo provvedimento. Ci sembrano invece molto pochi quei 67 militari dislocati in Libia per contenere i flussi migratori, in base ad un accordo bilaterale libico-italiano. Ci sembrano pochi perché conosciamo l’entità del fenomeno e conosciamo la vastità territoriale delle coste libiche; ci sembra che 67 militari italiani – ahimè! – siano pochini (anche se potremmo dire che sono meglio di nulla). Vorremmo vedere su questo fronte uno sforzo un po’ più sostanzioso. Non ci può sfuggire il dato politico dietro questo aspetto. Una certa sinistra fino a ieri era probabilmente vincolata ed obbligata a votare questi provvedimenti di finanziamento di missioni, che specificava non essere missioni militari, ma missioni di pace. Oggi i Gruppi di quella sinistra non votano il provvedimento alla Camera ed accusano i nostri soldati, definendoli addirittura bellicisti e sostenendo (non so in base a quali fonti) che in Afghanistan il 4 febbraio alcuni nostri soldati, appartenenti ad una task force n. 45, avrebbero anche ucciso donne e bambini. Si tratta di fonti smentite dal sistema di comunicazione ufficiale. È vero invece il contrario. Chi ha appurato, chi ha potuto confrontarsi non tanto con i nostri militari, non tanto con il sistema ISAF, ma addirittura con le istituzioni afgane, avrà potuto avere esattamente una visione opposta: i nostri militari sono tra i più benvoluti tra quelli che operano in Afghanistan, per numerose ragioni, tra cui l’umanità che caratterizza forse la nostra razza, la nostra popolazione, ma anche la severità con cui il Governo italiano ha obbligato ad una rigorosissima prudenza (i famosi caveat o regole d’ingaggio) i militari, i quali devono trovarsi in una certa situazione prima di reagire e devono poi reagire proporzionatamente. I militari di altri Stati hanno una libertà maggiore: dove c’è il nemico che attacca, lì si è autorizzati a rispondere. I militari italiani, invece, devono reagire con una prudenza a volte eccessiva; ma questo ha premesso che non si siano mai verificati grossi incidenti dove civili abbiano perso la vita. Ergo, la stessa popolazione ama il contingente italiano proprio per queste caratteristiche. Un altro aspetto che non posso sottacere – anche perché è stato inviato in questi giorni – riguarda un documento che il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero ha fatto stampare, con il titolo «Guerra e Afghanistan», e che ci lascia a dir poco sbigottiti; nella chiusura, infatti, egli specifica che le eradicazioni forzate – parliamo di piantagioni di oppiacei – non devono verificarsi là dove i mezzi di sussistenza alternativi non sono sufficientemente presenti o là dove, probabilmente, non farebbero che esacerbare il conflitto. Ergo, lasciamoli produrre liberamente droga. Io onestamente non so se al contadino afgano convenga di più coltivare

<strong>Senato</strong> <strong>della</strong> <strong>Repubblica</strong> – 50 –<br />

XV LEGISLATURA<br />

281ª Seduta Assemblea - Resoconto stenografico<br />

26 febbraio 2008<br />

zione politica che rimetta al centro le relazioni eque tra province di periferia<br />

e il Governo centrale di Khartoum perché crediamo che sia necessario<br />

riconoscere il diritto all’accesso equo a risorse scarse come l’acqua e<br />

la terra.<br />

Il Darfur rappresenta, a mio parere, un importante paradosso: quello<br />

di un Paese – il Sudan – che oggi produce petrolio ma subisce le conseguenze<br />

nefaste <strong>della</strong> sua estrazione e dei mutamenti climatici che generano<br />

sconvolgimenti dal punto di vista idrogeologico e rendono sempre<br />

più difficile l’accesso alle scarse risorse. È il primo conflitto – come sostiene<br />

l’ONU – generato dal debito ecologico che il nostro ricco mondo<br />

occidentale ha nei confronti del Sud del mondo. Crediamo che anche su<br />

questo si fondi una politica di pace, di diplomazia preventiva, di disarmo<br />

e di prevenzione non violenta dei conflitti. (Applausi del Gruppo RC-SE.<br />

Congratulazioni).<br />

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Divina. Ne ha facoltà.<br />

DIVINA (LNP). Signor Presidente, è al nostro esame un unico provvedimento<br />

che tuttavia include tutte le presenze militari italiane all’estero:<br />

vi ritroviamo missioni impegnative e importanti come quelle in Afghanistan<br />

e in Libano e spedizioni, per così dire, minori o minimali come quelle<br />

in Iraq, in Kosovo, in Sudan, in Bosnia Erzegovina, sulla striscia di Gaza,<br />

a Cipro e Haiti.<br />

Non c’è dubbio che le missioni in Libano e in Afghanistan rappresentino<br />

la presenza più significativa dei nostri contingenti esteri. Il provvedimento<br />

precedente in materia aveva visto la Lega Nord assumere una posizione<br />

di astensione: non potevamo – allora si disse – mettere a repentaglio<br />

i militari italiani quando le notizie che ci raggiungevano erano, particolarmente<br />

in Afghanistan, di recrudescenze militari e, nel contempo, di<br />

dotazioni inadeguate per fronteggiare situazioni di crisi come quelle che<br />

avrebbero coinvolto i nostri militari. Mi pare che i fatti ci abbiano dato<br />

ragione, perché soltanto i nuovi invii e le dotazioni diverse di mezzi e velivoli<br />

in appoggio, che originariamente non esistevano, hanno permesso,<br />

ad esempio, in un ultimo episodio afgano di un incidente seppur grave,<br />

di salvare la vita ai militari italiani che occupavano il nuovo mezzo, soltanto<br />

perché diverso da quelli adottati precedentemente.<br />

Siamo consapevoli dell’impegno che deve profondere una potenza<br />

importante come il nostro Paese sullo scenario internazionale nel partecipare<br />

alla lotta contro quel grande nemico invisibile dell’Occidente che è<br />

rappresentato dal terrorismo internazionale. Sappiamo purtroppo dov’è radicato:<br />

la guerra in Afghanistan serve anche ad evitare che i terroristi arrivino<br />

in occidente, ma forse è il caso di bloccarli dove sappiamo che<br />

sono addestrati e reclutati e dove, del resto, si finanziano attraverso un’altra<br />

piaga del mondo occidentale che è la coltivazione degli oppiacei.<br />

Oggi pensiamo, a differenza del passato, che si possa votare questo<br />

provvedimento: più mezzi e dotazioni diverse sono stati inviati ai nostri<br />

militari. Abbiamo però qualche perplessità residua che è legata soltanto

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